ebook img

Sam Durell missione danza della morte Edward S. Aarons EDIZIONE 2013 di Bandinotto PDF

120 Pages·2016·1.73 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Sam Durell missione danza della morte Edward S. Aarons EDIZIONE 2013 di Bandinotto

Segretissimo n. 142 Del 18 agosto 1975 Edward S. Aarons Sam Durell – Missione danza della morte titolo originale: Assignment Cairo dancers 1966 Traduzione di Bruno Just Lazzari Copertina di Carlo Jacono Indice © Trama Personaggi principali Spie in museo Edward S. Aarons Opere In italiano 1 A Roma, all’inizio della primavera, il dottor Paolo Nardinocchi scomparve del tutto. Non lo fece apposta. Lui non sospettava di nulla. Ma quel giorno, o meglio quella notte, scomparve davvero. Era una serata piovosa. A lui piaceva passeggiare per via Veneto osservando le turiste americane intorno all'Excelsior, le stelle del cinema con impressionanti occhiali da sole, le donne eleganti e la fauna di parassiti ballerina del Tout-Rome. Tutta quella gente era estranea al dottor Paolo Nardinocchi più che se fosse vissuto sul pianeta Marte, che invece, in realtà, aveva per il dottore meno segreti di quanti ne avevano quegli elegantoni che chiacchieravano, seduti fuori dei caffè. Aveva fretta. Aveva una moglie e due figlie sulla quindicina e abitava in un bell'appartamento arredato con gusto, messo a sua disposizione dall'Istituto di Ottica, che riceveva, in cambio dei lavori del dottor Nardinocchi, misteriose sovvenzioni dal governo americano; Però, in quella sera piovosa e romantica di primavera, lui non si stava dirigendo verso la sua abitazione e la sua famiglia. Andava a trovare Gina. Prima di incontrare Gina, Nardinocchi si considerava uno scienziato rispettabile, barbuto, più che cinquantenne, un po' scocciato dagli uragani sentimentali che attraversavano le figlie, alle prese con i primi amoretti e le prime tentazioni della vita. Gina aveva sconvolto tutto. Nardinocchi riconosceva di comportarsi peggio del più irresponsabile degli adolescenti. Ma Paolo Nardinocchi ora se ne infischiava altamente. A cinquantasette anni si era innamorato con tutto l’ardore e tutta la passione di un ragazzone, in barba alla famiglia, alla moglie, alle figlie e al suo lavoro. E a causa di Gina. Quella donna bruna e voluttuosa aveva un principio esclusivo: la vita è fatta per divertirsi. Ignorava tutto delle sue origini, ma anche di questo se ne infischiava, dal momento che l’aveva per sé. Per i suoi begli occhi si era indebitato fino ai capelli. Era diventato lo schiavo di quel corpo snello, liscio e sinuoso. Quando pensava al petto sodo e alle cosce nervose di Gina perdeva la testa e l’appetito, non riusciva a lavorare, a concentrarsi, a fare qualcosa. Pensava solo a correre da lei come stava appunto capitando in quella serata, piovosa e romantica. – Paolo – sospirò lei – sei in ritardo, mio caro. – Gina, mi hai aspettato! – sospirò di rimando lui, sollevato. – Certo. Ti avevo promesso di aspettarti ancora un giorno, no? – rispose lei con una smorfia. Le sue labbra sensuali erano una promessa di baci sapientemente fatti e dosati. Lo baciò sull’orecchio e si alzò dal divano. – Ma io non sono una donna che possa affrontare la povertà, mio caro Paolo. Non ce la farei. – Non c’è pericolo – sussurrò lui. – No di certo, tesoro. Hai portato i documenti? – Sì, sì. È stata una cosa rischiosissima, ma ho... Non hai un bicchier di vino, qualcosa da bere? – Dove sono? – Le carte? Nella borsa... là. – Benissimo. Valgono un patrimonio. Sarò ricca. – Ma resterai a Roma? – Certo, tesoro. Lei lo guardò con i suoi occhi verdi, a mandorla, e lui ricordò quella sera in cui aveva danzato per lui, solo per lui, incantatrice scatenata dalla passione, e di colpo fu preda di un desiderio folle. Le avrebbe dato tutto ciò lei voleva. Non poteva perderla. La donna gli si avvicinò e i suoi grandi occhi verdi gli lanciarono uno sguardo promettente. – Paolo – mormorò. – Credi che un altro, oltre a te, potrebbe capire questi misteri? Il tuo lavoro è così complesso, si tratta di un progetto talmente importante e astuto. – Potrei spiegare le formule... – E anche altri potrebbero capirle? – Non ne sono sicuro. Ma basta parlare di lavoro!... – Se nessuno può capirle, che valore hanno dunque questi documenti? – Non lo so. Tu dici di poterli piazzare e io mi rendo perfettamente conto di aver venduto l’anima al diavolo. Li ho rubati: sono tuoi. – Ma può darsi che non abbiano alcun valore – obiettò lei con una smorfia. – Se non ci sei tu per spiegarli... – Può darsi. – Allora, bisognerà. che tu mi accompagni, non ti pare, tesoro? – Non capisco. – Capirai. Ciao, tesoro! Lo sguardo del dottor Nardinocchi si velò di tristezza quando la donna affondò il piccolo ago nella sua nuca. Lo scienziato piombò immediatamente nell’incoscienza. E nessuno lo rivide mai più. Quell’estate, il professor Anton Novotnik fu imbarcato in tutt' altro modo. Voleva passare in occidente. Ricordava la vecchia Cecoslovacchia all’epoca precedente il regime hitleriano, poi l'ondata sovietica che aveva sommerso un piccolo paese industriale e laborioso. Lavorava a Bratislava, sulle rive del Danubio grigio e placido, nei laboratori di ottica che realizzavano il programma «Raggio di Sole». Il professore Novotnik credeva nel suo lavoro ed era felice di poterlo proseguire. Le sue ricerche erano tali da capovolgere il mondo. Se fosse riuscito, avrebbe potuto anche lui, come Archimede, sollevare il mondo, non con una leva, ma con un raggio di sole. Ma odiava i suoi padroni sovietici che approfittavano dei suoi lavori e sfruttavano il suo genio. Era separato dall’Austria solo dal nastro del fiume. Quell’estate, gli si presentò l’occasione di evadere e la colse al volo. Un individuo che non tardò a dichiarare, con molte circonlocuzioni, di essere americano, gli propose di attraversare il fiume e di raggiungere l’Austria – Professore – gli disse. – Stanotte possiamo passare. È una di quelle notti calde in cui il Danubio è coperto di nebbia. Il professore Novotnik era assetato di libertà. Non diffidava di quel nuovo amico, di quel giovanotto che, con sprezzo della vita, aveva attraversato la Cortina di Ferro, per venirlo a salvare, spinto dall'ammirazione per la sua intelligenza e fama di scienziato. – Non desiderate rivedere vostra moglie, professore? – gli domandò la sua guida mentre aspettavano sulla riva avvolta di nebbia. – No – Potrebbe tradirvi, non è vero? – Certamente. È iscritta al partito ed è una vera fanatica. La chiamano «il Giudice Rosso», sapete – rispose il professor Novotnik rabbrividendo. – Anton – disse l'americano ridendo – vorrei sapere se voi fuggite dai russi allettato da tutto ciò che vi abbiamo promesso o se cercate soltanto di scappare da vostra moglie. – Tutti e due – rispose Anton con aria stanca. – Dov’è il battello? È tardi. – Calmatevi. Avete con voi i documenti? – Sono qui – rispose Anton accarezzando la borsa. – Ho portato tutti i documenti dei miei lavori. – Benissimo. Non avrete da rimpiangere nulla. L’ultima cosa che il professor Anton Novotnik scorse, fu la riva del Danubio e le scure putrelle delle officine lungo il fiume, fantasmi nella caligine notturna. Al di là delle onde sudice e oleose, lontana, lontanissima, c'era l’Austria. Non la vide mai. L'ago gli provocò solo un dolore superficiale, poi Anton si accasciò ai piedi dell'americano» e perse i sensi. E anche lui scomparve. La terza sparizione fu quella del dottor Hubertus Steigmann che abitava a Huntsville, nell’Alabama. Era autunno. L’esca che venne lanciata a Hubertus Steigmann non fu come per il dottor Nardinocchi, a Roma, un corpo fresco e piacevole, ne', come per Novotnik, a Bratislava, la promessa della libertà sotto i bei cieli d’Occidente. Per Steigmann, venne usata nello stesso tempo la frusta e la carota. La frusta fu un incartamento per omicidio che lui credeva ignorato da tutti. Era stato un delitto particolarmente ignobile e contro natura: aveva ucciso il proprio fratello senza mai pentirsene. Ma qualcuno invece era al corrente della cosa. La carota fu sua figlia Lisl. Ignorava che fosse ancora viva, fino al giorno in cui, con mille cautele, lei gli aveva scritto. La lettera gli giunse per vie segrete e destò in Hubertus una notevole emozione, un violento senso di rimorso. L’istinto paterno si ridestò, pensò alla ragazza di ventidue anni che non aveva mai vista. Tutte le immagini che aveva tentato di dimenticare rifluirono in lui come una massa d’acqua che s'ingolfa nella breccia di una diga. La direzione del personale della C.I.A., aveva, molto tempo prima, garantito per il professor Steigmann, appena arrivato negli Stati Uniti come profugo; l'F.B.I. aveva fatto lo stesso, dopo aver indagato sulla sua vita nella Germania Orientale, venti anni prima. Non esisteva alcun documento che potesse provare qualcosa a suo carico e il misero incartamento che lo riguardava si stava ingiallendo, quell’autunno, negli archivi del N.S.A. a Washington. Il dottor Steigmann si era naturalizzato americano. Il suo nome era notissimo ai lettori di riviste tecniche e le sue conferenze avevano molto successo nei congressi scientifici. Come nel suo lontano passato non esistevano prove di attività politica sovversiva, così non si trovava più la minima prova della sua innocenza. Ma era sul punto di fare una scoperta capitale e il suo contributo alla difesa nazionale americana avrebbe giustificato la fiducia che avevano avuto in lui in una Berlino devastata dalla guerra, un quarto di secolo prima. Steigmann aveva tutta l'aria di una brava persona. Si sforzava di non apparire sentimentale e la squadra che lavorava ai suoi ordini nel laboratorio del laser, a Huntsville, lo riteneva molto poco romantico. Ma «lo ro» avevano scoperto questo aspetto nascosto della sua personalità, avevano ritrovato sua figlia, ed era stato questo il loro punto di partenza. Da quel momento tutto fu abbastanza semplice. Il dottor Steigmann prese l’aereo per l'Inghilterra dovendo partecipare ad un congresso angloamericano dedicato alla scoperta imminente alla quale lo stavano portando le sue ricerche e, con la scusa di visitare l’università di Edimburgo, si assentò da Londra per un giorno intero. Gli ordini di sorveglianza erano un po’meno severi. Nessuno si accorse che saliva, quel pomeriggio, sull’aereo a reazione diretto a Monaco e nessuno seppe che, dopo una così lunga assenza, fosse tornato in Germania. Poi, i giornali dell’Europa occidentale pubblicarono enormi articoli che riferivano l'arresto del professore da parte delle autorità della Germania federale. Quel criminale a lungo ricercato, quell’alto gerarca nazista si era reso colpevole dei più atroci delitti durante i giorni più truci del regime hitleriano. Ma non fu tutto: il secondo giorno dopo la sua cattura, il dottor Steigmann evase. E il dottor Steigmann, come i suoi colleghi Nardinocchi e Novotnik, scomparve. Fu allora che la faccenda fini nelle mani di Sam Durell. ^ 2 Durell prese l’aereo per Huntsville, vi trascorse due giorni, poi tornò a Washington al numero 20 di via Annapolis, quartiere generale della sezione K della C.I.A.. Era un agente speciale della sezione K; aveva il titolo di vicedirettore; era una specie di sbloccatore d’urto, e i carichi finanziari del suo servizio venivano passati in conto spese generali; il suo capo, il generale Dickinson McFee, aveva per unici superiori gerarchici quelli della N.S.A., lo Stato Maggiore Generale della Casa Bianca. Era una di quelle giornate calde e umide di settembre in cui i condizionatori surriscaldati fanno saltare le valvole e in cui si stenta a dominare i propri nervi. Il generale McFee, piccolo, scuro e brizzolato, era l'unico a rimanere calmo. – Sedetevi, Cajun – disse McFee. – Non avrete molto tempo per riposare. – Nel mio lavoro o si aspetta o ci si precipita – rispose Durell. – Stavolta, dovrete precipitarvi e non possiamo aspettare. C’è tensione, dappertutto e contemporaneamente. – Non sono riuscito a scoprire il minimo indizio sul dottor Hubertus Steigmann... niente, comunque, a Huntsville. – Steigmann non è che un filo in una matassa arruffatissima, Cajun. Ma è un filo tirando il quale forse possiamo arrivare al centro della matassa. Abbiamo alcune notizie: non è una cosa allegra. Il nostro «doktor» potrebbe essere, se posso usare la metafora, il detonatore di un bel pacco di dinamite. Durell non apri bocca. Raramente McFee adottava quello stile e Sam sentiva un pizzicore sgradevole all’incavo dello stomaco mentre aspettava il seguito. Il generale spinse verso Durell una cartella con delle etichette rosse che ne indicavano l'urgenza. Durell non la toccò. – Leggete questo incartamento, Sam. In poche parole, illustra la scomparsa di quattordici scienziati conosciuti in tutto il mondo. Non parlo solo di americani, di inglesi e di italiani. Abbiamo perso Steigmann; l’ultimo in ordine di tempo. Ma prima, c’è stato Wilde-Evans del Galles, Alvarez del Brasile, Jacques Rondville di Parigi, un giovane geniale cinese Sung Laio di Taipeh, Nardinocchi di Roma... be’, che Dio mi fulmini, potrei continuare così per un pezzo. Dapprima abbiamo creduto che si trattasse di tradimenti di nuovo genere, provocati da una nuova specie di esca; ma non abbiamo trovato alcuna traccia di questi uomini ad Est. Né a Mosca né a Pechino. Non la minima pista. E poi, abbiamo avuto informazioni dai vostri colleghi del K.G.B., Sam. – Anche Mosca ha perso qualcuno? – Sì, scienziati di prim’ordine. L’ultimo è stato Novotnik, l'esperto cecoslovacco del controllo della luce molecolare. Aveva lasciato capire che intendeva passare per convinzione in Occidente e che contava di rifugiarsi in Austria. Ma non vi è mai arrivato. – E gli altri? – Quattro russi, due cinesi. Ecco le cartelle. Deve trattarsi di qualcuno che monopolizza i cervelli e li colleziona, non vi pare? Durell non rispose. – Ben inteso, noi vogliamo ricuperare Steigmann – proseguì McFee. – È essenziale. Ignoro quali siano le accuse formulate contro di lui dalla Germania; se è realmente un criminale di guerra ce ne occuperemo più tardi. Per il momento vogliamo ricuperarlo con tutte le notizie che ha preso dal laboratorio del laser di Huntsville. So che cosa pensate dei criminali di guerra, Sam. Quelli di Monaco possiedono su Steigmann informazioni che noi non abbiamo. La sua cartella è vergine, per quanto ci riguarda. – Non potrebbe essere stato vittima di una macchinazione? – Secondo me, sì, ma non c’è fumo senza fuoco. Noi non siamo infallibili. Sul conto di uomini come Steigmann, noi indaghiamo meglio che possiamo, ma capitano qui da noi, apolidi e senza un soldo. Perciò, che facciamo? Vi do carta bianca. – Ossia? – Se non riuscite a riportarlo indietro vivo, può darsi che dobbiate eliminarlo. – Capisco. – Ma, soprattutto, Sam, bisogna assolutamente scoprire, quale che sia, il treno clandestino che imbarca i cervelli di tutti i laboratori del mondo. Trovatelo, cercate di scoprire come Steigmann vi è salito, prendete un biglietto e non muovetevi finché non siete arrivato al capolinea. – Ma non mi lasceranno nemmeno entrare in stazione – obiettò Durell. – Non sono uno scienziato, io! – Poco importa come procederete, Sam. È affar vostro, ma dovete arrivare al capolinea. Imbrogliateli, fate l’imbecille, commettete errori. – McFee assunse un’aria un tantino sinistra. – Naturalmente, correte il rischio di lasciarci la pelle, Cajun. – Cercherò di riportarla a casa, generale. ^ 3 Sull’aereo che lo portava a Londra Sam Durell lesse le fotocopie degli incartamenti e concentrò la sua attenzione sulle schede relative al dottor Steigmann, ma queste non gli rivelarono niente di più di ciò che gli aveva detto McFee. Andò a bruciare gli incartamenti nel gabinetto dell’aereo e tirò lo sciacquone sopra l’Atlantico. A Londra si mise in contatto con i tecnici della ricerca, scandalizzati dall’arresto, e quindi dall'evasione e scomparsa di Steigmann, a Monaco. Ciò non gli fece fare neanche un passo avanti. Si recò a Edimburgo, senza maggior successo. Steigmann non aveva incontrato nessuno prima di prendere l’aereo per Monaco. Allora Sam andò in Germania. Era da un’ora appena a Monaco quando capì di essere seguito. Ne fu soddisfatto e si comportò in modo di non disturbare la persona che lo pedinava. Fino a quel momento aveva avuto l’impressione di camminare in un vicolo cieco. Ma capi che c’era una via d’uscita: la ragazza che lo seguiva. Dapprima, pensò che non era affatto pericolosa. Agiva goffamente e non ebbe difficoltà a individuarla. Da pedinato divenne pedinatore e scopri così che abitava in un albergo mediocrissimo, il «Prinz», che si chiamava Carole Bainbury e che aveva un passaporto britannico. L'indagine fu così facile che ad un dato momento, Durell si chiese se la ragazza non aveva fatto apposta a essere così maldestra. Se giocava a fare la dilettante e «voleva» farsi individuare, Sam non aveva motivo di rallegrarsi. Decise di stare in guardia. Ciononostante questa manovra lo rassicurò, in quanto è sempre meglio avere a che fare con un professionista che con un dilettante. Non si sa mai se l’avversario non si creda in obbligo di uccidere e, in quel genere di mestiere, Sam non apprezzava affatto 1 dilettanti. Trascorse ventiquattro ore a Monaco, telefonò secondo la formula prescritta al collegamento della sezione K e fissò un appuntamento. Si recò alla chiesa di San Pietro che era stata rimodernata: sul lato nord della torre, un disco bianco annunciava che si potevano vedere le Alpi. Se una palla rossa avesse sostituito il disco bianco, segno che la visibilità non arrivava al di là dei sobborghi della città, Sam avrebbe dovuto aspettare un altro giorno. In cima alla torre, scopri in mezzo ad un gruppo di turisti gesticolanti, eccitati dalla birra che avevano tracannato, Henry Gordon, un brav’uomo calvo, con un vestito di tweed, in bocca una pipa di schiuma, il quale stava riscaldandosi al sole di settembre. Chiacchierarono contemplando le cime lontane delle Alpi. – Dove l'hai individuata la prima volta? – domandò Gordon. – Alla birreria Platzl di fronte al Hofbrauhaus. Naturalmente stava bevendo una birra. Che altro si può bere a Monaco? – Carole Bainbury è diplomata all'università di Londra – commentò Gordon tirando tranquillamente una boccata di fumo dalla pipa – È proprio inglese. Ha ventidue anni e studia archeologia. Ha partecipato alla spedizione archeologica Dudley-Smythe che ha lavorato nel deserto del Negev, nel punto in cui sorgeva Nabatea. Ti dice niente, Sam? – Per il momento, no! – Non abbiamo niente da rimproverarle Sembra che passi le vacanze a visitare l'Europa. – La tipica inglese, insomma commentò Durell. – Esatto. Gonna di tweed e occhiali di tartaruga, nel miglior stile della segretaria di direzione. Gli occhi probabilmente stanchi dal troppo studiare quei vecchi cocci polverosi, non credi? È una documentarista e sono quindici giorni che è in Germania Sicché vi si trovava prima del nostro uomo. Da ciò si può dedurre ciò che si vuole. – Mi sembra importante. Credi che lavori per l’M I. 6 inglese? – Non ne so nulla. Beninteso, ho fatto indagini. Non aprono bocca; non hanno mai sentito parlare di lei, ma da domani può darsi che

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.