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Supplementi a "Il mondo come volontà e rappresentazione". PDF

444 Pages·2013·3.296 MB·Italian
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Piccola Biblioteca Einaudi 605 Nuova serie Classici. Filosofia Arthur Schopenhauer Supplementi a «Il mondo come volontà e rappresentazione» A cura di Giorgio Brianese Titolo originale Die Welt als Wille und Vorstellung © ??? © 2013 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzione di Giorgio Brianese www.einaudi.it Piccola Biblioteca Einaudi isbn 978-88-06-21878-7 Classici. Filosofia Indice p. vii Dire di no al mondo: la metafisica immanente di Schopenhauer di Giorgio Brianese xxxv Nota alla presente edizione xxxvii Ringraziamenti xxxix Elenco delle abbreviazioni xli Nota biografica Supplementi a «Il mondo come volontà e rappresentazione» 5 Supplementi al Libro primo 251 Supplementi al Libro secondo 469 Supplementi al Libro terzo 589 Supplementi al Libro quarto Dire di no al mondo: la metafisica immanente di Schopenhauer1 di Giorgio Brianese 1. L’opera di tutta una vita. Il mondo come volontà e rappresentazione esce in prima edizio- ne nel dicembre del 1818 (anche se la data riportata nel frontespi- zio è quella del 1819). Il libro è però davvero, per Schopenhauer, l’opera di tutta una vita, e l’unico pensiero che con esso egli intende comunicare è qualcosa che il filosofo continuerà incessantemen- te a pensare, sino agli ultimi giorni della sua vita. L’organismo in cui consistono la filosofia e l’opera di Schopenhauer2 è davvero, anche per questo aspetto, simile a un essere vivente, qualcosa che cresce nel tempo e con il passare del tempo matura, acquista con- sapevolezza, si completa. I Supplementi (Ergänzungen) che, a par- tire dalla seconda edizione (1844), arricchiscono il libro, ne sono la testimonianza concreta, non solo per quel che riguarda l’aspetto quantitativo (sarà necessario un secondo volume per contenerli), ma anche e soprattutto per quel che riguarda l’articolazione e lo sviluppo dei contenuti dell’opera principale. Nella Prefazione al- la seconda edizione Schopenhauer spiega di avere apportato solo modifiche di scarsa entità alla prima versione dell’opera, eccezion fatta per l’Appendice dedicata alla critica della filosofia kantiana, ampiamente corretta e arricchita: Per quel che riguarda ora questa seconda edizione, mi rallegra in primo luogo il fatto che dopo venticinque anni non trovo niente da ritrattare, ossia che le mie convinzioni fondamentali si sono mantenute solide almeno dentro me stesso. Le modifiche apportate al primo volume, che contiene solo il testo della prima edizione, non toccano quindi mai l’essenziale, ma in parte riguar- dano questioni secondarie e, piú diffusamente, consistono per lo piú in brevi paragrafi esplicativi che sono stati introdotti qua e là (Mondo 2013, p. 17). 1 Questo saggio, pur godendo di una sua autonomia, trova il proprio sfondo naturale nella Introduzione al Mondo come volontà e rappresentazione pubblicata, col titolo La paro- la dell’enigma e il demone dell’uomo, contestualmente a questo volume, nella stessa collana. 2 Nella Prefazione alla prima edizione, informando il lettore del fatto che il suo libro in- tende comunicare un unico pensiero, Schopenhauer spiega che le parti che lo costituiscono devono risultare «organicamente concatenate l’una all’altra» (Mondo 2013, p. 5). viii giorgio brianese dire di no al mondo ix Questo però non significa affatto che il quarto di secolo trascor- differenti [...]