Sotto lo sguardo di Dio Salmo 139(138) Camminare sotto lo sguardo di Dio Questo salmo lo potremmo leggere come una meditazione sapienziale nella forma di un viaggio. L’orante – in cerca della propria innocenza – si trova prima a fuggire, a cercare di andare ai confini della vita, poi a rientrare in se stesso, nel mistero della propria origine… e in tutto questo vagare esteriore e interiore, nello spazio e nel tempo, scopre che in realtà non fa che muoversi in Dio. Il viaggio spirituale, in cerca della propria verità e della propria innocenza, è in realtà sempre sotto lo sguardo di Dio il quale ci anticipa e ci attende, ci contiene e ci abita interiormente. Per questo conoscere se stessi è essere conosciuti da Dio e trovare Dio chiede di scendere nell’abisso del mistero del proprio cuore. La preghiera è un esercizio nel quale entriamo nel profondo, scrutiamo la nostra vita nella sua intimità, ma tutto questo non è un “guardarsi allo specchio”; è piuttosto la grazia di uno sguardo buono, il solo capace di restituirci la nostra vera immagine. Uno sguardo che a volte sembra anche difficile da reggere, da cui vorremmo fuggire e al quale alla fine possiamo semplicemente arrenderci. Come già intuiva S. Weil, «La religione non consiste in nessun’altra cosa che in uno sguardo». «Tutta la storia del mondo è un cammino verso la vita; tutta la storia della vita un cammino verso l’uomo; tutta la storia è un cammino verso Dio» (Monchanin).Questa notte interiore Questa interiore notte ove luce nessuna rompe un attimo la tenebra compatta; questa notte, coltre di morte, immobile mare ove il grido è rottame inutile. Notte nemica, ove nessuno è presente a segnare il punto del tuo viaggio: nessuno a dirti la distanza della terra, del cielo; mia notte, spazio non di vita, non di morte, ove non è dato sapere se una qualsiasi speranza d’approdo sia ancora possibile: questa inanimata notte è mia dimora, Signore, il mio elemento ove m’immergo: e tu, tu, o Assente, la mia lontanissimo sponda. (DAVID MARIA TUROLDO) 1 13 Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. 14 Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. 15 Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. 16 Ancora informe 1 Al maestro del coro. mi hanno visto i tuoi occhi Di Davide. Salmo. e tutto era scritto nel tuo libro; Signore, tu mi scruti e mi conosci, i miei giorni erano fissati, 2 tu sai quando seggo quando ancora non ne esisteva uno. e quando mi alzo. 17 Quanto profondi Penetri da lontano i miei pensieri, per me i tuoi pensieri, 3 mi scruti quando cammino quanto grande il loro numero, o Dio; e quando riposo. 18 se li conto sono più della sabbia, Ti sono note tutte le mie vie; se li credo finiti, con te sono ancora. 4 la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta. 5 Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. 19 Se Dio sopprimesse i peccatori! 6 Stupenda per me la tua saggezza, Allontanatevi da me, troppo alta, e io non la comprendo. uomini sanguinari. 20 Essi parlano contro di te con inganno: contro di te insorgono con frode. 21 Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? 7 Dove andare lontano dal tuo spirito, 22 Li detesto con odio implacabile dove fuggire dalla tua presenza? come se fossero miei nemici. 8 Se salgo in cielo, là tu sei, 23 Scrutami, Dio, se scendo negli inferi, eccoti. e conosci il mio cuore, 9 Se prendo le ali dell'aurora provami e conosci i miei pensieri: per abitare all'estremità del mare, 24 vedi se percorro 10 anche là mi guida la tua mano una via di menzogna e mi afferra la tua destra. e guidami sulla via della vita. 11 Se dico: (Traduzione CEI) «Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»; 12 nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce. 2 13Sei tu che hai creato i miei reni, 1Al maestro del coro. mi hai intessuto Salmo di Davide nel grembo di mia madre. 