Carlo Dorofatti Gattopardo Una storia della MAGIA ATTI DEL CONVEGNO Firenze, 15 Gennaio – 8 Maggio 1999 - CAPITOLO 1 Da Atlantide a Roma Pag. 3 - CAPITOLO 2 Questione di infallibilità Pag. 18 - CAPITOLO 3 Le Scuole moderne Pag. 27 - CAPITOLO 4 Forum: Pag. 37 - La Massoneria oggi a cura del prof. Paolo Nardi (Grande Oriente d’Italia) - La Magia al femminile a cura della prof.ssa Selene Ballerini (giornalista) - L’Ordo Templi Orientis a cura di Roberto Negrini (O.T.O.-F.H.L.) - CAPITOLO 5 Eliphas Levi e la Cabbalah Pag. 68 a cura di Gattopardo Tek - CAPITOLO 6 Aleister Crowley e l’avvento dell’Eone di Horus Pag. 83 a cura di Roberto Negrini - CAPITOLO 7 Incontro con un uomo straordinario: George Ivanovic Gurdjieff Pag. 94 a cura di Walter Catalano Appendice 1. L’erede della Grande Madre (Roberto Negrini) Pag. 107 2. La Magia di Aleister Crowley e il pensiero esoterico tradizionale (S.O.T.V.L.) Pag. 110 3. L’alfabeto ebraico e le corrispondenze numeriche Pag. 126 4. L’albero sefirotico Pag. 130 “ATLANTIDE NON E’ MAI ESISTITA?” Un viaggio da Atlantide a Roma A cura di Gattopardo Tek (Carlo Dorofatti) Apriamo con questa serata il ciclo di conferenze sul pensiero esoterico occidentale. Con questa iniziativa mi piacerebbe non limitarmi ad una cronistoria: l’intenzione non è quella di proporvi un "excursus" prettamente storico-antropologico sulla magia, quanto piuttosto prendere spunto da quella che è la tradizione della magia, capire come, perché, quando potrebbe essere nata, quali possono essere i riferimenti più utili; comprendere anche quanto abbiamo da imparare dal passato ed arrivare a capire che, senza la storia, il presente può essere solo descritto, ma non può essere compreso. Ecco perchè può essere estremamente utile fare questo viaggio tra le civiltà. Quali? Le civiltà più vicine a noi: non andremo in Cina, non andremo dai Maya, ma staremo nel bacino del Mediterraneo. Si sta parlando di esoterismo, cioè dell’esplorazione di conoscenze che sono insite nell’essere umano, che fanno parte di una ricerca millenaria e che ha effettivamente delle radici nel lontano passato. Oggi nel voler trattare di antiche civiltà, la scienza ufficiale, ma anche tutti coloro che pretendono di parlarne con saggezza, con sapienza, effettivamente pretende di dare delle certezze. Noi non siamo qui per dare delle certezze, ma per porci le domande giuste. Quindi “Atlantide non è mai esistita” può essere vera come ipotesi, così come può essere vero che “Atlantide è esistita” o che “Atlantide esiste tutt’oggi”: dipende dalle prospettive attraverso le quali osserviamo il problema. La trattazione alla quale ci riferiamo parte da questo pianeta; potremo organizzare degli incontri appositi dove parleremo di civiltà aliene: si potrà anche fare questo visto che Atlantide, se noi ammettessimo che sia esistita, potrebbe essere stata a sua volta una colonia di qualche cosa di più vasto, di un impero umano che ha, su questo pianeta, collocato nel tempo alcuni semi. Sul nostro pianeta, da che mondo è mondo, la ritualità, quindi la magia intesa come fenomeno religioso (religione qui è intesa come “religere”, quindi porre in relazione l’alto con il basso: 2 ognuno è sacerdote ed ha in sé la potenzialità per essere canale per far incontrare il cielo con la terra, la materia con lo spirito), ha avuto dei denominatori comuni a molte culture. In questo senso la magia è un’espressione sacerdotale, fa parte della religione che poteva caratterizzare determinate civiltà. Oggi “religione” ha un’accezione del termine riduttiva: limita ad una casta privilegiata di sacerdoti, quindi non all’essere umano ma ad una casta ristretta, la funzione di “pontefice”; non è più l’individuo che può effettivamente sentire dentro di sé questo contatto, ma deve passare attraverso un canale istituzionale che è al di fuori di sé; sono nati “dogmi” che di fatto limitano, nell’espressione stessa, la ricerca. Per questo oggi non sarebbe esatto sovrapporre il termine di “magia” al termine di “religione”, proprio perché la magia è fondamentalmente una scienza, quindi è ricerca vera e propria con obbiettivi che non possono essere chiusi all’interno di dogmi o di preconcetti. Nella storia, però, la magia era parte della tradizione della “religione di stato” e poi, a latere, poteva esprimersi una magia popolare, basata su diverse credenze, che, a volte, potevano trasformarsi anche in vere e proprie superstizioni. Spesso la magia usciva dai riferimenti sacrali per fini non necessariamente legati al contatto con il divino, a volte egoistici (da qui anche lo svilimento del termine). In ogni caso noi incontriamo un minimo comune denominatore in tutte le civiltà del passato. Nella preistoria, ed anche in quelle civiltà che non sono da considerarsi preistoriche perché hanno avuto un’evoluzione e uno sviluppo che non è certo paragonabile all’uomo della pietra, il minimo comune denominatore era rappresentato da tre aspetti fondamentali: • una