1 L’ALDILÀ EBRAICO ANTICO: SHEOL, INFERNO, PARADISO. Lettura di EDOARDO SIRAVO PAOLO SACCHI UNIVERSITÀ DI TORINO IN QUESTA CONFERENZA PRESENTERÒ L’EVOLUZIONE DELL’IMMAGINE DELL’ANIMA E DEI LUOGHI DEL SUO DESTINO DOPO LA MORTE ALL’INTERNO DELLA SOCIETÀ EBRAICA DAI TEMPI PIÙ ANTICHI FINO AL TEMPO DI GESÙ, CIOÈ AL I SECOLO. EDOARDO SIRAVO LEGGERÀ UNA SERIE DI TESTI CHE TESTIMONIERANNO L’EVOLUZIONE DELL’IMMAGINE DELL’ANIMA E DEI LUOGHI DELLA VITA OLTRE LA MORTE NELLA CULTURA EBRAICA. MA PER CAPIRE IL SENSO DELL’EVOLUZIONE DELL’IMMAGINE DELL’ANIMA, BISOGNA AVER PRESENTI LE STRUTTURE FONDAMENTALI DELLA RELIGIONE EBRAICA E LA SUA EVOLUZIONE CHE NEGLI ANNI CHE VANNO DALLA FINE DEL VII SEC. A.C. FINO ALLA METÀ DEL V SEC. A.C. EBBE UN’EVOLUZIONE ENORME, TANTO CHE GLI STUDIOSI DANNO ORMAI DUE NOMI DIVERSI AL PERIODO ANTERIORE AL 600 E A QUELLO POSTERIORE AL 500: PER IL PRIMO SI PARLA DI «EBRAISMO», OVVIAMENTE IN SENSO STRETTO, MENTRE PER IL SECONDO SI PARLA DI «GIUDAISMO». HO DIVISO IL MIO INTERVENTO IN TRE PARTI. LA PRIMA TRATTA IL TEMA DELLA MORTE VISTA COME DISCESA NELLO SHEÒL, CIOÈ NELLA TERRA, DOVE LA VITA DELLE OMBRE È VITA DEPOTENZIATA AL MASSIMO, È VITA NON VITA. QUESTA INTERPRETAZIONE DELL’ALDILÀ FINIRÀ COL DIVENTARE LA CONCEZIONE DELLA MORTE COME L’ENTRATA NEL NULLA. LA SECONDA PARTE TRATTA DELLA VITA DOPO LA MORTE COME VITA NON SOLO REALE, MA VITA, PER I BUONI ALMENO, PRESSO DIO IN UNA DIMENSIONE CHE NON È PIÙ QUELLA TERRENA. QUESTA VITA PRESSO DIO PUÒ ESSERE CONCEPITA COME IMMORTALITÀ DELL’ANIMA, O COME RISURREZIONE DEI CORPI, O COME TUTTE E DUE LE COSE CONTEMPORANEAMENTE. LA TERZA PARTE PARLERÀ DELLA CONCEZIONE CRISTIANA, O ALMENO DI QUALCHE ASPETTO DI ESSA. IN OGNI CASO, I TESTI CHE SARANNO LETTI, SONO COSÌ NUMEROSI E INTERESSANTI DI PER SÉ, CHE AVRÒ TEMPO PER COMMENTARNE SOLO UNA PARTE. I PASSI CHE SARANNO LETTI DERIVANO DA TESTI PROVENIENTI DA TRE CORPORA: 1) BIBBIA; 2) APOCRIFI. 3) TESTI QUMRANICI. 1) PER TESTI DELLA BIBBIA SI INTENDONO TUTTI QUEI LIBRI CHE A NOI SONO GIUNTI NELLA LINGUA ORIGINALE ATTRAVERSO LA NORMALE TRADIZIONE; SONO STATI TRASMESSI DALLE 2 SINAGOGHE. NE ABBIAMO ANCHE TRADUZIONI IN MOLTE LINGUE ANTICHE, PRIME FRA TUTTE: IL GRECO, IL SIRIACO E IL LATINO. QUESTI TESTI SONO CANONICI, CIOÈ CONSIDERATI ISPIRATI NELLA SINAGOGA E NELLE CHIESE CRISTIANE. LA CHIESA CATTOLICA AGGIUNGE AL CANONE EBRAICO ALTRI SETTE LIBRI DETTI DEUTEROCANONICI. 2) PER TESTI APOCRIFI DELL’ANTICO TESTAMENTO SI INTENDONO TUTTI QUEI TESTI A CARATTERE RELIGIOSO CHE CI SONO GIUNTI NON IN LINGUA ORIGINALE, MA NELLA TRADUZIONE FATTA DA CHIESE CRISTIANE, CHE EVIDENTEMENTE AVEVANO INTERESSE PER ALTRI TESTI OLTRE A QUELLI DIVENTATI CANONICI. 