14Ti ringrazio perché con atti prodigiosi Jahweh, tu mi scruti e mi conosci, mi hai fatto mirabile: 2tu conosci quando seggo meravigliose sono le tue opere e quando mi alzo, e la mia anima tu intendi da lontano il mio pensiero, le riconosce pienamente. 3tu mi esamini quando cammino 15Il mio scheletro non ti era nascosto e quando sosto, quando fui confezionato nel segreto, tutte le mie vie ti sono familiari. ricamato nelle profondità della terra. 4Sì, la parola non è ancora 16Anche l’embrione sulla mia lingua i tuoi occhi l’hanno visto ed ecco, Jahweh, e nel tuo libro erano tutti scritti tu la conosci già tutta. i giorni che furono formati 5Alle spalle e di fronte tu mi stringi quand’ancora non ne esisteva uno. e poni su di me la tua mano. 17Quanto sono insondabili 6Meravigliosa per me i tuoi pensieri, o Dio, è la tua conoscenza, quanto è complessa la loro sostanza! troppo elevata, 18Se li conto non la posso raggiungere! sono più numerosi della sabbia. Mi risveglio ed ecco sono ancora con te. 7Dove andare lontano dal tuo spirito? 19Oh, se tu, Dio, sterminassi l’empio! Dove fuggire dal tuo volto? Uomini sanguinari, 8Se scendo nei cieli, là tu sei! allontanatevi da me! Se mi distendo nello sheol, eccoti! 20Essi parlano di te 9Se prendo le ali dell’aurora come se fossi un idolo, per abitare all’estremità del mare, insorgendo contro di te 10anche là la tua mano ti riducono a vanità. (la tua sinistra) mi giuda 21Non odio forse, Jahweh, e mi afferra la tua destra. quelli che ti odiano, 11Se dico: non detesto forse «Certo, la tenebra mi assorbirà quelli che si levano contro di te? e la luce diverrà notte intorno a me», 22Li odio con odio implacabile 12nemmeno la tenebra come se fossero miei nemici. è per te tenebrosa 23Scrutami, o Dio, e la notte è luminosa come il giorno, e conosci il mio cuore, la tenebra è come luce. provami e conosci i miei incubi. 24Vedi se percorro una via idolatrica e guidami nella via eterna. (Traduzione Ravasi) 3 Genere letterario e struttura del salmo Sembra soprattutto una meditazione, nella quale il salmista compie un percorso che prima lo porta fuori di sé e poi lo sospinge a cercare nel proprio intimo. Eppure non si tratta solo di una meditazione, di una ricerca sapienziale, anche se alla fine è questo il registro prevalente nel quale la preghiera si muove. Esiste anche una dimensione di supplica, nel contesto di un giudizio, di un appello che il salmista rivolge a Dio in favore della propria innocenza. I versetti imprecatori dal 19 al 22 sembrano riportarci ad una dimensione meno intimistica, perché l’orante deve difendersi da un’accusa, da nemici che con parole ingannatrici lo costringono ad appellarsi ad un giudice superiore per rivendicare la propria innocenza. Il vocabolario e lo stile del salmo – dicono i commentatori – rimanda all’epoca post esilica, ha diversi riferimenti a Geremia (Dio che entra nella vita fin dal grembo materno; Ger 1,5) e ad altri profeti, ad una polemica anti idolatrica. Il salmista è un uomo perseguitato, accusato ingiustamente di idolatria. Per questo si rivolge al tribunale del giudizio di Dio. E mentre a Lui si rivolge, lo fa con la ferma convinzione che egli lo conosca perfettamente e che il suo sia un giudice giusto, proprio perché conosce perfettamente ogni uomo fin nel profondo. Ecco che in questa arringa difensiva prende corpo una intensa meditazione, di stampo sapienziale, che alla fine diventa il registro prevalente del salmo: la certezza dell’orante è di essere profondamente conosciuto, perché Dio vede ogni cosa, conosce nell’intimo ogni uomo e nulla sfugge al suo sguardo. La struttura del salmo – tra le diverse proposte – la potremmo così delineare: Un’apertura introduce il tema di fondo: Dio mi conosce (v1) e questa certezza viene ripresa nei versetti finali (v 23-24) a modo di inclusione. Se Dio mi conosce, posso rimettermi al suo giudizio perché egli mi conduce verso la via della vita. Seguono quattro