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una riflessione su Hannah Arendt PDF

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Etica & Politica / Ethics & Politics, X, 2008, 1, pp. 75-96 L’iniziatore di nuovi inizi: una riflessione su Hannah Arendt Antonella Argenio Dipartimento di Scienze Giuridiche Seconda Università di Napoli [email protected] ABSTRACT This work aims to point the pivot of Arendt’s ouvrage: the liberty to. Her thought is hopeful in spite of the nazi drift and the process of depoliticization in liberal-democracies because she trusts the thaumaturgic capabilities of plural action among peers. Origins and The Human Condition analyse the elements that characterize the Modern Age: on the one hand, a regime without precedent that tries to change the human nature, on the other the animal laborans’ triumph and the rule of nobody. They share the mass-society and the psycho-anthropological transfiguration of monad-man: the roots of the enthralment. To focus the totalitarianism Arendt uses the categories of undesirability, superfluity and sacrificability, starting from the critic of human rights till the lager as laboratory where every think is possible. To explain the eclipse of political dimension she suggests the distinctions zoe/bios, oikos/agora, zoon politikon/homo oeconomicus, but the polis is a deconstructive point of view, not a model. Qui cherche dans la liberté autre chose qu’elle-m(cid:31)me est fait pour servir Alexis de Tocqueville1 «Gli uomini, anche se devono morire, sono nati non per morire ma per incominciare»,2 scrive Arendt qualche anno dopo la deriva totalitaria: tale affermazione è l’emblema di un pensiero radioso pieno di speranza, malgrado tutto. 1 A. de Tocqueville, L’Ancien Régime et la Révolution (1856), Œuvres Complètes, Tome II, Gallimard Paris 1952, p. 217. Arendt riporta in lingua il passo tocquevilliano in On Revolution (1963), Penguin Books, New York 1977, p. 137. 2 H. Arendt,, Vita activa (1958), Bompiani, Milano 1988, p. 182. ANTONELLA ARGENIO Malgrado la devastazione tanatopolitica nazista che trascina con sé, come una tempesta dissolutrice, l’esperienza storica dell’Europa novecentesca e i destini individuali, precipitandoli in un unico abisso dove sembrerebbe non poter filtrare più alcuna luce. Notte buia, dal silenzio assordante interrotto solo da un grido di dolore senza eco oltre la cortina dei campi. La superfluità risucchia milioni di apolidi nel vortice di un migrare privo di accoglienze. Indesiderabili consegnati al nowhere. Niente altro che esseri umani: troppo poco per bloccare il meccanismo inclusivo per esclusione del diritto. La stessa vicenda biografica arendtiana3 è fatta di legami affettivi spezzati, di percorsi intellettuali interrotti, di consapevolezze acquisite attraverso strappi e lacerazioni che consentono la piena accettazione di un’ebraicità che è physei e non nomo4 all’altissimo prezzo del sentirsi traditi dall’allineamento degli amici e del milieu dei filosofi.5 Un’esistenza segnata dallo sradicamento, si potrebbe anche dire, dal trauma dell’apatride, la cui condivisione con un’intera generazione non serve a rendere meno intenso, prima internata a Gurs,6 poi ridotta a «rosicchiare un pezzetto di vita»7 oltreoceano, come l’autrice stessa confessa a Gertrud Jaspers in una lettera carica di amarezza ma non di rassegnata impotenza. Quel nodo micidiale di vita e politica, stretto sotto il segno del rifiuto istituzionalizzato dell’alterità, costringe Arendt a subire la violenza della discriminazione e della perdita dell’identità politica, esponendola a una condizione che riflette, come uno specchio convesso, la cifra del negativo, della sottrazione, della mancanza toccata in sorte a quanti, ieri non meno di oggi, tornano ad essere meri uomini. 3 Cfr. E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975. Per amore del mondo (1982), Bollati Boringhieri, Torino 1990; S. Courtine-Denamy, Hannah Arendt, Belfond, Paris 1994. 