Rivista semestrale diretta da Pierantonio Frare Comitato Scientifico e di Redazione: Erminia Ardissino, Maria Teresa Girardi, Javier Gutiérrez Carou, Elena Landoni, Bart van den Bossche, Corrado Viola Direttore responsabile Enzo Noè Girardi issn 1123-4660 issn elettronico 1724-1782 * Direzione Pierantonio Frare, Università Cattolica del Sacro Cuore Largo Gemelli 1, i 20123 Milano, tel. +39 0272342723, fax +39 0272342740, [email protected] Casa editrice Fabrizio Serra editore Casella postale n. 1, Succ. n. 8, i 56123 Pisa, [email protected] I prezzi ufficiali di abbonamento cartaceo e/o Online sono consultabili presso il sito Internet della casa editrice www.libraweb.net Print and/or Online official subscription rates are available at Publisher’s web-site www.libraweb.net. 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Il lavoro di lettura e di valutazione degli articoli usciti in «Testo» 61-62 (numero monografico che raccoglie gli atti del Convegno dantesco Il centro e il cerchio) è stato svolto, oltre che da tutti i membri del Comitato Scientifico della rivista, dagli organizzatori del Convegno stesso e dalla curatrice degli atti: Carlo Annoni, Andrea Battistini, Cristina Cappelletti, Pierantonio Frare. SOMMARIO articoli Ezio Puglia, Il doppio e la statua assassina: un problema di tematologia 9 Margherita Lecco, Fonti francesi per il «Cantare di Carduino» 21 Laura Maccari, I luoghi sublimi nella «Gerusalemme Liberata» 39 Alessandro Metlica, Italianismo e propaganda cesarea alla corte di Vien- na (1655-1657) 61 Enrico Zucchi, Metastasio e Calzabigi all’origine dei cori alfieriani. Note su Alfieri lettore della tradizione corale italiana 77 Emanuele La Rosa, Vie per un dadaismo italiano: la rivista mantovana « Bleu» tra astrattismo, Evola e Van Doesburg 93 note Giuseppe Alonzo, Rassegna mariniana (2007-2013) 115 Gabriele Antonini, Rassegna bibliografica sveviana (2005-2012) 133 recensioni Edoardo Fumagalli, Il giusto Enea e il pio Rifeo. Pagine dantesche (Monica Bisi) 161 Isabella Becherucci, L’alterno canto del Sannazaro. Primi studi sull’«Arca- dia» (Giacomo Vagni) 164 Sforza Oddi, Commedie (L’eterofilomachia, I morti vivi, Prigione d’amore) a cura di Anna Rita Rati (Valentina Marchesi) 167 Antonio Fogazzaro – Carl Muth, Carteggio (1903-1910), a cura di Elena Raponi (Claudia Crevenna) 169 Davide Savio, Il carnevale dei morti. Sconciature e danze macabre nella narra- tiva di Luigi Pirandello (Paola Ponti) 171 Grazia Deledda, L’edera, edizione critica a cura di Dino Manca; Giusep- pe Dessì, Le carte di Michele Boschino, edizione critica a cura di Dino Man- ca (Maria Antonietta Marogna) 173 Roberto Salsano, Michelstaedter tra D’Annunzio, Pirandello e il mondo del- la vita (Massimo Migliorati) 176 Luciano Parisi, Uno specchio infranto. Adolescenti e abuso sessuale nell’opera di Alberto Moravia (Valentina Mascaretti) 177 notizie dai convegni I ‘cantici’ di Manzoni (Ginevra, 15-16 maggio 2013) (Monica Bisi) 181 Giancarlo Pontiggia, Libri di poesia 185 Libri ricevuti 189 Riviste ricevute 191 Ci ha lasciati troppo presto il professore ordinario Svend Bach (1945-2013), fon- datore e animatore della cattedra di Lingua e Letteratura italiana all’Univer- sità di Aarhus (Danimarca) dal 1975 al 2008; e prezioso e competente collaboratore dello Schedario manzoniano internazionale di questa rivista a partire dal 2005. Italianista a tutto tondo, divideva le sue profonde competenze tra lingua, let- teratura, musica e storia. Autore, tra l’altro di una Grande grammatica della lingua italiana, di cui aveva quasi terminato una seconda edizione, negli ultimi anni ha dedicato molte energie a promuovere la conoscenza internazionale del composi- tore Luigi Cherubini, attraverso una fondazione da lui promossa e sostenuta. Ai molti che lo hanno conosciuto mancheranno la sua generosità intellettuale, la sua capacità di ascoltare e la ponderatezza del suo giudizio equo e indipendente. Il Direttore e il Comitato Scientifico e di Redazione IL DOPPIO E LA STATUA ASSASSINA: UN PROBLEMA DI TEMATOLOGIA Ezio Puglia From a theoretical point of view, this paper deals with the age-old problem of the construction and the intersection of thematic fields. It does so by considering the relationship between the image of the double and the image of the murderous statue – especially the statue which kills by means of the resemblance that it bears to its victim. The author argues that in order to understand an important feature of literary images in general, the particular image of the statue, because of its unavoidable fictional concreteness, can be metaphorically considered as paradigmatic. The texts examined date from the last two centuries: among them are romances and short stories by Arnim, Eichendorff, Erckmann-Chatrian, Capuana, Brjusov and Pirandello. I n un saggio dedicato al tema del doppio, Jourde e Tortonese hanno scritto: Il doppio è letteralmente il prodotto di una sovrapposizione tra […] due altre tematiche, quella della scissione e quella del simulacro. Esso si situa esattamente all’incrocio, all’inter- sezione dei due schemi: la duplicità psicologica e l’identità fisica. Da un lato, una frattura, dall’altro, un raddoppiamento: associando i due, si ottiene sia una replica che scinde sia una scissione che sdoppia.1 È un dato di fatto: i temi del doppio, della scissione fisica e del simulacro appaiono talvolta, al lettore che è provvisto di un’enciclopedia di testi in cui essi sono pre- senti, disposti entro un medesimo orizzonte interpretativo. Ma nel brano citato si stabilisce anche un’indebita gerarchia all’interno di quello che, non tanto con Doležel quanto con Massimo Fusillo, possiamo chiamare campo tematico dell’iden- tità sdoppiata –2 un’espressione con cui in definitiva viene indicato lo spazio con- cettuale descritto da una costellazione di temi che è formata, oltre che dal doppio, da specchi e ombre, gemelli e ritratti.3 Questo è solo uno degli aspetti che da un punto di vista teorico mi paiono problematici nell’opera di Jourde e Tortonese; senza alcuno spirito polemico, ho intenzione di dire ancora qualcosa su di essa in un secondo momento. Per 1 Pierre Jourde, Paolo Tortonese, Visages du double. Un thème littéraire, Issoudun, Nathan, 20052, p. 178. La traduzione dei testi citati in lingua straniera è sempre nostra. 2 Lubomír Doležel, Le Triangle du double, «Poétique», 64, 1985, pp. 463-472; Massimo Fusillo, L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze, La Nuova Italia, 1998. Pur parlando, a proposito dell’«identità sdoppiata», di «campo tematico», Fusillo ha inteso quest’ultima nozione in un senso più ampio e meno strutturato di quanto non abbia fatto Doležel (ivi, p. 11). La rettifica operata da Fusillo, per sua esplicita affermazione, è in parte figlia delle riflessioni di Claude Bremond: infatti il primo concepisce il campo tematico come una sorta di «arcitema», che è concetto del secondo (cfr. Claude Bremond, Concept et thème, «Poétique», 64, 1985, pp. 415-423). 3 La gerarchizzazione operata da Jourde e Tortonese è ancora più esplicita nel brano se- guente: «Per quanto riguarda il doppio, delle figure secondarie come quelle del riflesso e dell’ombra costituiscono già delle forme complesse, che possono presentarsi in modi molto diversi» (op. cit., p. 91. La sottolineatura è mia). 10 ezio puglia ora voglio solo richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che, per esprimermi in questi termini, ogni attualizzazione di un tema è frutto di un’«intersezione» e di un’interazione, equivale a uno spostamento imprevedibile del tema; a meno che, in ultima istanza, non si voglia ammettere l’ipotesi che in certe opere si ma- nifesti l’espressione di temi ‘puri’; oppure che esistano al di là dei testi delle unità tematiche elementari, non tanto refrattarie a ulteriori divisioni, quanto a essere percepite come fenomeni che conservano una complessità essenziale, a dispetto di ogni processo semplificante. Viceversa a me pare che i temi non possano es- sere del tutto concettualizzati, spogliati della loro concretezza immaginativa; e che siano pur sempre il risultato di una pratica (nel caso specifico interpretativa) che di volta in volta li storicizza, e che li apre per questa via a processi di signifi- cazione sempre nuovi. Il terreno è malagevole, e per prudenza preferisco parlare, piuttosto che di attualizzazioni e di temi, di immagini letterarie, intese in senso stretto come rappresentazioni iconiche di enti che sono descritti dal testo come aventi una presenza fisica, di qualunque tipo essa sia, nell’universo finzionale. Così facendo viene assunto un atteggiamento