. D’altra parte il lettore troverà un qualche risarcimento per la so tra le due edizioni non abbia lasciato traccia, tutt’altro: la nuo- scomodità di dover utilizzare due volumi contemporaneamente nella varietà e nel respiro che porta con sé la trattazione dello stesso oggetto condotta a va edizione, infatti, viene pubblicata in due volumi, il secondo dei termine dalla stessa testa, con lo stesso spirito, ma in anni molto diversi. Nel quali – che viene qui proposto in una nuova traduzione, che com- frattempo consiglio assolutamente a chi non abbia già dimestichezza con la pleta quella del Mondo come volontà e rappresentazione che esce con- mia filosofia di leggere innanzitutto il primo volume senza consultare i supple- temporaneamente ad essa – integra ampiamente (ampiezza che sa- menti e di utilizzare questi ultimi soltanto per una seconda lettura; se facesse diversamente, gli risulterebbe difficile afferrare il sistema nel suo complesso, rà ancora maggiore nella terza edizione) ciascuno dei quattro libri cosí come lo espone da solo il primo volume, mentre nel secondo ciascuna del- che componevano originariamente il Mondo. Schopenhauer spiega le dottrine principali viene dimostrata con maggiore ampiezza e sviluppata in di avere preferito questa soluzione, anziché quella, apparentemen- modo completo (Mondo 2013, pp. 17-19). te piú naturale, di introdurre aggiustamenti piú o meno ampi nel Ecco il punto. I Supplementi al Mondo come volontà e rappresen- volume originario tazione sono, per lo stesso Schopenhauer, due cose insieme: da un perché i venticinque anni che sono trascorsi dalla prima edizione hanno mu- lato ampliamento e sviluppo dei temi proposti venticinque anni tato in modo cosí marcato la modalità dell’esposizione e il tono del discorso prima nel Mondo come volontà e rappresentazione, dall’altro quasi che non mi è parso utile fondere in un tutto unitario il contenuto del secon- do volume con quello del primo, dato che entrambi ne avrebbero sofferto. un’opera a sé stante, dotata di una sua autonomia e complemen- Presento perciò i due lavori separatamente e spesso non ho modificato nulla tare alla precedente. Certo, l’opera è una sola, e i temi affrontati della prima redazione, anche nei casi in cui adesso preferirei esprimermi in sono in larga misura gli stessi trattati un quarto di secolo prima, e modo differente, poiché ho voluto fare attenzione a non corrompere con la tuttavia la prospettiva, l’approfondimento, la ricchezza dei con- pedanteria dell’età il lavoro dei miei anni giovanili. Quello che sotto questo tenuti, se non la forza dell’argomentazione, che era già notevolis- aspetto dovrebbe essere corretto si rimetterà a posto da sé, nello spirito del lettore, con l’aiuto del secondo volume. I due volumi sono, nel senso pieno sima nella prima edizione, hanno sovente il carattere della novità. della parola, complementari: si completano reciprocamente in forza del fatto Quelle dei Supplementi, nelle quali Schopenhauer riprende e ap- che un’età della vita dell’uomo è, dal punto di vista intellettuale, il comple- profondisce, passo dopo passo, i grandi temi dell’opera principa- tamento dell’altra; si troverà, in questo senso, che non solo ciascun volume le, sono pagine ancora oggi sorprendenti per incisività, vivacità e, contiene quello che l’altro non ha, ma anche che i pregi dell’uno consistono proprio in ciò che è assente nell’altro. Se, di conseguenza, la prima metà del- soprattutto, per la ricchezza di prospettive che aprono a partire la mia opera ha sulla seconda il vantaggio che possono dare solo il fuoco della dai risultati raggiunti dal giovane filosofo nell’opera principale: giovinezza e l’energia della prima concezione, la seconda è superiore alla pri- una sorta di faccia a faccia di Schopenhauer con se stesso, tra lo ma in ragione della maturità e della compiuta elaborazione del pensiero, che Schopenhauer trentenne che scrive e pubblica per la prima volta il appartengono soltanto ai frutti di una lunga esistenza e del proprio costante