3) SI DICONO QUMRANICI I TESTI CHE SONO STATI SCOPERTI ALLA METÀ DEL SECOLO PASSATO NELLE GROTTE VICINO A QUMRAN, SUL MAR MORTO. QUESTI TESTI CI HANNO CONSERVATO FRAMMENTI DELLA BIBBIA CANONICA, FRAMMENTI DI APOCRIFI IN LINGUA ORIGINALE E TESTI NON NOTI PRIMA IN NESSUN MODO; QUESTI ULTIMI SONO I MANOSCRITTI COMPOSTI ALL’INTERNO DEL GRUPPO DI QUMRAN, CHE SI ERA RITIRATO SULLE RIVE DEL MAR MORTO PER SEPARARSI DAL RESTO DI ISRAELE. I PASSI BIBLICI SONO DATI NELLA TRADUZIONE DELLA CEI. FANNO ECCEZIONE: GIOBBE, PER IL QUALE HO PREFERITO LA TRADUZIONE DI RAVASI, E QOHELET, CHE HO TRADOTTO IO. PER GLI APOCRIFI, C’È LA MIA EDIZIONE (UTET, CONTINUATA DA PAIDEIA): ANCHE QUESTA VOLTA CON UN’ECCEZIONE: IL LIBRO DELLE PARABOLE È DATO NELLA RECENTISSIMA TRADUZIONE DI CHIALÀ NELL’EDIZIONE DELLA PAIDEIA.. L’UNICO TESTO QUMRANICO È DATO NELLA VERSIONE DI C. MARTONE. SPIEGHERÒ POI PERCHÉ DELLA RICCA BIBLIOTECA DI QUMRAN HO PROPOSTO PER LA LETTURA UN SOLO PASSO. PRIMA DELLA LETTURA DEI TESTI, DARÒ QUALCHE IDEA GUIDA, CHE SERVA PER INQUADRARE LE CONCEZIONI RELATIVE ALL'ALDILÀ NELL’INSIEME DEL PENSIERO RELIGIOSO EBRAICO. DOPO IL TEMPO DELLE ORIGINI CHE ARRIVA ALL’ANNO 1000, ABBIAMO IL PERIODO DELLA MONARCHIA UNITA (X SECOLO) SEGUITO DA QUELLO DELLA MONARCHIA DIVISA. NEI SECOLI IX E VIII A.C. ESISTETTERO DUE REGNI EBRAICI, QUELLO DEL NORD O DI ISRAELE CON CAPITALE QUASI SEMPRE A SAMARIA, E QUELLO DEL SUD O DI GIUDA CON CAPITALE A GERUSALEMME; IL REGNO DEL NORD FINÌ NEL 721 E RESTÒ, QUINDI, UN SOLO REGNO EBRAICO CON CAPITALE SEMPRE A GERUSALEMME E SEMPRE GOVERNATO DALLA MEDESIMA DINASTIA, QUELLA DAVIDICA, CHIAMATA COSÌ DAL NOME DEL FONDATORE. DURANTE QUESTO LUNGO PERIODO (DAL X AL VII SECOLO) GLI EBREI FURONO, SPECIALMENTE QUELLI DEL NORD, UNA PARTE DELLA CULTURA CANANAICA DEL TEMPO, LA CULTURA DI TUTTA LA REGIONE. DISTINGUERE LA CULTURA EBRAICA DA QUELLA CANANAICA È UN’IMPRESA NON FACILE. COME I CANANEI AVEVANO UN DIO, COSÌ ANCHE GLI EBREI AVEVANO UN DIO, YAHWEH, CHE ERA IL LORO DIO. A DIFFERENZA DEI MESOPOTAMICI CHE AVEVANO STRUTTURATO I LORO DÈI IN UN PANTHEON, DOVE GLI DÈI ERANO, 3 PER COSÌ DIRE, SPECIALIZZATI - COME IL DIO DELLA GUERRA E DELL’AMORE, IL DIO DELLA TEMPESTA E COSÌ VIA - I CANANEI, COME ANCHE GLI EBREI, AVEVANO UN DIO SOLO CHE PROTEGGEVA TUTTO UN POPOLO SENZA ESSERE SPECIALIZZATO IN NESSUN CAMPO. BENINTESO, L’ESISTENZA DEGLI DÈI DEGLI ALTRI POPOLI ERA RICONOSCIUTA, PERCHÉ CIASCUN POPOLO AVEVA IL SUO DIO; QUINDI, NON SI TRATTAVA DI MONOTEISTI. SI TENGA PRESENTE, INOLTRE, CHE ACCANTO ALLA DIVINITÀ MASCHILE C’ERA NORMALMENTE ANCHE UNA DIVINITÀ FEMMINILE. IN GENERE, PER INDICARE QUESTO TIPO DI RELIGIONE SI USA IL TERMINE “MONOLATRIA”, PER INDICARE CHE QUEI POPOLI, PUR CREDENDO NELL’ESISTENZA DI MOLTI DÈI, TUTTAVIA PRESTAVANO, O AVREBBERO DOVUTO PRESTARE, CULTO SOLTANTO AL PROPRIO DIO. COMUNQUE, LE INVETTIVE DEI PROFETI CONTRO COLORO CHE ADORAVANO OLTRE A YAHWEH ANCHE ALTRI DÈI ERANO COMUNI, PERCHÉ, COME DICE UNA MASSIMA ANTICA ATTRIBUITA A AHIQAR, «SE TROVI QUALCOSA DAVANTI A UN IDOLO, OFFRIGLIENE UNA PARTE». EVIDENTEMENTE È SEMPRE BENE ONORARE IL DIO CHE TI HA PORTATO FORTUNA. IL REGNO DI GIUDA