Luca Pietro Nicoletti Walter Lazzaro dagli anni Trenta agli anni Settanta. Opere e documenti. 1. lazzaro senza leggenda: avvio di fortuna critica Si è scritto molto,in passato,sulla luce dei quadri di Walter Lazzaro, sulla solitudine delle sue spiagge spoglie,prive di presenze umane ma evocative di una poesia del silenzio per la quale si è usata spesso (non sempre appropriatamente) la parola “metafisica”.Come fece giustamente notare Rossana Bossaglia nel 2003,«l’artista è totalmente identificato con le immagini silenziose delle spiagge versiliesi»1.Gran parte delle chiose e degli stereotipi che si sono incrostati sulla sua figura -a partire da quello più cele- bre di “Pittore del silenzio”alle varie elegie del mare fino alla più semplicisti- ca definizione di “pittore delle barche”da parte dei detrattori- derivano pro- prio da questa identificazione esclusiva dell’artista con una sola stagione, sebbene la più nota e fortunata,della sua ricerca. Uno stereotipo,oltretutto,che può prestarsi agli abbinamenti più di- versi,a proporre come commento poetico della pittura,ad esempio,alcuni versi de Le Occasionidi Eugenio Montale in cerca di affinità sentimentali2.È in tal senso,come è stato scritto,che «la fama di Lazzaro deriva da un incan- to»3:quell’incanto,probabilmente,che ha accordato al pittore le copertine 1. Barca bianca di alcuni volumi di larga diffusione di argomento diverso,dalla memoriali- olio su masonite stica alla psicologia,specialmente per le edizioni Mondadori4.Va in questo 30x40 cm, 1972 senso anche l’omaggio fotografico di David Hamilton,che nel 1997 fotogra- fa una barca sulla battigia avvolta da un effetto di dissolvenza,intitolan- dola Hommage à Lazzaro.Bahamas. Come spesso accade nella cri- tica,il motivo iconografico ha avu- to la meglio sullo specifico della pittura, aprendo la strada a una scrittura di afflato lirico che ha per- so di vista una prospettiva di lungo periodo e ha rinunciato a una com- prensione storica del “caso”Lazza- ro.Non ci si è chiesto,insomma,in 16 che punto della storia la sua produzione andas- se a collocarsi,e in quale rapporto dialettico: l’idillio delle barche abbandonate, aggredite dalla luce radente che ne tornisce lo scafo con accentuato risalto plastico,è stato più volte un pretesto di ispirazione letteraria piuttosto che di riflessione critica. Morto Lazzaro nel 1989 e chiuso il suo studio,via Brera non sembrava più la stessa5.A quel punto, come è stato fatto notare, per il pubblico la pittura di Lazzaro comincia a stac- carsi dal suo artista,dal suo carattere difficile e dalla sua tormentata esistenza:per il pubblico rimangono i “silenzi”delle sue spiagge solitarie e si spegne l’eco delle sue polemiche aspre e in- transigenti, che pure erano parte del suo lavoro6. Per altri, invece, «le opere di Walter Lazzaro non appaiono […] angoscianti né pro- vocatorie;lo spettatore non si sente aggredito né respinto,come invece avviene per tanta par- te dell’arte contemporanea,ma piuttosto coin- volto in quell’atmosfera elegiaca e quasi invitato ad entrare egli stesso nel 2. Walter Lazzaro dipinto (a colmare la mancanza di altre presenze umane) per prendere in una fotografia parte a un dialogo muto con le cose o,più in là,con l’infinito,con Dio»7. ante 1956 Sembra un dato assodato e da sempre presente nella sua pittura un «taglio metafisico» dei suoi soggetti8. Quella che si è persa di vista,in tal modo,è la complessità di un percor- so avulso dagli sviluppi artistici del secondo Novecento,ma con una proble- matica più articolata rispetto alla vulgata che vuole Lazzaro pittore di spiag- ge costellate di solide e inanimate presenze figurative:per quanto queste sia- no preponderanti nella sua produzione,non ne sono il tema esclusivo.Ma soprattutto,quei soggetti e quel modo di concepire il quadro sono l’appro- do di uno sviluppo più ampio e non mancano,inoltre,implicazioni psicolo- giche ed esistenziali.Il pittore che si presenta a diciotto anni in una mostra personale a Villa Torlonia a Roma,infatti,è ben lontano dallo stereotipo con cui oggi lo identifichiamo. 