proprio capolavoro e lo Schopenhauer sessantenne al tempo della impegno. Infatti, quando avevo la forza di afferrare il pensiero fondamentale del mio sistema sin dall’origine, di seguirlo subito nelle sue quattro ramifica- seconda edizione e settantenne al momento della terza, che guarda zioni, di tornare indietro da esse all’unità del loro ceppo e infine di esporre l’opera del giovane se stesso di un tempo, ne riconferma il valore con chiarezza il tutto, allora non potevo anche essere in grado di elaborare e, in un certo senso, la riscrive con voce matura, senza tuttavia mai sino in fondo tutte le parti del sistema con la compiutezza, la profondità e abbandonare la freschezza della giovinezza e senza nulla perdere l’estensione che possono essere raggiunte soltanto grazie a una meditazione in efficacia espressiva. Un solo esempio. La pagina con la quale si di molti anni, necessaria per provarlo e illustrarlo con fatti innumerevoli, per sostenerlo con le prove piú disparate, per illuminarlo da tutte le angolazioni, aprono questi Supplementi non solo è davvero molto suggestiva, per mettere coraggiosamente in contrasto con esso i punti di vista piú diversi, ma basta da sola a dare al lettore un’idea precisa dell’immagine per separare i diversi materiali in modo da averli dinanzi nella loro purezza del cosmo e del senso dell’esistenza che il filosofo ha elaborato e ed esporli nell’ordine migliore. Quindi, anche se il lettore avrebbe certamen- meditato e che intende sottoporre al lettore, se non addirittura del te preferito poter disporre della mia opera in un tutto compatto, invece che sistema schopenhaueriano nella sua interezza3: di un’opera composta di due metà che devono essere accostate l’una all’altra per poter essere utilizzate in modo corretto, è bene tuttavia ch’egli rifletta sul fatto che, per far questo, sarebbe stato necessario che io potessi fornire in 3 Cosí pensa per esempio Leonardo Casini: «L’immagine con cui si aprono le Ergän- una sola età della vita ciò che è possibile unicamente in due e, per di piú, che zungen potrebbe essere in qualche modo un’esemplificazione calzante dell’intero siste- possedessi in una sola età della vita ciò che la natura ha distribuito in due età ma schopenhaueriano: come nello spazio infinito le sfere lucenti sono circondate da al- x giorgio brianese dire di no al mondo xi Infinite sfere luminose, brillanti di luce propria, nello spazio infinito; in- mezzo di qualcosa che è ancora piú sconosciuto dei fenomeni stessi» torno a ciascuna, illuminate da esse, ruotano pressappoco una dozzina di sfere (le leggi naturali, le forze naturali, la forza vitale…) e, in definitiva, piú piccole; queste ultime, calde all’interno, sono rivestite da una crosta indu- lascia «ancora tutto da spiegare». C’è bisogno, invece, di un sapere rita e fredda, sulla quale un rivestimento di muffe ha generato esseri viventi e che, diversamente da quello scientifico, abbia la capacità di «con- conoscenti: è questa la verità dell’esperienza, il reale, il mondo. Eppure, per un essere pensante non è piacevole trovarsi sopra a una di quelle innumere- durre a una soluzione soddisfacente del difficile enigma delle cose e voli sfere che si librano liberamente nello spazio sconfinato, senza sapere né alla vera comprensione del mondo e dell’esistenza» (ibid.). Un sape- da dove venga né dove vada, ed essere solo uno di innumerevoli esseri simili re che possiamo anche continuare a chiamare “metafisica”, sebbene che si accalcano, si spingono, si tormentano, generandosi e trapassando in- Schopenhauer sia estremamente cauto nell’impiego di questa parola cessantemente e rapidamente nel tempo senza inizio e senza fine; accanto ad essi niente di costante, eccezion fatta per la materia e per il ripresentarsi, per e attento