Girolamo Savonarola Trattato sul governo di Firenze www.liberliber.it 1 Questo e-book è stato realizzato anche grazie al sostegno di: E-text Editoria, Web design, Multimedia http://www.e-text.it/ QUESTO E-BOOK: ITOLO: Trattato sul governo di Firenze AUTORE: Savonarola, Girolamo TRADUTTORE: CURATORE: Schisto, Elisabetta NOTE: Riproduce il testo dell'Edizione Nazionale delle Opere di Girolamo Savonarola: G. Savonarola, "Prediche sopra Aggeo e Trattato del reggimento della città di Firenze", a cura di Luigi Firpo, Roma, Belardetti, 1965, pagg. 435-487. DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: Trattato sul governo di Firenze / Girolamo Savonarola; a cura di Elisabetta Schisto; introduzione di Michele Ciliberto; Biblioteca del pensiero italiano; Editori riuniti; Roma, 1999 CODICE ISBN: 88-359-4762-6 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 8 dicembre 2003 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Alessandro Levati, [email protected] REVISIONE: Paolo Alberti, [email protected] PUBBLICATO DA: Claudio Paganelli, [email protected] Alberto Barberi, [email protected] Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori infor- mazioni sono disponibili sul sito Internet: http://www.liberliber.it/ Aiuta anche tu il "progetto Manuzio" Se questo "libro elettronico" è stato di tuo gradimento, o se condividi le fina- lità del "progetto Manuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuo sostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente la nostra biblioteca. Qui le istruzioni: http://www.liberliber.it/sostieni/ 2 Trattato sul governo di Firenze di Girolamo Savonarola 3 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola Trattato di Frate Ieronimo da Ferrara dell'Ordine de' Predicatori Circa el reggimento e governo della città di Firenze composto ad instanzia delli eccelsi Signori al tempo di Giuliano Salviati Gonfaloniere di Iustizia Proemio Avendo scritto copiosamente, e con grande sapienzia, molti eccellenti uomini d’ingegno e di dottrina prestantissimi, del governo delle città e delli regni, magnifici ed eccelsi Signori, parmi cosa superflua componere altri libri di simile materia, non essendo que- sto altro che multiplicare li libri, senza utilità. Ma perché le Signorie Vostre mi richiedono, non che io scriva del governo de’ regni e città in generali, ma che particularmente tratti del nuovo governo della città di Firenze, quanto spetta al grado mio, lasciando o- gni allegazione e superfluità di parole e con piú brevità che sia possibile, non posso onestamente denegare tal cosa, essendo con- venientissima al Stato vostro, e utile a tutto el popolo, e necessaria al presente allo officio mio. Perché, avendo io predicato molti anni per voluntà di Dio in questa vostra città, e sempre prosequitate quattro materie: cioè, sforzatomi con ogni mio ingegno di provare la fede essere vera; e di dimostrare la simplicità della vita cristiana essere somma sa- pienzia; e denunziare le cose future, delle quali alcune sono venute e le altre di corto hanno a venire; e, ultimo, di questo nuovo governo della vostra città: e avendo già posto in scritto le tre prime, delle quali però non abbiamo ancora pubblicato il terzo libro, intitulato Della verità profetica, resta che noi scriviamo ancora della quarta materia, acciò che tutto el mundo veda che noi predi- chiamo scienzia sana e concorde alla ragione naturale e alla dottrina della Chiesa. E avvenga che mia intenzione fusse e sia di scrivere di questa materia in lingua latina, come sono ancora stati composti da noi li primi tre libri, e dichiarare come e quanto e quando si aspetta a uno religioso a trattare e impacciarsi delli Stati seculari; niente- dimeno, chiedendomi le Signorie Vostre che io scriva volgare e brevissimamente per piú commune utilità, essendo pochi quelli che intendono il latino a comparazione delli uomini litterati, non mi rincrescerà prima espedire questo trattatello; e dipoi, quando poterò essere piú libero dalle occupazioni presenti, metteremo mano al latino con quella grazia che ci concederà lo onnipotente Dio. Prima, adunque, brevemente tratteremo dello ottimo governo della città di Firenze: secondo, del pessimo. Perché, avvenga che prima bisogni escludere el male, e dipoi edificare el bene, nientedimeno, perché el male è privazione del bene, non si poteria in- tendere il male se prima non si intendessi el bene. E però è necessario, secondo l’ordine della dottrina, trattare prima del governo ottimo, che del pessimo. Terzio, noi dechiareremo qual sia il fundamento da tòrre via el governo pessimo, e da fundare e fare per- fetto e conservare el presente buon governo, acciò che diventi ottimo, in essa città di Firenze. 4 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola Trattato primo Che è necessario il governo nelle cose umane; e quale sia bono, e quale sia cattivo governo. Capitolo primo L’onnipotente Dio, el quale regge tutto l’universo, in due modi infunde la virtú del suo governo nelle creature. Però che nelle crea- ture, che non hanno intelletto e libero arbitrio, infunde certe virtú e perfezioni, per le quali sono inclinate naturalmente ad andare per li debiti mezzi al proprio fine, senza difetto, se già non sono impedite da qualche cosa contraria: il che accade rare volte. Onde tale creature non governano sé medesime, ma sono governate e menate alli fini proprii da Dio e dalla natura data da lui. Ma le cre- ature, che hanno el dono dello intelletto, come è l’uomo, sono da lui per tale modo governate, che ancora vuole che si governino sé medesime: perché dà a loro el lume dello intelletto, per lo quale possino cognoscere quello che