1 Rossana Bossaglia, La pittura di Lazzaro: Augusto Murer. 17, inverno 1992/1993. dagli esordi alla “poetica del silenzio”, in Walter 4È il caso di: Gianna Schelotto, Uomini altro- 6Katia Ferri, Silenzi e barche di Walter Lazzaro, Lazzaro al Fortino, (Forte dei Marmi, 5-31 luglio ve. Storie di cinquantenni in fuga, Milano, “Arte Incontro in Libreria”, VI, 16, maggio-agosto 2003) a cura di Anna Vittoria Laghi, Milano, Mondadori, 2004; Idem Ti ricordi papà? Padri e 1995. Editoriale Giorgio Mondadori, 2003, pp. 13-14. figlie, un rapporto enigmatico, Milano, Mondadori, 7 Giuseppe Manzoni di Chiosca, Lazzaro, 2Annalisa Venditti, Walter Lazzaro: la poesia di 2005; Susanna Agnelli, Vestivamo alla marinara, Firenze, Studio d’Arte Venanzi, 16 ottobre-21 un mare in silenzio, “Habinus”, II, 3, aprile-giugno Milano, Mondadori 2003 (quest’ultimo volume novembre 1993, ripubblicato su “Artecultura”, 2004, pp. 4-6. esce poco prima di Walter Lazzaro al Fortino, cit., XXVIII, 10, dicembre 1994. 3Paolo Rizzi in Quattro maestri del Novecento, incidendo sulla fortuna e il consenso di stampa e 8Paolo Levi, Nei silenzi metafisici della Versilia (Venezia, Centro d’arte San Vidal, giugno 2000) a critica nei confronti della mostra. Walter Lazzaro sapeva ritrovare le incantate sce- cura di Paolo Rizzi, s.e., 2000. Vi espongono 5Walter Lazzaro, metafisico pittore del silenzio, nografie dei colori, “Bell’Italia”, 124, agosto 1996. Giovanni Nei Pasinetti, Fiore Brustolin Zaccarian, “La rivista illustrata del Museo Teatrale alla Scala”, 17 Le radici della sua ricerca,infatti,sono saldamente piantate nella pittu- ra del secondo Ottocento grazie alla lezione di suo padre Ermilio:una scuo- la di toni e di pittura di tocco,fatta di impasti densi ma non per appagamen- to materico,quanto per dare corpo agli effetti di tono,di luce e alle cromie soffuse della campagna.Lo stile,appunto,è ottocentesco:quello stile su cui si è costruita l’immagine dell’Italia,dopo l’unità nazionale,come paese as- solato e romanticamente popolato dalle vestigia dell’antichità e cresciuto nel mito del Rinascimento. Ma c’è una cesura forte,nel percorso di questo artista,in cui gli acca- dimenti biografici hanno una ricaduta sulla produzione artistica:durante la guerra,al fronte,Lazzaro fa l’esperienza del campo di concentramento a Biala Podlaska,in Polonia.Durante quel periodo (1943-1944),un po’per sopravvivenza,un po’come diario emotivo,realizza una serie di disegni e di piccoli oli con momenti di vita di detenzione ma,soprattutto,volti e ri- tratti.Ma anche di fronte al dolore più acuto e all’esperienza più sconvol- gente,Lazzaro non concede spazio a toni narrativi esagitati:al contrario, quella sofferenza si cristallizza in forme ancora più nitide,come se nella li- nea pura si trovasse quella certezza necessaria a placare le proprie inquie- tudini,come si vedrà,poco dopo,negli intensi autoritratti in abito da mo- naco camaldolese. Da questo momento in poi,la figura scompare quasi completamente dalla pittura di Lazzaro,come se l’uomo,dopo tante efferatezze,non fosse più degno di entrare nel novero dei temi della pittura.Cala il silenzio,il cui riverbero si percepisce anche dai titoli stessi della opere,come la Siesta,in cui una barca reclinata sul fianco (uno dei motivi tipici cui si associa abi- tualmente l’icona di Lazzaro pittore) si staglia su un cielo limpido e trasco- lorante:in un’aria rarefatta,è la luce che tornisce i volumi e dichiara quella esatta e sintetica definizione delle cose.Oppure i capanni balneari,come nella Leggenda del silenzio,solitaria presenza che allude a una possibile presenza umana,o a un segno del suo passaggio:ma