a piegarla nella direzione dell’immanenza anziché inten- mezzo di certe vie e di certi canali, delle stesse svariate forme organiche che, derla, come per lo piú storicamente è accaduto, come un sapere del- solo per una volta, vengono all’esistenza (Supplementi, cap. 1). la trascendenza: la mia filosofia – scrive Schopenhauer nelle pagine che concludono il secondo volume dell’opera, «non ha la pretesa di spiegare l’esistenza del mondo a partire dai suoi fondamenti ultimi: 2. L a meraviglia dinanzi al mondo e la possibilità della metafisica. se ne sta piuttosto ai dati di fatto dell’esperienza esteriore e interiore, cosí come sono accessibili a ciascuno, e ne dimostra la vera coerenza Il mondo come rappresentazione, ossia il mondoche ci è dato co- profonda, senza tuttavia trascenderla in senso proprio spingendosi noscere, è solo una parte della realtà, il rendersi visibile di una forza a cose ultramondane e alle loro relazioni con il mondo […]. Essa è sotterranea che costituisce il nocciolo profondo di quel mondo che, di conseguenza immanente, nel senso kantiano della parola» con maggiore o minore consapevolezza, abitiamo. Una considerazio- (Supplementi, cap. 50). ne della sola rappresentazione è dunque destinata a mostrare, con Il mondo come volontà e rappresentazione propone dunque, propria- la propria unilateralità, la propria insufficienza, spingendo l’uomo a mente, una filosofia dell’immanenza che, se pure oltrepassa il livello oltrepassare metafisicamente i confini del fenomeno: «È vero che dell’empiria fenomenica, lo fa solamente per discendere nel sotto- all’inizio della sua vita cosciente egli si considera come qualcosa di suolo del mondo dell’esperienza, alla ricerca non già di ciò che even- ovvio. Ma questo non dura a lungo; molto presto, invece, insieme alla tualmente lo trascenda, bensí di ciò che in esso «vi è di piú intimo», prima riflessione, si presenta già quella meraviglia che dovrà diven- del «nocciolo tanto di ciascun singolo quanto del tutto» (Mondo, § tare un giorno madre della metafisica» (Supplementi, cap. 17). Una 21), nel tentativo, forse mai realizzabile fino in fondo, di sciogliere «meraviglia» che Schopenhauer considera, aristotelicamente, qualco- l’«enigma» dell’essere dell’uomo e del mondo. Il mondo della rap- sa di peculiare all’essere umano: è solo in esso, infatti, che la volontà presentazione e della conoscenza, del quale le scienze si acconten- perviene alla riflessione, ed è quest’ultima a rendere possibile quel- tano, ci mantiene sulla fragile superficie della realtà. Lo sguardo di lo stupore dinanzi all’esistenza4 al quale, oltre alla filosofia, cercano chi cerca filosoficamente la verità deve invece sapersi spingere al di di dare una risposta anche le religioni e le scienze, le quali tuttavia, là di quella superficie, rivolgendosi «verso l’interno» (Supplementi, isolate dalla metafisica, finiscono per mostrarsi sempre di nuovo ina- § 17), dove – come i versi di Goethe suggeriscono poeticamente– deguate al loro compito. La scienza della natura, per esempio, «non «s’aprono arcani stupendi e profondi»5. In questo senso già il giova- è in grado di stare in piedi da sola», giacché «spiega i fenomeni per ne Schopenhauer poteva scrivere che solo permanendo nell’illusione si può credere «che il compito della filosofia sia di trovare qualcosa tre opache che hanno una crosta irrigidita e internamente il calore del fuoco, cosí il mon- di profondamente nascosto, diverso dal mondo e da questo coperto e do è la Volontà e la sua manifestazione. Non è questo il senso che Schopenhauer vuol dare all’immagine, che è invece quella di un universo il quale, come si presenta, è “Gehirnphän- messo in ombra» (HN, I, § 210, p. 115; SP1, p. 152). Le cose non omen” e dipendente dalla soggettività; ma l’immagine serve bene a mettere il rilievo la dif- stanno affatto cosí, poiché «il mondo non è una grande X per una ferenza non radicale tra essenza e apparenza, Volontà e rappresentazione» (l. casini, Cor- poreità. La corporeità nelle «Ergänzungen» al «Die Welt» di Schopenhauer e altri scritti, Mi- mesis, Milano-Udine 2011, p. 23). 