ebook img

Sam Durell e la regina delle Amazzoni Edward S. Aarons EDIZIONE 2013 di Bandinotto PDF

127 Pages·2013·2.27 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Sam Durell e la regina delle Amazzoni Edward S. Aarons EDIZIONE 2013 di Bandinotto

Segretissimo n. 590 Del 20 marzo 1975 Edward S. Aarons Sam Durell e la regina delle Amazzoni titolo originale: Assignement Amazon Queen, 1974 Traduzione di Nuccia Agazzi Copertina di Carlo Jacono Indice © Sommario Sturmtruppen Trama Personaggi principali Edward S. Aarons Opere In italiano 1 La voce di Durell dominò il tonfo, ritmato e lo scricchiolio del grosso albero maestro sul ponte del battello a pale. – Ricordatevi che a bordo ci sono famiglie intere, donne e bambini, polli, capre, gli uomini della sala macchine e forse qualche poliziotto della polizia fluviale. Cerchiamo di non seminare il panico fra gli indigeni. Sapete tutti quello che dovete fare. – Si – annui Wells. – Non credo che riusciremo ad agire tranquillamente – osservò Belmont. – Non mi piace – commentò Agosto sottovoce. Durell si rivolse al portoghese. – Perché non vi piace, Agosto? – Lui sa che siamo a bordo, señor. Aspetta solo che facciamo la prima mossa. Si terrà pronto. Se qualcosa dovesse andar storto... – Niente andrà storto. – Ma se accadesse, noi non sapremo dove andare, tranne che nel fiume. Come dite voialtri americani, siamo tutti nella stessa barca. Il fiume è ampio e profondo. Noi lo chiamiamo “O Rio Mar”, il fiume-mare. Non sono troppo bravo a nuotare, e non mi va l’idea di offrire una gamba o un braccio a qualche “piraña”, il grosso pesce gatto che divora i bambini. Il fiume è pieno dei cose strane, e molte sono orribili. – Agosto, assicuratevi soltanto che quelli restino bloccati nella loro cabina mentre io andrò a prendere la chiave dalla ragazza – ordinò quietamente Durell. – Poi raggiungetemi su, nella cabina del timoniere. I denti di Willie Wells brillarono bianchissimi nella faccia nera. – Ti accaparri sempre i lavori migliori, Caimano. Ma quella è una gatta selvaggia. – È il mestiere – ribatte Durell, calmo. – Lei ti ha messo gli occhi addosso da quando siamo partiti da Belèm... Durell non riuscì a trattenere un leggero sorriso. – Si chiama Inocenza... ma non è poi tanto innocente. – Gettò un’occhiata al quadrante luminoso del suo orologio e soggiunse: – È ora, andiamo. – Un momento – lo fermò la voce sommessa di Agosto. Era un brasiliano di discendenza portoghese, un “moreno” con la faccia che aveva il colore del carbone acceso, per via del sangue indiano “tapajos” che gli scorreva nelle vene. I suoi antenati dovevano appartenere a quei gruppi di “bandeirantes” che si erano spinti nell’interno del Brasile in cerca di bottino e di schiavi, di onori e di gloria. Agosto era un tipo basso e tarchiato, con il cappello di paglia a tesa larga da colono, la camicia bianca con il colletto dalle punte allungate aperta sul collo muscoloso. Calzava scarpe di pelle e indossava un paio di pantaloni a righe bianche e nere. I muscoli delle spalle erano tesi sotto la stoffa della camicia. Agosto era un ladro di professione, uno fra i migliori nel suo genere; cosi, perlomeno, aveva riferito la Centrale della Sezione K. – Sbarcheremo a Paramaguito solo fra due ore, señor Sam disse il brasiliano. – Lasciatemi provare la cassaforte; lo sapete che sono un esperto... – E se ti prendono? – Non mi sono mai lasciato prendere, finora, señor Sam. Alla peggio, posso sempre sbrogliarmela con “o