LDB Howard Eiland Michael W. Jennings Walter Benjamin Una biografia critica Traduzione di Alvise La Rocca Giulio Einaudi editore Elenco delle illustrazioni Emil e Pauline Benjamin con i figli Walter e Georg, 1896 circa. Vienna, Collezione Günther Anders. (Foto J. C. Scharwächter). Walter e Georg Benjamin a Schreiberhau, 1902 circa. Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Österreichisches Literaturarchiv. (Foto della Biblioteca). Lo scolaro Walter Benjamin. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Walter Benjamin studente, 1912 circa. Berlino, Museum der Dinge, Werkbundarchiv. (Foto del Museo). Ritratto di Herbert Belmore, 1923 circa. (Foto collezione M. P. Belmore, Erlangen). Gustav Wyneken a Haubinda, 1906. Witzenhausen, Castello di Ludwigstein, Archiv der deutschen Jugendbewegung. (Foto dell’Archivio). Christoph Friedrich Heinle. (Foto Collezione Wohlfarth, Francoforte). Ritratto di Dora Kellner. (Foto Collezione Ah Kew Benjamin, Londra). Ritratto di Gerhard (Gershom) Scholem, 1917. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Paul Klee, Presentazione del miracolo, penna, inchiostro e gesso su tela, 1916. New York, Museum of Modern Art. (© 2015. Digital Image, The Museum of Modern Art / Scala, Firenze). Paul Klee, Angelus Novus, china, gesso colorato e guazzo su carta, 1920. Gerusalemme, Israel Museum. (Foto © Elie Posner / Israel Museum). Ernst Schoen e Jula Cohn. Berlino, Museum der Dinge, Werkbundarchiv. (Foto del Museo). Ritratto di Florens Christian Rang, 1901. (Foto Collezione Adalbert Rang, Amsterdam). Ritratto di Siegfried Kracauer, 1928 circa. Marbach, Deutsches Literaturarchiv. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Theodor W. Adorno, 1924. Frankfurt am Main, Institut für Sozialforschung, Adorno Archiv. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Asja Lacis. Frankfurt am Main, Institut für Sozialforschung, Adorno Archiv. (Foto dell’Archivio). Ritratto della sorella Dora Benjamin, fine anni Venti. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Georg Benjamin, fine anni Venti. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Franz Hessel, 1928 circa. (Foto Ullstein Bild / The Granger Collection). Ritratto di Helen Hessel, fine anni Venti. (Foto © Marianne Breslauer / Fotostiftung Schweiz). Jula Cohn, busto di Walter Benjamin. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto Sasha Stone). Germaine Krull, ritratto di Walter Benjamin, 1927. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Gretel Karplus, 1932 circa. Frankfurt am Main, Institut für Sozialforschung, Adorno Archiv. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Dora Sophie Benjamin, 1927. Gerusalemme, Jewish National Library. (Foto della Biblioteca, per gentile concessione). Pagine manoscritte da I «passages» di Parigi e da Appunti e materiali, J 68. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Ritratto di Bertolt Brecht, 1932 circa. Berlino, Akademie der Künste, Archivio Walter Benjamin. (Foto dell’Archivio). Charlotte Joël, ritratto di Walter Benjamin, 1929. Frankfurt am Main, Institut für Sozialforschung, Adorno Archiv. (Foto dell’Archivio). Ernst Bloch a Milano, 1934. Berlino, Museum der Dinge, Werkbundarchiv. (Foto del Museo). Gisèle Freund, ritratto di Adrienne Monnier. Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou. (Foto © Gisèle Freund IMEC, Fonds MCC, distr. RMN – Grand Palais Alinari, Firenze). Gisèle Freund, Walter Benjamin allo schedario. Parigi, Bibliothèque Nationale de France. (Foto © Gisèle Freund IMEC, Fonds MCC, distr. RMN – Grand Palais Alinari, Firenze). Ritratto di Stefan Benjamin. Frankfurt am Main, Institut für Sozialforschung, Adorno Archiv. (Foto dell’Archivio). Nadar, ritratto di Charles Baudelaire, 1855. Parigi, Musée d’Orsay. (Foto del Museo). Gisèle Freund, ritratto di Walter Benjamin, 1938. (Foto © Gisèle Freund IMEC, Fonds MCC, distr. RMN – Grand Palais Alinari, Firenze). Gisèle Freund, ritratto di Walter Benjamin, 1939. (Foto © Gisèle Freund IMEC, Fonds MCC, distr. RMN – Grand Palais Alinari, Firenze). Gisèle