5 j. w. goethe, Faust, I, v. 3234 (trad. it. di F. Fortini, Mondadori, Milano 19804, p. 289). 4 Cfr. p. vincieri, Discordia e destino in Schopenhauer, Il melangolo, Genova 1993, p. 20. Nel cap. 17 dei Supplementi Schopenhauer cita per intero i vv. 3225-27 e 3232-34 dell’opera. xii giorgio brianese dire di no al mondo xiii Y, non è un grande gioco di prestigio» e «non c’è da cercare qual- condizione che la si intenda non come un sapere che abbia la pre- cosa che sta dietro»: il reale «è come si dà, e per ottenere la piena tesa di distaccarsi dall’esperienza, bensí come l’«interpretazione» rivelazione non abbiamo bisogno d’altro se non di fare attenzione e la «spiegazione» di quest’ultima, «dato che non parla della cosa a quello che ci sta di fronte e considerare bene il mondo» (HN, I, § in sé altrimenti che nel suo riferimento al fenomeno» (ibid.). Ci 210, p. 116; SP1, p. 153), cogliendo in questo modo anche ciò che si potrebbe azzardare a descriverla come una sorta di “metafisica è altro rispetto alla rappresentazione. ermeneutica”, se è vero che per Schopenhauer «l’esperienza nella Ma, daccapo, come è possibile oltrepassare il mondo fenomeni- sua totalità è come una scrittura misteriosa, e la filosofia ne è una co della rappresentazione se esso, pur non avendo maggiore con- sorta di decifrazione» (ibid.) che riesce, cosí facendo, a raggiungere sistenza di quella che ha un sogno, è l’unico del quale abbiamo quel territorio dell’in-sé che Kant aveva dichiarato inaccessibile. esperienza e che ci sia possibile conoscere in senso proprio? come È noto che, per Kant, la conoscenza epistemica non può spin- possiamo conoscere andando al di là della conoscenza, dato che gersi, pena la perdita dell’universalità e della necessità che debbo- «l’essere-conosciuto è di per sé in contraddizione con l’essere-in- no caratterizzarla, al di là dell’orizzonte fenomenico: il «territorio sé» e «ogni conosciuto è già in quanto tale solo fenomeno» (Sup- dell’intelletto puro è un’isola che la natura ha racchiuso in confini plementi, cap. 18)? O, per dirla con le parole del capitolo 17 dei immutabili», circondato com’è da «un ampio e tempestoso oceano, Supplementi: «Come può una scienza attinta dall’esperienza con- in cui ha la sua sede piú propria la parvenza»7. Certo, «il concetto durre al di là di quest’ultima e meritare il nome di metafisica?» di noumeno», pur nella sua insuperabile problematicità, è non solo Domanda particolarmente cruciale soprattutto perché Kant, come «ammissibile», ma «inevitabile», non però nel senso che esso desi- Schopenhauer gli riconosce in modo esplicito, ha dimostrato come gni un oggetto che possa essere colto dal nostro intelletto, giacché sia del tutto impossibile pensare di passare «dall’esperienza a ciò «della possibilità d’un oggetto del genere non siamo in grado di far- che non può essere dato in nessuna esperienza possibile» (ibid., ci la minima idea»8. Ritenere che «la necessità soggettiva» secondo cap. 17). Sembra dunque si debba concludere che una scienza at- la quale i nostri concetti si connettono per l’intelletto corrisponda tinta dall’esperienza non può in alcun modo consentire la costru- a una «necessità oggettiva», a una determinazione delle cose come zione di una metafisica, ma ciò non equivale affatto, dal punto di esse sono in se stesse, è un equivoco che produce una conoscenza vista di Schopenhauer, alla dichiarazione dell’impossibilità della meramente