movimenti. La prima strofa (vv 1-6) descrive il punto di partenza: Dio è presente ovunque e tutto conosce. Il v. 6 è una specie di meta-riflessione, una prima conclusione che si sofferma su quello che l’orante ha scoperto nel meditare. Ogni strofa infatti sembra conoscere questo andamento: dopo un movimento di meditazione, il salmista si ferma stupito e resta a contemplare il mistero della conoscenza di Dio (sono il v 6 nella prima strofa, il v. 14 nella seconda [accettando la proposta di chi antepone il v 14 al 13] e i vv 17-18 nella terza). Queste pause sono una meta-riflessione, una contemplazione sul cammino di sapienza che il salmo descrive, che si interpongono con l’inclusione che apre e chiude il salmo. La seconda strofa (vv 7-12) descrive un primo movimento, un viaggio lungo le coordinate dello spazio e del tempo. In realtà sembra una fuga, ma che alla fine risulta impossibile: in nessun luogo e in nessun tempo siamo fuori dallo sguardo di Dio. Possiamo andare lontano in alto o in basso, ad oriente o a occidente, davanti o dietro, nella luce o nelle tenebre, nella notte o nel giorno, ma ovunque troviamo Dio che ci precede e ci attende, che abita ogni spazio e ogni tempo. 4 La terza strofa (vv 13-18) percorre un secondo movimento, non più esteriore ma interiore. Il salmista cerca di raggiungere un punto irraggiungibile, l’origine stessa della sua vita, il “punto di creazione” e proprio là scopre che questa intimità è inattingibile perché l’unico che la conosce fino in fondo è Dio. La quarta strofa (vv 19-24) ci riporta al tribunale davanti al quale il salmista cerca un appoggio di difesa dall’accusa ingiusta dei nemici e fa appello ad una sorta di “giuramento di innocenza” rimettendosi interamente dalla parte di Dio che è l’unico giusto perché l’unico che conosce veramente ogni uomo. Quest’appello lo rimette in cammino, non più per fuggire da Dio, ma per camminare nelle sue vie, verso la via della vita. Prima strofa: Dio mi conosce L’affermazione iniziale (“tu mi scruti e mi conosci”, mi sondi nel profondo) viene argomentata con una serie di polarismi per esprimere una conoscenza totale e partecipativa, affettiva. Dio non conosce stando distante (penetri “da lontano”), ma mettendosi in relazione profonda (“mi circondi, poni su di me la tua mano”), pur mantenendo una differenza e un’alterità che lo caratterizzano. Dio risulta insieme vicinissimo e irraggiungibile, presente e distante. I polarismi descrivono l’intera vita dell’uomo: alzarsi e sedersi (sono i modi con cui abitiamo lo spazio e ci muoviamo in esso ); camminare e sostare (il tempo dell’azione e il tempo del riposo); alle spalle e di fronte (dove non vedo e dove guardo); soprattutto il movimento del pensiero e della parola che sono le azioni caratteristiche dell’uomo. In ogni situazione Dio è presente, circonda e abbraccia (mi stringi, poni su di me la tua mano), conosce: intende il pensiero e precede la parola prima ancora che prenda voce. La conoscenza di Dio appare profonda e penetrante. Il verbo conoscere torna ben sette volte nelle diverse sue dimensioni (scrutare, esaminare, sondare): indica una particolare penetrazione oltre la superficie delle cose, nel segreto più recondito dell’essere. Eppure questa conoscenza non è per il salmista un “controllo imperiale” (Ravasi), bensì «una partecipazione affettiva e paterna cha ha come scopo la salvezza e la liberazione dell’uomo. È una conoscenza efficace che può generare disagio nel peccatore, ma che nel giusto, come vuole insegnare il poeta, pur creando imbarazzo e rispetto, deve diventare fonte di abbandono e di speranza» (Ravasi). La conclusione di questa prima strofa è un’esclamazione contemplativa della trascendenza di questa conoscenza, che sembra essere quasi eccessiva, imbarazzante: è troppo! È sublime, irraggiungibile e invalicabile. Dio mi scruta, sento il suo sguardo su di me, ma non lo comprendo, non lo raggiungo, sorpassa ogni mia misura e immaginazione. Così vicino da ascoltare i sussurri, da leggere i pensieri prima ancora che prendano corpo, ma sempre oltre da essere irraggiungibile. 