li è utile e quello che li è inutile, e la facultà del libero arbitrio da potere eleggere liberamente quello che a loro piace. Ma perché el lume dello intelletto è molto debi- le, massime nella puerizia, non può perfettamente uno uomo reggere sé medesimo senza adiutorio dell’altro uomo, essendo mas- sime quasi ogni uomo particulare insufficiente per sé medesimo, non potendo provedere solo a tutti li suoi bisogni cosí corporali come spirituali. Onde noi vediamo che la natura ha provisto a tutti li animali di quello che hanno bisogno per la vita loro, cioè, di cibo, di veste e d’arme da difendersi: e ancora, quando si infermano, per istinto naturale si governano e corrono all’erbe medicina- li; le quali cose non sono state proviste dall’uomo; ma Dio, governatore del tutto, ha dato a lui la ragione e lo instrumento delle mani, per le quali possa per sé medesimo prepararsi le predette cose. E perché considerata la fragilità del corpo umano, sono ne- cessarie quasi infinite cose per nutrirlo, augumentarlo e conservarlo, alla preparazione delle quali si richiedono molte arte, le quali sería impossibile o molto difficile che si potessino avere tutte insieme da un uomo solo, è stato necessario che li uomini vivino in- sieme, acciò che uno aiuti l’altro, dando opera alcuni a una arte e altri ad un’altra, e faccendo insieme tutto uno corpo perfetto di tutte le scienzie e arte. Per la quale cosa bene è detto, che chi vive solitario, o che è Dio, o che è una bestia; cioè, o che è tanto perfetto uomo, che è quasi come uno Dio in terra; perché come Dio non ha bisogno di cosa alcuna, cosí lui non ha bisogno di adiutorio di alcuno uomo, come fu santo Giovanni Battista e santo Paulo primo eremita e molti altri; o vero, che è come una bestia, cioè che è totalmente pri- vato della ragione: però non si cura di veste, né di case, né di cibi cotti e preparati, né di conversazione di uomini, ma va seguitan- do lo instinto della parte sensitiva, rimossa da sé ogni ragione. Perché dunque si truovono pochissimi uomini che siano o di tanta perfezione o di tanta bestialità, eccetti questi, tutti gli altri sono constretti a vivere in compagnia, o in città, o in castelle, o in ville, o in altri luoghi. Ora, essendo la generazione umana molto prona al male, e massime quando è senza legge e senza timore, è stato necessario trovare la legge, per refrenare l’audacia delli cattivi uomini, acciò che quelli che vogliono vivere bene siano sicuri, massime per- ché non è animale piú cattivo dell’uomo che è senza legge. Onde noi vediamo l’uomo goloso essere piú avido e piú insaciabile in- comparabilmente di tutti li altri animali, non li bastando tutti li cibi, né tutti li modi di cuocerli, che si truovano nel mondo, e cer- cando non di satisfare alla natura, ma al suo sfrenato desiderio. E similmente supera tutti li animali nella bestialità della lussuria, però che non serva, come le bestie, né tempi né modi debiti, anzi fa cose che a pensarle, anzi a udirle, sono abbominevoli, le quali né fa né si imagina di fare bestia alcuna. Nella crudeltà ancora li supera, perché non fanno le bestie cosí crudeli guerre insieme, massime quelle che sono d’una medesima specie, come fanno li uomini, li quali etiam truovano diverse arme da offendersi, e di- versi modi da martoriarsi e ammazzarsi. Oltre a queste cose, nelli uomini poi è la superbia, ambizione e invidia: dalle quali ne se- guita tra loro dissensione e guerre intollerabili. E però, essendo li uomini necessitati a vivere in congregazione delli altri, volendo vivere in pace, è bisognato trovare le leggie, per le quali li cattivi siano puniti e li buoni premiati. Ma perché non appartiene a fare leggie se non a chi è superiore, e non si possono fare osservare se non da chi ha potestà sopra li altri uomini, è stato necessario constituire chi abbia cura del ben commune e chi abbia potestà sopra li altri. Perché, cercando ogni uomo particulare il proprio bene, se qualcuno non avessi cura del ben commune, non poteria stare la conversazione umana e tutto el mondo anderia in confusione. Alcuni uomini dunque convenneno insieme di constituire un solo, che avessi cura del ben commune, al quale ognuno obedisse; e tale governo fu dimandato regno, e re colui che ’l governava. Alcuni altri, o per non potere convenire in uno, o per parergli meglio cosí, convenneno nelli principali e migliori e piú prudenti della communità, volendo che tali governassino, distribuendo tra loro li magistrati in diversi tempi; e questo fu domandato governo delli ottimati. Altri volseno ch’el governo rimanesse nelle mani di tutto el popolo, el quale avesse a distribuire li magistrati a chi li paresse, in diversi tempi; e questo fu chiamato governo civile, perché appartiene a tutti li cittadini. Essendo adunque el governo della communità trovato per avere cura del ben commune, acciò che li uomini possino vivere in- sieme pacificamente e darsi alle virtú e conseguitare piú facilmente la felicità eterna, quello governo è bono, el quale con ogni di- ligenzia cerca di mantenere e accrescere il ben commune e inducere li uomini alle virtú e al ben vivere, e massime al culto divino; e quello governo è cattivo, che lascia el ben commune e attende al suo bene particulare, non curando delle virtú delli uomini, né del ben vivere, se non quanto è utile al suo bene particulare: e tale governo si chiama tirannico. Sí che abbiamo vista la necessità del governo nelli uomini, e quale è buono, e quale è cattivo governo in generali. 