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Razionalismo e giusnaturalismo in Guglielmo di Ockham. Scienza morale e teoria del diritto naturale. Intrecci e sovrapposizioni. PDF

293 Pages·2014·2.237 MB·Italian
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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELLA FILOSOFIA CICLO XXVI RAZIONALISMO E GIUSNATURALISMO IN GUGLIELMO DI OCKHAM. Scienza morale e teoria del diritto naturale. Intrecci e sovrapposizioni. RELATORE e COORDINATORE DOTTORANDA Chiar.mo Prof. Guido Alliney Dott.ssa Cristina Salanitri ANNO 2013/14 2 Ringraziamenti Desidero ringraziare di cuore gli studiosi che hanno accompagnato il mio percorso di ricerca, Guido Alliney – Relatore della Tesi – che non mi ha fatto mancare il suo supporto e l’opportunità di un costruttivo confronto, Alessandro Ghisalberti, Roberto Lambertini, Concetto Martello e Franco Todescan che mi hanno offerto utili e preziosi suggerimenti. 3 INDICE INTRODUZIONE p. 4 CAPITOLO I - RAGIONE, SCIENZA MORALE, DIRITTO NATURALE 1.1 La nozione teologico-giuridica di ius naturale nel medioevo latino p. 27 1.2 L’opera teologica e filosofica prima dell’esilio: volontà e retta ragione nella scienza morale p. 42 1.3 I primi dibattiti, l’intervento di Giovanni XXII e il coinvolgimento di Ockham nella disputa p. 66 CAPITOLO II – IUS POLI e IUS FORI 2.1 I temi e le fonti dell’Opus nonaginta dierum p. 76 2.2 Esegesi biblica, dominium commune, dominium proprium p. 100 2.3 Il richiamo al ruolo della ragione: l’origine del diritto di proprietà nella teoria del triplex tempus p. 117 2.4 Sul triplice significato di ‘giustizia’ p. 130 2.5 Tra teologia e politica: il tema della regalità di Cristo p. 134 CAPITOLO III – MORALE E DIRITTO NEL PENSIERO POLITICO 3.1 La scelta del dialogo p. 147 3.2 Ockham teorico del diritto soggettivo? p. 172 3.3 La teoria del diritto naturale p. 185 3.4 L’idea di libertà. Dalla scienza morale al pensiero politico p. 221 3.5 “Quale potere e da quale diritto?” La libertà del Cristiano nel Dialogus p. 245 CONCLUSIONI p. 265 BIBLIOGRAFIA p. 274 4 Una metafisica dei costumi è quindi assolutamente necessaria non solo per ragioni speculative, al fine di scoprire la fonte dei princìpi pratici a priori della nostra ragione, ma perché i costumi stessi sono esposti a ogni sorta di corruzione fin che manca questo filo conduttore e questa regola del nostro retto giudizio. Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. di Paolo Chiodi, UTET, Torino 2006, p. 46. INTRODUZIONE Il pensiero giuridico del XIX e del XX secolo non sempre è stato favorevole alla teoria del diritto naturale. Con il cosiddetto ‘positivismo giuridico’ si è affermata l’esigenza di una dottrina giuridica autonoma fondata su etiche individualistiche e tendenzialmente scettiche che – ignorando il valore oggettivo e universale del diritto naturale – hanno tentato un superamento del tradizionale ‘giusnaturalismo’ senza ottenere, tuttavia, grande supporto da parte del sapere filosofico, tradizionalmente fedele ad una concezione oggettiva della Giustizia. Il carattere universale e immutabile attribuito allo ius naturale non ha evitato tuttavia che esso, attraverso i secoli, abbia potuto costituire un banco di prova sul quale i filosofi si sono spesso cimentati fornendo molteplici e non sempre univoche interpretazioni. Nel passaggio dal medioevo all’età moderna si assiste infatti ad una trasformazione della classica idea del diritto naturale in una teoria dei diritti naturali riconosciuti al singolo come titolare di una pluralità di situazioni giuridiche soggettive che gli avrebbero permesso di rivendicare una maggiore libertà nei confronti degli emergenti Stati Nazionali. Queste dottrine tendenzialmente libertarie non troverebbero però molti riscontri nelle teorie degli scolastici medievali. Nonostante autorevoli studi abbiano individuato in alcuni testi medievali una prima 5 formulazione di una teoria del diritto soggettivo1, resta da chiedersi se la nozione di ius naturale, già presente nella giurisprudenza romana e la sua riformulazione per opera dei primi interpreti cristiani, possa essere identificata con l’idea più moderna e complessa dei diritti ‘soggettivi’ che ha fornito di nuovi significati il tradizionale linguaggio giuridico. Sembra inoltre che il termine declinato al plurale, iura naturalia, fosse presente nelle opere giuridiche del medioevo latino, stando a indicare una prima articolazione del concetto in una pluralità di iura et libertates ovvero di diritti individuali; la Glossa di Accursio, nel XIII secolo, aveva infatti assimilato tali diritti alla definizione già contenuta nelle Institutiones giustinianee che rimandava alle leggi naturali immutabili volute dalla Provvidenza divina2. Si aggiunga che l’individualismo moderno avrebbe introdotto anche una nuova nozione di proprietà intesa come un diritto naturale, soggettivo e assoluto. Questa definizione non apparteneva tuttavia alla scienza giuridica romana, né la