5 Seconda strofa: fuggire da Dio per essere da lui ancora trovati Ecco che si comprende il movimento della seconda strofa che si presenta come un tentativo di fuga, una folle corsa per sfuggire a questo sguardo, per cercare un luogo o un tempo nel quale sottrarsi alla sua presenza. Tentativo impossibile! Come Geremia che si sente “sedotto” e non riesce a liberarsi di Dio (Ger 20,7-9). Perché ogni volta il salmista non fa che ritrovare quel Dio da cui tenta di fuggire. Sente il suo respiro, “ha il fiato sul collo” potremmo dire e per questo la sua corsa non è priva di una certa angoscia. Troviamo qui le forme di una vita che prova a sussistere senza Dio e forse per questo sentiamo questa preghiera così moderna. Non siamo noi in un tempo che cerca disperatamente di sottrarsi a Dio? Corsa tanto più frenetica quanto impossibile: Dio si ripresenta al varco. Anche in questo caso il poema si esprime con polarismi che indicano la totalità. Anzitutto troviamo il cielo e l’abisso, l’alto e il basso. L’uomo cerca di innalzarsi sopra i cieli (non è questo il tentativo di Babele?), ma non fa che trovare Dio. Oppure si rifugia sdraiandosi nello sheol, nell’abisso, dove si pensava i morti fossero in uno stato di sonno, di non coscienza, dormienti; anche lì però è preceduto da Dio. In qualche modo potremmo vedere in questa prima polarità i tentativi goffi dell’uomo o di innalzarsi in un mondo ideale, oppure di scendere in pericolose depressioni (il depresso non vive in uno stato dormiente, per non sentire il dolore e l’angoscia di vivere?); come dice Pascal: «L’uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che vorrebbe far l’angelo ma fa la bestia». La seconda polarità cerca di percorrere tutto lo spazio orizzontale, da oriente a occidente. L’immagine è particolarmente poetica: l’aurora è personalizzata e il salmista vola con essa verso il sorgere del sole. Poi cerca i confini del mare, dove il sole muore, ad occidente, come il profeto Giona che vuole fuggire a Tarsis. Ma anche in questo caso viene abbracciato da Dio con le sue mani (la sinistra a oriente e la destra a occidente). La conoscenza di Dio prende la forma rassicurante di un abbraccio: tra queste mani che ci circondano possiamo correre senza temere di perderlo mai perché ci precede e ci segue, ci afferra e ci sostiene. Così troviamo il terzo tentativo di fuga, questa volta nel tempo, nella oscurità della notte. Là dove nulla si vede, potremo trovare un luogo al riparo dal suo sguardo? Anche la ricerca di un rifugio nel “lato oscuro” della vita mi sembra un tratto estremamente moderno di questo salmo. Ma per Dio anche le tenebre sono luce, la notte è chiara come il giorno. Dove noi non vediamo nulla, egli ci vede. La sua luce perfora le tenebre, lo sheol, la morte (di cui le tenebre sono il simbolo) ed anche della morte ha una visione luminosa. Neppure nelle più buie depressioni Dio è assente e la sua presenza trasfigura le tenebre e le fa diventare luogo di una rivelazione. Commenta Bellarmino: «L’occhio del Signore è più luminoso dello stesso sole e penetra tutte le tenebre, nulla può restargli nascosto». A questo punto possiamo fermarci un momento per chiederci qualcosa di più su questo sguardo di Dio che tutto vede e tutto conosce. Che tipo di sguardo è? Perché potrebbe essere un’immagine terribile di Dio, come di un occhio che ti scruta in qualsiasi luogo, un “grande fratello” che ti segue ovunque e non ti 6 lascia in pace, da cui ti senti spiato, violato. Ascoltiamo l’acuta osservazione di Beaushamp: «Poi, noi miglioriamo l’idea che abbiamo della presenza di Dio. Questa è spesso rappresentata dall’immagine di Dio come Occhio. L’ubiquità dell’occhio divino è simbolo adeguato dell’angoscia