Freund, Walter Benjamin all’abbazia di Pontigny, 1938. (Foto © Gisèle Freund IMEC, Fonds MCC, distr. RMN – Grand Palais Alinari, Firenze). Documento d’accesso di Walter Benjamin alla Bibliothèque Nationale, 1940. Parigi, Bibliothèque Nationale de France. (Foto della Biblioteca). Introduzione Walter Benjamin, critico letterario e filosofo tedesco di origine ebraica (1892- 1940), è oggi universalmente annoverato tra i principali testimoni della modernità europea. Nonostante la durata relativamente breve della sua attività letteraria – la sua vita fu spezzata al confine spagnolo mentre fuggiva dai nazisti – egli ci ha consegnato un corpus di opere di stupefacente profondità e varietà. Negli anni Venti, seguiti al suo «apprendistato nella letteratura tedesca», come egli stesso lo definí, durante il quale produsse studi fondamentali sulla critica romantica, su Goethe, sul dramma (Trauerspiel) barocco, Benjamin si affermò come sostenitore e critico della cultura radicale che nasceva in Unione Sovietica e delle avanguardie che dominavano la scena letteraria parigina. E nella seconda metà dello stesso decennio fu al centro di molte delle tendenze oggi accomunate dalla definizione di «cultura di Weimar». Con amici come Bertolt Brecht e Lázló Moholy-Nagy contribuí a plasmare un nuovo modo di vedere – un realismo d’avanguardia – che si affrancava dal modernismo dei mandarini tipico della letteratura e dell’arte tedesca di epoca guglielmina. Quando, in quel periodo, i suoi scritti incominciarono a ottenere i primi riconoscimenti, egli nutriva la speranza non infondata di diventare «il primo critico della letteratura tedesca». Allo stesso tempo, insieme con il suo amico Siegfried Kracauer, nobilitò la cultura popolare elevandola a oggetto di studi rigorosi: Benjamin scrisse saggi sulla letteratura per l’infanzia, sui giocattoli, sul gioco d’azzardo, sulla grafologia, la pornografia, il viaggio, l’arte popolare, l’arte di categorie emarginate come i malati mentali; inoltre sul cibo e su una grande varietà di mezzi di comunicazione, tra i quali il cinema, la radio, la fotografia e la stampa illustrata. Durante gli ultimi dieci anni di vita, passati per lo piú in esilio, molti suoi scritti nacquero come ramificazioni dei «Passages» di Parigi, storia culturale dell’emergere del capitalismo urbano fondato sul feticismo delle merci nella Francia di metà Ottocento. Benché i Passages siano rimasti un grande «torso» incompiuto, le ricerche e le riflessioni che li permeano diedero origine a una serie di studi pionieristici, come il famoso, polemico saggio del 1936 L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e i saggi su Charles Baudelaire, nei quali il poeta assurge a emblema della modernità. Ma Benjamin non fu solo un critico ineguagliabile e un teorico rivoluzionario: egli ha lasciato una considerevole mole di scritti al confine tra la narrativa, il reportage, l’analisi culturale e l’autobiografia. Il suo «montaggio letterario» del 1928, Strada a senso unico, e soprattutto Infanzia berlinese intorno al millenovecento, pubblicato postumo, sono capolavori della modernità. In fin dei conti, molte opere di Benjamin si sottraggono a una classificazione lineare e generica. Tra le opere in prosa, lunghe o brevi, troviamo monografie, saggi, recensioni, raccolte di aneddoti filosofici, storiografici e autobiografici, testi per la radio, edizioni di lettere e di altri documenti storico-letterari, racconti, dialoghi e diari. Ma anche poesie, traduzioni di opere francesi in prosa e in versi, e una quantità di riflessioni frammentarie di varia lunghezza e rilevanza. I vividi «mondi di immagini» evocati nelle pagine di queste opere dispiegano sotto i nostri occhi alcune delle decadi piú tumultuose del XX secolo. Cresciuto a Berlino, negli anni intorno al 1900, in una famiglia di ebrei assimilati e benestanti, Benjamin era un figlio dell’impero tedesco: i suoi scritti autobiografici sono pervasi di ricordi dell’architettura monumentale amata dall’imperatore. Ma era anche figlio di una travolgente modernità capitalistica