4 Cfr. H. Arendt, Eichmann a Gerusalemme. Uno scambio di lettere tra Gershom Scholem e Hannah Arendt (1964), in Ebraismo e modernità, a cura di G. Bettini, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 221-228; Ead., [1976], Che cosa resta? Resta la lingua materna. Conversazione di Hannah Arendt con Günther Gauss, «aut aut», 239-240, 1990, pp. 14-16. 5 H. Arendt, Che cosa resta? Resta la lingua materna. Conversazione di Hannah Arendt con Günther Gauss, cit., p. 20. 6 Cfr. H. Arendt, Noi profughi, in Ebraismo e modernità, cit., pp. 35-49. 7 H. Arendt, Hannah Arendt - Karl Jaspers. Carteggio 1926-1969 (1985), a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli, Milano 1989, p. 55. 76 L’iniziatore di nuovi inizi: una riflessione su Hannah Arendt Poche pagine serrate e caustiche de Le origini del totalitarismo8 restituiscono memoria delle masse des hôtes venus du pays de personne attraverso una critica tagliente dei diritti umani. Solennemente proclamati a partire dalle Dichiarazioni settecentesche, essi si dimostrano né inalienabili né inviolabili né imprescrittibili per i flussi di individui non più cittadini che, tra le due guerre mondiali, ondeggiano spostandosi alla ricerca di un posto sicuro dove sopravvivere. Le minoranze nazionali e gli apolidi, il cui unico delitto è di «essere nati nella razza o nella classe sbagliata» incarnano il «caso mostruoso» di coloro che, rifiutati dai paesi d’origine, affluiscono entro i confini di stati che non possono espellerli ma nel contempo neanche applicare i tradizionali istituti del diritto d’asilo. Gli esuli del ventesimo secolo scivolano nell’illegalità, rappresentando un’anomalia che li spinge ai margini esterni dell’ordinamento giuridico. Il cono d’ombra che li avvolge è il risultato di una serie di negazioni a catena — perdita della patria, della protezione del governo, dello status giuridico e infine di un’identità ufficialmente certificata — al cui estremo si ritrova l’uomo nella sua immediatezza naturale. Per chi non ha un documento che attesti la propria esistenza, l’unica paradossale possibilità di normalizzarsi, di ricevere riconoscimento e tutela giuridica, è la violazione della legge stessa. Colpevole della propria innocenza è obbligato a divenire reo, poiché commettere un crimine significa venire di nuovo considerato in base a ciò che ha fatto e non in virtù di ciò che è: semplice corpo vivente senza personalità, dunque figura non contemplata dalle disposizioni normative, in-esistente per il diritto. Ma «se un piccolo furto con scasso migliora la sua posizione legale si può star certi che egli sia stato privato dei diritti umani».9 Egli è ormai solo un generico esponente della specie umana e il «mondo non ha trovato nulla di sacro nell’astratta nudità di essere null’altro che un uomo».10 Dovrebbe disporre di quei diritti che si radicano nella sua stessa natura, che gli appartengono in quanto human being, precedendo e prescindendo dall’appartenenza a qualsivoglia comunità statuale, diritti che gli spettano come istanza suprema anteriore e indipendente dalle 8 H. Arendt, Le origini del totalitarismo (1951), Edizioni di Comunità, Milano 1997. 9 Ivi p. 397. 10 Ivi, p. 415. 77 ANTONELLA ARGENIO organizzazioni giuridico-politiche che si avvicendano lungo il corso della storia. Laddove il titolo per beneficiarne sarebbe la comune umanità, la condivisione di un’uguaglianza tanto assoluta da potersi intendere anche nel suo rovescio di distinzioni legate al dato immutabile della nascita, di cui non ci si può sbarazzare pur volendo, le displaced persons costituiscono la drammatica conferma che la «concezione dei diritti umani è naufragata nel momento in cui sono comparsi individui che avevano perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualità umana».11 La tragedia di una vicenda anonima, come astrattamente indifferenziata è il man-kind, mostra l’intima contraddizione dei diritti umani, lo scarto tra homme e citoyen che fa invocare alla Arendt l’imprescindibilità del diritto ad avere diritti visto che «non la perdita di specifici diritti, ma la perdita di qualsiasi diritto è stata la sventura che si è abbattuta. […] Soltanto la perdita di una comunità politica esclude l’individuo dall’umanità».12 Una rivendicazione tanto cruciale quanto più appare evidente fino a che punto de facto si è spinta la declinazione della categoria degli indesiderabili. La schiuma della terra, formata da tutti coloro che non hanno diritti perché non hanno una cittadinanza che li protegga, rappresentano un mondo sommerso di umiliati da cui sporge l’elemento inquietante del «superfluo» che Arendt assume come angolo prospettico per decodificare il senza precedenti del totalitarismo. Se, infatti, apatrides e Heimatlose sono il fardello di cui non ci si può disfare e che «nessuno desidera più neanche opprimere», la superfluità, in 11 Ibidem. 12 Ivi, p. 412. Cfr. in prospettive anche molto diverse É. Balibar,Le frontiere della democrazia (1992), manifestolibri, Roma 1993; L. Bazzicalupo, Il paradosso dei diritti umani: le prospettive di Arendt e Weil in A. Tarantino (a cura di), Filosofia e politica dei diritti umani nel terzo millennio, Giuffrè, Milano 1993, pp. 253-265. S. Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri, residenti e cittadini (2004), Cortina, Milano 2006; N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1990; R. Bodei, Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2002; P. Costa, Cittadinanza in U. Pomarici (a cura di), Filosofia del diritto. Concetti fondamentali, Giappichelli, Torino 2007, pp. 41-55; A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999; B. De Giovanni, L’ambigua potenza dell’Europa, Guida, Napoli 2002; R. Esposito, Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Einaudi, Torino 2007; L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, Laterza, Roma-Bari 2001; M. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna 2002; G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992; D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari 1994. 78 L’iniziatore di nuovi inizi: una riflessione su Hannah Arendt un crescendo a cerchi concentrici, si radicalizza in maniera inaudita, quando «non si trova nessuno che “reclami” individui senza status giuridico. […] E i nazisti […] li hanno offerti al mondo prima di azionare le camere a gas, constatando con soddisfazione che nessuno li voleva».13 Ciò significa che l’idea stessa di superfluo, raddoppiata da quella di indesiderabile perché nocivo, è risucchiata nel gorgo della sacrificabilità, a sua volta involucro concettuale vuoto ed elastico da riempire e dilatare a piacimento secondo la volontà di un capo divenuta legge a se medesima e un diritto espressione pura di quanto giova al ricompattato macro antropos in cui si fondono le innumerevoli singole parti e da cui vanno estirpate alla radice quelle epidemicamente letali. Tale criterio conduce Arendt non solo a sottolineare la novità del regime totalitario14 — identificato con la Germania hitleriana e l’Unione sovietica staliniana — rispetto alle tradizionali classificazioni delle forme di governo e 13 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 409. 14 Ivi, p. 656: «Una forma interamente nuova di governo che, in quanto potenzialità e costante pericolo, ci resterà probabilmente alle costole per l’avvenire, […] a prescindere dalle temporanee sconfitte». Cfr. M. Abensour, Contro un fraintendimento del totalitarismo in S. Forti (a cura di), Hannah Arendt, Mondadori, Milano 1999, pp. 16-44; G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995; A. Argenio (a cura di), Biopolitiche, Elio Sellino Editore, Avellino 2006; R. Aron, Teoria dei regimi politici (1965), Edizioni di Comunità, Milano 1973; R. Boesche, Theories of Tiranny from Plato to Arendt, Pennsylvania State University Press,University Park 1996; K. D. Bracher, Totalitarismo, in Enciclopedia del Novecento, vol. VII, Roma, 1984, pp. 718-726; V. Dini, Totalitarismo e filosofia. Un concetto fra descrizione e comprensione, «Filosofia politica», XI, 1,1997, pp. 5-25; D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992; S. Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001; Ead., Biopolitica delle anime, «Filosofia politica», 3, 2003, pp. 397-418; Ead., (a cura di), La filosofia di fronte all’estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica, Einaudi, Torino 2004; C. J.Friedrich, Z. Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, harper, New York 1956; F. Furet, Il passato di un’illusione (1995), Mondadori, Milano 1995 ; C. Galli, Strategie della totalità. Stato autoritario, Stato totale, totalitarismo nella Germania degli anni Trenta, «Filosofia politica», 1, XI, 1997, pp. 27-62; L. Shapiro, Totalitarianism, Pall Mall Press, London 1972; M. Stoppino, Totalitarismo in Dizionario di politica, diretto da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Utet, Torino 1983, pp. 1169-1181; P. Thibaud, Du Gulag à Auschwitz: glissement de la réflexion antitotalitaire, «Esprit», 1988, pp. 138-157 ; S. J. Whitefield, Into the Dark: Hannah Arendt and Totalitarianism, Temple University Press, Philadelphia 1980. 79 ANTONELLA ARGENIO ai sistemi illiberali coevi,15 ma le consente di definire i campi nei termini di veri e propri laboratori dove si sperimenta la traduzione fattuale del «tutto è possibile», principio che scalza quello ormai inadeguato del «tutto è permesso»16 cui pure lo stato è ricorso sovente. Si tratta, ora, di provare, sottoponendo a test su vasta scala cavie non considerate più nemmeno umane, la possibilità di trasformare l’individuo in un «fascio di reazioni intercambiabili». Non altro il marchio epocale che contraddistingue il totalitarismo a cominciare da partito unico, polizia segreta, nemico oggettivo, struttura a cipolla dipendente dalla volontà del capo, ideologia come perversa «logica di un’idea»17 e terrore come sua «essenza».18 Né valgono a spiegare la massima esplosione del male in politica le ragioni della brutalità ferina — la lotta intraspecifica, come insegna Lorenz, assume forme ritualizzate; della follia — facoltà di intendere e di volere ha chi accetta offerte di lavoro come secondino nelle prigioni statali e decide di continuare a svolgerlo dopo il consueto periodo di prova; della fedeltà incondizionata alla causa ideologicamente costruita a tavolino — l’adesione al cassireriano riarmo mentale riguarda masse di individui atomizzati, emerse dal crollo della muraglia protettiva classista, che per disperazione e non-pensiero si consegnano al sapere profetico del moderno homo divinans capace di fornire la coerenza di un mondo fittizio, indifferente alle smentite dei fatti perché realizzabile appieno in un tempo a venire procrastinato sine die.19 15 Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., pp. 427-431, 503-504, 555-556, 574-575; Ead., Che cos’è l’autorità? (1956), in Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 130-192; U. Pomarici, Autorità in Id. (a cura di), Filosofia del diritto. Concetti fondamentali, cit., pp. 1-39. 16 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 603. 17 Ivi, p. 642. 18 Ivi, p. 475. 19 Cfr. Ch. Beradt, Il Terzo Reich dei sogni (1966) Einaudi, Torino 1991 ; A. Brossat, L’épreuve du désastre. Le XX siècle et les champs, Albin Michel, Paris 1996; J.-M. Chaumont, La singularité de l’univers concentrationnaire selon Hannah Arendt in A. M. Roviello, M. Weyemberg (éds.), Hannah Arendt et la modernité, Vrin, Paris 1992, pp. 87-109 ; E. Donaggio, D. Scalzo (a cura di), Sul male, Meltemi, Roma 2003. R. Esposito, Nove pensieri sulla politica, Il Mulino, Bologna 1993; R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici (1979), Franco Angeli, Milano 1993; P. P. Portinaro (a cura di), Concetti del male, Einaudi, Torino 2002; D. Rousset, L’universo concentrazionario (1946), Baldini e Castoldi, Milano 1997; T. Todorov, Di fronte all’estremo (1991), Garzanti, Milano 1992. 80 L’iniziatore di nuovi inizi: una riflessione su Hannah Arendt Piuttosto va tenuto conto che è la stessa logica di funzionamento del meccanismo tanatopolitico a rendere la morte funzionale alla vita: sopprimere alcuni per la sopravvivenza di tutti gli altri. La salute-salvezza del grande corpo collettivo ha bisogno dell’eugenetica positiva non meno che di quella negativa: prima ancora di affidarlo alle terapie della selezione artificiale della specie, è necessario liberarlo dai germi patogeni annidati al suo interno, volta a volta identificati con intere categorie di soggetti che il grande medico arbitrariamente indica. Da questo punto di vista la soluzione finale non può che rivelarsi cura perfetta — rapida, estesa, efficace. Non importa se palesemente anti-utilitaria nell’economia complessiva della guerra — le dinamiche del supersenso ideologico non seguono la strategia bellica ordinaria.20 L’irreale universo concentrazionario — così è percepito dal mondo occidentale e dagli stessi superstiti21 — procede a far diventare realtà un lucido delirio di onnipotenza poietica: cambiare la natura umana, rovesciando l’unicità irriducibile di ciascuno nella riproduzione seriale di quanti devono risultare ricompresi e sostituibili entro un’unità indifferenziata. È la riduzione dell’unicum plurale all’unum et idem. La fabbricazione artificiale di un nuovo tipo di uomo, che non conoscerà più né spontaneità né imprevedibilità, coincide con l’indistinzione dell’uno-Tutto. La perfetta sovrapponibilità degli individui, che reagiscono con un automatismo di risposte simile al cane di Pavlov, è l’esito da raggiungere mediante la distruzione sistematica della personalità giuridica, della personalità morale e dell’identità degli internati. Al lager appartengono in senso stretto esclusivamente condannati che non si sono macchiati di alcun reato – la presenza di delinquenti ordinari, dove è mantenuta, serve da «camuffamento»– cui spetta prendere decisioni dinanzi alle quali la coscienza resta muta non potendo scegliere tra bene e male nella «complicità deliberatamente organizzata» che fonde carnefice e vittima in una medesima persona. Quanto all’annientamento dell’individualità, le sinistre «processioni» di uomini incolonnati che, senza resistere, si avviano verso lo Zyklon-B ne sono l’immagine spettrale. 20 Cfr. R. Esposito, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004. 21 Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., per es. pp. 604, 610. 81 ANTONELLA ARGENIO Ma non basta. L’indistinzione riguarda, ancor più radicalmente, la scomparsa del limite, della linea di confine che separa la vita dalla morte. Se il corpo è il luogo in cui la vita si concentra e si trova esposta al suo contrario, allora salta la dialettica delle forze opposte quando si crea la «società dei morenti» o dei «cadaveri viventi» poiché la vita si prolunga nella morte a condizione di essere peggiore della morte stessa. O anche annullamento del diritto alla vita – il primo dei diritti umani di matrice lockiana, sancito dalla prima delle Dichiarazioni della modernità, la Declaration of Indipendence statunitense22 – che si capovolge nell’annullamento del diritto di morire, nell’orrore di una prorogatio mortis indefinita, senza tracce, senza voce, senza ricordo. L’oblio: invisibile filo spinato confitto in colui che si pretende non sia mai esistito. «David Rousset ha intitolato il suo racconto sul periodo trascorso in un Lager tedesco Les Jours de Notre Mort ed invero è come se si fosse spalancata la possibilità di rendere permanente lo stesso morire e di ottenere una situazione in cui vengono impedite con altrettanta efficacia sia la morte che la vita. È la comparsa del male radicale».23 Si giunge, così, al termine della discesa negli inferi del regime totalitario, intrapresa per un’esigenza profonda di comprensione, di riconciliazione col mondo. Eppure questa non è l’ultima parola pronunciata dalla Arendt. Ideologia e Terrore si chiude con l’agostinano «initium ut esset, creatus est homo, ante quem nullus fuit»,24 il medesimo passo del De Civitate Dei che ritorna in Vita activa 25 e non perché il testo del ’58 sia consolatorio o meno intransigente nella sua portata critica. Spietata è la decostruzione del processo di spoliticizzazione che taglia trasversalmente l’occidente fino al trionfo dell’animal laborans. Contrapporre pluralità a omogeneità indifferenziata, imprevedibilità a predeterminazione, potere a potenza, con- divisione a estraneazione vuol dire, per un verso, dissipare ogni 22 Cfr. sulle Dichiarazioni dei diritti AA. VV., Dei diritti dell’uomo (1949), testi raccolti dall’Unesco, Edizioni di Comunità, Milano 1952; AA. VV., I diritti unmani a 40 anni dalla Dichiarazione universale, Cedam, Padova 1989; F. Battaglia (a cura di), Le Carte dei diritti, Sansoni, Firenze 1946; R. Bifulco et alii (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna 2001; G. Conso, A. Saccucci, Codice dei diritti umani. Nazioni Unite – Consiglio d’Europa, Cedam, Padova 2001. 23 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 607. 24 Ivi, p. 656. 25 H. Arendt, Vita activa, cit., p. 129. 82 L’iniziatore di nuovi inizi: una riflessione su Hannah Arendt fraintendimento sul carattere anti-politico di un’esperienza di dominio rispetto alla quale non si dà forma alcuna di mediazione praticabile, e, per l’altro, denunciare un progressivo prosciugamento della dimensione politica. Se con il totalitarismo non si può coesistere, il crollo delle sue incarnazioni storiche non mette al riparo definitivamente né garantisce dai risvolti insidiosi del recuperato orizzonte della liberaldemocrazia. Non qualsiasi composizione del tessuto sociale è terreno fertile su cui può attecchire un esperimento totalitario irriconducibile a forme tradizionali di aggregazione comunitaria.26 Pur essendo l’isolamento cosa diversa dalla solitudine estraniante, nondimeno entrambi hanno in comune il presupposto della massificazione, intesa nella specifica accezione di jobholder society, simmetrica al rule of nobody.27 Riprendere Agostino significa legare natalità e libertà, quasi una professione di fede laica nella capacità propria soltanto dell’uomo di trascendere il vincolo della zoe e introdurre l’inaspettato entro il flusso di una vita altrimenti prigioniera dell’infinità ripetizione del produrre per riprodursi. Arendt riconosce in ciascun singolo colui che può spezzare sequenze e imprimere al «corso del mondo» direzioni insospettate, dimostrando l’incrollabile convinzione che la libertà potenziale trovi il suo radicamento nel fatto stesso del nascere. «Poiché sono initium, nuovi venuti e iniziatori grazie alla nascita, gli uomini prendono l’iniziativa e sono pronti all’azione».28 Ecco il doppio vettore che percorre le pagine arendtiane: libertà come possibilità sempre risorgente e dinamiche che la rendono sempre più rara. Possibilità senza garanzie di traduzione e di riuscita, ma comunque patrimonio immenso di cui si resta portatori, consegnata all’ipotetico e al condizionale. Questa fiducia rischiara il futuro nella medesima maniera disincantata che contraddistingue l’analisi dei fenomeni rivoluzionari — autunno ungherese, ’89 francese, founding fathers americani29 — i quali, malgrado i fallimenti 26 Cfr. M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997; F. M. de Sanctis, Comunità in U. Pomarici (a cura di), Filosofia del diritto. Concetti fondamentali, cit., pp. 93-116; L. Dumont, Homo aequalis (1977), Adelphi, Milano 1984, p. 30. 27 Cfr. H. Arendt, Sulla violenza (1970), Guanda, Parma 1996, p. 34; Ead., Karl Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale (1953), «Micromega», 5, 1995, pp. 35-114. 28 Cfr. H. Arendt, Vita activa, cit., p. 30. 29 Cfr. H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.; Ead., Riflessioni sulla rivoluzione ungherese (1958), «Micromega», 3, 1987, pp. 89-120; Ead.,Pensieri sulla politica e la rivoluzione (1972), in Politica e 83 ANTONELLA ARGENIO sulle due sponde dell’Atlantico, testimoniano le irruzioni del nuovo, rappresentano non mere liberazioni ma altrettante manifestazioni di quel tesoro depositato sul fondo del mare. Lo spazio dell’apparire «esistendo solo potenzialmente, non necessariamente e non per sempre»30 per ciò stesso non consente di essere irrevocabilmente distrutto una volta per tutte. Attende attualizzazioni. Che riesca a riemergere ancora dipende dalle scelte di ognuno. Si giudica da soli, in comune si agisce. La categoria della nascita assume, dunque, ruolo portante in una riflessione31 che non pretende di sollevare la domanda sulla natura umana — anche contro l’aberrazione totalitaria di conoscerla fabbricandola. All’interrogativo riguardante l’essenza, cui può rispondere solo la verità rivelata, si sostituisce una disamina della condizione umana a cominciare dal venire al mondo e ci si chiede quali e quanti tipi di vita siano annunciati nell’evento stesso del vedere la luce. La riconsiderazione di lavoro, opera e azione — le «articolazioni più elementari» della human condition – richiama, infatti, la distinzione tra birth e second birth, tra zoe e bios, tra il ritrovarsi ad menzogna, Sugarco, Milano 1985. «La storia delle rivoluzioni […] potrebbe essere narrata come la favola di un tesoro antichissimo, che appare all’improvviso nelle circostanze più diverse, e quindi scompare di nuovo celandosi sotto i più svariati e misteriosi travestimenti, come una fata morgana» (Ead., Premessa:la lacuna tra passato e futuro in Tra passato e futuro, cit., p. 27). 30 Cfr. H. Arendt, Vita activa, cit., p. 146. 31 Cfr. M. Abensour et alii, Ontologie et Politique. Actes du Colloque Hannah Arendt, Tierce, Paris 1989; L. Bazzicalupo, Hannah Arendt. La storia per la politica, ESI, Napoli 1996; L. Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, Feltrinelli, Milano 1995; M. Canovan, Hannah Arendt. A Reinterpretation of Her Political Thought, Cambridge University Press, Cambridge 1992; M. Cedronio, La democrazia in pericolo, Il Mulino, Bologna 1994; A. Dal Lago, “Politeia”: cittadinanza ed esilio nell’opera di Hannah Arendt, «Il Mulino», XXXIII, 3, 1984, pp. 417-441; A. Enegrén, Il pensiero politico di Hannah Arendt (1984), Edizioni Lavoro, Roma 1987; R. Esposito (a cura di), La pluralità irrappresentabile. Il pensiero politico di Hannah Arendt, Quattro Venti, Urbino 1987; P. Flores d’Arcais, L’esistenzialismo libertario di Hannah Arendt, Sugarco, Milano 1985; S. Forti, Vita della mente e tempo della polis. Hannah Arendt tra filosofia e politica, Franco Angeli, Milano 1996; E. Parise (a cura di), Hannah Arendt. La politica tra natalità e mortalità, ESI, Napoli 1993; P.P. Portinaro, Hannah Arendt e l’utopia della polis, «Comunità», XXXV, 183, 1981, pp. 26-55; A.-M. Roviello, Sens commun et modernité chez Hannah Arendt, Ousia, Bruxelles 1987 ; R. Zorzi, Nota su Hannah Arendt, Edizioni di Comunità, Milano 1983. Mi sia consentito, infine, di rinviare anche per una bibliografia più completa a A. Argenio, Alexis de Tocqueville e Hannah Arendt: un dialogo a distanza, Editoriale Scientifica, Napoli 2005. 84

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Torino 1990; S. Courtine-Denamy, Hannah Arendt, Belfond, Paris 1994. 4 Cfr. H. Arendt, quanto per nascita è venuto al mondo […] è un nuovo
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