umana davanti alla divinità. L’occhio è la funzione dello spazio, ma è pure la funzione dell’assenza. Si vede soltanto la parte dello spazio dove non si è: questo aspetto negativo caratterizza fortemente la visione, se essa resta isolata dagli altri sensi, con una specie di antagonismo tra l’occhio e ciò che si vede. C’è una aggressione con l’occhio divino. Ora ci deve essere qualche cosa di intollerabilmente e di radicalmente falso nell’immagine di Dio come Occhio (una volta conosciuto che Dio non sopporta di essere visualizzato in immagini) poiché esso diventa allora l’immagine della visualizzazione. So benissimo che Dio vede e non è visto: sono proprio termini della Bibbia. Ciò non mi fa cambiare parere, perché colui che vede non è Occhio. Egli dispone di due occhi, condizione necessaria per percepire il rilievo e così guidare il movimento, per arrivare a qualcosa e toccare: “mi conduce la tua mano”. La visione bioculare è quella che fa già alleanza con il resto del corpo e con il tatto, senso verso il quale tutto questo salmo ci orienta. (…) In questo salmo, Dio conosce, ciò che è ben altra cosa di vedere. “Tu mi scruti”, prima parola del poema, indica questo tipo di visione che oltrepassa la visione penetrando le superfici, Dio scruta, penetra, corre, soffia, e la sua mano assedia, conduce, afferra. Bisogna, ripetiamolo, che il volto di Dio tocchi la sua immagine, dato che l’immagine non afferma il concreto. Così è il movimento del salmo, verso un punto centrale». Terza strofa: verso il “punto di creazione” «Se c’è un testo in cui il movimento naturale dell’uomo è rivolto verso un punto interno, a partire dal quale soltanto diventa possibile pronunciare la creazione, quello è il nostro. Lo spazio appare come l’elemento a partire dal quale Dio spinge l’uomo fuori dal vuoto. Ma Dio non spinge l’uomo fuori dal vuoto per condurlo verso qualche super-spazio. Attraverso il cosmo denudato dalla notte, Dio conduce l’uomo verso il pieno, verso l’embrione cieco che Dio vede. La visione che ha potuto attraversare tutta l’oscurità non è più la visione di cui parlavamo poco fa: essa è unita alle tenebre. La luce è un’altra luce, e non semplicemente il contrario della notte. Essa ha trovato la presenza. Nello spazio, come lo rappresenta l’inizio del salmo, non c’è Dio. L’occhio dell’uomo, occhio per il quale Dio è soltanto invisibile, impara a conoscere appunto, nello spazio, l’assenza di Dio. Ma la visione si converte nella notte. Essa si ripiega dallo spazio fino al centro notturno, fino al “punto di creazione”. (…) Là Dio lo vede con una visione diversa da quella dell’uomo. Che il nostro corpo fosse situato nel mondo, lo sapevamo, ma quale cammino dalle superfici in cui l’occhio si ammacca, fino a quel corpo che è già, di per sé, un interno e quindi l’inverso di una superficie, ma che era ancora ben più estraneo a ogni sguardo quando non era venuto alla luce! Similmente, sapevamo già che Dio vede in noi più profondamente di noi, ma il modo biblico di dirlo è più concreto e più semplice: prima del mio corpo, il mio essere-embrionale nel seno di mia madre ed è là che Dio mi vede. Per l’ “Io” che parla in prima persona, il centro del corpo prenatale è allo stesso tempo il centro della terra e quello della presenza divina ( v 15b “mentre ero formato nel segreto” v 15c ed ero intessuto nelle viscere della terra”)» (Beaushamp). 