Dear life, cara vita... Il titolo originale della tredicesima raccolta di storie di Alice Munro sembra la consueta formula epistolare di un pacificato congedo. Ma ha anche, nel contesto narrativo e nell'espressione idiomatica da cui proviene, il senso di un pericolo appena scampato. Scrivere alla vita, dunque, per uscirne vivi. Con l'urgenza di ogni fuga, un'impazienza nuova che si manifesta in un inedito nitore. Quello della narratrice di Ghiaia, il cui disincanto e tormento esistenziale sembrano raccontati dalla prospettiva raggiunta di una lucidità imperturbabile. O del protagonista fuggiasco di Treno, che attraversa le stazioni della propria esperienza e di quella altrui con lo sguardo di un semplice passeggero a bordo della vita. Quello che segue i percorsi mentali della vecchia di In vista del lago e del suo sconclusionato viaggio verso un passato irrecuperabile. Un nitore che connota anche la lingua di pagine nelle quali Munro concede alla sua prosa un'ulteriore, estrema libertà, asciugando le proprie frasi come pietre, spolpandole fino all'osso. Ossa di storie, voci lontane e ancora vive, sguardi, una parsimonia di parole, ellittica e piú che mai essenziale. Ecco che cosa resta da dire, ecco che cosa trova il lettore in Uscirne vivi: tracce di materiale radioattivo, lo stesso, pericoloso e potente, che ha attraversato, illuminandole, tutte le storie. Il residuo secco. Le prime e le ultime cose, rivela Munro, il bandolo di un mondo realizzato in sessant'anni di imperterrito lavoro e l'ago puntato nella stoffa, in quiete. Susanna Basso *** «Pagine d'autore, di assoluta bellezza». Elizabeth Strout *** «È la scrittrice più sfrenata che abbia mai letto, la più sensibile anche, la più cruda, la più sottile». Jeffrey Eugenides *** «Alice Munro sa rendere i suoi personaggi abitatori del tempo come nessun altro». Julian Barnes