5 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola Che, avvenga che il governo di uno, quando è buono, sia di sua natura ottimo, non è però buono a ogni communità. Capitolo secondo Essendo dunque quel governo buono, che ha cura del ben commune cosí spirituale come temporale, o sia amministrato per uno solo, o per li principali del popolo, o per tutto el popolo, è da sapere che, parlando assolutamente, el governo civile è buono, e quello degli ottimati è migliore, e quello de’ re è ottimo. Perché essendo la unione e pace del popolo el fine del governo, molto meglio si fa e conserva questa unione e questa pace per uno che per piú, e meglio per pochi che per la moltitudine; perché quando tutti li uomini di una communità hanno a risguardare ad uno solo e quello obedire, non si distragono in parte, ma tutti si constrin- gono nello amore o nel timore di quello. Ma quando sono piú, chi risguarda a uno e chi ad un altro, e a chi piace uno e a chi piace o dispiace un altro; e non rimane el popolo cosí bene unito come quando uno solo regna; e tanto meno rimane unito, quanto sono piú quelli che governano. Item, la virtú unita è piú forte che la dispersa: onde el fuoco ha piú forza quando ha unite e constrette in- sieme le sue parti, che quando le sono sparse e dilatate. Conciosia, adunque, che la virtú del governo sia piú unita e constretta in uno che in piú, seguita che di sua natura el governo di uno, quando è buono, sia migliore e piú efficace degli altri. Item, essendo el governo del mondo e della natura ottimo governo, e seguitando l’arte la natura, quanto piú el governo delle cose umane si assomiglia al governo del mondo e della natura, tanto piú è perfetto. Conciosia, adunque, ch’el mondo sia governato da uno, che è Dio, e tutte le cose naturali, nelle quali si vede qualche go- verno, siano governate per uno (come le ape per uno re, e le potenzie della anima per la ragione, e li membri del corpo per il core, e simile è nell’altre che hanno governo), seguita che quello governo delle cose umane, che si amministra per uno governatore, di sua natura sia ottimo tra tutti li governi. Onde el nostro Salvatore, volendo mettere nella Chiesa sua ottimo governo, fece Pietro capo di tutti li fideli, e in ogni diocesi, anzi in ogni parrocchia e monasterio, volse che si governassi per uno, e che finalmente tutti li capi minori fussino sotto un capo, vicario suo. Sí che, assolutamente parlando, el governo di uno, quando è buono, supera tutti li altri boni governi; e sería da instituire tale governo in ogni communità, s’el si potesse: cioè, che tutto el populo concordemente facesse uno principe buono e iusto e prudente, al quale ognuno avessi a obedire. Ma è da notare, che questo non è buono, né si può, né si debbe attentare in ogni communità, per- ché molte volte accade che quello che è ottimo assolutamente non sia buono, anzi sia malo in qualche luogo o a qualche persona, come è il stato della perfezione della vita spirituale, cioè il stato religioso, il quale in sé è ottimo stato, e nientedimeno non è da imponere tale stato a tutti li Cristiani; né tal cosa si debbe attentare, né sería buona, perché molti non la poteriano portare e fariano scissura nella Chiesa, come dice il nostro Salvatore nello Evangelio: “Niuno cuce il panno nuovo al vecchio, altrimenti si romperia il vecchio e fariasi maggiore scissura; e niuno mette il vino nelli utri vecchi, altrimenti si romperiano li utri e spargeriasi il vino”. Onde noi vediamo ancora che qualche cibo in sé è buono e ottimo, che a qualcuno, se lo mangiassi, sería veneno; e un’aria, in sé perfetta, è cattiva a qualche complessione. Cosí etiam il governo di uno in sé è ottimo, il quale però a qualche popolo inclinato alla dissensione sería cattivo e pessimo, perché spesso accaderia la persecuzione e morte del principe, dalla quale ne resulteria infiniti mali nella communità; perché morto el principe, el popolo si dividerebbe in parte, e ne seguiteria la guerra civile, faccendosi di- versi capi: tra li quali quello che superassi li altri, diventeria tiranno, e finalmente guasteria tutto il bene della città, come dimoster- remo di sotto. E se in tale popolo el principe si volessi assicurare e stabilirsi, sería necessario che lui diventassi tiranno e che scac- ciassi li potenti, e togliessi la roba alli ricchi, e aggravassi il popolo con molte angarie; altrimenti non si poteria mai assicurare. Sono dunque alcuni popoli, la natura delli quali è tale, che non può tollerare il governo di uno senza grandi e intollerabili in- convenienti: come la complessione e consuetudine di alcuni uomini, usi a stare all’aria e nelli campi, è tale che, che li volessi fare stare nelle buone e calde camere, con buone veste e cibi delicati, li faria subito infirmare e morire. E però li uomini savi e prudenti, li quali hanno a instituire qualche governo, prima considerano la natura del popolo; e se la natura sua o consuetudine è tale, che facilmente possa pigliare il governo di uno, questo innanzi alli altri instituiscono; ma se questo governo non li convenissi, si sfor- zano di darli el secondo, delli ottimati. E se questo ancora non lo potessi patire, li dànno el governo civile, con quelle legge che alla natura di tale popolo si convengano. Ora vediamo quale di questi tre buoni governi piú conviene al popolo fiorentino. Che il governo civile è ottimo in la città di Firenze. Capitolo terzio Non si può dubitare (chi considera diligentemente quello che noi abbiamo detto) che, s’el popolo fiorentino patisse il governo di uno, sería da instituire in lui uno principe, non un tiranno, el quale fussi prudente, iusto e buono. Ma se noi esaminiamo bene le sentenzie e ragioni delli sapienti, cosí filosofi naturali come teologi, cognosceremo chiaramente che, considerata la natura di que- sto popolo, non li conviene