7 Il terzo movimento ci spinge dallo spazio e dal tempo esteriore verso il microcosmo interiore, l’uomo nella sua intimità. Qui sono custoditi il segreto e il prodigio di ogni uomo: “mi hai fatto come un prodigio”. Questo “punto di creazione”, questo nucleo intimo e irraggiungibile (nessuno vede il proprio concepimento), è salvo perché custodito dallo sguardo amorevole di Dio. Dio partecipa alla tessitura delle reni (la sede per la bibbia della vita e delle passioni); conosce il respiro e l’ossatura, lo scheletro che viene formato nel segreto e il ricamo di tutte le membra. L’uomo è rappresentato come una miniatura, un broccato ben ricamato, un capolavoro. Sono tutte immagini care alla Scrittura che parla di Dio come di un vasaio, un tessitore, il principio sorgivo della vita creata. Da notare il parallelo tra due grembi, quello materno e quello della “madre terra” (coma la chiama Francesco). Su questo parallelismo scorre la vita dell’uomo ospitato nel grembo materno e nella terra madre, fino a riposare nel grembo-sepolcro della terra che lo accoglie per un’ultima nascita. Gli occhi di Dio vedono già nell’embrione la creatura, i giorni che lo attendono, nel presente il futuro, i giorni non ancora presenti sono scritti nel libro. Anche questo è un tema biblico ricorrente: il libro di Dio custodisce il corso della vita. Non dobbiamo qui leggere un’anticipazione del tema teologico complesso della predestinazione, soprattutto nel senso di un destino interamente prefigurato che si opponga alla libera azione dell’uomo, quanto piuttosto la partecipazione preveniente di Dio che fin dall’inizio vede quel futuro che deve ancora dipanarsi e partecipa attivamente a tutta la nostra storia, «nei suoi meandri più reconditi e nelle sua ramificazioni più complesse. (…) L’uomo ha davanti a sé il quadro ancora vuoto dei suoi giorni, inizia a scalare la piramide delle sue ore senza conoscerne la meta. Dio invece dall’alto della sua trascendenza abbraccia interamente il quadro della piramide delle opere umane» (Ravasi). Dire che i tutti giorni sono scritti sul suo libro non significa tanto un destino già determinato, che impedisce la libertà dell’agire umano ma al contrario che nessun giorno andrà perduto perché Dio lo custodisce. Anche i giorni oscuri e il tempo che a noi pare perduto, insensato, sono scritti, fissati, perché non vadano perduti. Certo questo rotolo, questo libro non è accessibile se non agli occhi di chi può salvare anche ciò che sembra perduto, a colui che l’Apocalisse chiama l’Agnello (Ap 5,1-7). La strofa si conclude con una nuova sospensione, una meta-riflessione stupita sulla bellezza dei pensieri di Dio che superano ogni nostra comprensione: potremmo contare i pensieri come la sabbia e non finiremmo mai! Non sono finite le sorprese di Dio! E così mi addormento (come fa gustare una traduzione: “mi risveglio ed ecco, sono ancora con te”), ma al mio risveglio non trovo altro che te. 8 Quarta strofa: giuramento di innocenza davanti al giudizio divino L’ultima strofa ci riporta al contesto di un processo, dove il salmista, perseguitato da una ingiusta accusa di idolatria, si appella al tribunale di Dio, con una sorta di “giuramento d’innocenza”, imprecando contro i malvagi per affermare la propria giustizia. Lo fa appellandosi a Dio che, proprio perché conosce ogni cosa, sa bene chi ha di fronte. Il processo vede presenti tre protagonisti: Dio, l’empio e il salmista. Dio è il giudice giusto, vendicatore che odia il male, che non lo sopporta, al quale possiamo rivolgerci quando tutto e tutti sono contro di noi, perché lui sa! Di fronte a questo Dio giusto si presentano, come in un processo, gli altri due attori. Da una parte gli empi, gli idolatri che sono ingannatori e menzogneri e sanguinari (il riferimento sembra essere quello ai sacrifici idolatrici, al sangue versato per cause false), i nemici di Dio. Dall’altra parte l’orante che si schiera totalmente dalla parte di Dio e che odia i suoi nemici così come Dio odia il male. L’odio qui – parola che a noi sembra troppo forte ed eccessiva (non dobbiamo amare i nostri nemici?) – è la scelta decisa di opporsi al male e all’idolatria, una sorta di abiura degli idoli. Questo esasperato “giuramento di innocenza” dai toni estremi, sembra suggerire una certa incertezza da parte dell’orante. Egli si schiera dalla parte di Dio con tutte le sue forze, vuole non essere confuso con i malvagi: forse perché teme in