FU A LUNGO DOMINATO DAGLI ASSIRI CHE IMPOSERO LORO DEI ANCHE NEL TEMPIO DI GERUSALEMME. SIAMO NEL VII SECOLO E CON QUESTO SI CHIUDE IL PERIODO EBRAICO. DURANTE QUESTO PERIODO LA RELIGIOSITÀ EBRAICA OSCILLA FRA LA MONOLATRIA E IL POLITEISMO VERO E PROPRIO. COME RICORDA LA BIBBIA STESSA, C’ERA IN ISRAELE IL COSIDDETTO CULTO DELLE ALTURE, CHE NEMMENO I RE MIGLIORI, SECONDO IL GIUDIZIO DELLO STORICO CHE COMPOSE QUELLA GRANDE STORIA DI ISRAELE CHE VA DALLE ORIGINI FINO AL 561 A.C.1 , RIUSCIRONO AD ABOLIRE. IL CULTO DELLE ALTURE CONSISTEVA NEL CELEBRARE SU UNA PIATTAFORMA ELEVATA (DA QUI LA TRADUZIONE ITALIANA «ALTURE») IL CULTO DI UNA DIVINITÀ MASCHILE INSIEME CON UNA FEMMINILE. IN DEFINITIVA, OGNI POPOLO DOVEVA SENTIRSI SOTTO LA PROTEZIONE DI UN DIO E DI UNA DEA. E UNA DEA ANAT, DETTA ANAT YAHWEH, COME PAREDRA DI YAHWEH ERA MENZIONATA ANCORA NEL V SEC. A.C., QUINDI IN EPOCA GIÀ POSTESILICA, NELLE LETTERE CHE VENIVANO SPEDITE A GERUSALEMME DA MEMBRI DI UNA COLONIA DI MERCENARI EBREI, STANZIATI SULL’ALTO NILO, AL SOLDO DEI FARAONI A DIFESA DELL’EGITTO CONTRO IL PERICOLO DI INCURSIONI E INVASIONI DA PARTE DELLA NUBIA. SONO LETTERE UFFICIALI E DIMOSTRANO CHE L’IDEA CHE ACCANTO A YAHWEH CI FOSSE UNA DÈA ERA RADICATA NEL MONDO EBRAICO, ALMENO PERIFERICO, E NON PRODUCEVA CONDANNE DA PARTE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME. NEL 587 A.C. IL REGNO DI GIUDA FU INVASO DAI BABILONESI DI NABUCODONOSOR E IL REGNO PERSE LA SUA INDIPENDENZA, MA GLI EBREI MANTENNERO LA LORO IDENTITÀ, IN QUANTO LA 1 Si tratta del complesso del pentateuco e dei libri storici. Naturalmente nell’opera dello storico ebreo che visse alla corte in esilio di Yehoyakin, o del suo immediato successore Sheshbassar, in ogni caso verso la metà del VI sec. a.C. non c’erano ancora quelle parti, molte, che derivavano dalla tradizione Sacerdotale e che furono inserite nel racconto originario solo in seguito. 4 GIUDEA FU CONSIDERATA DAI BABILONESI UN REGNO VASSALLO GOVERNATO ANCORA DALLA CASA REGNANTE DAVIDICA. I SOVRANI ERANO NESI’ÌM, CIOÈ «RE VASSALLI» DEL GRAN RE DI BABILONIA, CIOÈ DI QUELLO CHE OGGI CHIAMEREMMO L’IMPERATORE DEL VASTO IMPERO BABILONESE. I SOVRANI EBREI ERANO CONSIDERATI GOVERNATORI DELLA LORO TERRA, MA MANTENEVANO I TITOLI REGALI, COME È ATTESTATO DALLA DOCUMENTAZIOONE BABILONESE. UNA PARTE DEGLI EBREI FU PORTATA IN ESILIO – ANCHE LA CORTE VIVEVA IN BABILONIA, ANCHE SE DOVEVA AVERE QUALCHE PIED-À-TERRE IN GERUSALEMME E NELLA GIUDEA, DOVE I FUNZIONARI EBRAICI SI RECAVANO NORMALMENTE, FACENDO LA SPOLA FRA BABILONIA E GERUSALEMME. DURANTE L’ESILIO, GLI EBREI PIÙ IMPORTANTI CULTURALMENTE SI TROVAVANO IN BABILONIA E QUI FURONO IN STRETTO CONTATTO CON LA GRANDE CULTURA BABILONESE. FU IN QUESTO TEMPO CHE MISERO INSIEME LA GRANDE OPERA STORICA CHE VA DALLE ORIGINI DEL MONDO FINO AL 561 A.C., QUANDO SI INTERRUPPE, PER NON ESSERE PIÙ RIPRESA. DALLA GRANDE CULTURA BABILONESE GLI EBREI APPRESERO LE NOZIONI RIGUARDANTI L’ASTRONOMIA E TUTTI I PROBLEMI SCIENTIFICI, SECONDO LA PIÙ AVANZATA SCIENZA DI ALLORA, RELATIVI ALLA DIVISIONE DEL TEMPO. PRIMA DI EZECHIELE, PROFETA IN ESILIO, LE VISIONI PROFETICHE AVVENIVANO SEMPRE SULLA TERRA; CON EZECHIELE LA SITUAZIONE CAMBIÒ. IL LIBRO DI EZECHIELE COMINCIA CON LE PAROLE: «IL 5 DEL QUARTO MESE DELL’ANNO TRENTESIMO2, MENTRE MI TROVAVO FRA I DEPORTATI SULLE RIVE DEL CANALE CHEBAR, I CIELI SI APRIRONO ED EBBI VISIONI DIVINE». ERA L’ANNO QUINTO DELLA DEPORTAZIONE DEL RE YEHOYAKIN…» . LO SGUARDO DELL’EBREO COMINCIA A GUARDARE IL MONDO CHE C’È SOPRA LE NUBI. COMINCIA A PARLARE DEL CIELO. NEL 539 CIRO OCCUPÒ LA BABILONIA E GLI EBREI ENTRARONO IN CONTATTO CON LA CULTURA IRANICA. ISAIA SECONDO O DEUTEROISAIA COMINCIA VEDERE IN YAHWEH IL DIO NON DEGLI EBREI, MA DI TUTTA LA TERRA. NASCE IL MONOTEISMO EBRAICO. ANCHE LE VICENDE DELL’IMMAGINE DELL’ANIMA E DEI LUOGHI CHE L’ATTENDONO DOPO LA MORTE VARIANO DI PARI PASSO CON IL MUTAMENTO DELLA CONCEZIONE DEL DIVINO E DEL SUO MONDO. E’ UN CAMBIAMENTO NON IMMEDIATO, NON DIRETTO, MA È CERTO CHE L’IDEA DELL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA SI FORMA ALL’INTERNO DELLA NUOVA CONCEZIONE DEL DIVINO, CHE SI EBBE NEL GIUDAISMO. PRIMA LETTURA LE CONCEZIONI EBRAICHE PIÙ ANTICHE. 2 Il numero si riferisce agli anni del profeta. 5 LO SHEOL COME LUOGO REALE, SOTTERRANEO, DOVE LA VITA È NULLA. NELL’EPOCA PIÙ ANTICA LA CONCEZIONE CHE EBBERO GLI EBREI DELL’OLTRETOMBA NON DIFFERIVA IN NULLA DA QUELLA DEI POPOLI CIRCONVICINI, CIOÈ I CANANEI, I FENICI, I MESOPOTAMICI. PER L’EBREO ANTICO MORIRE ERA UNA NECESSITÀ DI NATURA E MORIRE SIGNI- FICAVA FINIRE NELLO SHEÒL, UN MONDO SOTTERRANEO SENZA LUCE E, DIREI, SENZA VITA, DOVE LE LARVE O OMBRE (TRADUZIONI CORRENTI DELL’EBRAICO 'OBOT) VIVEVANO LONTANE DA YHWH, SENZA POTERGLI PIÙ TRIBUTARE LODE E SENZA PIÙ POTER GODERE DELLA SUA PROTEZIONE. PER INDICARE QUESTO TIPO DI VITA NELLO SHEÒL È STATA USATA L'ESPRESSIONE QUANTO MAI EFFICACE DI «VITA DEPOTENZIATA AL MASSIMO». SE QUALCOSA DISTINGUEVA QUESTA VISIONE EBRAICA DEGLI INFERI DA QUELLA DEI POPOLI MESOPOTAMICI O GRECI ERA IL FATTO CHE NEGLI INFERI NON ABITAVA NESSUN DIO. YAHWEH ERA, PER DEFINIZIONE EBRAICA, RE DEI VIVI, NON RE DEI MORTI. NELLO SHEÒL NON C’ERA NESSUN DIO CHE POTESSE FARE CONCORRENZA A YAHWEH. ERA LA CONCEZIONE CHE SI TROVAVA UN PO’ IN TUTTO IL BACINO MEDITERRANEO CON L’ECCEZIONE DEGLI EGIZIANI, CHE INTORNO AL 1000 A.C. DA TEMPO CREDEVANO NELL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA. IL MONDO ERA IMMAGINATO DAGLI EGIZIANI COME UNA SFERA TAGLIATA DA UN PIANO, PASSANTE PER IL CENTRO, CHE ERA LA TERRA. NELLA PARTE SUPERIORE ABITAVANO I VIVI; NELLA PARTE INFERIORE DELLA SFERA VIVEVANO I DEFUNTI. IL PASSAGGIO DA UN MONDO ALL’ALTRO ERA POSTO ALL’ESTREMO OCCIDENTE E DI QUI PASSAVA ANCHE A SERA IL SOLE, IL DIO RA, PER ANDARE A ILLUMINARE IL MONDO DEI TRAPASSATI. L’IMMAGINE, INVECE, DELL’OLTRETOMBA CHE AVEVANO GLI EBREI È SIMILE A QUELLA CHE POTEVA AVERE OMERO. SI PENSI ALLA SCENA DELL’EVOCAZIONE DEI MORTI NEL CANTO UNDICESIMO DELL’ODISSEA. ULISSE SCAVA UNA FOSSA DOVE SGOZZA ANIMALI SACRIFICALI. IL SANGUE PENETRA NEL SUOLO E ECCO ACCORRERE LE OMBRE DEI MORTI, AVIDE DI BERE IL SANGUE, CIOÈ LA VITA. NELLA BIBBIA ABBIAMO QUALCOSA DI SIMILE ALLA SCENA OMERICA NEL RACCONTO DELL’EVOCAZIONE DELL’OMBRA DI SAMUELE DA PARTE DELL’INDOVINA DI EN-DOR (1 SAM 28, 3- 16). COME GLI EBREI PENSASSERO CHE FOSSE LO SHEÒL È VAGO. COMUNQUE, NELLO SHEÒL SI SCENDEVA: ERA UNA DISCESA REALE IN UN LUOGO REALE, NON NEL NULLA. ERA LA DISCESA NEL SUOLO, ERA ENTRARE NEL SUOLO. «ESSI SCESERO VIVI NELLO SHEÒL COI LORO BENI: POI LA TERRA SI RICHIUSE SOPRA DI LORO ED ESSI SCOMPARVERO DI MEZZO ALLA COMUNITÀ» (NUM 16, 33). NON C’È DUBBIO CHE LO SHEÒL ERA UN LUOGO REALE, DOVE REALMENTE ERANO RACCOLTE LE OMBRE. LA MORTE SEGNAVA LA FINE DELLA VITA ED ERA UGUALE PER TUTTI, NON SOLO NEL 6 SENSO CHE TUTTI MORIAMO, MA NEL SENSO CHE NESSUN GIUDIZIO ERA PREVISTO NEL MONDO EBRAICO SULLE OMBRE DEI DEFUNTI. NON C’ERA NESSUN DIO NELLO SHEÒL EBRAICO, CHE GOVERNASSE IL REGNO DELLE OMBRE. BUONI E CATTIVI, POTENTI E POVERI DIAVOLI, SAMUELE IL GIUSTO E SAUL IL PERVERSO, SCENDEVANO TUTTI ALLO STESSO MODO NELLO SHEÒL, TUTTI UGUALMENTE DESTINATI (IS 14, 11) A UNA VITA FRA LA PUTREDINE E I VERMI, LONTANI IN OGNI CASO DA DIO, TUTTI PRIVI DI LUCE, TUTTI SEPARATI DALLA DIVINITÀ, TUTTI VIVI NON VIVI. LO SHEÒL È NELLA MENTE UMANA IL PUNTO ANTITETICO DEL CIELO DOVE RISIEDE DIO. E’ IL LUOGO TALMENTE LONTANO DA DIO, CHE È DIO DEI VIVI, DOVE NEMMENO LUI PUÒ GIUNGERE. GIOBBE VORREBBE ESSERE NELLO SHEÒL, ESSERE MORTO, PER LIBERARSI DALLA PERSECUZIONE DIVINA E CON GIOBBE SIAMO GIÀ IN EPOCA POSTESILICA, ALMENO NEL V SEC. A.C. «LO SHEÒL NON INNEGGIA A TE, NÉ LA MORTE TI LODA; COLORO CHE SCENDONO NELLA TOMBA NON SPERANO PIÙ NELLA TUA FEDELTÀ. CHI È IN VITA, CHI È IN VITA TI LODA...» (IS 38, 18-19). ANCORA PIÙ AMARO È IL SALMO 88: «IO SONO COME GLI UCCISI STESI NEL SEPOLCRO, DEI QUALI TU NON CONSERVI IL RICORDO E CHE LA TUA MANO HA ABBANDONATO. … COMPI FORSE PRODIGI PER I MORTI? O LE OMBRE TI DANNO LODE?» ALLO SHEÒL, È VERO, SCENDONO TUTTI ALLO STESO MODO: NON C'È GIUDIZIO CHE DISTINGUA UN DESTINO DALL'ALTRO. TUTTAVIA LA MORTE CON LE SUE IMMAGINI RACCAPRICCIANTI PUÒ SERVIRE PER GIOIRE DELLA MORTE DEL NEMICO. L’ORGOGLIO E LA MALVAGITÀ UMANI SONO ABBATTUTI DALLA MORTE. ANCHE SE LA MORTE È UGUALE PER TUTTI, BUONI E MALVAGI, E UGUALE PER TUTTI È LA DISCESA ALLO SHEÒL, CIÒ NON TOGLIE CHE LA MORTE DEL MALVAGIO SIA GUARDATA CON UN COMPIACIMENTO PARTICOLARE, COME NEL TESTO DI IS 14 CHE È STATO LETTO. SI SOTTOLINEA IL TRAPASSO DALLA GLORIA PASSATA ALLA PUTREDINE DELLA MORTE, COME SE QUESTA FOSSE UNA PUNIZIONE PER IL RE MALVAGIO. DALLE STELLE DEL CIELO È PRECIPITATO NEGLI INFERI; RIPOSA SU UNO STRATO DI MARCIUME E DI VERMI. NON È UNA RIFLESSIONE SULLA MORTE: È SOLO LA GIOIA DI VEDERE IL PROPRIO NEMICO NELLA CONDIZIONE DI DISFACIMENTO DOPO ESSERSI EGUAGLIATO ALLE STELLE DEL CIELO. L’AUTORE STA PENSANDO AL CADAVERE DEL RE ABBANDONATO SUL CAMPO DI BATTAGLIA, PRIVO DI UN SEPOLCRO DI PIETRA DOVE IN EFFETTI NON C’È MARCIUME PIENO DI VERMI. CIÒ CHE RESTA 7 DELL’UOMO BUONO A DIFFERENZA DEL MALVAGIO È IL SEPOLCRO, SOLO IL SEPOLCRO E MAGARI IL RICORDO, MA QUESTO FATTO CHE HA ISPIRATO GOETHE E FOSCOLO, NON DICE NULLA ALL’ANTICO EBREO. LA REALTÀ È QUELLA CHE È ED È INUTILE FARCI SOPRA PENSIERI E RIFLESSIONI. QUESTE NASCERANNO SOLO IN EPOCA PREELLENISTICA E ELLENISTICA, QUINDI PARECCHIO DOPO. LO SHEOL E IL LUOGO DOVE RIPOSA IL MORTO SONO LA STESSA COSA. ANCORA IN EZECHIELE, IN UN PASSO CHE È STATO DATATO AL 587 A.C., LA CONCEZIONE DELLO SHEÒL APPARE IMMUTATA: «CHE NESSUN ALBERO (ESPRESSIONE METAFORICA), PIANTATO IN RIVA ALLE ACQUE, SI ESALTI D'ORGOGLIO PER LA SUA GRANDEZZA...E NON CONFIDINO IN SÉ QUANTI SONO IRRIGATI DALLE ACQUE. PERCHÉ TUTTI SONO DESTINATI ALLA MORTE, NELLA REGIONE SOTTERRANEA, IN MEZZO AI FIGLI DELL'UOMO, FRA QUELLI GIÀ DISCESI AL SOGGIORNO DEI MORTI.» (EZ 31, 14). IN QUESTO TESTO BUONI E CATTIVI SONO MESSI SULLO STESSO PIANO. ESULTARE PER IL PROPRIO BENESSERE, PER LA PROPRIA LIBERAZIONE HA UN SENSO; MA PER LA MORTE DEI NEMICI, IN QUANTO TALE; NO. LA MORTE VIOLENTA PUÒ RAPPRESENTARE LA PUNIZIONE DEL POTENTE MALVAGIO, IN QUANTO VIOLENTA, MA IN QUANTO MORTE È SOLO IL DESTINO DI TUTTI. C’È, POI, UN CAPITOLO DI EZECHIELE, IL 37, CHE È COSTITUITO DA UNA SCENA DI CADAVERI CHE TORNANO ALLA VITA. DATA LA FORZA DELLE IMMAGINI, È STATO INTERPRETATO IN PASSATO COME PROFEZIA DELLA RESURREZIONE FINALE, MA NON È CHE L’IMMAGINE – PROFEZIA DEL RITORNO DI ISRAELE DALL’ESILIO. QUESTA INTERPRETAZIONE È ANTICA, SE GIÀ UN TESTO TROVATO A QUMRAN (TESTO QUMRANICO 4Q385), NON SAPPIAMO DI CHE EPOCA, MA CERTAMENTE NON ANTERIORE AL 200 A.C., LO INTERPRETAVA COME PROFEZIA DELLA RESURREZIONE. LA FRASE «UNA GRANDE MOLTITUDINE DI UOMINI SI ALZERÀ E BENEDIRÀ YAHWEH SEBAOT, IL DIO DEGLI ESERCITI, CHE LI HA FATTI RIVIVERE». (L. 8). E’ UNA RISCRITTURA DI EZECHIELE ED È CERTO CHE ALLUDE ALLA RESURREZIONE FINALE. L’AUTORE METTE IN EVIDENZA CHE GLI UOMINI, TORNATI ALLA VITA, POTRANNO DI NUOVO BENEDIRE IL SIGNORE. QUESTA RESURREZIONE È VISTA SULLO SFONDO DELL’IMMAGINE DELLO SHEÒL: PRIMA DELLA RESURREZIONE NON C’ERA PER LE OMBRE NESSUNA POSSIBILITÀ DI LODARE DIO. SI TRATTA EVIDENTEMENTE DI UN’INTERPRETAZIONE DI EZECHIELE, PERCHÉ GLI ESSENI DI QUMRAN, COME VEDREMO, CREDEVANO NELL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA NEL SENSO 8 NOSTRO DEL TERMINE E CREDEVANO CHE LE ANIME SANTE CELEBRASSERO CONTINUAMENTE LA GLORIA DI DIO. LO SHEÒL NEL POSTESILIO: DAL LUOGO DEI MORTI AL NULLA IN EPOCA POSTESILICA GIOBBE NON VEDE ANCORA NIENTE AL DI LÀ DELLA MORTE, ANCHE SE NELLE SUE PAROLE LA MORTE COMINCIA AD APPARIRE COME IL SEGNO PIÙ GRANDE DELLA LIMITATEZZA UMANA, COSA CHE NASCONDE UN QUALCHE BISOGNO DI SUPERARLA. NASCE LA RIFLESSIONE SULLA MORTE. «QUANDO L'UOMO MUORE, GIACE CADAVERE» (GIOB 14, 10). «QUANDO L'UOMO È MORTO, DOPO DOV'È? FORSE CHE QUANDO L'UOMO È MORTO, DOPO PUÒ VIVERE (ANCORA)?» (GIOB 14, 14). LO SHEÒL È L'UNICO POSTO, DOVE LA MANO TREMENDA DI DIO NON ARRIVA, PERCHÉ YAHWEH È DIO DEI VIVI, MA NON DEI MORTI; E GIOBBE VORREBBE NASCONDERSI NELLO SHEÒL PER SFUGGIRE A DIO: «OH! SE TU MI NASCONDESSI NELLO SHEÒL, E MI TENESSI NASCOSTO FINCHÉ NON È PASSATA LA TUA IRA» (GIOB 14, 13). SHEÒL DIVENTA SINONIMO LETTERARIO DI MORTE E IL REGNO DEI MORTI È DETTO DA GIOBBE 'ABADDON «DISTRUZIONE» (GIOB 26, 5; 28, 22; PROV 15, 11; 27, 20), DUMAH «SILENZIO» (PS 94, 17; 115, 17). IL SENSO DEL NULLA DELLA MORTE SI FA SEMPRE PIÙ CHIARO FINO ALLA LUCIDA MEDITAZIONE SULLA MORTE DI QOHÉLET. QOHÉLET SI OPPOSE ALLA CREDENZA DELL'ANIMA IMMORTALE CHE GIÀ COMINCIAVA AD AFFERMARSI IN ISRAELE. SI SOFFERMÒ A LUNGO A DESCRIVERE LA MORTE: ERA RAZIONALISTA ED EMPIRISTA, EVITÒ DI GUARDARE LA MORTE COME FORZA ESTERNA ALL'UOMO E QUINDI, SIA PURE IN VIA DI PURA POSSIBILITÀ, VINCIBILE. SENTÌ LA MORTE COME ANNIENTAMENTO. LA MORTE, ANCHE QUELLA BUONA CHE VIENE NELLA VECCHIAIA, NON È CHE L'ULTIMO ATTO DI QUEL PROCESSO DI DEPOTENZIAMENTO CHE È LA VECCHIEZZA: LA MORTE APPARE COME NIENTE ALTRO CHE L'AFFIEVOLIRSI DELLE CAPACITÀ VITALI FINO ALLA LORO SCOMPARSA TOTALE. FACCIAMO L'ESPERIENZA DELLA MORTE DENTRO DI NOI, MENTRE SIAMO ANCORA IN VITA: «TUTTO CIÒ CHE FAI, FALLO FINCHÉ HAI FORZA, PERCHÉ NON C'È NÉ AZIONE, NÉ PENSIERO, NÉ SCIENZA, NÉ SAPIENZA NELLO SHEÒL DOVE STAI ANDANDO» (QOH 9, 10). 9 LA MORTE È L'INCAPACITÀ ASSOLUTA DI AMARE, DI ODIARE, DI AVERE AMBIZIONI: «FINCHÉ UNO È VIVO, C'È SPERANZA, PERCHÉ STA MEGLIO UN CANE VIVO CHE UN LEONE MORTO. INFATTI I VIVI SANNO CHE DEVONO MORIRE, MA I MORTI NON SANNO NULLA; PER LORO NON C'È PIÙ GUADAGNO; IL LORO RICORDO È ANDATO NELL'OBLIO. IL LORO AMORE, IL LORO ODIO, LA LORO AMBIZIONE, TUTTO ORMAI È SCOMPARSO. NON HANNO PIÙ PARTE ALCUNA COL MONDO, CON TUTTO CIÒ CHE SI FA SOTTO IL SOLE» (QOH 9, 4-6). LA MORTE COME PROCESSO DI AFFIEVOLIMENTO DELLE FORZE VITALI FINO ALLA LORO SCOMPARSA COMPLETA È DESCRITTA IN UN BRANO PIENO DI FREDDO PATHOS. L'ESPRESSIONE È CONTROLLATA, INDULGE ALLA METAFORA E AL SIMBOLO, ALLA COSTRUZIONE LETTERARIA: CIÒ CREA UN SENSO IMPRESSIONANTE DI DISTACCO LUCIDO: «PENSA AL TUO CREATORE NEI GIORNI DELLA TUA GIOVINEZZA, PRIMA CHE VENGANO I GIORNI BRUTTI E CHE TI CAPITINO ANNI, DEI QUALI TU DICA CHE NON TI PIACCIONO; PRIMA CHE SI OTTENEBRINO IL SOLE E LA LUCE, LA LUNA E LE STELLE, PRIMA CHE TORNINO LE NUBI DOPO IL TEMPORALE... PRIMA CHE SI TRONCHI IL FILO D'ARGENTO, SI ROMPA LA SFERA D'ORO, SI FRANTUMI LA BROCCA SULLA FONTE, SI SPACCHI LA CARRUCOLA PER FINIRE NEL POZZO» (QOH 12, 1-6). LA VITA, GUARDATA DALLA SUA FINE È UNA SERIE DI ACCADIMENTI CHE S’INTERROMPE (IL FILO CHE SI SPEZZA), È LA SUA GLOBALITÀ, QUALE È PERCEPITA DALL'UOMO NEGLI ISTANTI CHE SI SUSSEGUONO PER TUTTA LA SUA VITA, CHE SI FRANTUMA (LA SFERA); È L'ACQUA SIMBOLO DELLA VITA CHE, PERSO IL SUO CONTENITORE, RITORNA NELLE TENEBRE DELLA PROFONDITÀ DEL POZZO, IMMAGINE CHE NON PUÒ ESSERE RAZIONALIZZATA, PER LA SUA PREGNANZA ECCEZIONALE. MA QOHÉLET CONOSCEVA CERTAMENTE ANCHE CONCEZIONI DIVERSE RIGUARDANTI LA MORTE; ALTRIMENTI NON SI CAPISCE L'INSISTENZA CON CUI AFFRONTA IL PROBLEMA, NÉ L'IRONIA CON CUI RIBADISCE CHE L'UOMO NON HA NULLA IN PIÙ DELL'ANIMALE (QOH 3, 18-22). LA SUA POLEMICA È TUTTAVIA ANCHE LA DIMOSTRAZIONE CHE LE IDEE RELATIVE ALL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA SI ANDAVANO DIFFONDENDO. 10 NON MOLTO TEMPO DOPO QOHÉLET, AGLI INIZI DEL II SEC. A.C., IL SIRACIDE SI MUOVE ANCORA NELL’AMBITO DELLE IDEE CHE VEDONO IL NULLA DOPO LA MORTE: «DONA, RICEVI; INGANNA L'ANIMO TUO, PERCHÉ NELLO SHEÒL NON SI PUÒ CERCARE LA GIOIA. OGNI CORPO INVECCHIA COME UN VESTITO, ED È LEGGE DI SEMPRE: TU DEVI MORIRE. COME LE FOGLIE SPUNTATE SU ALBERO VERDEGGIANTE, ALCUNE CADONO E ALTRE SBOCCIANO, COSÌ SONO LE GENERAZIONI DELLA CARNE E DEL SANGUE, UNA MUORE E L'ALTRA NASCE. OGNI COSA CORRUTTIBILE PERISCE, E L'ARTEFICE SE NE ANDRÀ CON L'OPERA SUA» (SIR 14, 16-19). LA MORTE È LA FINE, MA QUESTO GLI CREA PROBLEMA: L’ESISTENZA DELLA MORTE NON È PIÙ IN NATURA, MA DEVE ESSERE SPIEGATA COME UN’ANOMALIA DELLA NATURA. LA MORTE DEVE AVERE UNA CAUSA CHE È FUORI DELLA CREAZIONE. E’ NELLA STORIA. SCRIVE IL SIRACIDE CHE «L'INIZIO DEL PECCATO FU DALLA DONNA E A CAUSA DI LEI (O DEL PECCATO, PERCHÉ L'ESPRESSIONE È AMBIGUA SIA IN EBRAICO SIA IN GRECO, MA IL SENSO DELLA FRASE NON CAMBIA PER QUESTO) TUTTI MORIAMO» (SIR 25, 24). QUINDI LA MORTE È STATA CREATA DALL’UOMO, NON DA DIO. ALMENO TEORICAMENTE, SE SI POTESSE VINCERE IL PECCATO, SI VINCEREBBE ANCHE LA MORTE. USO QUESTA ESPRESSIONE «VINCERE LA MORTE», PERCHÉ LA MORTE COMINCIÒ AD ESSERE VISTA NON PIÙ COME UN FATTO, MA COME UNA FORZA, OVVIAMENTE NEMICA DELL'UOMO. NEL CANTICO DEI CANTICI (DATAZIONE MOLTO INCERTA) LA MORTE È UNA FORZA IMMENSA, CHE SERVE DA TERMINE DI PARAGONE PER INDICARE QUALE SIA LA POTENZA DELL'A- MORE (CANT 8, 6): L’AMORE È «FORTE COME LA MORTE», «TRAVOLGENTE COME LO SHEÒL». SHEÒL E MORTE SONO ORMAI SINONIMI AD INDICARE QUALCOSA CHE HA UNA FORZA INESORABILE; IN QUESTO SHEÒL NON SI SCORGE PIÙ IL LUOGO DA CUI FU FATTA RISALIRE LA LARVA DI SAMUELE. NON SI PARLA PIÙ DI VERMI E DI PUTREDINE, MA ALL'IDEA DI MORTE SI ASSOCIA QUELLA DI SCOMPARSA TOTALE E INESORABILE. DOPO IL SIRACIDE NON ABBIAMO PIÙ ALCUNA DOCUMENTAZIONE LETTERARIA DELLA MORTE COME IL NULLA. ABBIAMO SOLTANTO LA NOTIZIA CHE ANCORA AL TEMPO DI GESÙ I SADDUCEI NEGAVANO L’ESISTENZA DI UNA FORMA DI VITA OLTRE LA MORTE. SECONDA LETTURA
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