ritualità propiziatoria (rivolta soprattutto a propiziare la fertilità, la caccia e la guerra) per avvalersi dell’intervento divino o delle forze della natura, oppure di colui al quale era riconosciuto un potere (il Faraone, ecc.); si tendeva a propiziare il mantenimento e lo sviluppo del popolo; • una ritualità che scandiva la crescita dell’individuo. Quindi dalla nascita, alle prove di coraggio attraverso le quali l’adolescente diventava adulto, al matrimonio, alla morte, erano eventi scanditi da una ritualità dedicata alla celebrazione della crescita. L’individuo attraversava diverse tappe iniziatiche e si evolveva a tutti gli effetti; quest’evoluzione veniva presentata agli dèi o, anche in questo caso, propiziata dagli dèi stessi; • una ritualità divinatoria. La ritualità divinatoria si distingue da quella propiziatoria perché di fatto non va a creare eventi, in teoria (poi vedremo che nell'evoluzione di questa ritualità si fondono più aspetti), ma va più che altro a profetizzarli, a prevederli. In questo caso abbiamo due grossi filoni: le mantiche e la divinazione. Con il primo metodo si tratta di usare degli strumenti amplificatori delle conoscenze contenute nell’individuo. Quando si usavano i sette sassi, l’aruspicina, la lettura del volo degli uccelli o i tarocchi, non era lo strumento che rispondeva, bensì rendeva semplicemente palese una conoscenza che era già all’interno del medium, del sacerdote, del mago, di colui che era specializzato in questa sorta di lettura. Proprio perché non esiste un’interruzione nel filo di continuità che ci lega all’universo, ogni segno poteva essere effettivamente codificato, relazionato ad altri eventi e dare informazioni su questi ultimi nel tempo e nello spazio; tutti aspetti che l’individuo già conosceva perché egli stesso si sentiva un tutt’uno con l’universo. Esisteva una precisa rispondenza. Il secondo filone era rappresentato dalla divinazione, che coinvolgeva, nella lettura del passato e del futuro, l’appello a forze divine (oracolari). Nel momento in cui si arrivò ad intuire che ognuno possedeva una scintilla divina, quindi era un Dio potenzialmente, la mantica diventa divinazione perché, è vero che passa attraverso la persona e non attraverso una divinità che dice alla persona delle cose, ma è come se la persona si rivolgesse al Dio interiore, quindi la mantica è divinatoria perché comunque ti rivolgi ad un Dio, quello contenuto. La divinazione vera e propria era rappresentata dall’oracolo. Il contatto con gli Dei ha per scopo quello di conoscere, avere previsioni, avere consigli e, solo in un secondo tempo, scatta l’idea di non essere assoggettati alla risposta, ma utilizzare la risposta per, eventualmente, cambiare le sorti 3 che erano state predette. Questo è un importante salto di logica successivo. Vediamo come arrivare, attraverso un approccio laico, a considerare il significato di spiritualità, di ricerca spirituale, di esoterismo. Partiamo dall’essere umano e immaginiamo un popolo di individui che strutturano una società, con le sue convenzioni sociali, la sua morale, i sui usi, la sua tradizione, la sua arte e i valori derivanti dal comportamento condiviso che quel popolo assume. Questo comportamento condiviso già di per sé è un evento spirituale perché, dal punto di vista laico, spirituale è saper dare un significato alle cose. Cioè, saper riconoscere un significato a se stessi, agli altri, alla realtà che ci circonda, agli eventi, è un moto spirituale. Saper attribuire un senso alle cose, trovare un significato che possa andare oltre alle cose di per sé e intuire dei valori e dei meccanismi che vanno al di là dell’immediata materialità. Il saper dare significati alle cose implica il fatto di acquisire un’ottica di valori; si attua uno scatto importantissimo nel momento in cui l’essere umano si rende conto di non essere al centro dell’universo, ma di essere parte di qualcosa di più grande, di essere parte di un ecosistema, di una realtà più ampia alla quale partecipa, dalla quale è contenuto, ma della quale non è il centro. Ne è parte, è un aspetto all’interno di una realtà complessa, più ampia, più alta. L’essere umano tenderà quindi a comprendere i meccanismi di questa realtà e ad entrare in sintonia con ciò che lo circonda; capirà l’importanza di rispettare i meccanismi di questo ecosistema, dai quali dipende la sua stessa sopravvivenza. Nascono i concetti di ricerca, di scienza, di coscienza. Un alone di mistero avvolgerà ancora tutto ciò che non è conosciuto ai quali può essere attribuito un valore mitico, magico, man mano la conoscenza e la ricerca permetteranno di comprendere sempre meglio i vari meccanismi e le leggi delle natura. Tutto questo va creare quel meraviglioso metodo di scoperta per cui l’indagine fuori di sé corrisponde all’indagine dentro di sé, e viceversa. Si crea una continuità tra la realtà e l’individuo, il quale, attraverso l’osservazione, l’esercizio dei sensi, l’elaborazione