urbana; nel 1900 Berlino era la città piú moderna d’Europa, nuove tecnologie si sviluppavano in ogni settore. Da giovane si oppose all’ingresso della Germania nella prima guerra mondiale, passando di conseguenza la maggior parte degli anni di guerra in Svizzera; ciò nonostante la sua opera abbonda di visioni delle «notti di sterminio» del periodo bellico. Durante i quattordici anni di vita della Repubblica di Weimar Benjamin sperimentò dapprima il sanguinoso conflitto tra la sinistra e la destra radicali scoppiato alla fine della guerra, quindi la devastante iperinflazione dei primi anni della giovane democrazia, infine la sfibrante frammentazione politica della fine degli anni Venti, che determinò nel 1933 la conquista del potere da parte di Hitler e dei nazionalsocialisti. Come quasi tutti i maggiori intellettuali tedeschi dell’epoca, Benjamin lasciò il paese nell’estate del 1933 per non farvi piú ritorno. Passò gli ultimi sette anni della sua vita nell’esilio parigino oppresso dalla solitudine, dalla povertà e dalla scarsità di opportunità editoriali. Non riuscí mai a dimenticare che «ci sono posti dove posso guadagnare un minimo, e posti dove posso vivere con un minimo, ma non ne esiste neanche uno dove si diano entrambe le condizioni». L’ultimo periodo della sua vita attiva vide allungarsi sull’Europa l’ombra della guerra imminente. A cosa dobbiamo il fatto che a piú di settant’anni dalla sua morte le opere di Benjamin continuino a esercitare un fascino tanto irresistibile sia sul lettore generico sia sullo studioso? Alla forza delle sue idee, innanzi tutto: la sua opera ha cambiato il nostro modo di accostarci a molti importanti scrittori, di comprendere le possibilità stesse insite nella scrittura, le potenzialità e i rischi dei mezzi di comunicazione tecnologicamente avanzati e le condizioni della modernità europea come fenomeno storico. Ma non capiremmo fino in fondo la sua influenza se ignorassimo il suo peculiare, sorprendentemente efficace strumento espressivo: lo straordinario stile di Benjamin. Come puro artigiano della scrittura, Benjamin non è da meno dei piú duttili e acuti scrittori del suo tempo. Sul piano formale fu un precursore: le sue opere piú rappresentative si basano su ciò che egli definí, con il poeta Stefan George, il Denkbild, l’«immagine di pensiero», uno stile aforistico che unisce analisi filosofica e immagini del reale, nel quale si deposita l’impronta di una mimesi critica. Anche i suoi saggi apparentemente discorsivi sono spesso intimamente strutturati intorno a sequenze di vivide «immagini di pensiero», organizzate secondo i principî del montaggio propri dell’avanguardia. Questo fu il talento di Benjamin: trovare le forme nelle quali una profondità e complessità di pensiero, in tutto e per tutto paragonabili a quelle di contemporanei come Heidegger e Wittgenstein, potessero riecheggiare in una prosa immediatamente seducente e memorabile. Leggere i suoi scritti è perciò un’esperienza sensoriale, oltre che intellettuale. È come assaggiare una madeleine imbevuta nel tè: mondi sfuocati nel ricordo rivivono nell’immaginazione. E mentre si fissano, si accumulano e incominciano a ridisporsi, le frasi si armonizzano sapientemente lasciando affiorare una logica combinatoria e rilasciando a poco a poco il loro potenziale destabilizzante. Tuttavia, nonostante la magistrale immediatezza della sua scrittura, l’uomo Benjamin resta inafferrabile. Come è sfaccettata la sua opera, anche le sue convinzioni personali formano ciò che egli definí una «totalità mobile e contraddittoria». Questa efficace formulazione, nella quale sembra di cogliere un appello alla pazienza del lettore, è indicativa della sua forma mentis versatile e poliedrica. Ma l’inafferrabilità di Benjamin denota anche un esercizio consapevole volto a mantenere intorno a sé uno spazio impenetrabile destinato alla sperimentazione. Theodor W. Adorno osservò una volta che il suo amico «non giocava quasi mai a carte scoperte»1, e questo profondo riserbo, con il suo
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