illusoria. E se anche «si tratta di una illusione assoluta- metafisica in quanto tale, dato che quest’ultima può essere realiz- mente inevitabile»9, non per questo il suo carattere illusorio viene zata «anche per altre vie», soprattutto una volta che si sia riusciti meno; anzi, uno dei compiti peculiari della critica della ragione pu- a comprendere che la cosa in sé non deve essere cercata al di fuo- ra – segnatamente della “dialettica trascendentale” – è precisamen- ri di ciò che siamo e al di là del mondo fenomenico ma, come già te quello di smascherare il carattere di mera apparenza dei giudizi si è accennato nel saggio introduttivo al primo volume6, nel loro trascendenti, mettendoci in guardia nei loro confronti e aiutandoci “sottosuolo”: la cosa in sé, infatti, «ciascuno la porta comunque a evitare di cadere vittima del loro inganno. Con il che viene riba- dentro di sé, anzi, egli stesso è la cosa in sé; perciò essa gli deve in dito una volta di piú che la conoscenza non può spingersi al di là qualche modo, quand’anche in modo condizionato, essere acces- dell’orizzonte fenomenico, attingendo direttamente la cosa in sé, e sibile nell’autocoscienza» (ibid., corsivo mio). Anche della cosa in che le idee della ragione possono sí avere un uso pratico, non mai sé, dunque, e non soltanto del fenomeno, facciamo esperienza. Si però valore speculativo: alla domanda che chiede «che cosa posso tratta di comprendere però che la cosa in sé non è affatto «un ens sapere?»10 non c’è per Kant altra risposta che non sia quella fornita extramundanum capace di consistere autonomamente», bensí la par- dalla Critica della ragione pura stessa, ossia che, sebbene l’esperien- te piú intima e profonda di ciascuno di noi e della natura nella sua interezza. Una metafisica, dunque, è possibile anche dopo Kant, a 7 Cosí la Critica della ragione pura, Analitica trascendentale, Libro II, cap. iii, p. 264. 8 Ibid., p. 277. 6 a. schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di G. Brianese, 9 Ibid., Dialettica trascendentale, Introduzione, I, p. 303. Einaudi, Torino 2013 (Mondo 2013). 10 Ibid., Dottrina trascendentale del metodo, cap. ii, sez. II, p. 607. xiv giorgio brianese dire di no al mondo xv za non esaurisca l’ambito del sapere epistemico, «ogni nostra cono- la cosa in sé «si è effettivamente spogliata in gran parte dei suoi scenza incomincia con l’esperienza»11 e non vi è altro uso legittimo veli» (ibid.). Certo, neanche in questo caso siamo liberi dal tempo della nostra capacità di conoscere che non sia quello empirico: Kant e nemmeno, piú in generale, dalla forma del conoscere, e questo – Schopenhauer sintetizza in questo modo il proprio punto di vista significa che nemmeno in questo particolarissimo genere di cono- sul criticismo – «dichiarò impossibile ogni metafisica, nel senso che scenza la volontà si può presentare cosí come essa effettivamente essa sia la conoscenza dell’essenza in sé, di cui la natura è fenome- è in se stessa, dato che, in quanto cosa in sé, essa «non soltanto no, che oltrepassi dunque la natura e l’esperienza» (MDN, § 15, p. è libera dal tempo ma anche da tutte le altre forme del principio 147). Ebbene, ciò che Il mondo come volontà e rappresentazione met- di ragione», e «per questo deve essere definita priva di ragione» te in questione è anzitutto questo caposaldo del criticismo kantiano: (MDN, § 5, p. 33): «In conseguenza della forma del tempo che non solo la cosa in sé è accessibile, ma a ben vedere essa è ciò che è ancora legata ad essa, ciascuno riconosce la propria volontà ci è massimamente noto, dato che, come Schopenhauer mostra in solo nella successione dei suoi singoli atti, ma non nella sua inte- modo insieme incisivo e suggestivo, ciascuno di noi è, nella propria rezza e per sé; ed è appunto