delle informazioni, sa anche distillare dentro di sé dei principi, che diventeranno gli aspetti morali dell’ipotetico Popolo preso ad esempio. Supponiamo che all’interno di questo Popolo si distinguano degli individui particolarmente nobili, che nel corso della loro vita abbiano saputo interpretare ed applicare in maniera davvero meritevole i principi e i valori cui quel popolo fa riferimento. Alla morte di queste persone così illustri, diventa importante far sì che la memoria delle loro azioni, del loro comportamento, possa rappresentare un modello esemplare da tramandare alle generazioni successive, attraverso il quale educare i figli, di generazione in generazione. Si crea una sorta di culto degli antenati, semplicemente inteso come culto della loro memoria. A questo punto nasce un’altra ipotesi, una possibilità, un’idea: se l’universo risparmia, cioè è in grado di conservare la complessità, sarebbe un grande spreco se l’essenza di questi defunti dovesse terminare col loro corpo fisico, con la loro morte fisica. Nasce quindi l’ipotesi, l’idea più o meno condivisa, per cui alla morte fisica, non debba necessariamente corrispondere la dissoluzione dell’essenza dell’individuo in quanto tale, della sua esperienza, della sua intelligenza, della sua saggezza. Si comincia a dissociare il concetto per cui alla morte fisica debba terminare tutto questo. Nasce l’idea, quindi, che possa esistere un “luogo” al di là della forma, dove queste anime, queste esperienze, possano continuare a esistere, a vivere, a essere conservate, un luogo che non è nella forma, ma al di là di essa. Il culto funerario diventa la prima grande espressione di “magia dell’oltre”, anche se in questo caso è fondato su una tradizione basata sul simbolo, non c’è alcuna conferma che questo “oltre” esista. Piace però immaginare che l’essenza di queste persone possa continuare a vivere in qualche dimensione al di là della forma, e nasce una magia che va a indagare, partendo dal simbolo, la possibilità di trovare questo ipotetico luogo. Naturalmente la magia era già conosciuta prima, ma era magia naturale, propiziatoria; ad esempio, veniva drammaticamente inscenata la caccia per poterla propiziare, attraverso principi di rispondenza, oppure venivano sancite le tappe di crescita degli individui con rituali e così via. Cominciano ad evidenziarsi dei fenomeni molto particolari che vanno a coinvolgere una sensibilità diversa attraverso i quali, in un qualche modo, si intensifica quello che potrebbe essere il rapporto 4 con stati dell’essere diversi rispetto a quelli della forma: il viaggio astrale, la medianità, la guarigione, i primi fenomeni di taumaturgia, di sciamanesimo; finché, finalmente, dall’oltre, giunge risposta. Vuoi attraverso i defunti, vuoi attraverso entità o forze misteriose, in qualche modo si scopre che questo “oltre” effettivamente è un territorio esistente, abitato, dove incontriamo sì i nostri defunti, ma anche altro, altre creature, altre intelligenze, altre forme di vita. A questo punto, nasce la magia dell’oltre vera e propria, cioé il rituale come tecnologia e linguaggio per la comunicazione con l’oltre: la magia come scienza che non coinvolge più solo le leggi del nostro piano di esistenza, ma anche le leggi di altri luoghi; la magia come grande tecnologia che permette di arrivare a convenzioni di comunicazione, il rito come convenzione concordata, che permette di utilizzare un linguaggio comprensibile da diversi piani e livelli di consapevolezza e di esistenza. Il rituale come messaggio multimediale, con le proprie regole, i propri codici, per arrivare a definire un vero e proprio sistema di contatto codificato con l’oltre. A questo punto, quando si comprende che questo “oltre” è un territorio, si scopre da una parte la voglia di “conquistarlo”, dall’altra che è un territorio insidioso, come tutti i territori nuovi che vengono esplorati. I primi approcci con l’oltre possono presentare grandi pericoli, grandissimi rischi: aprire queste porte significava lasciare libero accesso a creature aliene di invadere il nostro piano di esistenza oppure poteva creare danni all’ecosistema materiale e spirituale che per natura si era creato, con i suoi equilibri “ecologici”. A questo punto si stabiliscono dei contatti e si riesce ad instaurare un rapporto di scambio, di comunicazione, in grado di immaginare la possibile condivisione di interessi tra questo Popolo e le forze dell’oltre di diverso livello, di diverso ordine, con diverse caratteristiche. Si stabiliscono quindi dei patti di alleanza che consentono a quel Popolo di indagare l’oltre in un territorio protetto, salvaguardato dal fatto che queste forze lo presiedono, e di sviluppare il contatto con i propri defunti, fino ad arrivare alla programmazione delle reincarnazioni o all’utilizzo di aspetti tecnologici che hanno a che fare con leggi proprie dell’oltre; questo in virtù dell’alleanza con delle forze nei confronti delle quali innescare