se la barca è un ele- mento provvisorio,pronta a riprendere il mare per andare in altri luoghi,il capanno,più ancora delle tende e delle sdraio,rimane un elemento immo- bile,talvolta soltanto una macchia di colore.Su queste opere,più che su al- tre,la fantasia degli interpreti si è sbizzarrita.Era quasi giocoforza,tutta- via,quel tipo di lettura di fronte a un’opera versata a sollecitare le solitudi- ni più assolate e malinconiche.Ma questi quadri,non va mai dimenticato, vengono dopo la guerra,e sono come la ricerca di un luogo dello spirito: talvolta compaiono luoghi reali,come Camogli o,soprattutto,l’amatissi- ma Versilia,ma la connotazione territoriale del paesaggio è poco significa- tiva, anzi molto meno significativa rispetto alla caratterizzazione della campagna romana,o dei “silenzi”del Lungotevere.I cieli e le luci del Medi- terraneo,in fondo,sono interiorizzati dall’artista e non hanno più bisogno di quel referente reale da tenere a modello. Ecco allora che quella ricerca del dipinto spoglio,della veduta minima- le e solitaria assume un senso diverso all’interno del suo percorso:quel- l’aspetto accattivante,apparentemente non problematico,è in realtà una scorza dura sotto cui celare,o trattenere,il proprio tormento interiore:non 18 si sale verso vette spirituali, ma si getta sulle cose uno sguardo che ne colga l’intima poeticità.E la ripeti- zione e modulazione quasi ossessiva di temi e motivi,da questo punto di vista,può diventare anche una os- sessione poetica delle varianti: in fondo sono gli anni in cui,accanto alle questioni fenomenologiche del- l’opera moltiplicata, si affermano gli studi sulla filologia d’autore. È del 1991 la prima impegnati- va monografia sul pittore data alle stampe dopo la sua dipartita,pub- blicata nelle edizioni della milanese galleria Il Castello9.Senza pretese di completezza,il libro si concentrava sul percorso di Lazzaro dopo il 1953 –con un rapido cenno all’esperien- za di prigionia affidato a un quadro del 1944- sia nella scelta delle opere sia nel florilegio critico,che ordinava per 3. Siesta la prima volta i principali testi dedicati a questo artista nel secondo dopo- olio su tela ritelata guerra:fra gli altri,vi si potevano rileggere la presentazione di Federico 35x30,9 cm Hermanin,che già aveva tenuto a battesimo la prima mostra di Lazzaro nel 1982 1932;Luciano Budigna,Roberto Salvini,Agnoldomenico Pica,per chiu- dere con Giorgio de Chirico.L’immagine del pittore che se ne poteva trar- re,ovviamente,era quella del “pittore del silenzio”,anche se la riproposi- zione antologica della critica lasciava intravedere le ragioni di questa scelta formale e in una reazione al trauma del campo di concentramento.Ma il dato più interessante,qui,era il lungo e partecipato ritratto umano e carat- teriale del pittore offerto dal gallerista Guido Conte10,da cui emerge il pro- filo di un uomo dal carattere non facile,ma verso cui si prova comunque una certa simpatia:«la sua era una presenza scomoda,e quanto mai ricca di provocazioni;spesso,però,sapeva affascinare».Il riferimento di Conte, naturalmente,è al Lazzaro “milanese”,quello che teneva studio all’angolo fra via Brera e via Monte di Pietà:un uomo già maturo,ma non privo di un forte temperamento,un grande appetito e una straordinaria condizione fisica;un uomo che non amava i ricordi e le confidenze;che detestava i mercanti e capace di gesti plateali,come il rogo di propri quadri in piazza Duomo negli anni Settanta.Non era più,forse,il «campione della bellezza fisica» che era stato in gioventù,quando «sulla spiaggia della Versilia le bel- le bagnanti se lo disputavano».Erano lontani,del resto,i tempi in cui il suo profilo regolare e pulitissimo prestava il volto a Raffaello Sanzio nel film La Fornarinadi Enrico Guazzoni del 1942.Anche Rossana Bossaglia,dieci an- ni più tardi,avrebbe fatto un’osservazione di analogo tenore: «Lazzaro aveva dalla sua parte,in questa chiamiamola “edonistica”concezione del vero,lo specchio della sua stessa figura umana;uomo pieno di talenti crea- 19 Sopra da sinistra tivi,disponeva di una straordinaria eleganza e purezza fisionomica,che egli raffigurò negli autoritratti»11. 