simile a quello di Theodor Ziol- kowski, per il quale un’«immagine iconica in letteratura può funzionare come un tema, motivo o simbolo secondo le circostanze» –1 s’intenda, aggiungo, cir- costanze sia testuali sia ermeneutiche. Immagini letterarie dunque: da una parte immagini letterarie di doppi disfori- ci e inquietanti, dall’altra immagini letterarie di statue assassine, di marmo o di creta, di bronzo o di cera. Proviamo anzitutto a restringere al massimo grado il campo d’indagine; prendiamo in esame quelle imagines che uccidono o tentano di uccidere, di corrompere, di perdere la loro vittima tramite il rapporto di somi- glianza che intrattengono con essa. Poiché tra Settecento e Ottocento la raffigu- razione del doppio si è trasformata in tale misura rispetto al passato che si può parlare di una vera e propria palingenesi, non è del tutto arbitrario limitare l’ana- lisi ad alcune opere apparse a partire dall’inizio del xix secolo. Si prenda dunque Melück Maria Blainville, die Hausprophetin aus Arabien,2 un rac- conto di Achim von Arnim del 1812. Esiliato da Parigi a causa d’un intrigo amo- roso, il conte Saintrée giunge a Marsiglia. Vi incontra la bella e brillante Melück, una Turca avventurosamente approdata sulla costa mediterranea della Francia e subito accolta nei più illustri salotti cittadini, soprattutto per la sua abilità nell’ar- te della conversazione e in quella drammatica. Melück chiede al Conte, mostra- tosi in precedenza un esperto in materia, di darle dei suggerimenti di recitazione, ed egli acconsente ad avere un incontro in privato con lei. Si reca quindi a casa di Melück, la quale lo incita a mostrarle come le grandi attrici parigine portino il manto greco nelle tragedie classiche. Saintrée si drappeggia, ma la giornata «è troppo calda», e il suo giustacuore «lo soffoca, impedendogli di prendere le pose 1 Theodor Ziolkowski, Disenchanted Images. A Literary Iconology, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1977, p. 14. 2 Tradotto in Italia con il titolo Il manichino tragico (Roma, Lettere d’oggi, 1942; Roma, Editori Riuniti, 1983). il doppio e la statua assassina: un problema di tematologia 11 più disparate».1 Perciò se ne libera e lo infila a un modello da sartoria che dopo poco, in modo inspiegabile e sconcertante, serra le braccia e trattiene a sé l’in- dumento a dispetto di ogni tentativo di levarglielo. Da questo momento in poi il manichino comincia ad assomigliare sempre più al Conte – a mano a mano che questi si spegne affetto da una misteriosa e incurabile malattia –, fino a diventar- ne la copia perfetta in concomitanza con la morte di lui.2 Al termine del racconto si rimane esitanti: non è chiaro se sia stato un incantesimo di Melück a dare una parvenza di vita al fantoccio, oppure se una qualche animazione fosse posseduta originariamente dal manichino in quanto tale. In verità è ben più probabile che il modello si sia chissà come ‘attivato’ quando Saintrée lo ha abbigliato del pro- prio giustacuore, e che solo in un secondo momento sia stato sfruttato ai propri fini da Melück, innamoratasi del protagonista e desiderosa di tenerlo legato a sé contro la volontà di lui. Se ciò è vero, l’effetto prodotto dalle beffe che Saintrée si fa del manichino in occasione della vestizione non sarebbe privo d’affinità con quello sortito da don Juan, quando invita a cena la statua di don Gonzalo de Ul- loa.3 Comunque sia i destini del Conte e del modello da sartoria – che prende sempre più ai nostri occhi le fattezze di una di quelle statue di cera di cui Bernhild Boie ha potuto trovare tanti esempi nel Romanticismo tedesco –4 i due destini diventano indissolubilmente legati l’uno all’altro. Siamo di fronte a una propag- gine di quella lontana e ben conosciuta credenza transculturale che Weynants- Ronday, in uno studio sulla statuaria dell’antico Egitto, ha riassunto così: «Esiste un’intima connessione, sia fisica sia psicologica, tra l’immagine e la persona che richiama alla mente, tra la rappresentazione figurata e l’essere reale».5 Per da- re spiegazione dell’uso cultuale delle maschere mortuarie e delle figure di cera, Julius von Schlosser ha precisato che la connessione magica «agisce per mezzo della maggiore fedeltà possibile al modello vivente». Egli ha inoltre mostrato co- me l’arte di quelle che egli chiama «immagini-sortilegio» si sia progressivamente desacralizzata nel corso del Settecento, per non sopravvivere se non in forma degradata e grottesca.6 È un altro esempio di ciò che è stato da più parti rilevato, 1 Ivi, p. 19. 