una sorta di simbiosi. Pertanto, da una parte con i meccanismi di offerta si consente a queste forze di entrare in relazione con noi, per “cibarsi” di noi in forma controllata, o semplicemente ottenere da noi quelle esperienze/energie per noi “scorie” ma da loro ritenute utili, e dall’altra parte, noi avremo un forte alleato che ci permette di indagare l’oltre e di aver dei rapporti con questa particolare dimensione. Avere una giurisdizione controllata nell’oltre consentirà, per esempio, di costruire cittadelle per i defunti, indurre pseudo-armistizi, oppure creare delle vere e proprie alleanze che garantiscano a un popolo anche la continuità dei valori. Nasce così l’idea di utilizzare l’alleanza con queste forze per poterle nutrire dei valori del sacro, fino a quel momento contenuti nel popolo stesso, nei suoi principi morali, nei suoi valori, nel suo comportamento condiviso, nell’atteggiamento nei confronti dell’ambiente. Valori che semmai venivano idealizzati utilizzando le forme animali come termini di riferimento. Questi valori, che sono sacri perché rappresentano i valori per i quali quel popolo sopravvive ed interagisce con la natura, vengono indirizzati verso queste forze, come loro nutrimento, ma, soprattutto, per avere un “conto in banca”, un deposito, al di là dello spazio-tempo, garantito in modo tale che il Popolo stesso, possa vedersi perpetuare attraverso questi valori depositati e resi eterni in una dimensione atemporale. Ecco che si trasferiscono questi elementi di esperienza e di energia-pensiero dalle menti di razza umane ed animali verso forze trascendenti. Quindi, si associa il concetto di forza multidimensionale dell’oltre, con la quale si interagisce in un’alleanza, con i valori del sacro: da quel momento nasce la “divinità”. L’uomo in quel momento crea la divinità, una forza multidimensionale, che è sempre esistita, ma da quel momento interagisce con noi, creando una sorta di identificazione ed intervenendo nella guida degli eventi e del divenire storico, fino ad essere eletta a creatrice dell’uomo stesso. Quando una o più forze multidimensionali entrano in contatto con un Popolo, e nasce la tecnologia teurgica per garantire il controllo di questa simbiosi, di questa alleanza nei due sensi, si scoprono tante cose: si scopre la tecnologia dei tre serbatoi, la tecnologia dei sette templi, si scopre che è 5 meglio differenziare piuttosto che riferire un’alleanza ad un’unica grande forza, secondo il naturale evolversi di un ecosistema complesso. L’uomo crea le e la nutre di “valori”. Ma da dove partono questi valori? Dall’uomo stesso evidentemente, che vuole riferirli al divino nella loro manifestazione più alta ed ideale affinchè siano perpetuati nel tempo e che le generazioni future, attraverso il rito e la preghiera, possano riceverli a loro volta ed a loro volta tramandarli arricchiti. La divinità li contiene non per sua natura implicita, ma in virtù di quanto a lei indirizzato dal Popolo stesso. L’essere umano assume una posizine centrale nel rapporto con gli dèi di cui è “cibo” e di cui si “ciba”. Naturalmente, partendo tutto dall’uomo, esso sarà il perno dell’alleanza e, di conseguenza, dovrà controllare e nutrire adeguatamente e con le adatte forme-pensiero (valori etici) le forze divine affinchè queste possano reciprocamente aiutare l’uomo stesso ad evolversi verso una coscienza più ampia. Nel momento in cui dall’essere umano parte un input di egoismo, violenza, prevaricazione, paura, inganno, la forza divina nutrita assumerà quei valori ed eserciterà il suo potere conformemente con essi, tanto da uscire dal controllo e perdere il riferimento evolutivo umano attribuito a quella data specie, per nutrirsene ad esclusivo suo vantaggio. La cosa interessante di questo discorso è che siamo arrivati alla divinità da un elemento di estrema consapevolezza, non è un atto di fede quello dal quale siamo partiti: siamo partiti dall’individuo con i suoi contenuti, e abbiamo semplicemente detto che la spiritualità vuole dire dare un significato alle cose. Poi abbiamo visto che l’indagine della natura si è sviluppata in maniera tale da indurre ad un’indagine di un ipotetico oltre; da questo oltre arrivano dei segnali, che peraltro corrispondono allo sviluppo di una sensibilità più allargata, si incontrano nuove forze in un ecosistema materiale e spirituale integrato, si stabiliscono dei codici di comunicazione, si stabiliscono delle alleanze proficue per tutte le parti, in virtù del principio-fine umano nel momento in cui questo viene risvegliato. Se il frammento di specchio nella divinità è più “grosso”, tanto meglio potrà essere un riflettore eccezionale, per poter nutrire di quella luce, anche il nostro specchio interiore. Anche per questo motivo, quindi, si associano alla divinità i valori del sacro, perché rappresentano un riferimento importante, a conforto del primo grande riferimento, quello contenuto dentro di noi. Si condivide, quindi, un