4. Biala Lo stesso Lazzaro,ad un certo punto,doveva aver accettato lo stereoti- olio su carta po,riduttivo ma di impatto,che gli era stato attribuito:sulla vetrina del suo 21,5x30,5cm studio,racconta sempre Conte,aveva infatti affisso un cartello con scritto 1944 proprio «Il pittore del silenzio».Lo ricorda anche Elena Pontiggia,osservan- do però che una scritta «così perentoria e un po’oracolare» non era fatta 5. Biala «per ispirare simpatia»12:«sta di fatto che opera e didascalia non invitavano olio su carta all’approfondimento»,cosa che invece cominciavano a offrire le prime mo- 30,5x21,8 cm stre degli anni Novanta,a partire da quella di Rapallo13,poi quella di Darfo 1944 Boario Terme14. Ma ciò che più gli premeva,nell’arte come nell’insegnamento,era la trasmissione di un mestiere antico con le sue regole e i suoi segreti,e,sebbe- ne passasse molto tempo rintanato nel suo studio, «dipingeva sotto lo sguardo di tutti,senza segreti»15. Nello stesso giro di anni prende avvio anche la vicenda della galleria Lazzaro by Corsi,che da qui in poi è archivio per l’opera del pittore e motore primo del maggior numero di mostre e iniziative a lui dedicate.È in seno a questa esperienza che sono nati,dopo la monografia del 1991,i tre volumi del catalogo delle opere di Walter Lazzaro editi da Mondadori e curati da Paolo Levi16.Tre volumi in sé autonomi,che ripercorrono,ciascuno con opere diverse,il percorso dell’artista nella sua interezza:in tutti e tre i casi, insomma,all’anagrafe dettagliata di ogni singola opera non corrisponde un ordine entro un’unica cronologia che avanza progressivamente di volume in volume,ma ogni tomo,singolarmente,propone una selezione di opere dalla metà degli anni Venti-inizio Trenta alla fine degli anni Ottanta.È di quel momento anche il primo profilo biografico del pittore, a firma di Adriano Corsi e Gabriele Grassi17,che mette in fila con ordine,accompa- gnandoli con un minimo apparato iconografico,i dati essenziali della vicen- da umana del pittore:lo si può considerare un primo passo verso la ricon- giunzione dell’opera con le intenzioni dell’artista. Segue poi un copioso numero di mostre,alcune monografiche su pe- riodi o temi specifici (una,per esempio,solo sulla produzione degli anni Trenta18),che confermano in gran parte l’immagine consolidata di Lazza- 20 ro,con inclinazioni verso l’invenzione poetica a tema più che a un vero e proprio scandaglio filologico.La critica,insomma,senza assumersi l’onere di una riflessione globale e problematica,ha preferito fiorire con artificio retorico notizie già note,talvolta sovrapponendo un’intercapedine di pa- role fra la fruizione e le opere. Il profilo di Lazzaro torna ad arricchirsi di tasselli inediti o poco con- siderati soltanto dopo gli anni duemila.È questo,in particolare,il valore della mostra Biala Podlaskacurata da Wanna Allievi19e più volte replicata, in sedi diverse,in occasione del “Giorno della memoria”.Per la prima volta, infatti,vengono pubblicati e mostrati una scelta di disegni e piccoli quadri dipinti nei due anni di reclusione nel campo di concentramento polacco (Figg.4-5),gettando nuova luce,anche se forse con qualche eccesso di par- tecipazione emotiva,su un aspetto poco considerato della sua storia:per un breve periodo,queste opere hanno una certa fortuna visiva a corredo di articoli e altre pubblicazioni legate alla Shoah (Fig.26)20,anche se si fatica un po’,come pure è stato fatto,a paragonare questi lavori alla crudezza di Guernicao dei reportage di guerra figurati di Sutherland21. Era poi mancata,fino a quel