capitão”. – ll capitano O’Hara è più duro di quel che pensate. – So come affrontarlo. E comunque, è soltanto un vecchio. – Agosto fissò Durell negli occhi. – Forse non vi fidate di me per il contenuto della cassaforte? Capisco che c’è di mezzo un bel po' di denaro, ma... – Non mi fido di nessuno in quest'affare – lo interruppe Durell con voce piatta. – Con la chiave è più facile. Faremo a modo mio. Erano partiti otto giorni prima da Belèm, e il tempo incalzava. Il fiume non dava segno di restringersi. Era una massa tremenda, potente, incredibile d'acqua sporca e fangosa che aveva già percorso quattromila chilometri circa scendendo dalle Ande peruviane. Lontano, sulla destra, ammiccavano alcune luci sulla riva. A sinistra non si vedeva nulla tranne l’oscurità umida e torrida della notte equatoriale, una distesa senza tempo e senza limiti, di una potenza indescrivibile. Il volume del Rio delle Amazzoni era pari a quello degli otto fiumi più grandi del mondo. Non per niente era stato battezzato il “Rio Mar”, il fiume-mare, dai primi esploratori portoghesi che si erano inoltrati nella regione quattrocento anni prima. Ilha de Marajo era rimasta alle loro spalle, con il suo labirinto di canali e con i suoi mercantili sgangherati, di pescherecci, le imbarcazioni da trasporto fluviale, le lance, le chiatte, le canoe indiane. ll “Due Fratelli”, in brasiliano “O Duos Imãos”, procedeva lentissimo muovendo le due pale laterali contro la massa infinita del fiume che seguiva implacabile il suo corso verso l’Atlantico. – Ci muoveremo ora, se non avete obiezioni – annunciò Durell. Vorrei uccidere quell’individuo disse Belmont. – Andy era mio amico. – Uccidere Stepanic non ci ridarà Andy Weyer. Abbiamo bisogno di Stepanic per un altro giorno, comunque. O perlomeno finché non partiremo da Paramaguito. E non sappiamo da quale organizzazione è spalleggiato. – Merita di morire – dichiarò Belmont. Era solo un'ombra alta e snella, una sagoma senza volto nel buio sotto la sporgenza del ponte di manovra del vecchio battello. Indossava un maglione nero a collo alto, sebbene la notte fosse calda e soffocante, pantaloni scuri, scarpe con la suola di gomma, che lo rendevano quasi invisibile. Durell lo aveva “raccolto” durante il volo da Ginevra a Roma, proveniente da Budapest. Sulla faccia cadaverica di Belmont spiccava una ciocca di capelli bianchi. L'agente parlava portoghese, fra le altre lingue, e un tempo aveva fatto parte della Squadra Q della Sezione K, il che significava che sapeva tutto ciò che c’era da sapere sui vari modi di uccidere. Tony Belmont fece scricchiolare le nocche delle dita nodose. In lui si fiutava la violenza. Il leggero scricchiolio delle nocche fu sommerso dal tonfo sordo e sbuffante dei vecchi motori del battello a pale. – D’accordo, Sam – disse alla fine Belmont. – Faremo come vuoi tu. Ma prima. di ricevere le prossime istruzioni, Stepanic sarà morto. – Voglio sapere per chi lavora l'albanese, prima che tu faccia qualcosa, Tony. – È pagato dalla Casa Rossa – tagliò corto Belmont. Il giovane sembrava sputare le parole. Da chi altri, se no? – Allora questa è una missione per cui non è stato autorizzato. Pechino ha mandato una squadra ufficiale, un equipaggio “regolare”, per questo incarico. – Come lo sai? Durell non rispose alla domanda di Belmont. – Andiamo – disse. Scese la scaletta. Durell era un uomo alto, con le spalle poderose, i capelli neri spruzzati di grigio alle tempie, gli occhi di un azzurro cupo che