principio-fine, si è in grado di riconoscere qual è la finalità divina nell’universo. L’ordine esoterico e la filosofia di vita che fanno capo a questo tipo di coscienza spirituale, ne sono una conseguenza. Mentre la religione si impone come necessaria premessa di fede in un Dio o in una verità dogmatica rivelata, una scuola esoterica è una naturale conseguenza dell’incontro di persone che condividono un certo tipo di sentire e certe scoperte e conoscenze. In questo caso si crea un corpo di persone che hanno sentito di condividere una consapevolezza intima, verso la quale esprimere la propria tensione di ricerca: nasce quindi un ordine esoterico che diventa fratellanza di Popolo. Dall’altra parte, si impone una fede. Ecco come, secondo questa logica, si può parlare di spiritualità laica, una spiritualità, cioè, che non ha bisogno della religione e non va confusa con essa. Oggi anche semplicemente considerare la questione di Atlantide è un grosso problema per gli scienziati perché non si tratta più solo di una vicenda che coinvolge la geologia, la geografia, l’antropologia e le scienze fisiche, ma è un qualcosa che va a minare delle categorie mentali alle quali ormai lo scienziato moderno fa riferimento. Diventa un problema ideologico, metafisico. Se si ammettesse l’esistenza di Atlantide si rimetterebbe in discussione così tanto la storia e, potremmo dire, i "dogmi" a cui si riferiscono gli archeologi, gli scienziati, gli antropologi, ecc., per cui pare che il gioco non valga la candela. Oggi, grazie agli ultimi rilevamenti oceanografici ed a tutta una serie di elementi (dalle migrazioni degli uccelli, alle antiche rovine sulle coste del Brasile, così come dell’Africa, dalle rovine in fondo all’oceano alle somiglianze tra grandi monumenti Maya e le piramidi dell’antico Egitto ecc.), gli indizi sono diventati troppi ed oltrepassano la soglia del ragionevole dubbio. Varrebbe la pena 6 approfondire, ma la presa di posizione del mondo accademico è netta: il “problema Atlantide” non va discusso, anche se le prove a suo favore vanno ampiamente al di là della sua negazione a priori. Qual è il rischio? Il rischio è quello di far barcollare i dogmi della scienza, almeno per tre motivi: 1) Darwin, con la sua teoria dell’evoluzione delle specie, si troverebbe in difficoltà perché con Atlantide ci troveremmo di fronte ad un centro spirituale e tecnologico molto evoluto, se stessimo al racconto di Platone. Noi sappiamo di Atlantide attraverso il Timeo ed il Crizia, due dialoghi di Platone nei quali descrive Atlantide in ogni minimo particolare: parla del sistema giuridico, politico, spirituale, parla della ritualità, parla di tutti i miti ad essa relativi, per poi arrivare ad una conclusione davvero affascinante. Dare credito a Platone significherebbe ammettere che è esistita una civiltà estremamente progredita, che non ha niente a che fare con l’uomo preistorico e che andrebbe a contraddire quello che ormai oggi è un dogma della scienza e cioè la teoria dell’evoluzione darwiniana dalla scimmia all’uomo moderno. Questi "atlantidei" che sono vissuti alla fine dell’era glaciale, almeno fino al 12.000 a.C., da dove sbucano con tutta questa tecnologia, con tutta questa consapevolezza spirituale, con questo sistema sociale che neanche la Grecia poteva sognarsi? 2) La storia è una progressione di eventi, dalle barbarie alla civiltà: è una retta. Prima c’erano dei bruti, adesso c’è l’uomo moderno, “evoluto”, “civilizzato”. Anche in questo caso oggi, soprattutto grazie allo studio della fisica, viene messa in discussione questa ipotetica retta. Di fatto la teoria sembra sempre più proporci un ciclo di nascita, caduta e rinascita; un ciclo di eventi che tendono a riproporsi, come se il tempo non fosse una retta ma una spirale, per cui ad ogni giro di spira si ripropongono determinati aspetti della storia, magari su un piano di esistenza diverso. Ci sono corsi e ricorsi evidenti. La fisica lo sta dimostrando perché una delle teorie più accreditate dell’universo è proprio quello della nascita con il “big bang”, la sua espansione e poi di nuovo una contrazione, per cui l’universo dovrà nuovamente riassorbirsi in un punto infinitesimo per poi esplodere ancora. Siccome questo comportamento lo ritroviamo nella fisica quantistica, i fisici dicono che se è così per tutto quanto, perchè non potrebbe essere così anche per la storia? E gli storiografi sono sempre più in “allarme”, perché un accademico medio, il quale ormai ha la sua brava poltrona in un’università ed insegna certe cose da quarant’anni, non ha nessuna voglia di mettersi in discussione; 3) Se noi ammettessimo che è esistito, in pieno oceano atlantico o altrove, un centro spirituale le cui sorti sono dipese da aspetti spirituali, nascerebbe un altro problema: si rischia di confondere il mito con la realtà. Platone conclude il suo dialogo, anzi purtroppo lo lascia proprio interrotto, dicendo che Zeus, avendo visto che gli “atlantidei” erano