momento,una riflessione sull’opera gra- fica di Lazzaro,a cui pone rimedio il poderoso volume,ancora una volta curato da Wanna Allievi,edito da Mondadori nel 200822.La classificazione tematica del corpus grafico rende un po’difficoltoso decifrare l’evoluzione stilistica dell’autore,ma ha comunque il merito di offrire un ricco appara- to iconografico di riferimento e di porre l’accento sul rapporto fra il me- stiere della pittura e il cimento nel disegno sia come tirocinio propedeuti- co sia come pratica a sé stante cui talvolta si riconosce la dignità di autono- ma opera da esposizione:è evidente,sfogliando il pregevole e raffinato vo- lume,il discrimine fra opere su carta e appunti visivi,fra i quali tuttavia,a ragione,il libro non pone ulteriori distinzioni. Da questa prima esperienza,poi,nasce un vero e proprio “format”co- me la mostra Donne di carta,ideata dalla stessa Allievi nel 2013 in prepara- zione al centenario della nascita di Walter Lazzaro nel 2014.Introducendo 9 Walter Lazzaro, a cura di Guido Conte, toriale Giorgio Mondadori, 1997 (da qui in avanti Milano, s.e., 2000, pp. 15-23. Milano, Edizioni Galleria Il Castello, 1991. Catalogo generale 1); Catalogo generale delle 18Figurazioni¸Milano, Galleria Lazzaro by Corsi, 10Si veda anche Guido Conte, Walter Lazzaro opere di Walter Lazzaro. Secondo volume (1926- 2003. pittore del silenzio. Lo ricorda Guido Conte, il suo 1988), testi di Paolo Levi, Raffaello Bertoli, Adriano 19 Biala Podlaska n. 55930. Walter Lazzaro gallerista, “Artecultura”, XXV, 8, ottobre 1991. Corsi e Gabriele Grassi, Milano, editoriale Giorgio disegni del lager, a cura di Wanna Allievi, testo cri- 11Bossaglia, La pittura di Lazzaro…., cit., p. 13. Mondadori, 2001 (da qui in avanti Catalogo gene- tico di Domenico Montalto, Silvia editrice, 2005. 12 Elena Pontiggia, Lazzaro, il pittore che al rale 2); Catalogo generale delle opere di Walter 20È il caso di Alessia Gallione, Leon che visse cinema interpretava Raffaello, “il Giornale”, 6 feb- Lazzaro. Terzo volume (1921-1989), testi di Paolo nell’armadio per salvarsi da Auschwitz, “la braio 1996. Levi, Rossana Bossaglia, Paolo Marletta, Repubblica”, 26 gennaio 2006. 13 Walter Lazzaro “Il pittore del silenzio”, Domenico Montalto, Luigi Marsiglia, Annalisa 21Luciana Baldrighi, Lazzaro, schizzi d’arte dal- Rapallo, Antico Castello sul mare, 14 gennaio-11 Venditti, Silvia Corsi, Adriano Corsi padre Faustro l’inferno, “il Giornale”, 9 febbraio 2006; Wanna febbraio 1996. Sbaffoni, Wanna Allievi, Milano, editoriale Giorgio Allievi, Walter Lazzaro: disegni del lager, “The 14Walter Lazzaro “Il pittore del silenzio”, Darfo Mondadori, 2004 (da qui in avanti Catalogo gene- Lions”, XLIX, febbraio 2007 Boario Terme, Chiesetta ex Contento, 23 marzo- rale 3). 22Walter Lazzaro. Raccolta dei disegni, a cura 13 aprile 1997. 17 Adriano Corsi e Gabriele Grassi, Walter di Wanna Allievi, testi di Felice Bonalumi e Simone 15Conte, cit. Lazzaro. Note biografiche, in Catalogo generale I, Ferrari, Milano, Giorgio Mondadori, 2008 (da qui in 16 Catalogo generale delle opere di Walter pp. 11-25; anche come: Vita di Walter Lazzaro, in poi Raccolta dei disegni). Lazzaro. Primo volume (1925-1989), testi di Paolo Paolo Levi, Elegia del mare, (Milano, Galleria Levi, Adriano Corsi e Gabriele Grassi, Milano, edi- Lazzaro by Corsi, 23 marzo-30 aprile 2000), 21 quel catalogo avevo cercato di con- densare i problemi principali messi in campo dall’interpretazione della pratica del disegno da parte di que- sto artista.Per un pittore di rigorosa fedeltà al mestiere come Walter Laz- zaro,la pratica quotidiana del dise- gno è cosa quasi ovvia:non perché il disegno sia semplicemente prepara- torio alla pittura,piuttosto perché il prolungato tirocinio con i mezzi grafici tiene in allenamento la ma- no,le consente di acquisire una ma- turità di segno e,soprattutto,di