tale governo. Però che dicono tale governo convenirsi alli popoli che sono di natura servile, come sono quelli che mancano di sangue, o di ingegno, o dell’uno o dell’altro: però che, avvenga che quelli che abundano di sangue e son for- 6 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola ti di corpi siano audaci nelle guerre, nientedimeno, mancando di ingegno, è facil cosa farli stare subietti a un principe; perché con- tra di lui non son facili a machinare insidie per la debilità dello ingegno, anzi lo seguitano come fanno l’ape il suo re, come si vede nelli popoli aquilonari; e quelli che hanno ingegno, ma mancan di sangue, essendo pusillanimi, si lascian facilmente sottomettere a un solo principe, e quietamente vivano sotto quello, come son li popoli orientali, e molto piú quando mancassino in l’una e l’altra parte. Ma li popoli che sono ingegnosi e abundano di sangue e sono audaci, non si possono facilmente reggere da uno, se lui non li tiranneggia; perché continuamente, per lo ingegno, vanno machinando insidie contra el principe, e per la loro audacia facilmente le mettono in esecuzione, come si è visto sempre nella Italia, la quale sappiamo, per la esperienzia dei tempi passati insino al presen- te, che non ha mai potuto durare sotto el reggimento di uno principe: anzi vediamo che, essendo piccola provincia, è divisa quasi in tanti principi quante sono le città, le quali non stanno quasi mai in pace. Essendo dunque el popolo fiorentino ingegniosissimo tra tutti li popoli di Italia, e sagacissimo nelle sue imprese, ancora è ani- moso e audace, come si è visto per esperienzia molte volte; perché avvenga che sia dedito alle mercanzie e para quieto popolo, nientedimeno, quando comincia qualche impresa o di guerra civile o contra li nimici esterni, è molto terribile e animoso, come si legge nelle cronice delle guerre che ha fatte contra diversi grandi principi e tiranni, alli quali non ha mai voluto cedere, anzi final- mente si è difeso e ha riportata vittoria. La natura dunque di questo popolo non è da sopportare el governo di uno principe, etiam che fussi buono e perfetto; perché essendo sempre piú li cattivi che li buoni, per la sagacità e animosità de’ cittadini cattivi o che saria tradito e morto (essendo loro massimamente inclinati alla ambizione), o che bisogneria che diventassi tiranno. E, se piú dili- gentemente consideriamo, intenderemo che non solum non conviene a questo popolo el governo di uno, ma ancora non li conviene quello delli ottimati, perché la consuetudine è un’altra natura; però che, come la natura è inclinata a uno modo e non si può cavare di quello, come la pietra è inclinata a descendere e non si può fare salire se non per forza, cosí la consuetudine si converte in natu- ra, ed è molto difficile e quasi impossibile cavare li uomini, e massime li popoli, delle loro consuetudine, etiam male, perché tali consuetudini sono fatte a loro naturale. Ora el popolo fiorentino, avendo preso antiquamente el reggimento civile, ha in questo fatto tanta consuetudine, che, oltre che a lui questo è piú naturale e conveniente di ogni altro governo, ancora per la consuetudine è tanto impresso nella mente de’ cittadi- ni, che saria difficile e quasi impossibile a rimuoverli da tale governo. E avvenga che siano già molti anni governati da tiranni, nientedimeno quelli cittadini, che si usurpavano el principato in questo tempo, non tiranneggiavano per tal modo che liberamente si pigliassino la signoria del tutto, ma con grande astuzia governavano el popolo, non lo cavando del suo naturale e della sua con- suetudine: onde lasciavano la forma del governo nella città e li magistrati ordinarii, avendo però l’occhio, che in tali magistrati non entrassi se non chi era suo amico. E però, essendo rimasa la forma del governo civile nel popolo, è tanto a lui fatta naturale, che, a volerla alterare e dare altra forma di governo, non è altro che fare contra al suo naturale e contra la antiqua consuetudine; la qual cosa genereria tale turbazione e dissensione in questa communità, che la metteria a pericolo di farli perdere tutta la libertà: e que- sto molto meglio dichiara la esperienzia, che è maestra delle arti. Però che, ogni volta che nella città di Firenze è stato occupato il governo dalli principali, sempre è stata in gran divisione, e mai se è quietata insino che una parte non ha scacciata l’altra e che uno cittadino non è fatto tiranno; el quale, poi che è stato fatto, ha per tale modo usurpata la libertà e il ben commune, che li animi del popolo sono sempre stati malcontenti e inquieti; e se fu divisa e piena di discordia nelli tempi passati per la ambizione e per li odii delli principali cittadini, massimamente sería al presente, se Dio non li avessi per sua grazia e misericordia provisto, essendo ritor- nati li cittadini, li quali furno scacciati in diversi tempi da chi ha governato, massime dal ’34 in qua; ed essendosi in lei in questo tempo nutriti molti odii, per le iniurie fatte a diverse case e parentadi, per li quali, se Dio non li avessi posto la mano, si saria spar- so di molto sangue e disfatte molte case e sequitate discordie e guerre civili cosí dentro come di fuori. Ed essendo state le cose che sono state per la venuta del Re di Francia, non è dubbio ad alcuno, che si è trovato in essa città in questi tempi e ha qualche iudi- cio, che questa era l’ultima sua destruzione; ma il consiglio e governo civile, il quale fu in lei fundato non da uomini, ma da Dio, è stato instrumento della virtú divina, mediante le orazioni delli buoni uomini e donne, che si truovano in lei, a mantenerla nella sua libertà. E certo, chi non ha totalmente