CESARE CAPORALI VITA DI MECENATE Edizione critica e commento a cura di Danilo Romei Banca Dati “Nuovo Rinascimento” www.nuovorinascimento.org immesso in rete nel 2018 Copyright © 2018– All rights reserved. ISBN: 978-0-244-99097-8 Confinato nei limiti angusti dell’epigono attardato o dell’immaturo pre- cursore, Cesare Caporali ha avuto ben poca attenzione dagli studiosi mo- derni. I suoi contemporanei, al contrario, gli concessero un credito conside- revole, attestato prima di tutto da un’affezione di lettura che trova pochi ri- scontri al suo tempo e quindi dalla considerazione lusinghiera che gli mani- festarono autorevoli personalità. Visse gran parte della sua vita alle dipendenze di alti prelati, “servendo in corte” (come lui stesso diceva), con un avvio stentato e avvilito, confuso nella turba malnutrita dei familiari d’infimo rango, ma con un progresso co- stante che lo levò a condizioni materiali e morali di sicuro conforto. Il tema del rapporto fra l’intellettuale e il potere restò il centro di attra- zione (l’affanno e il tormento) della sua opera poetica di scrittore tardivo con- fortato dal successo. In questo senso la Vita di Mecenate (il sommo pro- tettore delle arti, instauratore dell’età d’oro della poesia), che l’autore non riuscì a perfezionare, continuando a vergare lacerti di versi fino ai suoi ulti- mi giorni, è davvero l’opera della sua vita. Non abbiamo rivendicazioni da bandire o risarcimenti da esigere, che non contano nulla. Crediamo semplicemente che Cesare Caporali abbia di- ritto a essere letto nel testo meno adulterato possibile. Il diritto che hanno tutti gli scrittori. VITA DI MECENATE DI CESARE CAPORALI NE L’ACCADEMIA DEGLI INSENSATI DI PERUGIA DETTO LO STEMPERATO ALL’ILL. ED ECC. SIG. E PATRON MIO OSSERVANDISS. IL SIG. ASCANIO DELLA CORGNA MARCHESE DI CASTIGLIONE ECC. D edico a V. Eccelenza quest’ultimo parto dell’ingegno di Cesa- re Caporali mio padre, già che mi son risoluto di mandarlo alle stampe, se ben in alcune particelle tronco e con qualche luogo ch’egli non potette perfezzionare e limare, colpa di que- sta nostra dura condizione mortale che troppo presto accelerò l’ore della vi- ta di lui mentr’era intento a descrivere col solito suo stile festivo e giocoso la vita di quel Mecenate ch’egli finalmente avea trovato vivo nell’animo di V. Eccelenza. La quale per l’affezzione che gli portò mentre visse e per quella che gli ha mostrato anco doppo la morte, avendo dato onorato sepol- cro all’ossa di esso in Castiglione, suo marchesato, son certo che piglierà sempre protezzione di quest’opera e che, se non altro, la riceverà da me co- me per segno della molta divozion mia e per ultimo pegno della servitù di lui. Di che non di meno la supplico con tutto l’affetto maggiore e le fo per fine umilissima reverenza. Di Perugia, li 5 di giugno 1603. Di V. Ecc. umiliss. e obbligatissimo ser. Antimo Caporali A’ lettori A’ LETTORI Ho risoluto, candidi lettori, Stampar questo libretto da me stesso, Già che purgato l’ho da molti errori, 3 Oltre che quei che l’han più volte impresso Me ci han cacciato su certi poeti Che non mi piace che mi stianno appresso: 6 Non dico che non sian dotti e discreti, Ma gli uomin dovrian far le lor facende Da loro stessi e starsi bell’e cheti. 9 Il libro è cosa chiara che pretende D’esser rifatto dei passati danni, Non so poi come il mondo se l’intende. 12 Color che lo stampar già son molt’anni In ver se ne portaron tanto male Che squarciato ne porta il petto e i panni; 15 Ond’io pigliato ho il fil, l’ago e’l ditale E gli ci ho ricucito le ferite, Messoci prima un buon pugno di sale; 18 Con licenza però di chi guarite N’ha di molt’altre, tal che per sì fatta Cagion sempre gli arò grazie infinite; 21 Perch’esso libro, a guisa di pignatta, Ha bisogno d’un fuoco temperato Ed oltre a ciò d’una persona adatta, 24 La qual sappia discerner dal salato L’insipido e l’arosto dal bollito, Com’uom che non ha il gusto depravato, 27 Ma che non faccia tanto del polito, Che sotto spezie di levar laschiuma Non mi ci lasci punto di condito, 30 Perché lagaggia stride e si consuma Quando che viva si sente pelare A’ lettori E tirar via la carne con la piuma. 33 Ma mentre mi trattengo a cicalare, Lettor, di grazia aprite le fenestre, Che m’è venuto voglia di volare. 36 Già mi par d’aver l’ali agili e destre, Già fuor mi spunta il becco e mi si fanno Le dita de le man penne maestre; 39 Ruvida scorza e dura pelle m’hanno Cinto gli stinchi, tal che dir mi lice: Restate a Dio, calzetti miei di panno. 42 E già fuor de l’angusta mia pendice Men volo altier portando il mio libretto, Per l’italico ciel nibio felice; 45 Nibbio a la voce, a l’unghia, al rostro, al petto: Cigno non già, che dir tanto non oso, Né la piuma m’ha tolto l’intelletto. 48 Con tutto ciò, per l’aria ecco un rabbioso Stuol d’ucellacci e par che strida e gracchie, Forse del mio bel volo invidioso. 51 Deh, per che’l libro non mi squarci o macchie, Lettor, prendete i sassi e state a l’erta E spaventate via queste cornacchie, 54 Che, per che’l libro ha rossa la coperta, Si pensan che sia un pezzo di corata. Deh, non lasciate darmi questa berta, 57 Ch’ogni vostra dottissima sassata A me fia schermo, a lor tal riprensione, Ch’imparerà quest’invida brigata 60 A discernere i libri dal pulmone. 10
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