rap- presentazione. Il buon pittore,insomma,non può essere tale senza essere prima un buon disegnatore,il che signifi- ca aver acquisito padronanza con la figura e con la restituzione grafica dei volumi:è un principio caro alla 6. Omaggio tradizione accademica,che riconosceva alla copia dal vero un ruolo fon- a Lazzaro dante nella formazione dell’artista,e che Lazzaro difende,nel secondo do- (particolare) poguerra,non senza un’aperta posizione polemica.Lo sta a ricordare una olio su cartone telato tela esposta nel 1951,in cui il pittore si è ritratto in abito scuro,con il ber- 30x40 cm retto tipico di molti suoi ritratti (come nell’autoritratto oggi a Palazzo Pit- 1983 ti),mentre porge un pesce appeso a un filo:a questo dipinto,di iconografia altrimenti indefinibile,Lazzaro aveva dato il provocatorio titolo,rapida- mente registrato dalla stampa,di Vi insegno a disegnare.Una presa di posi- zione evidentemente contraria alle poetiche del segno che nello stesso pe- riodo andavano per la maggiore,a cui viene rivolta palesemente l’accusa di aver perso i fondamenti del mestiere. È quasi un corollario,a questo punto,far notare che il soggetto prin- cipale dei disegni di Lazzaro sia la figura:un po’meno scontato invece,è sottolineare il perdurare del disegno di figura anche quando questa viene pressoché bandita dal quadro,dove i suoi voluttuosi nudi femminili trova- no raramente dei corrispettivi ad olio.Il nudo,pura concentrazione for- male sui volumi e sulle tenerezze della carne,rimane tema per una dimen- sione privata della fruizione:il “luogo”del disegno,per il collezionista di tutti i tempi,è negli album e nelle cartelle,riservati a un numero di persone selezionato;l’opera grafica,insomma,implica una certa intimità di visio- ne,anche per la fragilità del supporto,rispetto alla pittura. Ma soprattutto,il colore della sanguigna che si sfarina sul foglio con- ferisce una morbidezza di sfumato alle forme esatte della produzione gra- fica di Lazzaro. Dagli anni di formazione in avanti,infatti,egli porta fede a una impo- stazione accademica della figura,preoccupandosi di una adeguata tornitura 22 e chiaroscuro delle membra e prestando la massima attenzione alla corretta restituzione anatomica.E,come sempre in questi casi,Lazzaro non si cura di dare una individualità connotata ai volti: è il corpo il principale mezzo espressivo,ed è questo che deve rimanere nella mente del pubblico. Fin qui sembrerebbe il percorso di un pittore dell’Ottocento,avvicina- bile ad altre esperienze di ritorno al mestiere avulse dai percorsi dell’avan- guardia,come quello di Annigoni.Ad un certo punto,però,Lazzaro lascia carboncino e sanguigna per il tratteggio a penna,con un radicale mutamen- to nella concezione della forma.Si sarebbe tentati di avvicinare questo mo- do di intendere la figura disegnata,definita da un tratto sfilacciato ma si- nuoso riempita poi da un tratteggio di chiaroscuro rapido e sommario,a certi disegni di Alberto Viani:pur non arrivando all’estremo della forma or- ganica dello scultore veneziano,anche Lazzaro deve aver sentito la necessità di una maniera più rapida,abbreviata,di trascrizione di immagini,siano es- se di copia veloce o di invenzione secondo un ductusda annotazione.Il cam- bio di medium,per ricaduta,o forse proprio in virtù di questo cambiamen- to,aveva reso possibile un mutamento stilistico:le figure si allungano,se- guono delle deformazioni espressive che sembrano figlie di un nuovo clima di eclettismo concomitante al ritorno alla pittura. Fino a quel momento Lazzaro aveva attraversato le stagioni dell’infor- male e del concettuale senza farsene contaminare:la sua pittura era rimasta sempre coerente con se stesso,sia nei modi sia nei temi.Ma se su tela il suo lavoro sfugge a uno stretto rovello filologico,su carta riaffiora una libertà di modi e di forme che arriva a essere,talvolta,una