cuor suo di non essere poi così innocente? Ritroviamo un tema ricorrente nei salmi: il salmista che si proclama giusto, innocente sembra un paradosso. Come possiamo identificarci con lui, come possiamo dirci del tutto innocenti? O forse proprio questo è il percorso che la preghiera salmica ci porta a fare: diventiamo innocenti se ci poniamo sotto lo sguardo di Dio che conosce la nostra intimità, il bene che c’è in noi, lo vede più di ogni altra cosa, e vedendolo ci rende giusti, ricrea la nostra innocenza anche quando a noi pare perduta. E infatti alla fine il salmista si rimette al giudizio di Dio, si sottopone fiducioso al suo sguardo. Presenta a Dio il suo cuore e anche i pensieri oscuri (come fa cogliere la traduzione che dice: “provami e conosci i miei incubi”): non li conosce Lui prima ancora che prendano forma? Il giusto non teme la luce, anche quando porta a vedere il male che è dentro di noi, perché solo il male portato alla luce può essere perdonato! E così il finale del salmo è l’invito a rimettersi in cammino: “vedi se sono su una via idolatrica (forse non sono così innocente, o meglio la mia innocenza sta in Dio!) e guidami nella via eterna”, “guidami sulla via della vita”. La vita dell’uomo si dipana nella scelta della via diritta, quella giusta (cf il salmo 2 in apertura del salterio sulle due vie, quella della beatitudine e quella del male) e può sperare che Dio, che lo conosce fino in fondo, lo conduca verso il bene, la beatitudine, la vita eterna. Non pensa tanto, il salmista, alla vita dopo la morte (prospettiva questa solo seconda nella bibbia), ma alla via giusta che proprio perché segue la legge, trova la vita e la trova per sempre. 9 Spunti di rilettura cristologica del salmo Come mi conosce Gesù? Lo sguardo di Gesù, la tenerezza di Dio su di noi Sarebbe bello rileggere questo salmo con davanti un volto del Cristo, i suoi occhi amabili e dolci, inaccessibili per il mistero che li abita, ma anche vicini per l’umanità che riflette. Come guarda Gesù il mondo, le cose, la vita, gli uomini, il loro vagare e il loro perdersi, il loro fuggire e il loro ritrovarsi? Come forse vedeva le folle, come pecore senza pastore, come pance da sfamare, ferite da curare. E poi conosce nell’intimo, sonda i pensieri del cuore, scruta l’anima e davanti al suo sguardo non puoi nasconderti; come Zaccheo non puoi neppure salire in alto, perché anche là ti trova, ti insegue, ti stana. Basta un suo sguardo e Pietro, il peccatore, scioglie in lacrime la sua diserzione e tutto ricomincia, la strada si riapre. Basta un cenno e inizia una storia e il suo è uno sguardo che chiama, capace di vocazione. Come già i profeti, come già Geremia, che sapeva che “fin dal seno della madre” il Signore aveva posto gli occhi su di lui e questa diventa una chiamata cui non si può sfuggire. Gli occhi di Gesù guidano la sua mano, la delicatezza di una carezza, la forza per rialzare chi è caduto. Sguardo e mano fanno un tutt’uno perché il suo vedere mi tocca nell’intimo e il suo toccare vede nel profondo. La vita spirituale come fuga lontano da Dio A volte sembra che non ci si possa liberare di Dio, che ci stia con “fiato sul collo”, inseguendo i nostri goffi tentativi di fuga, come Giona. Neppure a Tarsis, il porto più lontano, possiamo nasconderci. Braccati dal suo amore come dice il poeta: Versi scritti sul muro Più lontano mi sei, più Ti risento fremiti dentro il cuore sangue, grido, tumore, e crescermi sul petto. Più sei lontano e più Ti porto addosso, fra l’abito e la carne, contrabbando cattivo, volpe rubata che mi mangia il petto. (Gesualdo Bufalino, L’amaro miele) Eppure questo fuggire da Dio per ritrovarsi in lui ci segna, come una ferita, come un amore scritto nel profondo dell’anima, incancellabile e indelebile, che sempre risorge ad ogni fuga e ci chiama, vocati fin dal seno della madre, ad un amore più grande, ad una vita più vera. 10
Description: