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UN PO' DI STORIA KARATE JUDO LOTTA AIKIDO JU JITSU SUMO MGA CAPOEIRA PANCRAZIO ... PDF

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agg.to giugno ‘09 FEDERAZIONE E DISCIPLINE… UN PO’ DI STORIA KARATE JUDO LOTTA AIKIDO JU JITSU SUMO MGA CAPOEIRA PANCRAZIO S'ISTRUMPA Federazione Fijlkam KARATE Per molti secoli Okinawa – nell’arcipelago delle Ryu-kyu – aveva mantenuto rapporti commerciali con la provincia cinese di Fukien e fu così, probabilmente, che conobbe il kempo o chuan-fa / quan fa («Via del pugno»), nato secondo la tradizione nel monastero di Shaolin, modificandolo col passare degli anni secondo metodi locali. Sho Hashi, re di Chuzan, nel 1429 unificò i tre regni di Okinawa. Sho Shin, per mantenere la pace, intorno al 1500 vietò il possesso di armi, che furono raccolte e chiuse in un magazzino del castello di Shuri. Dopo la battaglia di Sekigahara, i Tokugawa vittoriosi concessero al clan degli Shimazu, che governavano il bellicoso feudo di Satsuma nell’isola di Kyushu, di occupare le Ryu-kyu: 3.000 samurai compirono l’invasione senza incontrare valida resistenza (1609). Poiché fu rinnovato il divieto di possedere armi e persino gli utensili di uso quotidiano come bastoni e falcetti dovevano essere chiusi nei magazzini durante la notte, gli abitanti si dedicarono in segreto allo studio di una forma di autodifesa da usare contro gli invasori. Nacque così la scuola Okinawa-te («mano di Okinawa»), detta anche to-de («mano cinese» [l’ideogramma to caratterizza la dinastia Tang]), che si differenziava in tre stili: Naha-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina meridionale, Shuri-te e by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 Tomari-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina settentrionale. Va precisato che Naha era la capitale dell’isola, Shuri la sede del castello reale e Tomari la zona del porto (oggi Shuri e Tomari sono quartieri di Naha). Il primo maestro delle Ryu-kyu fu Sakugawa di Shuri (1733-1815), soprannominato “Tode” perché combinò il kempo, da lui studiato in Cina, con le arti marziali di Okinawa. Fu suo allievo Sokon Matsumura (1809-1901), maestro di Anko Azato (1827-1906), a sua volta maestro di Funakoshi. Anko Itosu (1832-1916), allievo esterno di Matsumura, grande amico di Azato e anch’egli maestro di Funakoshi, introdusse il to-de nelle scuole di Okinawa e mise a punto i cinque kata detti Pinan. Il primo Maestro di Okinawa a recarsi in Giappone fu Choki Motobu di Shuri (1871-1944), straordinario combattente ma illetterato, che perciò non ottenne grande successo come insegnante. Solo con l’arrivo di Funakoshi il karate poté diffondersi nel paese del Sol Levante. Gichin Funakoshi nacque a Shuri (1868-1957). Bambino gracile e introverso, si appassionò alle arti di combattimento: studiò con Azato, padre di un suo compagno di scuola e maestro di svariate arti marziali, poi con Itosu, quindi con Matsumura. Era non solo un abile calligrafo, ma conosceva anche i classici cinesi; pertanto nel 1888 cominciò ad insegnare in una scuola elementare. Nel 1921 passò per Okinawa il principe Hirohito, diretto in Europa, e nel castello di Shuri Funakoshi organizzò un’esibizione che fu molto apprezzata. Lasciato l’insegnamento, nella primavera del 1922 Funakoshi fu scelto per eseguire una dimostrazione di karate alla Scuola Normale Superiore Femminile di Tokyo, ove si stabilì. Nel 1922 scrisse Ryu-kyu kempo: karate (karate significava ancora «mano cinese» e i nomi dei kata erano quelli originari di Okinawa). Nel 1935 pubblicò Karate-do kyohan, molti anni dopo tradotto dal maestro Oshima. I primi anni furono difficili soprattutto sotto l’aspetto economico. Nel 1931 il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Butokukai, l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù. Dopo aver utilizzato un’aula del Meisei Juku (un ostello per studenti di Okinawa nel quartiere Suidobata), per qualche tempo Funakoshi fu ospite nella palestra del maestro di scherma Hiromichi Nakayama. Nel 1936, grazie al comitato nazionale di sostenitori del karate, venne costruito il dojo Shotokan («casa delle onde di pino») a Zoshigaya. “Shoto” era lo pseudonimo che Funakoshi usava da giovane nel firmare i suoi poemi cinesi. Per facilitare la diffusione del karate in Giappone l’ideogramma to, che si leggeva anche kara («cinese»), fu cambiato con un altro avente la stessa pronuncia, ma il significato di «vuoto» (sia nel senso di «disarmato», che in riferimento allo stato mentale del praticante, concetto Zen di mu-shin). Vennero inoltre cambiati in giapponese i nomi originali delle tecniche e dei kata per renderli più comprensibili. Nel dopoguerra il generale Mac Arthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l’anima dello spirito militarista nipponico, ma a poco a poco l’interesse per il karate crebbe anche in Occidente e Funakoshi fu ripetutamente invitato a dare dimostrazioni. Funakoshi lasciò la direzione dello Shotokan al figlio Yoshitaka, che trasformò profondamente lo stile elaborato dal padre, inserendovi attacchi lunghi e by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 potenti, che facevano uso di nuove tecniche di calci. Yoshitaka morì di tubercolosi nel 1953. Shotokan, wado-ryu, shito-ryu e goju-ryu sono i quattro stili più importanti di karate. ALCUNE DATE SIGNIFICATIVE DEL KARATE MODERNO 1965 Nasce l’Unione Europea di Karate. 1966 Dalla fusione della Federazione Italiana Karate - FIK (con sede a Firenze) e della Karate International Academy of Italy - KIAI (con sede a Roma) si costituisce la Federazione Italiana di Karate - FIK, con sede a Roma. 1966 1° Campionato europeo (a Parigi). 1970 1° Campionato mondiale (a Tokyo). In questa occasione i delegati di 33 nazioni fondano la World Union of Karate-do Organizations - WUKO. 1970 L’Associazione Italiana Karate - AIK (con sede a Milano) diviene Federazione Sportiva Italiana Karate - FESIKA. 1978 Il 7 dicembre la Giunta Esecutiva del CONI autorizza la FILPJ a comprendere il Karate fra le discipline sotto il suo controllo. Poco dopo (1979) si sciolgono le due Federazioni tra loro in contrasto, la FIK e la FESIKA, riunendosi sotto l’egida della Federazione Italiana Karate e Discipline Affini - FIKDA, gestita in regime commissariale. 1981 Prima edizione dei World Games di Karate. 1982 Il 20 giugno si svolge l’Assemblea straordinaria della FIKDA, che approva all’unanimità lo statuto. Visto il costante sviluppo del Taekwondo, decide inoltre di mutare il nome della FIKDA in Federazione Italiana Karate Taekwondo e Discipline Affini - FIKTEDA. 1985 Nasce la Federazione Italiana Taekwondo - FITA, alla quale aderiscono diverse società di Karate, tanto che la neonata Federazione cambia il suo nome in FITAK. 1986 1° Campionato europeo femminile (a Sion). 1986 Vista «la conflittualità esistente, da sempre, tra i fautori di un Karate sportivo e quelli legati alle tradizioni dei maestri giapponesi», nella seduta del 21 marzo il Consiglio federale riconosce la FITAK (anziché la FIKTEDA) quale referente del Karate. Si chiude così un lungo periodo di transizione. 1993 Nel corso della Coppa del Mondo disputata ad Algeri si svolge l’Assemblea dei paesi aderenti alla WUKO, che votano compatti la nascita della World Karate Federation - WKF. 1993 Il Karate entra nel programma dei Giochi del Mediterraneo. 1994 La 5a Assemblea straordinaria della FILPJ approva l’ingresso del Karate, già disciplina associata, come quarto Settore. Nel 1995 la FILPJ diviene così FILPJK (oggi FIJLKAM, dopo la separazione dalla Pesistica). by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 JUDO I contatti tra i marinai italiani e quelli nipponici, consolidati al tempo della rivolta cinese dei Boxer (1900), favorirono la diffusione delle tecniche di jujitsu anche tra i nostri soldati, incuriositi e affascinati dal modo particolare di combattere all'arma bianca o a mani nude. Domata la rivolta xenofoba, l'Italia ottenne una concessione a Tientsin, allargando così i propri interessi in Estremo Oriente. Gli entusiastici commenti di civili e militari sulle virtù della lotta giapponese, soprattutto in vista di un suo impiego bellico, convinsero il Ministro della Marina Carlo Mirabello a organizzare un corso sperimentale. Ordinò quindi al capitano di vascello Carlo Maria Novellis di assumere un istruttore di jujitsu a bordo dell'incrociatore Marco Polo, che stazionava nelle acque della Cina. Dopo molte ricerche Novellis trovò a Shanghai un insegnante che godeva la fiducia del console giapponese. Il 24 luglio 1906 venne pertanto stipulato un contratto di quattro mesi, tempo che il maestro giudicava «necessario e sufficiente per portare gli allievi ad un grado di capacità tale da renderli abili ad insegnare alla loro volta». Il corso si sarebbe svolto a bordo e al termine gli allievi migliori avrebbero sostenuto gli esami al Kodokan. In ottobre, infatti, i nostri marinai si sottoposero agli esami, ma il risultato fu decisamente negativo. La colpa era del maestro, commentarono al Kodokan: «Pur essendo abbastanza abile, non poteva insegnare ai suoi allievi più di quanto sapesse», cioè non molto, e quindi non aveva mentito assicurando «che in quattro mesi avrebbe portato gli allievi alla sua altezza». Si risolse dunque con una beffa la prima esperienza italiana nella lotta giapponese. Nel nostro paese la prima dimostrazione di jujitsu eseguita da italiani ebbe luogo a Roma il 30 maggio 1908. Nell’incantevole scenario di villa Corsini, alle pendici del Gianicolo, «due abilissimi sottufficiali di marina diedero una dimostrazione della teoria e della pratica della lotta giapponese». Pochi giorni dopo, evidentemente incuriosito, Vittorio Emanuele III volle che l’esibizione fosse ripetuta nei giardini del Quirinale. Nonostante il buon esordio, il cammino del jujitsu fu lento e difficile. Infatti, se si eccettua qualche articolo o conferenza e i generosi tentativi del lottatore bresciano Umberto Cristini, della «Via della cedevolezza (o dell’adattabilità)» non si parlò davvero molto in Italia. Sul finire del 1921, il capo cannoniere di prima classe Carlo Oletti (già imbarcato sull’incrociatore Vesuvio, che sostituì il Marco Polo in Estremo Oriente), fu chiamato a dirigere i corsi di jujitsu introdotti alla Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica a Roma. La Scuola, istituita con R.D. 20 aprile 1920, ebbe sede nei locali del Tiro a Segno Nazionale alla Farnesina, segnalandosi subito all’attenzione generale. Nella speranza di diffondere la disciplina, domenica 30 marzo 1924 i delegati di 28 società o gruppi sportivi civili e militari si riunirono per costituire la Federazione Jiu-Jitsuista Italiana, presieduta da Antonello Caprino, avvocato e alto funzionario comunale. Il primo articolo del regolamento tecnico federale riconosceva «quale metodo ufficiale di Jiu-Jitsu, sia per l’insegnamento che per la pratica, il metodo Kano». Il 20 e 21 giugno di quell’anno alla sala Flores in via Pompeo Magno si disputò il primo campionato italiano: il titolo assoluto fu by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 vinto da Pierino Zerella, esperto di lotta greco-romana, mentre il titolo a squadre andò alla Legione Allievi Carabinieri di Roma. Malgrado gli sforzi di pochi appassionati, il jujitsu si faceva largo assai lentamente tra il grande pubblico. Tra l’altro, dopo le edizioni del 1924, 1925 e 1926, i campionati italiani erano stati interrotti. E a nulla era servita, nel 1927, la trasformazione della FJJI in Federazione Italiana Lotta Giapponese sotto la guida del dinamico Giacinto Puglisi, presidente della S.S. Cristoforo Colombo. Ritenendo che la disciplina potesse fare un salto di qualità con una spettacolare manifestazione, il 7 luglio 1928 il quotidiano L’Impero organizzò con l’A.S. Trastevere una grande riunione di propaganda nella sala della Corporazione della Stampa in viale del Re. La manifestazione ebbe un buon successo grazie a due presenze non previste: la partecipazione dell’esperto judoka nipponico Mata-Katsu Mori, che si trovava a Roma in veste di pedagogo presso la famiglia del poeta Shimoi, e – soprattutto – l’intervento del Maestro Kano. Questi, venuto a conoscenza dell’iniziativa mentre era a Parigi, non volle mancare all’appuntamento. Pochi giorni dopo la manifestazione a Trastevere si svolsero alla SCMEF i primi esami per l’attribuzione della qualifica di Maestro. Quindi, nel giugno 1929, si disputò a Roma il quarto campionato italiano. Ma il trasferimento di Oletti a La Spezia nel 1930, nonostante le manifestazioni caparbiamente organizzate dalla Colombo, raffreddò non poco gli entusiasmi. Nel febbraio 1931, per di più, la FILG venne sciolta e la sua attività inquadrata nella Federazione Atletica Italiana, provocando l’inesorabile declino del jujitsu. Solo nel 1947 si ebbe una ripresa dell’attività con la nomina di una commissione tecnica presieduta da Alfonso Castelli, segretario generale della Federazione Italiana Atletica Pesante (già FAI). Il primo campionato nazionale del dopoguerra si disputò a Lanciano nei giorni 1 e 2 maggio 1948. Il III Congresso della FIAP, tenuto a Genova il 16 e 17 ottobre 1948, approvò il nuovo statuto federale, che contemplava tra gli organi centrali il Gruppo Autonomo Lotta Giapponese (trasformato in Gruppo Autonomo Judo nel 1951). Sciolta la commissione tecnica, l’assemblea del GALG svoltasi a Roma il 14 novembre elesse presidente Aldo Torti e segretario Arnaldo Santarelli. Rintracciato dall’ex allievo Betti Berutto ad Angera, sul lago Maggiore, il 18 gennaio 1949 Oletti accettò la presidenza onoraria. In occasione dell'Olimpiade del 1948, per iniziativa del Budokwai di Londra, fu convocata una conferenza internazionale presso il New Imperial College a South Kensington. Si decise la costituzione dell’Unione Europea di Judo, di cui fu eletto presidente l’inglese Trevor P. Legget, l’unico non giapponese graduato 5° dan. Il 29 ottobre 1949 si riunì a Bloemendaal, in Olanda, il II Congresso dell’UEJ, che approvò lo statuto e il regolamento tecnico, ripreso da quello del Kodokan. Torti ne divenne presidente, Castelli segretario e la sede venne trasferita a Roma. «Era la prima Federazione internazionale – anche se modesta – presieduta da un italiano e con sede in Italia, dopo la guerra» (A. CASTELLI). Davvero una grande soddisfazione dopo tanti momenti bui. Il IV Congresso dell’UEJ si tenne a Londra il 2 luglio 1951 e diede vita alla Federazione Internazionale di Judo, che elesse Torti presidente e Castelli segretario. Nel settembre 1952, al congresso di Zurigo, la presidenza passò a Risei Kano e la sede si trasferì a Tokyo, ma Torti fu posto a capo della by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 ricostituita UEJ. Il primo campionato europeo si disputò a Parigi nel 1951, il primo mondiale a Tokyo nel 1956. Nel 1953 venne nel nostro paese il Maestro Noritomo Ken Otani, allora 5° dan (seguito nel 1956 da Tadashi Koikè), che contribuì in maniera decisiva allo sviluppo del judo in Italia. Il judo maschile è stato incluso nel programma olimpico provvisoriamente nel 1964, definitivamente nel 1972; quello femminile provvisoriamente nel 1988 e definitivamente nel 1992. by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 LOTTA La lotta è nata con l’uomo per necessità di sopravvivenza o di dominio, trasformandosi poi in forma di allenamento del corpo e in competizione sportiva. Esaltazione della forza, della resistenza e dell’agilità, per Otto Heinrich Jäger era «il più completo e armonioso degli esercizi». La lotta agonistica venne praticata da tutti i popoli già in tempi remoti, ma fu in Grecia che raggiunse il più alto livello di notorietà e di perfezione. Sovrani, condottieri, filosofi, scrittori e artisti la tennero in grandissima considerazione, stimandola una scienza e un’arte, indispensabile per plasmare sia il fisico che il carattere. Non a caso se ne attribuiva l’invenzione agli dei o agli eroi: Atena ed Ermes, Ercole e Teseo. Secondo lo storico Plutarco di Cheronea lo sport più antico fu proprio la lotta (pale), da cui derivò il termine palestra per indicare il luogo di allenamento degli atleti. Per l’ateniese Senofonte, discepolo di Socrate, i Greci avevano sviluppato la loro proverbiale astuzia nel costante esercizio della lotta. La prima cronaca, dettagliata e palpitante, di un incontro di «dura» lotta risale ad Omero, che nel libro XXIII dell’Iliade descrisse con notevole sapienza tecnica il combattimento tra «l’immane» Aiace Telamonio e «il saggio maestro di frodi» Ulisse durante i giochi funebri in onore di Patroclo. Omero ha inserito «l’ostinata lotta» anche nel libro VIII dell’Odissea, tra le gare organizzate dal re dei Feaci Alcinoo in onore di Ulisse. La popolarità di cui godé la lotta è dimostrata dalla frequenza di citazioni letterarie e raffigurazioni artistiche. Queste testimonianze, sebbene siano spesso frammentarie e talora anche contraddittorie, ci aiutano a ricostruire con buona approssimazione le regole della lotta nel mondo greco. Nei giochi più antichi i lottatori indossavano una cintura, il perizoma, poi si affrontarono completamente nudi, dopo essersi frizionati il corpo con dell’olio di oliva e averlo ricoperto con un sottile strato di polvere. I combattimenti si svolgevano secondo le regole dell’orthe pale (lotta in piedi o perpendicolare) in una buca piena di sabbia per ammorbidire la violenza delle proiezioni al suolo. Per vincere era necessario che l’avversario toccasse per tre volte il terreno con una parte qualsiasi del corpo (per cui il vincitore era detto triakter). Se cadevano ambedue i concorrenti l’azione era ritenuta nulla. La lotta a terra si praticava solo in allenamento o nelle gare di pancrazio, mentre era consentito lo sgambetto. Dirigeva gli incontri un arbitro munito di una lunga verga che nell’iconografia appare bifida. Essendo le prese iniziali spesso decisive ai fini del risultato, gli atleti cercavano di sfruttarle al meglio per passare all’offensiva o quanto meno per bloccare l’iniziativa dell’avversario. I lottatori venivano sovente raffigurati mentre si afferravano le braccia, con le fronti a contatto: i Francesi chiamano garde ovine questo accostamento delle teste, che fa pensare al fronteggiarsi dei montoni. Platone, che aveva gareggiato a Delfi, scrisse che nella lotta bisognava mantenere l’equilibrio e difendersi da tre tipi di prese: alle braccia, al collo e ai fianchi (Leggi, VII). Non c’erano categorie di peso, poiché l’abilità veniva considerata preponderante sulla forza, come proverebbe la leggendaria vittoria di Atalanta su Peleo. Si distinguevano, però, due classi di età: i giovani, fino a 18 anni, e by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 gli adulti, oltre i 18 anni, senza limite. A Nemea, a Corinto e alle Panatenee di Atene fu introdotta la classe degli “imberbi”. Le gare si svolgevano a eliminazione diretta. Gli accoppiamenti venivano sorteggiati dai giudici e se gli atleti erano in numero dispari (all’inizio o in una fase seguente), uno di loro passava direttamente al turno successivo. Costui veniva chiamato efedros, ossia «che sta seduto». Anefedros era detto chi non usufruiva del vantaggio e doveva sudarsi la vittoria in ogni incontro, ricevendo perciò maggiori riconoscimenti in caso di successo finale. Con il termine aptos s’indicava il lottatore vittorioso in combattimento senza essere mai finito a terra. Anche un successo akoniti («senza polvere») era prestigioso per gli atleti, in quanto vincitori per la rinuncia dell’avversario, che riconosceva così la loro netta superiorità. Secondo queste regole si svolgeva pure la prova di lotta inserita nel pentathlon. La lotta fu introdotta a Olimpia nel 708 a.C. dopo che per 17 volte si era gareggiato soltanto nella corsa. Il più grande lottatore dell’antichità fu Milone di Crotone, vincitore 7 volte ai Giochi Olimpici (nel 540 a.C. tra i giovani, dal 532 al 512 tra gli adulti), 7 ai Pitici, 9 ai Nemei, 10 agli Istmici. Pur privilegiando le corse ippiche e il pugilato, gli Etruschi si appassionarono anche alla lotta, come testimoniano i numerosi affreschi nelle necropoli di Tarquinia e di Chiusi. I Romani non mostrarono meno interesse dei Greci e degli Etruschi per la lotta, se Virgilio scrisse che persino i defunti nell’Elisio si dilettavano a «lottare in fulva arena» (Eneide, VI). La lotta, però, venne essenzialmente considerata un esercizio preparatorio alla guerra e solo in età imperiale assunse il carattere di attività sportiva, ma di tipo professionistico. Le occasioni per organizzare delle gare di lotta sono sempre state numerose: cerimonie civili e religiose, feste agresti, successi militari, ecc. I premi in palio erano i più svariati, quali terre, oro, cariche pubbliche, simboli di prestigio, la mano di una principessa. Con gli incontri di lotta talvolta si decidevano le sorti di una battaglia, si amministrava la giustizia e si assegnavano i regni. Tra i numerosi aneddoti sulla lotta viene sovente ricordato quanto accadde nel 1520 al Camp du Drap d’Or. Dopo che i lottatori di Cornovaglia al seguito del sovrano d’Inghilterra avevano sconfitto quelli francesi (privi però dei fortissimi Bretoni), imbaldanzito dal successo, il possente Enrico VIII sfidò Francesco I a lottare con lui, ma al primo assalto venne pesantemente proiettato al suolo dal re di Francia. Nel ‘400 e soprattutto nel ‘500 si ebbe una notevole produzione di manuali di scherma, in cui la lotta appariva un’integrazione del combattimento all’arma bianca. Con opportune tecniche si avevano molte più possibilità di sopraffare l’avversario: utilizzando prese agli arti, sgambetti, ecc. O ancora, perduta la propria arma, si poteva tentare il disarmo del rivale per ristabilire la condizione di parità. Si ricorda in primo luogo il manoscritto Flos duellatorum (1410), di Fiore dei Liberi da Premariacco, con numerosissimi disegni e didascalie in versi. Tra le opere straniere sono preziosi i tre libri di scherma di Hans Talhoffer (1443, 1459 e 1467) e quello con un centinaio di disegni di Albrecht Dürer (1512). Al XV secolo risale il trattato anonimo De la Palestra (ossia Sulla lotta), il primo testo italiano sulla disciplina, conservato alla Biblioteca Estense. Citiamo inoltre by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 il manuale Ringerkunst (L’arte della lotta), di Fabian von Auerswald, stampato a Wittenberg nel 1539 con 85 illustrazioni del celebre pittore e incisore Lucas Cranach il Vecchio. In queste opere la lotta si liberò finalmente da ogni legame con la scherma. Verso la metà dell’Ottocento la lotta rifiorì grazie alle spettacolari esibizioni di atleti professionisti che combattevano nelle piazze, nelle “baracche” e nei caffè-concerto di tutta Europa: uomini dalla faccia feroce e dai muscoli d’acciaio, con grandi baffi e dozzine di medaglie al petto. Tra i professionisti italiani vanno ricordati Pietro Dalmasso di Chieri e Basilio Bartoletti di Roma, quindi il triestino Giovanni Raicevich (1881-1957), il più giovane e il più forte di tre fratelli plurititolati. Ottenne la prima importante affermazione al torneo internazionale di Liegi nel 1905 e da allora passò di successo in successo, vincendo i campionati mondiali a Parigi nel 1907 e a Milano nel 1909, confermandosi poi pressoché imbattibile fino al ritiro. Sulle orme di Raicevich il bolognese Renato Gardini (1889-1940) nel catch e il pistoiese Ubaldo Bianchi (1890-1966) nella greco-romana qualche anno più tardi tennero alto nel mondo il prestigio dei lottatori italiani, conquistando entrambi il titolo di campione del mondo. In Italia la lotta dilettantistica ha mosso i primi passi con la Società Atletica Milanese nella palestra di Porta Ticinese, detta el paviment de giass, che Ernesto Castelli aprì nel gennaio 1899. Lo stesso anno La Gazzetta dello Sport, con l’intento di emulare i giornali sportivi francesi, organizzò il primo campionato italiano: le gare si svolsero in categoria unica al Teatro Dal Verme di Milano e il successo andò a Castelli. Il primo campionato nazionale di stile libero si disputò nel 1930, il primo di lotta femminile nel 1997. La lotta greco-romana è entrata nel programma delle Olimpiadi moderne già nel 1896, la lotta stile libero nel 1904, la lotta femminile nel 2004. by C.u.s. Perugia Karate agg.to giugno ‘09 AIKIDO L’Aikido è stato inserito nell’ambito federale dal 1985. Cos’è l’Aikido? La più completa risposta è quella che dà Paolo Nicola Corallini, l’uomo che lo ha introdotto in Italia: "l'Aikido è l’arte marziale creata da O Sensei Morihei Ueshiba. Esso differisce da ogni altra arte marziale in quanto è esclusivamente applicata alla difesa personale, in essa mancano movimenti di attacco ed in questo si debbono individuare i suoi principi etici e filosofici. L’enfasi dell’Aikido – ricorda il Maestro Corallini – è sulla crescita spirituale dell’individuo attraverso l’acquisizione dell’abilità nel difendersi”. Secondo la filosofia del Fondatore Ueshiba l’Aikido è lo strumento per unire tutti in una grande famiglia: chi lo pratica tende, in una situazione di pericolo, a salvare la vita propria e dell’avversario. Si basa su tecniche efficaci e rigorose: potenti leve articolari, proiezioni ed immobilizzazioni che neutralizzano l’attacco altrui senza causargli lesioni irreversibili. Potrebbero, se non controllate, causare seri danni ed addirittura la morte ma i principi spirituali di questa nobile arte vietano una condotta distruttiva ed interessano le persone che amano la soluzione armoniosa e non violenta dei conflitti. L’Aikido (ai=armonia; ki=energia universale, spirito; do=via e pertanto “la via dell’armonia dello spirito”) praticato in Italia è esattamente l’ Iwama – Ryu Aikido, cioè il metodo di Iwama, la località ove il fondatore O Sensei Morihei Ueshiba realizzò il suo dojo (palestra). Si distingue da ogni altra forma similare perché eguale importanza viene data al Tai-jutsu (tecniche a mani nude) ed al Buki-Waza (tecniche con le armi) che comprende lo studio del Ken (spada) e del Jo (bastone). Il movimento dell’Aikido è in forte espansione in Italia: ciò dimostra che il consenso per questa disciplina è sempre più generale. Essa viene apprezzata soprattutto per i suoi contenuti, considerando che non prevede aspetti agonistici. Nell’ambito della FIJLKAM esiste una speciale Commissione Nazionale per l’Aikido presieduta da Fausto De Compadri, membri Francesco Verona e Emilio Fornari. by C.u.s. Perugia Karate

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Tra le opere straniere sono preziosi i tre libri di scherma di Hans Talhoffer. (1443, 1459 e 1467) e quello con un .. sia col ritmo dato dagli strumenti, sia coi movimenti del proprio avversario: per questo motivo la Capoeira può
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