vera e propria sorpresa. Mette a frutto alcuni degli spunti suggeriti dalla bibliografia più re- cente Chiara Corsinovi,in un saggio del 201323,prestando particolare at- tenzione al passaggio fra l’esperienza del campo di concentramento e la successiva conversione alla “poesia del silenzio”,di cui però offre una inte- ressante rilettura alla luce della spiritualità francescana,forte del fatto che Lazzaro fu,come raramente la critica ha ricordato,terziario francescano: quella pittura disadorna e dalle iconografie solitarie,dunque,oltre alle ri- cerche sulla spazialità e sulla luce,leitmotivricorrente nelle letture del suo lavoro,potevano manifestare un’aspirazione all’assoluto attraverso una scelta di semplicità poetica. È facile invece fraintendere,come capita in questo saggio,il senso del- le dichiarazioni di estraneità,da parte di Lazzaro,alla pittura del suo tem- po:pur non pretendendo di instaurare confronti puntuali fra il suo lavoro e artisti a lui contemporanei,infatti,la storia di Lazzaro rivelerà quanto questi sia in realtà tutt’altro che isolato,anzi al contrario molto attento a quanto accadeva intorno a sé nel mondo dell’arte e pronto a carpirne i meccanismi e ad adattarsi alle strategie di comunicazione e autopromo- zione che il moderno sistema dell’arte richiede ad un artista per la propria affermazione e sopravvivenza. A data 2013,tuttavia,rimanevano aperte altre questioni,che il seguen- te testo cerca di rimettere in ordine.Uno di questi,per esempio,riguarda la serie degli autoritratti distribuiti lungo tutto l’arco della carriera di Lazzaro, e spesso collocati negli snodi decisivi della sua maturazione artistica. 23 Un altro tema che si cercherà almeno di accennare,poi,riguarda l’uso, tutt’altro che secondario,della fotografia nella pratica artistica.si è sentita tuttavia l’esigenza di calare questi temi,tenendo presente la dialettica fra pittura e disegno,all’interno di una scansione strettamente cronologica:la sola che consenta di tracciare un’immagine di Lazzaro più veritiera,o per lo meno fondata su dati oggettivi più che su ispirazioni letterarie o concessioni a una facile emotività. Solo così,credo,sarà possibile tracciare,controluce,la sinopia di un nuovo ritratto storiografico di Walter Lazzaro. 2. esordi romani In una tela del 1921,a cui è stato dato a posteriori il titolo di Premonizio- ne,è ritratto Walter Lazzaro ancora bambino,vestito da pittore,con in mano tavolozza e pennelli e,sullo sfondo,una riproduzione dell’auto- ritratto di Raffaello Sanzio oggi agli Uffizi:naturalmente,quando questo quadro venne dipinto,la sua futura carriera di pittore non era neppure pre- conizzabile,per quanto il suo primo cimento grafico documentato,un pic- colo acquerello con un putto di spalle che espone un pentagramma sullo sfondo di un albero con degli uccellini,risalga proprio a quell’anno24:era un’esperienza isolata,distante dal percorso del Lazzaro pittore,che si può giustificare come effetto della vicinanza a un genitore dedito alle belle arti. L’esecutore di quella tela,ancora imbevuta in una cultura pienamente otto- centesca,era infatti Ermilio Lazzaro,padre di Walter,di professione pittore e insegnante presso la scuola artistica industriale Adolfo Apolloni di Fano25. La figura paterna deve aver inciso non poco nella scelta di Walter di dedicar- si alle arti,scelta che farà anche una delle sue sorelle,e nell’orientarne il gu- sto e una certa predilezione per i maestri italiani del Rinascimento.Decora- tore di fama,a cui si devono grandi imprese di pittura murale sia in Italia sia nel Nuovo Continente,egli si era distinto nel campo dell’affresco sia religio- so sia profano,il suo stile si orientava di volta in volta verso un certo puri- 7. Monumento smo,come nel mosaico per la basilica di Sant’Antonio a Roma (per la quale a Vittorio collaborano i figli Walter e Leila) e in