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Storia di un barbagianni: un caso di specializzazione forzata PDF

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Quaderno di Studi e Notizie di Storia Naturale della Romagna Quad. Studi Nat. Romagna, 23: 195-197, dicembre 2006 ISSN 1123-6787 Notizie Naturalistiche Franco Merighi STORIADI UN BARBAGIANNI Un caso di specializzazione forzata Qualche anno fa, durante uno dei miei vagabondaggi per boschi nell’alta valle dell’Idice, mi imbattei in un barbagianni, Tyto alba (Scopoli, 1769), che stazio- nava in cima a un piccolo promontorio. Era immobile come una statua di gesso. Come mi avvicinai cercò di involarsi, ma cadde rovinosamente dalla sua posta- zione correndo poi velocemente sul terreno a infrattarsi. Incuriosito per tale comportamento anomalo, lo inseguii e lo catturai, non prima di aver preso un’artigliata in una mano. Quella povera creatura era mancante di mezza ala, sicuramente a causa di una fucilata, dato che su alcune piume erano evidenti i segni lasciati dai pallini di una cartuccia sparata. La ferita era cicatrizzata, ma senza mezza ala l’animale non poteva più volare. Era molto denutrito, ma sano e vivace. Come avrà fatto a nutrirsi in quello stato? Ritornai al punto dove lo avevo visto inizialmente e vi trovai parecchi piccoli boli. Dal contenuto di questi residui capii che si nutriva principalmente di piccoli coleotteri, qualche topolino e poche lucertole. Era evi- dente che si alimentava troppo poco e per quel motivo era così magro. Facendo un calcolo approssimativo, dal numero dei boli e dalla ferita rimarginata, stimai che stazionasse su quell’altura da circa 4 – 5 mesi. Restando immobile, attende- va che qualche preda si aggirasse alla base di quel piccolo rilievo per piombar- le adosso, per poi arrampicarsi di nuovo sull’altura e attendere una nuova vitti- ma. Quante volte avrà fatto su e giù! Era l’unico modo che aveva per alimentar- si: si era specializzato in quella tecnica di sopravvivenza, l’unica. Ma la scarsi- tà di cibo era tale che delle calorie che riusciva ad accumulare con le poche prede, probabilmente la maggior parte le sprecava nel risalire alla sua postazio- ne. Stava per finire l’autunno, decisi di portarmelo a casa e nutrirlo. Durante l’inver- no sarebbe morto certamente di fame con le prime nevicate. In cattività si era rimesso in carne. Lo avevo nutrito con cuore di bue e quaglie 195 Fig. 1 - Barbagianni, Tyto alba(Scopoli, 1769). che comperavo al mercato. Verso la metà di marzo dell’anno successivo lo rimi- si in libertà. Ero consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato, ma non potevo tenerlo ancora per motivi famigliari. Aquei tempi la L.I.P.U. non aveva ancora ricoveri, e nessuno voleva il mio barbagianni per il grosso impegno che richiedeva. Lo riportai nel luogo dove lo avevo prelevato e una volta alla setti- mana lo andavo a trovare portandogli un supplemento di cuore di bue che ingoiava con avidità. Aveva ripreso le abitudini e il ritmo precedenti, ma le prede che riusciva a cat- turare erano sempre poche; il supplemento di cibo che gli portavo era per lui vitale. Aveva cambiato atteggiamento nei miei confronti e quando mi vedeva non fug- giva più. Questo mi preoccupava molto, temevo di averlo troppo umanizzato. 196 Feci delle prove rumoreggiando senza farmi vedere, per studiare le sue reazioni. L’animale si nascondeva, per riapparire al suono della mia voce, dondolando il capo. Questo mi consolò molto e mi fece capire che non aveva abbassato la sua guardia di allertamento per ciò che non conosceva. Si era specializzato a tal punto nel suo sistema di caccia, che un giorno, senza che lui se ne accorgesse, lanciai un piccolo sasso alla base della sua postazione. L’uccello rizzò la testa e si buttò di scatto sul sasso. Rimase fermo per un atti- mo, poi resosi conto che non era cibo, arrancò faticosamente per riguadagnare la sua altura. Mi ero affezionato a quell’animale, e ogni volta che andavo a trovarlo temevo il peggio: i pericoli erano tanti. Dal suo rilascio erano passati ormai cinque mesi e mi auguravo che andasse avanti così per tanto tempo. Ma una domenica di fine agosto non lo vidi al suo posto. Lo chiamai ma non arrivò. Il sabato notte vi era stato un grosso temporale; ce n’erano stati altri, ma li aveva superati bene. Lo trovai poco distante e purtroppo morto. Il temporale aveva spezzato un grosso ramo di quercia che era caduto proprio su di lui. Provai tanta tristezza e anche un senso di colpa e di rimorso per quel povero animale sfortunato. Pensai che esiste un destino anche per gli animali come per gli uomi- ni: era già in precedenza destinato a soccombere, la legge della natura è spieta- ta e non perdona. Tutti i suoi guai erano iniziati da quella fucilata. Questo mi fa una grande rabbia. Mi chiedo perché ci siano persone che provano divertimento a sparare ad animali utili e protetti, correndo il rischio, tra l’altro, di essere sco- perti e puniti severamente dalla legge. Forse la risposta sta in una frase che ricordo di aver letto da qualche parte: “nella misera soddisfazione che tanti uomini ritraggono nel far precipitare al suolo, freddi e squallidi mucchietti di piume, tante libere creature del cielo: chi non sa elevare il proprio spirito tende purtroppo ad abbassare a sé ciò che si muove ad un più alto livello”. Il barbagianni di cui pubblico la fotografia (Fig. 1) non è il povero animale del mio racconto; esso fa parte della mia vecchia collezione ornitologica e posso assicurare che non è stato ucciso per collezionismo, ma mi fu regalato molti anni fa da un amico che lo aveva ritrovato morto. Indirizzo dell’autore: Franco Merighi via Turati, 31 I - 40055 Castenaso (BO) 197

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