divenuti anch’essi una razza colonizzatrice, avida di potere, di denaro, materialista, vittima di una decadenza, (ma attenzione, non sul piano tecnologico, nè su quello delle risorse o sul piano della politica, della sociologia, dell’economia; ma era divenuto “spiritualmente” arido), convoca a consiglio gli dèi e provvede per il diluvio, la fine del mondo, che poi può essere stato causato da quel famoso meteorite che si dice abbia colpito Atlantide 12.000 o 15.000 anni fa circa. La storia non prevede che una civiltà vada in crisi per problemi spirituali. Quindi se c’era un perfetto equilibrio fra risorse ed economia, una socialità che faceva invidia ai modelli politici più evoluti, gli scambi commerciali erano perfetti, Atlantide aveva colonie su tutto il globo, è possibile che scompaia perché erano diventati troppo materialisti ed hanno pensato meno al divino e più alla materia? Non è plausibile per la storia: l’aspetto spirituale alla storia non interessa più di tanto. Oggi ammettere Atlantide non è più un problema solo delle scienze fisiche, ma è un problema metafisico, come se il mondo scientifico lo rifiutasse per questioni morali, non tanto per l’evidenza dei fatti. Si parla dunque di un centro spirituale sul nostro pianeta che raggiunse, in un determinato periodo, l’apice spirituale: evolutissimo dal punto di vasta tecnologico, dell’arte, del gusto e, 7 naturalmente, anche sul piano magico. Da Atlantide si sarebbero diramate, anche per questioni puramente commerciali, tutta una serie di tendenze culturali, conoscenze, tradizioni che hanno toccato quelle che potevano essere le sue colonie. L’Egitto era una colonia di Atlantide, anzi si dice che fosse stato il granaio di Atlantide quando aveva un’agricoltura molto fiorente; così come dall’altra parte i Maya, gli Aztechi e gli Incas e tutto quell’ambiente magari era un'altra colonia; nel nord avevamo scambi con la Francia, l’Inghilterra, i Celti. In questi popoli troviamo delle corrispondenze che, in maniera strabiliante, uniscono civiltà che non potevano conoscersi e, secondo la storia ufficiale, non potevano avere contatti fra loro, almeno prima di un certo periodo. Quindi che Atlantide, se fosse esistita, sarebbe stata l’origine dell’evoluzione scientifica, spirituale, tecnologica, sociale di una parte di storia su questo pianeta sarebbe possibile. La colonia più importante, pare, fosse stata l’Egitto. Noi incontriamo gli Egizi all’apice e assistiamo alla loro decadenza. Possiamo assistere solo alla loro scomparsa. Come mai? Gli Egizi esprimono da sempre una cultura e una raffinatezza uniche sul piano dell’elaborazione della ritualità e fanno riferimento a testi che, purtroppo, pare siano andati distrutti nei vari incendi, nelle varie distruzioni, che riportano a miti ampiamente antecedenti, risalenti a epoche che, per loro, erano già la preistoria. E’ incredibile come da popoli che per gli Egizi rappresentavano la preistoria, gli Egizi stessi traessero degli insegnamenti in tutte le scienze, dall’astronomia, alla “farmacia”, alla medicina, ecc. L’Egitto è stata la culla della magia nel Mediterraneo. Ad esso fanno riferimento i Greci e gli Ebrei che la chiamano “Terra dei segreti”. Anche gli alchimisti del medioevo fanno riferimento all’alchimia dell’antico Egitto, così come Cagliostro e il Conte di Saint Germain. Teniamo presente che l’Egitto era un centro di grandissimi traffici, quindi, sicuramente l’alchimia è arrivata a noi tramite gli Arabi, però l’origine possiamo collocarla serenamente in Egitto. La caratteristica principale da ricordare di questa civiltà è che per loro la magia era la scienza dell’aldilà. Per loro l’atto magico rientrava in precise leggi di causa-effetto: la formula, il gesto, il rito producevano degli effetti precisi sul mondo fisico, sul mondo psichico, sul mondo divino. Per loro la magia non era qualcosa di puramente coreografico, cerimoniale o simbolico; il simbolo di per sé nasce più tardi, forse in Grecia, dove la magia cerimoniale e dove tutto l’aspetto coreografico vanno ad arricchire la funzionalità dell’atto magico. Gli Egizi erano “essenziali”: se serviva far una certa cosa la facevano attenendosi alla funzionalità di quella cosa, non avevano bisogno di arricchire con estetismi, ogni cosa aveva il suo significato, le sue misure precise, niente a che vedere con un aspetto puramente simbolico. Guardate anche i geroglifici: essi sono estremamente artistici, ma sono, prima di tutto, degli archetipi, e sono artistici in quanto devono “toccare” tutti i sensi, emozioni comprese. Tant’è vero che a volte troviamo delle incisioni su pietra, su diorite, su granito, alla base della tomba: nessuno doveva vederle (eccetto il defunto e le forze sottili dell’oltretomba), eppure vennero fatte con una cura incredibile. Non erano artistici per il solo gusto del bello, perché nella loro testa quel geroglifico non doveva vederlo nessuno, serviva al defunto. Facevano proprio sul serio, ci