numerose tele dedicate alla storia di Emanuele II, San Francesco e del francescanesimo delle origini,o con accenni di ritorno olio su tavola, ai modi della pittura veneta del settecento e a un certo tiepolismo.Fra le sue 18x29 cm, 1933 massime,Ermilio Lazzaro affermava che «pretendere di creare opere d’arte, deformando esageratamente le bel- lezze insuperabili create da Dio, è un’illusione, un orgoglio, una su- perbia,un errore e una follia.Ecco perché ho sempre rifuggito dalla stranezze,dagli ismi e dalle mode»26. È evidente, poi, che Ermilio non disdegnasse la presenza del fi- glio nel proprio studio,e che anzi se ne servisse da modello:oltre la co- siddetta Premonizione, infatti, è 24 plausibile che sia ancora Walter, questa volta adolescente,il modello di un’altra tela,del 1938,che raffi- gura un giovane in abiti rinasci- mentali,lo sguardo volto verso l’al- to,colto in un momento di ispira- zione mentre intinge il pennello nella tavolozza che reca nella mano sinistra.Ancora una volta,dunque, Walter era servito al padre per dare volto a una personificazione della pittura27. I primi passi nel mondo arti- stico,dunque,avvengono per Walter Lazzaro a date precoci,fra Lazio e 8. Campagna Marche.Nonostante la nascita a Roma nel 1914,per la stampa periodica, di Fondi, nei primi tempi,Lazzaro è un pittore di Fano,complici i lunghi periodi olio su tavola, passati nella cittadina marchigiana per via dell’insegnamento paterno28.Si 25x30 cm, fa notare comunque molto presto,mentre frequenta il Liceo artistico a Ro- 1936 ma,ricevendo già a quattordici anni,insieme a tale Nello Gasparini,una borsa di studio di 400 lire29e sue caricature compaiono,a più riprese,sulle pagine de “La Tribuna”. Precoce è anche la sua prima mostra personale,fuori dal circuito espo- sitivo delle gallerie private e delle mostre pubbliche,nei saloni dei principi Torlonia,messi a disposizione del giovane pittore da don Carlo Torlonia in via Tomacelli 130,a Roma.A tenerlo “a battesimo”è una presentazione di Federico Hermanin,direttore di Palazzo Venezia30:«come vede ho scritto poco»,confida il 12 giugno 1932 al giovane artista in una lettera di accom- pagnamento del manoscritto,,«ma l’ho scritto col cuore e con una profon- da convinzione».Hermanin,infatti,non aveva usato mezzi termini nel defi- nire Lazzaro non «una promessa» ma «un artista già completo»,a cui si rico- nosce rapidità nel cogliere l’impressione di un paesaggio «con impeto e pro- cessi tecnici messi giù con sicurezza e sensibilità» rispondendo a un prima- rio «bisogno istintivo che è come un canto giocondo che gli palpita dentro». Si tratta di una mostra di soli paesaggi,in cui vengono presentati per la prima volta alcuni quadri da cui l’artista non si staccherà mai,e che ne ac- compagneranno un certo tratto del percorso.È il caso,per esempio,di Ore calde al Colosseodel 1932,il quadro forse più esposto e riprodotto a docu- mentare questa stagione della sua pittura31.Sono opere come queste che fa- ranno percepire a Rossana Bossaglia,nel 2003,«emozioni dei viaggiatori 23Chiara Corsinovi, Walter Lazzaro. L’invisibile 28 Avviene in occasione di una sua piccola Palazzo Torlonia, 19 giugno 1932. nel visibile, “Rivista di Ascetica e Mistica”, 3, 2013, mostra, nel 1930, presso lo stabilimento balneare 31 in Catalogo generale I, p. 41, arch. pp. 557-572. comunale di Fano (“Corriere adriatico”, 21 agosto 0104BZZAD. 24Riprodotto in Raccolta dei disegni, p. 5. 1930), ma anche in seguito (“Il popolo di Roma”, 32 Bossaglia, La pittura di Lazzaro…, cit., p. 25 Su Ermilio Lazzaro: Mino Borghi, Ermilio 27 febbraio 1931). 13. Lazzaro. Pittore e scultore, Roma, s.e., 1959. 29“Il giornale d’Italia”, 5 dicembre 1928. 26Ivi, p. 30. 30 Federico Hermanin, Prefazione, in Mostra 27Ivi, tav. II. personale del pittore Walter Lazzaro, Roma, 25
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