qualche volta diventavano neri, quando lui era in collera o pensieroso. Per la sua corporatura, si muoveva con una grazia e una scioltezza incredibili. Fino a qualche anno prima aveva portato i baffi, fino a quando. cioè, erano diventati una “nota caratteristica” nel suo dossier a Pechino e negli schedari dell’Ufficio Estero del Comitato Sovietico per la sicurezza dello Stato, il “Komitet Gosudarstvennei Bezopastnosti”... il KGB. Si era tagliato i baffi, ma il suo fattore di sopravvivenza, secondo i computers, restava pericolosamente basso, tanto che, senza chiedere nulla, gli era stato concesso un premio straordinario, nel suo contratto annuale con la Sezione K, la succursale “appianaguai” della Central Intelligence Agency, diretta dal generale Dickinson McFee. La prudenza era diventata una seconda natura, per lui, una prudenza che si basava sull’istinto e sul sistema nervoso. Era sempre prudente quando apriva una porta, quando svoltava un angolo, quando entrava in una stanza, anche se l’ambiente gli era familiare. Durell conosceva tutti i recessi più infidi delle giungle del mondo e dei -grandi centri metropolitani; parlava correttamente una dozzina di lingue, più alcuni dialetti. Se Tony Belmont era un esperto a uccidere, Durell era il precettore di Belmont. Sapeva eliminare una persona in svariati modi, veloci e silenziosi. Ma non gli piaceva. Era come lasciare una firma, mentre lui preferiva agire inosservato, anonimo, mai identificato, soprattutto dalle polizie locali. Decise che avrebbe dovuto tener d`occhio Belmont, sebbene Tony non fosse come quel pazzo con cui era stato costretto a lavorare a Malta. A differenza di Keefe, Belmont aveva cervello. Il che poteva costituire anche uno svantaggio, in quella strana missione. Era addolorato per la morte di Andy Weyer. Naturalmente, era stata colpa di Andy. A Belèm era stato imprudente: sarebbe dovuto restare al fianco di Durell e aiutarlo a sorvegliare ciò che il Caimano portava con sé. Forse Andy s’era lasciato prendere dall’ansia e dall’impazienza a causa delle condizioni in cui l’intera squadra era costretta a operare da due settimane. Ma nel mestiere di Durell non era permesso guardarsi indietro. Andy Weyer e Belmont erano stati “partners” per alcuni anni. Ma Stepanic s’era rivelato più furbo di Andy... e nel mestiere un attimo di esitazione si pagava con la morte. Si moriva silenziosamente,òà. inosservati, senza lodi e senza retorica, quasi sempre “per disgrazia”. Belmont sbagliava a sentirsi personalmente responsabile della brutta fine di Weyer. I sentimenti non avevano posto nel loro mestiere. Comunque formavano ancora una buona squadra, efficiente e valida nonostante la mancanza d'informazioni, senza sapere dov’erano diretti o perché. Era come sentirsi una pedina in un gioco da bambini, solo che loro avevano seguito alla lettera le istruzioni, spostandosi continuamente per il mondo, da Washington a Ginevra, da Addis Abeba a Tokio, e poi a Belèm, per finire a bordo di quel battello sbuffante che risaliva l'immenso Rio delle Amazzoni, verso una destinazione che nessuno di loro riusciva nemmeno a immaginare. Quella sera, Durell aveva deciso di non seguire più ciecamente gli ordini. S’era spinto abbastanza lontano. Il fatto di non essere al comando della situazione lo metteva a disagio. Si fermò ai piedi della scaletta, preso ancora una volta da un senso di struggente nostalgia. Era come se quel battello non fosse nuovo per lui. Conosceva ogni palmo del ponte, ogni passo del boccaporto, le cabine, la cambusa, la stiva e la sala macchine del “Due Fratelli”. Avrebbe potuto girarvi a occhi chiusi, senza sbagliare. Tanto tempo prima, da ragazzo, era stato allevato su un’imbarcazione identica a questa, il “Trois Belles”, tirata in secca nella palude di Bayon Peche Rouge, in Luisiana, dopo una lunga attività come bisca galleggiante sul Mississippi. Era cresciuto laggiù con il nonno Jonathan finché era partito per Yale, dove si era laureato, e poi, un passo dopo l’altro, era stato assunto dalla Sezione K, agli ordini di quello strano omino tutto grigio che era il generale Dickinson McFee. I lunghi anni a bordo del “Trois Belles con il vecchio Jonathan gli avevano insegnato tutto ciò che c’era da sapere sulle imbarcazioni che un tempo solcavano i canali del Mississippi. E adesso era un po’ come tornare a casa... Qualcuno scese la scaletta dietro di lui. Durell rimase immobile presso il parapetto, senza voltare la testa. Sapeva che era Willie Wells, dal passo leggerissimo ed elastico. – Caimano? – Sta’ calmo, Willie. Il tuo posto è più avanti. – Ci sto andando. Stavo solo chiedendomi... – Sì? – Tu conosci il capitano di questa bagnarola? – Era un amico di mio nonno. – Ne sei sicuro? Durell si girò. – Perchè me lo chiedi? – Perché il capitano O’Hara ha lasciato il Mississippi? – È stato comperato con il battello, circa sessant’anni fa. O'Hara era un giovanotto allora. Era stato secondo ufficiale sul “Trois Belles”, mi ha raccontato il nonno, che ha nominato O’Hara un paio di volte. – Ne parlava bene o male? Durell guardò l'immenso fiume sotto il caldo cielo tropicale. L’aria era immota, soffocante, Un barcone si muoveva nell’oscurità, forse a due miglia di distanza. – Non troppo bene – ammise. – A tuo nonno Jonathan non piaceva O'Hara? – Credo di no. Ma non ne parlava spesso. E poi, è stato tanto tempo fa, Willie. – Ma tu te ne ricordi, non è vero? – insiste il negro. – Sì, me ne ricordo. Un magnate brasiliano della gomma, durante i giorni del “boom” della gomma qui nella regione del Rio delle Amazzoni, voleva un battello e s'è comperato il “Due Fratelli”. Lo ha smantellato, imballato e spedito a Manaus dove è stato ricostruito e ribattezzato “O Duos Irmãnos’, per diventare lo yacht personale del señor Claudio Villas Jeronymo de Sousa. – Stai ripetendo la lezione, Sam? – Sto solo ricordando – ribatte Durell. – Ma è passato tanto tempo, Willie. Quei giorni Selvaggi sul Rio delle Amazzoni sono finiti per sempre. Finito il “boom” della gomma, spariti i magnati. Ma O'Hara, chissà come, s’è tenuto il suo battello. È tutto. Willie Wells rimase immobile accanto a Durell, un uomo forte e scattante, con l'aspetto del predatore. Forse tutti gli uomini della Sezione K avevano quell’aspetto, pensò Durell. Wells, dopo un'amara esperienza nel Vietnam, era stato mercenario in Africa, dove Durell l'aveva incontrato la,prima volta. Willie si definiva “cittadino del mondo” e la sua reazione verso il Brasile, dove tutti gli uomini vedevano soltanto l’individuo e non il colore della pelle, era strana. Wells sembrava offeso, ecco. L’orgoglio di avere la pelle nera gli faceva desiderare d’essere riconosciuto per quello che era. Era stato bandito dalla società fin dalla triste infanzia nei ghetti di Filadelfia. In seguito, quando Durell lo aveva aiutato a ottenere un contratto con la Sezione K, il negro s'era rivelato un individuo incredibilmente devoto e fedele al suo datore di lavoro. La sua devozione era implacabile. Una volta, a Ceylon, in seguito a un equivoco, Wells aveva avuto l’incarico di ucciderlo, e lui aveva accettato, cancellando dalla mente il fatto che Durell era stato il suo benefattore. In quell’occasione Durell lo aveva battuto, ma si era anche augurato di non doverlo più affrontare in un secondo scontro. Notò i denti bianchissimi nella faccia nera di Wells. – C'è qualcosa che ti preoccupa, Sam? chiese Willie. – Un poco. Ma non è importante. – Qualcosa che riguarda O’Hara? – È come giocare a moscacieca, Willie, te l'ho spiegato – disse Durell. – Non sappiamo quali ordini ci attendono a Paramaguito. Chissà, forse ci manderanno in un’altra direzione... – Già. Strano incarico, questo. – Ma importante. Wells esitò un secondo. – Ti porti un sacco di denaro con te, Caimano. – Anche i nostri avversari. – Tu sai già chi sono? – Ne conosco qualcuno. Arrivano da ogni parte del mondo. Può darsi che vengano convocati, come noi, da luoghi diversi. Noi, però, conosciamo Stepanic. Ora vai, non c'è tempo da perdere.– Wells sorrise. – Buona fortuna con la “pobrezinha”... la ragazzina. – Il negro si lasciò sfuggire una risatina e concluse: – Inocenza. Che nome! Tutto in sordina, vero? Niente morti – ordinò Durell. A meno che non si tratti di difendere la propria vita. Aspettò che Wells sparisse dietro la curva del ponte di manovra, poi continuò a scendere un'altra scaletta del boccaporto, avanzando silenzioso come un gatto. Il battello virò leggermente a sinistra, seguendo le boe del canale nel labirinto acquatico. Più avanti, in lontananza, si scorgeva il pallido riflesso di un faro: il porto fluviale di Paramaguito. All'alba avrebbero attraccato. Guardò l’orologio. Alle sue spalle, le grosse pale del battello sollevavano spruzzi nell’acqua scura. Il battello avanzava in mezzo a cumuli di detriti che galleggiavano sulla corrente. Lei lo aspettava nell’oscurità calda e compiacente della sua cabina. Il battello era affollato di passeggeri, viaggiatori che si recavano nell'interno, contadini, manovali, tutta gente raccolta lungo quella interminabile strada d’acqua; compresi coloro che non potevano permettersi il lusso di un mezzo di trasporto aereo. A bordo del “Duos Irmãos” c’erano mercanti, vagabondi, uomini e donne, bambini. Durell era consapevole dell`umanità stipata a bordo del battello, dei suoni che si levavano durante il sonno, dell’unica lampada nella cabina dove alcuni uomini giocavano a carte, con polli e pulcini ammucchiati in un angolo. Senti il belato di una capra, in direzione degli alloggi che Stepanic era riuscito ad accaparrare per sé e per la sua banda di assassini. Bussò leggermente alla porta della cabina di Inocenza O'Hara; bussò di nuovo e tentò la maniglia. La porta si apri subito. Si sentì rassicurato: lei lo stava aspettando. – Sam? La voce della donna era un sussurro dallo strano accento. – Sì. – Oh, ti aspettavo! Non arrivavi mai! – Be’, ora sono qui – disse lui. Chiudi la porta con la chiave, per favore. – Va bene. – E tira le tende. Fece come gli ordinava la ragazza. Una piccola lampadina mandava una luce rösata nel buio. Il respiro di lei era una promessa. La ragazza era la figlia adottiva di O’Hara, ma dove e perché il vecchio capitano l’avesse raccolta, Durell non lo sapeva ancora. Intendeva scoprirlo, però. Inocenza non aveva nulla in comune con il vecchio “capitão” dalla barba grigia. Era apparsa a Belèm come contatto di Durell, quando lui aveva ricevuto l’ordine di imbarcarsi sul “Duos Irmãos’. Allora Inocenza s’era comportata come una donna d'affari, pratica ed efficiente, nel suo completo alla moda, gli occhiali da sole, quasi facesse parte del folklore brasiliano. Tuttavia, qualcosa s’era stabilito fra loro, durante quel brevissimo incontro. Quando lei s’era tolta i grossi occhiali scuri, Durell aveva notato che i suoi occhi splendevano di un azzurro pallidissimo nel viso abbronzato... un viso perfetto come il profilo di una santa. Inocenza sorrideva. Ma gli occhi la tradivano. – Ti piaccio, Sam? – Mi piaci. – Hai desiderato di vedermi nuda? – Dal primo momento. – Anch’io. Ci siamo capiti subito, vero? – Sicuro. – Per questo ti aspettavo. – Tutta la notte? – Da quando siamo partiti da Belèm. Vieni qui, Sam. Il suo corpo snello, con i seni appuntiti e i fianchi rigogliosi si spostò sul letto immenso che, chissà come, era finito in quella minuscola cabina, e fece dondolare da un senso all’altro la catenina d’oro con il crocefisso e la chiave della pesante cassaforte del battello. – Vieni, Sam – lo invitò di nuovo lei con una risatina. -Non hai mai visto una vera “amazona”? Nei tempi antichi la gente credeva che fossero donne guerriere, e in un certo senso era vero... perché io ti darò battaglia, qui sul letto. – Inocenza... – Ti prego, vieni qui. La ragazza si portò le mani dietro il collo, sollevando la massa pesante dei capelli neri e lucidissimi. Durell scosse la testa sorridendo e gettò un’occhiata intorno alla cabina, illuminata soltanto dalla luce rosata della lampadina accanto al letto. Ai due oblò c’erano pesanti tendaggi di velluto rosso, ma nessuno avrebbe potuto nascondersi dietro le pieghe. Il letto era alto, con uno spazio sufficiente perché un uomo riuscisse a infilarsi sotto. Nella cabina si aprivano due porte a pannelli, con le maniglie di ottone. L’arredamento era in stile vittoriano, residuo, forse dell'originale equipaggiamento del battello. Durell si avvicinò alle porte ai lati del letto e tastò le maniglie. Chiuse solidamente. Inocenza, accoccolata sul letto, lo guardò con espressione imbronciata. – Che c'e, Sam? – Non voglio essere interrotto – spiegò lui sorridendo. – Una porta dà nello stanzino da bagno. Dentro c’è una vasca antiquata che poggia sulle zampe dorate di un leone. È tutta per me. La porta sulla destra si apre su una scaletta che sale fino alla cabina del timoniere, dove qualche volta mi fermo ad osservare il fiume, e poi più su fino agli alloggi di O'Hara. Sam, tesoro, è tanto che aspetto! Lui sedette vicino alla ragazza. Infilata nella cintura dei pantaloni,.teneva la pistola, una Smith & Wesson Special calibro 38. Inocenza la vide, alzò gli occhi a fissarlo in faccia e cominciò a sbottonargli la camicia. – Sei un tipo strano, Sam Durell. Ti presenti armato fino ai denti: chi sei, una specie di poliziotto? Oppure un bandito? Tu e i tuoi amici avete forse in mente d'impadronirvi del battello? – Niente di simile! – la rassicurò Durell. – Inocenza... Lei gli aveva tolto la camicia. I seni nudi e appuntiti premevano sul petto dell'uomo, i capelli neri e lunghissimi le nascondevano il viso. Inocenza scostò i capelli e gli sorrise. – Non parlare, Sam. Fa presto. Sotto i piedi, Durell sentì una vibrazione: il battello cambiava di nuovo rotta. – Dove ti sei fatta quel livido? – le chiese. – Oh! – La donna si sfiorò la fronte con le mani sottili e nervose. – Si vede ancora? – Com’è successo? Un incidente? Lei scosse la testa. – Nessun incidente. È stato O’Hara. – Tuo padre ti ha picchiata? – Lo fa spesso. Ma questa è stata l’ultima volta, te l’assicuro. Alla prossima occasione gli pianto un coltello nel ventre. Oppure gli taglio l’“homem” a pezzetti. L’ho avvertito, gliel’ho promesso... un bel taglio in quel punto, così non potrà più molestare le ragazze con i suoi sporchi trucchi. – Inocenza assunse un’espressione malvagia. – Mi ha trattata come una schiava per tutta la vita, da quando avevo solo dodici anni. Mi ha comperata da certa gente su al fiume... sicuro, “comperata” perché lassù succedono ancora cose del genere. Non so perché mi volesse, ma l’ho scoperto due anni fa, quando mi ha violentata. A quei tempi, ero davvero innocente. Poi, dopo un po', gliel’ho fatta smettere. L'ho minacciato con il coltello. Ma lui ha continuato a picchiarmi, e intanto mi insegnava tutto sulla barca e sul fiume. La settimana scorsa, però, è stata l’ultima volta, gliel'ho detto. – Perché ti ha picchiata, la settimana scorsa? – Per una sciocchezza – mormorò la donna, girando la testa. – Perché? – insisté Durell. È successo a Belèm? – Sì. – Mentre aspettavi che io salissi a bordo? – Tu non c'entri. È stato per via di Manoel. – Il primo ufficiale? – Manoel mi ama, vuole. sposarmi. Ha deciso di vivere sul fiume e di condurre un battello per conto suo. È un’idea che detesto, odio il fiume. Manoel non mi avrà! – La ragazza si agitò sul letto, la catenina d’oro le dondolò fra i seni prepotenti. – Ti desidero, Sam. Ti desidero! Il battello era silenzioso, a eccezione del tonfo continuo delle pale. Nella tenue luce rosata che pioveva dalla lampada, Inocenza appariva invitante, adorabile. Durell provò una punta di rimorso per ciò che stava per fare. Le sfiorò un seno, toccò la catena con la chiave e il crocefisso. Il metallo era caldo nelle sue dita. La ragazza si accoccolò contro di lui, la bocca avida, parlandogli sulle labbra. – È stato sempre il “capitão” O’Hara. Oh, come odio quel vecchio grasso e ripugnante! Lui non poteva... – Gli passò una mano sul petto e sussurrò: Non era come te. Aveva bisogno... non so come dire... non era giovane, liscio e muscoloso come te, Sam. Ho sempre sognato un uomo così, un uomo da amare veramente, che mi portasse via da quest'orribile battello, da quel vecchio spaventoso... – Inocenza... no. – No che cosa? – rise lei. Dici di no con le labbra, ma il resto... – Voglio la chiave della cassaforte della nave – disse bruscamente Durell. – Mi serve. Subito. Più tardi, cercherò di tornare. Lei si tirò indietro come se l’avesse colpita. Sul bellissimo viso apparve un’espressione di collera furibonda, poi di astuzia quasi animalesca. – La chiave? – ripete, toccando la catenina d'oro. – Subito, dici? È per questo che... – Tornerò. – Allora sei un ladro? – Non esattamente. – Sicché, sei venuto qui solo per la chiave?? – Inocenza... La furia della donna esplose come la giungla dell`Amazzonia, con la rapidità di un giaguaro. Le unghie lunghissime graffiarono la faccia di Durell che non fece in tempo a ritrarsi. Lui però non voleva ferirla. Con un po' di tempo a sua disposizione, le avrebbe staccato la chiave dalla catena d'oro senza che la ragazza se ne accorgesse. Ma non. c’era tempo. Non poteva fermarsi. Cercò di evitare le unghie lunghissime, le afferrò i polsi e la costrinse ad abbassare le mani. Lei gli cadde addosso, il corpo caldo scosso da un tremito, liscio, morbido. Era più forte di quanto avesse

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.