per li suoi peccati perso el iudicio naturale, considerando in quanti periculi è stata da tre anni in qua, non può negare che non sia stata governata e conservata da Dio. Dunque concludiamo che, sí per la autorità divina, dalla quale è proceduto il presente governo civile, sí per le ragioni prece- denti, nella città di Firenze il governo civile è ottimo, benché in sé non sia ottimo; e il governo di uno, benché in sé sia ottimo, non è però buono, non che ottimo al popolo fiorentino; come el stato della perfezione della vita spirituale è ottimo in sé benché non sia ottimo né buono a molti fideli Cristiani, alli quali è ottimo qualche altro stato di vita, il quale in sé non è ottimo. Abbiamo dunque dichiarato el primo punto, cioè quale sia el governo ottimo della città di Firenze: ora è tempo di dichiarare el secondo, cioè, quale sia el pessimo governo in lei. 7 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola Trattato secondo Che il governo di uno, quando è cattivo, sia pessimo, massime di quello che, di cittadino, è fatto tiranno. Capitolo primo Come el regno di uno, quando è buono, è ottimo tra tutti li governi, cosí ancora è piú stabile, e non cosí facilmente si converte in tirannide, come il regno di piú: però che, quanto piú si dilata el governo, tanto diventa piú facile a generare discordie. Nientedime- no, come è perfetto e piú stabile quando è buono, cosí, quando è iniusto e cattivo, è pessimo di sua natura tra tutti li cattivi governi. Prima, perché, come il male è contrario al bene, cosí el pessimo è contrario allo ottimo: essendo dunque il governo di uno ottimo quando è buono, seguita che sia pessimo quando è cattivo. Item, come abbiamo detto, la virtú unita è piú forte che quando ella è dispersa: quando dunque regna uno tiranno, la virtú di tale cattivo governo è unita in uno; e perché son sempre piú li cattivi che li buoni e ogni simile ama il suo simile, tutti li cattivi uomini cercan di unirsi a lui, massime quelli che desiderano di essere premiati e onorati, e molti ancora si uniscono per timore; e quelli uomini che in tutto non sono pravi, ma pure amano le cose terrene, o per timore, o per amore di quello che desiderano, li fanno coda; e quelli che sono buoni, ma non in tutto perfetti, per timore seguitano, e non hanno ardire di resistere; e trovandosi pochi uomini perfetti, anzi quasi niuno, tutta la virtú del governo si unisce in uno. E però, essendo quello uno cattivo e iniusto, conduce ogni male a perfezione e facilmente deprava ogni cosa buona. Ma quando sono piú cattivi che regnano, uno impedisce l’altro; essendo la virtú del regno sparsa in piú, non hanno tanta forza a fare quel male che desiderano quanta ha uno tiranno solo. Item, tanto uno governo è piú cattivo, quanto piú si parte dal ben commune, perché essendo il ben commune fine di ogni buono governo, quanto piú si accosta a quello, tanto piú è perfetto; e quanto piú si allonga da quello, tanto è piú imperfetto: perché ogni cosa acquista la sua perfezione per accostarsi al suo fine e, discostandosi da quello, diventa im- perfetta. Ma certa cosa è, ch’el governo cattivo di molti si discosta manco dal bene commune, che quello di uno; perché avvenga che quelli piú si usurpino el bene commune e lo dividino tra loro, cioè l’entrate e le dignitate, nientedimeno, rimanendo in piú per- sone, in qualche modo tal bene rimane commune. Ma quando tutto el ben commune si risolve in uno, non rimane in parte alcuna commune, anzi diventa tutto particulare; e però il cattivo governo di uno, tra li altri governi, è pessimo, perché si parte piú dal ben commune ed è piú destruttivo di quello. Item, queste ragioni aiuta la diuturnità, perché il governo di uno di sua natura è piú stabile che quello di piú, e non si può (benché sia cattivo) cosí facilmente impedire e spegnere, come quello di piú; perché li membri van- no drieto al capo, e con gran difficultà insurgono contra il capo. E nel governo del tiranno è molto difficile a fare uno capo contra di lui: però che lui sempre vigila a spegnere li uomini che poteriano fare capo, ed è sollecito a fare che li sudditi non possino fare ragunate, e sempre sta vigilante in queste cose. Ma, quando piú persone governano, è piú facil cosa a tôr via il loro cattivo gover- no, perché si può piú facilmente congregare li uomini buoni con chi va bene, e mettere dissensione tra li cattivi, acciò che non si unischino insieme: il che è facile, perché ciascheduno di loro cerca il bene proprio, per el quale presto tra loro nasce discordia. E però il cattivo governo di uno, quanto a questa parte, è ancora piggiore delli altri, perché è piú difficil cosa impedirlo e spegnerlo. Bisogna però notare che, avvenga che di sua natura il cattivo governo di uno sia pessimo, nientedimeno qualche volta accadono piú grandi inconvenienti nel cattivo governo di piú che in quello di uno, massime nel fine; perché, quando el governo di piú è cat- tivo, incontinente è diviso in piú parti, e cosí si comincia a dilacerare il ben commune e la pace, e finalmente, se non si rimedia, bisogna che una parte rimanga superiore e scacci l’altra. Dalla qual cosa ne seguita infiniti mali, e temporali, e corporali, e spiri- tuali: tra’ quali el massimo è che il governo di piú si risolve in uno, perché quello, che ha piú favore nel popolo, diventa, di cittadi- no, tiranno. E avvenga che il governo di uno, quando è cattivo (come abbiamo detto) sia pessimo, nientedimeno è grande differen- zia dal governo di colui che è diventato, di naturale e vero signore, tiranno, e dal governo di colui che, di cittadino, è diventato ti- ranno, perché da questo ne seguita molto piú inconvenienti che dal primo; però che, se lui vuole regnare, li bisogna spegnere, o per morte, o per esilio, o per altri modi, li cittadini, non solamente suoi avversarii, ma tutti quelli che li sono equali o di nobiltà, o di ricchezze, o di fama; e tôrsi dinanzi dagli occhi tutti quelli che li possono dare noia: dalla qual cosa ne seguirà infiniti mali. Ma questo non accade in quello che sia stato signore naturale, perché non ha alcuno che li sia equale, e li cittadini, essendo usi ad esse- re subietti, non vanno macchinando cosa alcuna contra il stato suo: onde lui non vive in quelle suspizioni nelle quale vive il citta- dino fatto tiranno. E perché nelli popoli, che hanno governo di ottimati o governo civile, è facile, per le discordie delli uomini che occorrono ogni giorno e per la moltitudine delli cattivi e susurroni e maledici, fare divisione e incorrere nel governo tirannico, debbeno tali popoli con ogni studio e diligenzia provedere con fortissime legge e severe, che non si possi fare tiranno alcuno, punendo di estrema pu- nizione non solamente chi ne ragionasse, ma etiam chi tal cosa accennasse; e in ogni altro peccato avere compassione a uomo, ma in questo non li avere compassione alcuna, eccetto che l’anima si debbe sempre aiutare: onde non si debbe minuire pena alcuna, anzi accrescerla per dare esemplo a tutti, acciò che ognuno si guardi, non dico di accennare tal cosa, ma etiam di pensarla. E chi in questo è compassionevole, o negligente a punire, pecca gravissimamente appresso a Dio, perché dà principio al tiranno, dal cui governo ne seguitano infiniti mali, come dimonsterremo di sotto; perché, quando li cattivi uomini vedeno che le punizioni sono leggieri, pigliano ardire, e a poco a poco si conduce la tirannia, come la gocciola della acqua a poco a poco cava la petra. Colui dunque, che non ha punito tal peccato gravemente, è causa di tutti li mali che seguitano della tirannia di tali cittadini; e però debbe ogni popolo, che si governa civilmente, piú tosto sopportare ogni altro male e inconveniente che seguitassi dal governo civile, 8 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola quando è imperfetto, che lasciare surgere uno tiranno. E perché ognuno intenda meglio quanto male seguita dal governo del tiran- no, benché altra volta ne abbiamo predicato, nondimeno, a maggiore intelligenzia, lo descriverremo nel sequente capitolo, quanto alle cose principali: perché volere dire tutti li suoi mancamenti, e abusione, e gravi peccati, e quelli mali seguitano da lui, sería im- possibile, essendo infiniti. Della malizia e pessime condizioni del tiranno Capitolo secondo Tiranno è nome di uomo di mala vita, e pessimo tra tutti gli altri uomini, che per forza sopra tutti vuole regnare, massime quello che di cittadino è fatto tiranno. Perché, prima, è necessario dire che sia superbo, volendo esaltarsi sopra li suoi equali, anzi sopra li migliori di sé e quelli a’ quali piú tosto meriteria di essere subietto: e però è invidioso, e sempre si contrista della gloria delli altri uomini, e massime delli cittadini della sua città; e non può patire di udire laudare altri, benché molte volte dissimuli e oda con cru- ciato di core; e si allegra delle ignominie del prossimo per tal modo, che vorria che ogni uomo fussi vituperato, acciò che lui solo restassi glorioso. E per le gran fantasie e tristizie e timori, che sempre lo rodono dentro, cerca delettazioni come medicine delle sue afflizioni: e però si truova rare volte, o non forse mai, tiranno che non sia lussurioso e dedito alle delettazioni della carne. E perché non si può mantenere in stato, né dare li piaceri che desidera, senza moltitudine di danari, seguita che inordinatamente appetisca la roba: onde ogni tiranno, quanto a questo, è avaro e ladro, però che non solamente ruba el principato, che è di tutto el popolo, ma ancora si usurpa quello che è del commune, oltra le cose che appetisce e toglie delli particulari cittadini con cautele e vie occulte, e qualche volta manifeste. E da questo seguita, ch’el tiranno abbia virtualmente tutti li peccati del mondo. Prima, perché ha la super- bia, lussuria e avarizia, che sono le radice di tutti li mali. Secondo, perché avendo posto el suo fine nel stato che tiene, non è cosa che non faccia per mantenerlo; e però non è male che lui non sia apparecchiato a fare, quando fusse al proposito del stato, come la esperienzia dimostra, chè non perdona il tiranno a cosa alcuna per mantenersi in stato; e però ha in proposito, o in abito, tutti li peccati del mondo. Terzio, perché dal suo perverso governo ne seguitano tutti li peccati nel popolo; e però lui è debitore di tutti, come se lui li avessi fatti: onde seguita che ogni parte dell’anima sua sia depravata. La memoria sua sempre si ricorda delle iniurie, e cerca di vendicarsi, e dimenticasi presto li beneficii delli amici; lo intelletto sempre adopera a machinare fraude e inganni e altri mali; la voluntà è piena di odii e perversi desiderii, la imaginazione di false e cattive representazioni; e tutti li sensi esteriori ado- pera male o in proprie concupiscenzie, o in detrimento e derisione del prossimo, perché è pieno di ira e di sdegno. E questo a lui interviene, perché ha posto el fine suo in tale stato, che è difficile, anzi impossibile a mantenerlo longamente; però che niuno vio- lento è perpetuo: onde, cercando di mantenere per forza quello che per sé rovina, bisogna che sia molto vigilante. Ed essendo el fine cattivo, ogni cosa a lui ordinata bisogna che sia cattiva; e però non può mai pensare il tiranno, né ricordarsi, né imaginarsi, né fare se non cose cattive; e se pure ne fa qualcuna buona, non la fa per far bene, ma per acquistare fama e farsi amici, per potersi meglio mantenere in quello perverso stato: onde è come el diavolo, re delli superbi, che mai non pensa altro che male; e se pure dice qualche verità e fa qualche cosa che ha specie di bene, tutto ordina a cattivo fine, e massime alla sua gran superbia. Cosí el tiranno tutti li beni che fa, ordina alla sua superbia, nella quale per ogni modo e via cerca di conservarsi: e però quanto il tiranno di fuori si dimonstra piú constumato, tanto piú è astuto e piú cattivo e amaestrato da maggiore e piú sagace diavolo, el quale si tran- sfigura nello angelo della luce per dare maggiore colpo. Ancora, el tiranno è pessimo quanto al governo, circa al quale principalmente attende a tre cose. Prima, che li sudditi non in- tendino cosa alcuna del governo, o pochissime e di poca importanzia, perché non si cognoschino le sue malizie. Secundo, cerca di mettere discordia tra li cittadini, non solamente nelle città, ma etiam nelle castelle e ville e case, e tra li suoi ministri, ed etiam tra li consiglieri e familiari suoi; perché cosí come il regno di uno vero e iusto re si conserva per la amicizia delli sudditi, cosí la tirannia si conserva per la discordia delli uomini, però che il tiranno favorisce una delle parti, la quale tiene l’altra bassa e fa forte el tiran- no. Terzio, cerca sempre di abbassare li potenti, per assicurarsi; e però amazza o fa male capitare li uomini eccellenti, o di roba, o di nobilità, o d’ingegno, o di altre virtú; e li uomini savii tiene senza reputazione, e fagli schernire per tôrgli la fama, acciò che non siano seguitati: non vuole avere per compagni li cittadini, ma per servi: proibisce le congregazioni e ragunate, acciò che li uomini non facciano amicizia insieme, per paura che non facessino coniura contra di lui; e si sforza di fare che li cittadini siano insieme piú salvatichi che si può, conturbando le amicizie loro, e dissolvendo li matrimonii e parentadi, volendoli fare a suo modo, e, dipoi che sono fatti, cerca di mettere discordia tra li parenti, e ha li esploratori e le spie in ogni loco, che li referiscono ciò che si fa o che si dice, cosí maschi come femine, cosí preti e relligiosi come seculari: onde fa che la sua donna e le figliuole, o sorelle e parente, abbino amicizia e conversino con le altre donne, acciò che cavino li secreti delli cittadini da loro e tutto quello che fanno o dicono in casa. Studia di fare ch’el popolo sia occupato circa le cose necessarie alla vita; e però, quanto può, lo tiene magro con gravezze e ga- belle. E molte volte, massime in tempo di abondanzia e quiete, lo occupa in spettaculi e feste, acciò che pensi a sé e non a lui: e che similmente li cittadini pensino al governo della casa propria, e non si occupino nelli secreti dello Stato, acciò che siano ine- sperti e imprudenti nel governo della città, e che lui solo rimanga governatore, e para piú prudente di tutti. Onora li adulatori, acciò che ognuno si sforzi di adularlo e di essere con lui; e ha in odio chi dice la verità, perché non vuole che li sia repugnato; e però ha a sdegno li uomini liberi nel parlare e non li vuole appresso di sé. Non fa conviti molto con li suoi cittadini, ma piú tosto con li e- stranei. E tiene le amicizie de’ signori e gran maestri forestieri, perché li cittadini reputa suoi avversarii e di loro ha sempre paura; e però cerca di fortificarsi contra di loro con li forestieri. Nel governo suo vuole essere occulto, dimonstrando di fuora di non go- vernare, e dicendo e faccendo dire alli complici suoi, che lui non vuole alterare el governo della città, ma conservarlo; onde cerca di essere dimandato conservatore del bene commune, e dimonstrasi mansueto ancora nelle cose minime, dando qualche volta au- 9 Trattato sul governo di Firenze Girolamo Savonarola dienzia a fanciulli e fanciulle, o a persone povere, e difendendole molte altre volte etiam dalle minime iniurie. E di tutti li onori e dignità, che si distribuiscono alli cittadini, lui se ne monstra autore, e cerca che ognuno le ricognosca da lui; ma le punizioni di quelli che errano, o che sono incolpati dalli suoi complici per abbassarli, o farli mal capitare, le attribuisce alli magistrati, e si e- scusa di non potere aiutarli, per acquistare fama e benivolenzia nel popolo e per fare che quelli, che sono nelli magistrati, sieno o- diati da quelli che non intendono le sue fraude. Similmente cerca di apparire relligioso e dedito al culto divino; ma fa solamente certe cose esteriori, come andare alle chiese, fare certe elimosine, edificare templi e cappelle, o fare paramenti, e simile altre cose, per ostentazione. Conversa etiam con relli- giosi, e simulatamente si confessa da chi è veramente religioso, per parere di essere assoluto; ma, dall’altra parte, guasta la relli- gione, usurpando li beneficii e dandoli alli suoi satelliti e complici, e cercandoli per li suoi figliuoli; e cosí si usurpa li beni tempo- rali e spirituali. Non vuole che alcuno cittadino faccia alcuna cosa eccellente, come maggiori palagi, o conviti, o chiese, o maggio- ri opere nel governo o nelle guerre di lui, per parer lui solo singulare. E molte volte abbassa occultamente li uomini grandi, e, poi che li ha abbassati, li esalta manifestamente ancora piú che prima, acciò che loro si reputino obligati a lui, e che el popolo lo reputi clemente e magnanimo, per acquistare piú favore. Non lascia fare iustizia alli iudici ordinarii, per favorire e per amazzare o abbassare chi piace a lui. Usurpasi li denari del com- mune, e truova nuovi modi di gravezze e angherie, per congregare pecunia; della quale nutrisce li suoi satelliti, e con essa conduce al soldo principi e altri caporali, molte volte senza bisogno della communità, per dare loro qualche guadagno e farseli amici, e per potere piú onestamente aggravare el popolo, dicendo che bisogna pagare li soldati. E per questa cagione ancora muove e fa muo- vere guerre senza utilità, cioè che per quelle non cerca né vuole vittoria, né pigliare le cose d’altri, ma solamente lo fa per tenere il popolo magro e per stabilirsi meglio nel stato suo. Ancora delle pecunie del commune molte volte edifica palazzi grandi e templi, e le arme sue appicca per tutto: e nutrisce cantori e cantatrice, perché cerca di essere solo glorioso. A’ suoi allevati, che sono di bassa condizione, dà la figliuole delli cittadini nobili per donne, per abbassare e tôrre la reputazione a’ nobili ed esaltare tale per- sone vile, le quali sa che li saranno fidele, perché non hanno generosità d’animo, ma hanno bisogno di lui, essendo communemen- te tali persone superbe, e reputando tale amicizia essere grande beatitudine. Li presenti riceve volentieri, per congregare roba, e però rare volte presenta li cittadini, ma piú tosto li principi e li forestieri, per farsegli amici. E quando vede qualche cosa di uno cittadino, che li piaccia, la lauda e guarda, e fa tali gesti, che dimostra di volerla, acciò che quel tale o per vergogna o per paura gliele doni; e ha appresso di sé li adulatori, che eccitano quel tale ed esortano a fargliene un presente: e molte volte le cose che li piacciono se le fa prestare, e poi non le rende mai. Spoglia le vedove e pupilli, fingendo di volerli difendere; e toglie le possessioni e campi e case ai poveri per fare parchi, o pianure, o palazzi, o altre cose da darsi piacere, promettendo di pagarli el giusto prezzo, e poi non ne paga la metà. Non rende ancora la mercede a chi li serve in casa, come merita, volendo che ognuno abbia di grazia a servirlo. Li suoi satelliti cerca di pagarli della roba d’altri, dando loro officii o beneficii, che non meritano, e togliendo ad altri li officii della città e dandogli a loro. E se qualche mercatante ha grande credito, cerca di farlo fallire, acciò che niuno abbia credito come lui. Esalta li cattivi uomini, li quali senza la sua protezione seriano puniti dalla iustizia, acciò che lo difendino, difendendo in que- sto modo ancora sé medesimi: e se pure esalta qualche uomo savio e buono, lo fa per dimonstrare al popolo che è amatore delle virtú: nientedimeno a tali savii e buoni sempre tiene l’occhio adosso, e non si fida di loro, e però li tiene per tale modo, che non li possino nuocere. Chi non lo corteggia e chi non si presenta alla casa sua o quando è in piazza, è notato per inimico; e ha li suoi satelliti in ogni luogo, che vanno sviando li giovani e provocandogli al male, etiam contra li padri proprii, e conducongli a lui, cercando di impli- care tutti li giovani della terra nelli suoi malvagi consigli e farli inimici a tutti quelli che lui reputa suoi avversarii, etiam al padre proprio; e si sforza di farli consumare la roba in conviti e in altre voluttà, acciò che diventino poveri, e lui solo rimanga ricco. Non si può fare officiale alcuno, che lui non voglia sapere, anzi, che lui non voglia fare; e insino alli cuochi del palazzo e fami- gli de’ magistrati non vuole che senza suo consentimento si faccino. Esalta nelli officii molte volte il minore fratello, o el minore della casa, o che sia di manco virtú e bontà, per esaltare li maggiori e migliori ad invidia e odio, e mettere tra loro discordia. Non si può dare sentenza né lodo, né fare alcuna pace, senza lui, perché lui sempre cerca di favorire una parte e abbassare l’altra, che non è cosí secondo la sua voluntà. Tutte le buone legge cerca con astuzia di corrompere, perché sono contrarie al suo governo iniusto; e fa continuamente nuove legge a suo proposito. In tutti li magistrati e officii, cosí dentro della città come di fuori, ha chi vigila, e chi referisce ciò che si fa e dice, e chi dà legge da sua parte a tali officiali come hanno a fare: onde lui è il refugio di tutti li uomini scelerati e lo esterminio delli iusti. Ed è sommamente vendicativo, in tanto che etiam le minime iniurie cerca con grande crudelità di vindicare, per dare timore alli altri, perché lui ha paura di ognuno. E chi sparla di lui, bisogna che si asconda, perché lo perseguita etiam insino nelle estreme parti del mondo; e con tradimenti, o con veneni, o altri modi, fa le sue vendette, ed è grande omicida, perché desidera sempre di rimovere li ostaculi del suo governo, benché sempre monstri di non essere quello, e che li rincresca della morte di altri. E simula molte volte di volere punire che ha fat- to tale omicidio, ma poi lo fa fuggire occultamente; il quale, simulando dopo un certo tempo di chiedere misericordia, lo ripiglia e tienlo appresso di sé. Ancora el tiranno in ogni cosa vuole essere superiore, etiam nelle cose minime, come in giucare, in parlare, in giostrare, in far correre cavalli, in dottrina; e in tutte le altre cose, nelle quale accade concorrenza, cerca sempre di essere el primo; e quando per sua virtú non può, cerca di essere superiore con fraude e con inganni. E, per tenersi piú in reputazione, è difficile a dare audienzia, e molte volte attende a’ suoi piaceri e fa stare li cittadini di fuori e aspettare, e poi dà loro audienzia breve e risposte ambigue; e vuole essere inteso a cenni, perché pare che si vergogni di volere e chiedere quello che è in sé male, o di denegare el bene; però dice parole mozze, che hanno spezie di bene, ma vuole essere inteso. E spesso schernisce li uomini da bene con parole o con atti, ridendosi con li suoi complici di loro. 10