2 Saintrée non trova la morte a causa dell’influsso diretto del manichino, bensì in conseguenza di fatti storici: essa è il risultato di una delle sommosse che durante la Rivoluzione infuriano in Francia. Resta tuttavia un che d’irrisolto in questa spiegazione, piana e ineccepibile solo in ap- parenza. Per venirne a capo bisognerebbe occuparsi approfonditamente dei rapporti instaurati da Arnim tra Storia e destino, mondo magico e mondo disincantato. Più in generale, qualora si volesse comprendere il fantastico nel suo complesso, lo studio delle articolazioni testuali di sfera privata e sfera pubblica, casa e città, soprannaturale e Storia andrebbe affrontato con cura. 3 Sul risveglio della statua del Commendatore, si veda Denise Paulme, La Statue du Comman- deur. Essais d’ethnologie, Paris, le Sycomore, 1984, pp. 299 sgg., dove viene ricostruita la genealogia dell’episodio in modo molto convincente. 4 Cfr. Bernhild Boie, L’Homme et ses simulacres. Essai sur le romantisme allemand, Paris, Corti, 1979. 5 Marie-Claire Weynants-Ronday, Les Statues vivantes: Introduction à l’étude des statues égyp- tiennes, Bruxelles, Fondation Egyptologique Reine Elisabeth, 1926, p. 96. 6 Julius von Schlosser, Histoire du portrait en cire, Paris, Macula, 1997, pp. 13, 95. Si veda anche, per una discussione aggiornata di queste problematiche in campo artistico, David Freedberg, Il 12 ezio puglia ovvero del fatto che la letteratura fantastica si è appropriata di contenuti inquie- tanti solo nel momento in cui, nell’ambito del pensiero dominante, si è smesso di credere nel loro potere effettivo;1 solo quando, in questo caso specifico, quella che Foucault ha chiamato «età del simile» si è chiusa su se stessa.2 Lasciamo da parte il coinvolgimento della teoria freudiana del perturbante in quello che si direbbe un ritorno di credenze superate e volgiamoci verso un rac- conto che Erckmann-Chatrian hanno pubblicato per la prima volta su «L’Artiste» nel 1857: L’Œil invisible ou l’Auberge des Trois-Pendus. Qui l’immagine del simulacro assassino e quella del doppio sono ibridate in modo davvero notevole. La vecchia Flédermausse riesce a indurre al suicidio gli ospiti di una stanza d’albergo ubica- ta dirimpetto a una delle finestre del suo appartamento. E lo fa manovrando dei manichini in tutto e per tutto uguali alle sue vittime, che sono convinte di essere al cospetto di un altro se stesso. L’occhio invisibile è quello di un pittore – e non è casuale che si tratti proprio di un uomo che fa dell’imitazione della natura un’arte – che rimane alla posta per mesi, fino a scoprire la causa dei misteriosi suicidî della stanza d’albergo e a trovare il modo di ritorcere contro la diabolica Flédermausse la sua stessa arma. A mia conoscenza, escludendo l’episodio del giovinetto davan- ti allo specchio nel Teatro delle marionette di Kleist, è la prima volta che la relazio- ne tra simulacro e soggetto subisce una simile inversione: non è tanto il primo a imitare il secondo (anche se ovviamente tale imitazione preliminare è necessaria) quanto il vivente a imitare l’inanimato e ad assimilarsi a esso. Erckmann-Chatrian parlano espressamente del potere dello spirito d’imitazione, di un «entraînement bizarre de l’exemple»3 che non è senza rapporti con l’«olonismo» esaminato da de Martino e con il meccanismo dell’attractio similium già descritto da Hubert e Mauss.4 Il Novecento italiano non manca di doppi-statua: lo stesso paradigma magico evocato nell’Œil invisible, ma riproposto in chiave ironica, compare nella Cura co- potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni ed emozioni del pubblico, Torino, Einaudi, 20092. Freedberg sostanzialmente conferma quanto andiamo dicendo e sottolinea l’efficacia della somi- glianza in quanto tramite emozionale. 