credevano fino in fondo: fondarono una scienza dell’aldilà. Investivano tutta la loro vita per conquistare l’aldilà, il regno della morte, in virtù di una consapevolezza profonda, naturale. Investivano tutta la loro vita per questo, eppure non erano un popolo tetro, si divertivano. Le scelte sociali, politiche, economiche, la vita quotidiana, un gesto qualsiasi, scrivere in verde piuttosto che in blu, doveva rispondere a esigenze magiche, per potersi propiziare l’aldilà. Ogni cosa doveva arricchire l’esperienza terrena e nell’aldilà si veniva “pesati”. Esisteva una vera e propria scuola, nella città dei morti dove vi prosperava un’industria enorme: imbalsamatori, artigiani, artisti, esperti della tradizione funeraria avevano creato una grande azienda. La morte era la vera nascita e viceversa. Vivevano la vita come una gestazione e la nascita era nella morte; tant’è vero che il “libro dei morti” s'intitola esattamente il “libro dell’uscire al giorno”; quella era la vera nascita, per cui si 8 doveva essere pronti. Nel “libro dei morti” troviamo un passo fondamentale: la pesatura dell’anima. Colui che era morto doveva conoscere tutte le formule di potenza e i nomi degli dèi per poter attraversare i 21 piloni, le 15 porte, la 7 stanze e superare prove difficili durante i primi 70 giorni dalla morte. I corpi sottili della persona si staccavano ed accompagnavano l’anima nell’aldilà; il defunto doveva superare una serie di prove, di limiti, doveva aver acquisito la conoscenza. Era necessario raffinare i propri corpi e via via avere la possibilità di affrontare i giudici divini. In base al responso dei giudici divini poteva essere presentato al cospetto di Osiride, diventava esso stesso Osiride, identificandosi con il “Signore della morte”. Come avveniva la pesatura dell’anima? La dea di “verità e giustizia” accompagnava il defunto nel tribunale di Osiride e lì veniva pesata la sua anima. In un piatto della bilancia si appoggiava la piuma di struzzo della dea Maat, dall’altra parte veniva messo il cuore del defunto simbolizzato da un vaso, poichè il vaso contiene l’essenza spirituale (forse era già un’immagine del Graal?). C’era Anubi, che era il guardiano della Valle dei Morti, c’era Horus, rappresentante terreno dell’essere umano, Thot, dio della magia, della conoscenza, della scrittura (il quale scriveva il libro dei morti di quel certo defunto) e, alla presenza di questi tre eminenti personaggi, veniva valutata l’anima del defunto. Se l’anima pesava più della piuma, significava che era appesantita da desideri materiali, da emotività che lo legavano alla materia, quindi doveva passare in appello davanti a tutti i giudici divini e pronunciare la confessione negativa. Di questo potremo parlare a lungo durante la prossima visita al Museo Egizio. Vediamo alcuni aspetti della struttura sottile della persona secondo gli antichi Egizi. Il BA era l’anima individuale rappresentata con il corpo di falco (o di sparviero) e la testa d’uomo, era la sintesi della memoria, dell’esperienza e costituiva effettivamente la parte spirituale che noi oggi chiameremmo “personalità”. Il BA si staccava, una volta morto l’individuo, dal corpo fisico e andava nell’aldilà (che noi oggi chiameremmo “soglia”) e dimorava presso la divinità di riferimento. “Alla morte terrestre era separata dal corpo ed emigrava nell’aldilà dove viveva nella sfera particolare del dio al quale era stata votata” (dal testo: “Storia dell’Occultismo”, Louis de Gerin-Ricard, Della Valle Editore). Il KHA era il corpo astrale, quindi la connessione fluidica tra il corpo fisico e la parte spirituale. Nel KHA possiamo intendere il concetto di aura, il simulacro energetico che veniva riutilizzato dal defunto nel momento in cui veniva evocato dai sacerdoti. Esistevano, infatti, determinati momenti in cui si aprivano le porte con l’aldilà e venivano evocati i defunti, i quali ritornavano presso le loro tombe attratti dai loro oggetti materiali e l’essenza spirituale abitava nuovamente il KHA. Essendo il KHA l’aura dell’individuo, questa particolare “frequenza” era estremamente salvaguardata (esistevano proprio le cerimonie funerarie per difendere il KHA). Per esempio se qualcuno si ammalava si pensava che avesse il KHA ammalato, c’era un disequilibrio nel KHA. Oppure, in caso di esorcismo, succedeva che il KHA del demone si era sostituito a quello dell’indemoniato Diventava una “larva” se non si distaccava bene dal mondo materiale e continuava a dimorare nel mondo delle forme perché appesantito da emotività o eccessivo attaccamento. Una larva, è una sorta di fantasma, un residuo vitale sottile che si nutre aggrappandosi all’aura vitale di animali, vegetali o esseri umani (quindi il vampirismo del KHA era temutissimo). Quando si faceva una fattura la si faceva al KHA della persona. Il KHA era identificato dal nome stesso della persona. Il SA è l’energia vitale, il prana; il SA veniva trasmesso per provocare guarigioni. Esistevano