per questo che nessuno conosce il pro- intimità piú profonda, cosa in sé, mentre è fenomeno solo in super- prio carattere a priori, e impara invece a conoscerlo solo in modo ficie. È per questo che «al soggetto del conoscere, che si manifesta conforme all’esperienza e sempre imperfettamente» (Supplementi, come individuo, è data la parola che scioglie l’enigma, e questa pa- cap. 18, corsivo mio). Pur con questi limiti, tuttavia, abbiamo qui rola suona volontà» (Mondo, § 18). davvero a che fare con la piú immediata fra tutte le percezioni che È sufficiente questo per dire che sappiamo che cosa la volontà della volontà possiamo avere, con «il punto nel quale la cosa in sé sia? Sí e no. Osserviamo anzitutto che i Supplementi ci avverto- fa la sua comparsa nel modo piú immediato nel fenomeno, e in cui no che nemmeno «la percezione interna che abbiamo della nostra viene illuminata piú da presso dal soggetto conoscente» (ibid.), ed volontà» è in grado di fornirci «una conoscenza esauriente e ade- è per questo che qui e solo qui è possibile che si realizzi quel pas- guata della cosa in sé». Anche in questo caso, infatti, abbiamo pur saggio “metafisico” dal livello fenomenico a quello noumenico, sempre a che fare con una percezione mediata, dato che la volontà, ossia dal mondo come rappresentazione al mondo come volontà, facendosi corpo, «si provvede anche di un intelletto» ed è solo per che Schopenhauer ritiene irrinunciabile e che, in un certo senso, suo tramite che «riconosce ora se stessa come volontà nell’autoco- costituisce la chiave di volta della sua filosofia. L’enigma, come scienza» (Supplementi, cap. 18). Qualsiasi conoscenza si possa ave- si è detto, non è sciolto del tutto, giacché la volontà nemmeno in re della volontà, essa non potrà dunque mai essere perfettamente questo modo ci si presenta in tutta la sua trasparenza; e tuttavia adeguata alla realtà di quest’ultima. O, detto altrimenti, la volontà lo si comincia a decifrare in modo essenziale, giacché nell’espe- non è e non può essere mai del tutto trasparente alla coscienza: la rienza della nostra interiorità piú profonda possiamo cogliere noi scoperta della volontà scioglie l’arcano, come si è cominciato a di- stessi come qualcosa di radicalmente diverso da ciò che siamo in re, eppure quest’ultimo non è mai risolto fino in fondo, sí che l’io, quanto apparteniamo al mondo fenomenico della rappresentazio- da ultimo, è destinato a rimanere «un enigma a se stesso» (ibid.), ne. L’enigma non è sciolto del tutto, ma la parola decisiva è stata avvolto sempre di nuovo da un’insuperabile alone di opacità. detta, e questa parola è volontà. Nonostante queste difficoltà, tuttavia, è possibile riuscire effet- La volontà, pur con i limiti ai quali si è fatto cenno, è effettiva- tivamente a cogliere qualcosa di piú e di diverso rispetto a quel- mente la cosa in sé della quale aveva parlato Kant, sia pure per di- lo che possiamo venire a sapere mantenendoci nell’orizzonte del chiararla inconoscibile, sí che «dobbiamo concepire la volontà di mondo della rappresentazione, anzitutto perché nel profondo di qualsiasi uomo come cosa in sé, fuori del tempo, come un qualcosa noi stessi (nella «conoscenza interna», come Schopenhauer anche di immutabile quindi, il cui fenomeno tuttavia si presenta come una la chiama) siamo liberi da almeno due delle tre forme della rappre- serie di atti volitivi» (MDN, § 5, p. 30). Schopenhauer sa bene che sentazione, ossia dallo spazio e dalla causalità e, in questo senso, Kant non ha assimilato in modo esplicito né il fenomeno al mon- do come rappresentazione né la cosa in sé al mondo come volon- 11 Ibid., Introduzione, p. 73. tà; ciononostante, il suo maestro ha senza dubbio inteso sostenere

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