1 Roger Caillois, ad esempio, ha scritto che il fantastico «non avrebbe potuto sorgere se non dopo il trionfo della concezione scientifica di un ordine razionale necessario dei fenomeni, dopo il riconoscimento di un determinismo serrato nel concatenamento delle cause e degli effetti. In una parola, nasce dove ciascuno è più o meno persuaso dell’impossibilità del miracolo» (Antho- logie du fantastique, I, Paris, Gallimard, 1966, p. 9); cfr. anche Remo Ceserani, Le radici storiche di un modo narrativo, in Carla Benedetti, Remo Ceserani, Gianluigi Goggi, Lucio Lugnani, Emanuella Scarano, La narrazione fantastica, Pisa, Nistri-Lischi, 1983. Ai due critici potrebbero esserne aggiunti molti altri: su questo punto tra gli studiosi del fantastico letterario c’è un sostan- ziale accordo. 2 Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano, bur, 20046, p. 66. 3 Erckmann-Chatrian, Contes et romans nationaux et populaires, vii, Paris, J.-J. Pauvert, 1962, p. 389. 4 Cfr. Ernesto de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Bol- lati Boringhieri, 1973; Henri Hubert, Marcel Mauss, Saggio di una teoria generale della magia, in Marcel Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965. il doppio e la statua assassina: un problema di tematologia 13 modissima di Massimo Bontempelli, racconto comparso nella raccolta La donna dei miei sogni e altre storie d’oggi, la cui prima edizione è del 1926. L’immagine della sta- tua di cera, foggiata «per pigrizia» da un medico appassionato di magia medievale per curare dal proprio domicilio una nobile ipocondriaca che necessita di visite quotidiane, ha subìto quel processo di «disincantamento» di cui ha parlato Ziol- kowski, e che riproduce in ambito storico-letterario lo stesso processo di desacra- lizzazione delle «immagini-sortilegio» precedentemente avvenuto nel contesto della cultura materiale. L’imago necessaria all’envoûtement, che nel dannunziano Sogno d’un tramonto d’autunno (1898) era stata relegata in un universo programma- ticamente onirico e poetico, ricompare in un testo che, secondo la tradizione del fantastico, rivendica la propria verità referenziale. Un adeguamento a schemi pas- sati che coincide però con un gioco che reimpiega quegli stessi schemi in modo quasi parodico: il manichino non è usato per uccidere, bensì per curare la malata di cui è copia; e tutto si concluderebbe nel migliore dei modi se, sopravvenuto l’inverno, la cameriera del medico non accendesse inavvertitamente la stufa di terracotta su cui la cera anatomica è stata posta – provocando così il suo sciogli- mento e la conseguente sparizione della signora Libussa. Ben più macabro era stato, esattamente 25 anni prima, l’impiego da parte di Capuana di una delle immagini che stiamo indagando. Nel Busto un tale Doneglia si pone all’opera per ritrarre in creta il «savio» e «impassibile» dottor Maggioli.1 Inaspettatamente avviene che in quest’ultimo esploda un turbamento che lo spin- ge a distruggere la statua, ormai agli ultimi ritocchi, in cui lo scultore ha inserito per meglio modellarla un cranio umano. Sebbene da subito guardi con stupore la propria riproduzione, «quasi si fosse sdoppiato, o quasi che qualche cosa di lui si fosse trasfuso in quell’immagine» (p. 276), all’inizio Maggioli mantiene il dominio di sé. Ma in seguito, quando è venuto a conoscenza della presenza del cranio, il suo disagio aumenta: Mi pareva che l’impronta di vita del mio ritratto dovesse ridestare le funzioni intellettive della vuota cassa cerebrale, e produrre un turbamento che poteva oltrepassare l’opera d’arte e influire su l’originale, su me che mi vedevo rivivere in essa. Mi pareva anche di sentirmi un che di estraneo dentro la testa, quasi che quel cranio non fosse solamente incastrato nella creta, ma si fosse sostituito al mio, o almeno tentasse di sostituirsi al mio come per opera di magia (p. 278). Maggioli si sforza di non prendere sul serio ciò che giudica essere una «fanciullag- gine», ma le sensazioni di spossessamento del sé a vantaggio del defunto deten- tore del cranio si acuiscono, lo ossessionano al punto da impedirgli di nascondere un’angoscia che si vergognava di esprimere, e che lo porta irresistibilmente a sca- gliarsi contro il proprio simulacro. Un impeto in apparenza simile spingerà Tuda a lanciarsi contro la statua di Dia- na, posando per la quale la sua giovinezza si è quasi del tutto consumata e il suo senno quasi del tutto perduto; ma nel dramma di Pirandello, la cui complessità 1 Luigi Capuana, Il busto, in Idem, Racconti, iii, a cura di Enrico Ghidetti, Roma, Salerno Edi- trice, 1974, p. 274.