dei guaritori, canali al SA, e nutrivano il KHA dell’assistito attraverso il SA divino. Per esempio, anche le investiture iniziatiche, non ultima quella del faraone, passavano attraverso il SA, l’imposizione delle mani; nel caso di guarigioni o iniziazioni era il sacerdote che faceva l’imposizione delle mani, nel caso del faraone era il dio (ecco perché spesso troviamo il faraone con a fianco le divinità con le mani in proiezione). Ritorniamo al nome. Gli Egizi, come altre culture contemporanee e successive, davano un’estrema importanza alla parola: aveva un potere creante, cioè non poteva esistere un oggetto se non aveva il nome (l’oggetto prendeva vita sul piano fisico solo nel momento in cui era espresso attraverso la 9 voce ed identificato con un nome). Conoscere il nome di una persona significava avere quella persona in pugno, ed ecco che il nome era come il “codice fiscale” del KHA. Tant’è vero che gli Egizi usavano sempre un soprannome per il timore che qualcuno potesse usare il nome anche per fatture o malefici. Chi conosceva i nomi divini aveva il controllo sulle divinità; quindi, tutti i sacerdoti avevano un contatto con il divino, c’erano poi gli specializzati che avevano gli accessi alla consolle della divinità, conoscevano i veri nomi delle divinità, ognuna delle quali aveva quindi dei nomi palesi e dei nomi occulti. Domanda: Cosa erano gli "shuebte"? Gli "shuebte" erano statuette in alabastro (anche in legno) che venivano posizionate all’interno della tomba del defunto e ne contenevano il KHA. La statuetta rituale veniva usata per rievocare il defunto, che conteneva il KHA come supporto per il BA che arrivava. Le statue, comunque, erano considerate “abitate”. La statua veniva caricata attraverso il SA dal sacerdote e prendeva vita, cioè veniva dotata di una coscienza ed era abitata addirittura dal dio nel momento in cui lo si evocava (così come il defunto abitava la statuetta nel momento in cui veniva evocato). Le statue avevano una loro funzione: c’erano statue specializzate come Sekmet, per esempio, statua guaritrice; molte statue avevano funzione divinatoria e i sacerdoti addetti si rivolgevano a queste per avere responsi. Il faraone era Dio, non ne era solo un rappresentante, ed era in diretto contatto con Ra, la divinità assoluta. Non solo chiedeva aiuto agli dèi in battaglia (gli dèi combattevano al suo fianco sul carro reale), ma si consigliava, riceveva consiglio; in un rito solitario, con gli dèi, nel tempio, viveva questo momento di contatto con i suoi pari. Gli edifici pubblici, le case, naturalmente i templi e le piramidi, dovevano avere una loro cerimonia di edificazione, purificazione e orientamento. Oggi vanno di moda tutte le teorie su Orione, per cui la disposizione delle tre piramidi doveva corrispondere alla posizione della cintura di Orione, però non 4000 anni fa, ma in un periodo molto anteriore… bisognerebbe fare una serata apposta per elencare queste nuove ipotesi. La magia "non sacerdotale" era relativa alle fatture e ad un ampio uso di amuleti. L’oro era preferito come materiale, forse potevano già avere conoscenza di determinati principi di selfica, ma non è storicamente dimostrabile. Senz’altro gli amuleti e i talismani erano considerati "abitati", perché erano preparati attraverso l’imposizione delle mani: un’energia vitale caricava l’oggetto, così come venivano caricate le misture d’erbe e i decotti. La medicina era l’alchimia spagirica delle erbe; non solo si teneva conto dell’astronomia, dell’ora nella quale fare quella determinata raccolta, lavorare quella pianta, essiccare, ecc… ma ogni fase prevedeva sempre la “pranizzazione”. L’alchimia è stata senz’altro uno dei cavalli di battaglia della “terra rossa d’Egitto” (Al Kemi), come la conoscenza della chimica. Avevano una conoscenza molto ampia nell’uso dei colori ed erano in grado di riprodurre tutte le gemme. Nel museo di Leida e nel museo di Stoccolma ci sono due papiri interessantissimi che riportano un percorso alchemico dal piombo, allo stagno, all’argento, all’oro (con tutti i percorsi possibili ed immaginabili) e questo è un documento fondamentale perché riporta all’Egitto, senza alcun dubbio, l’idea dell’alchimia. Vi voglio leggere una cosa veramente interessante. Ermete Trismegisto, figura mitica che ha ispirato tutto il pensiero greco, scrive: “Oh Egitto, Egitto del tuo pensiero e dei grandi misteri non resteranno per le generazioni future che segni scolpiti nella pietra e divenuti indecifrabili per il comune mortale, ma essi saranno sufficienti a renderti immortale nei secoli dei secoli”. La profezia è azzeccata visto che a tutt’oggi ci manca la chiave d’accesso ai misteri dell’antico Egitto. Si tenta di interpretare il “libro dei morti” nella maniera corretta, ma problemi di traduzione, di comprensione e d’interpretazione del testo fanno sì che il segreto sia ancora oggi perfettamente custodito. 10
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