prima riflessione cristiana aveva ammesso che la proprietà fosse già presente nello stato di innocenza prelapsario3; essa aveva invece recepito dalla stessa tradizione romana l’idea di un diritto naturale distinto dallo ius gentium e dallo ius civile. La riflessione sull’idea del diritto naturale diventava molto importante tra il XIII e il XIV secolo, in occasione della controversia sorta intorno alla corretta interpretazione della Regula francescana. In seno all’Ordine dei Minori si erano sviluppate diverse tesi circa le volontà di Francesco d’Assisi in merito alla povertà dei frati. Si era assistito ad un moltiplicarsi di opinioni su una questione centrale: una povertà assoluta era assolutamente indispensabile per realizzare l’ideale di perfezione 1 La tesi è riconducibile ai numerosi studi di M. Villey tra cui: La formazione del pensiero giuridico moderno, introd. di F. D’Agostino, Jaca Book, Milano 1986. Più recentemente Brian Tierney ha rivisto queste tesi alla luce di una teoria dei ‘diritti soggettivi’ che sarebbe stata già presente nel pensiero dei decretisti medievali. Cfr. B. Tierney, The Idea of Natural Rights. Studies on Natural Rights, Natural Law and Church Law (1150-1625), Scholars Press for Emory University, Atlanta 1997 2 «Sed naturalia quidem iura, quae apud omnes gentes peraeque servantur, divina quadam providentia constituta, semper firma atque immutabilia permanent». Corpus Iuris Civilis, Institutiones, 1.2., Editio Stereotypa, vol. I, Institutiones recognovit P. Krueger, Digesta recognovit T. Mommsen, Berolini Apud Weidmannos, 1872, p. 4. La problematica è messa in rilievo nel libro di D. Quaglioni, La giustizia nel Medioevo e nella prima età moderna, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 43-44 3 Cfr. M. Villey, Notes sur le Concept de Propriété, in: Equality and Freedom: Past, Present and Future, Franz Steiner Verlag GMBH, Wiesbaden 1977, pp. 70-71 6 evangelica4? La questione pauperistica intrecciava insieme motivi etici, teologici e giuridici. Le prime teorizzazioni francescane5 avevano portato ad una definizione di nozioni giuridiche nuove, introducendo distinzioni semantiche tra dominium, ius utendi e usus facti; ma ciò che in tale contesto veniva sottolineato era la riconducibilità del dominium alla sfera del diritto umano positivo, secondo una tradizione che apparteneva già alla cultura giuridica romana e che era stata pienamente recepita dai decretisti e canonisti medievali. Seguendo l’esegesi biblica dei Padri della Chiesa, la giustizia naturale risultava strettamente connessa con il diritto divino e manteneva un valore oggettivo (id quod iustum est); secondo il cristianesimo delle origini agli uomini veniva riconosciuta una sfera di libertà e uguaglianza in cui la comunione originaria dei beni stava a garanzia di quest’ordine naturale voluto da Dio, benché dopo la colpa adamitica il diritto umano fosse divenuto necessario per legittimare il dominium su beni o persone. Il Decreto di Graziano nel XII secolo aveva mantenuto questa distinzione: «Iure divino omnia sunt communia omnibus, iure vero constitutionis hoc meum, illud alterius est»6. Scopo principale di questa ricerca è analizzare le opere di Guglielmo di Ockham, uno dei maggiori filosofi e teologi del Trecento7, per capire come egli affrontò la questione8. In particolare, la ricerca si propone di studiare 4 Cfr. R. Lambertini, A. Tabarroni, Dopo Francesco: l’eredità difficile, Postfazione di J. Miethke, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989 5 Tra i primi interpreti, ebbe un ruolo di primo piano Bonaventura da Bagnoregio con la Apologia Pauperum contra calumniatorem, traduzione italiana di S. Martignoni, La difesa dei poveri contro il calunniatore, Introduzione di A. Stendardi, Città Nuova Editrice, Roma 2005 6 Decretum Gratiani, Dist. VIII, c. I. p. 15. Per le citazioni dal Decreto di Graziano si fa riferimento al Corpus Iuris Canonici, ed. Aemilius Friedberg, pars prior, Ex Officina Bernhardi Tauchnitz, Lipsiae 1879 7 Per introdurre la figura di Guglielmo di Ockham ci gioviamo della puntuale presentazione che ne ha dato Franco Alessio; ci sembra importante collocare il pensiero del filosofo inglese nel clima che caratterizzò tutto il dibattito filosofico dopo la condanna di alcune tesi aristoteliche voluta da Tempier nel 1277: «La solidarietà fra l’Occam filosofo, politico e teologo legherebbe come in un unico movimento Occam e il “corso” della società europea: saremmo di fronte alla espressione, alla coscienza critica e riflessa più alta e più acuta che ci offra il Trecento, […]. […] la dottrina di Occam si profilava essenzialmente come “la dottrina di un credente”, elaborata certo secondo il criterio della ‘economia’, ma costantemente e direttamente dominata in ogni sua regione – dalla logica alla filosofia naturale alla politica – da una preoccupazione centrale squisitamente teologica: la difesa della libertà di Dio». F. Alessio, Guglielmo d’Occam, in: La filosofia medievale: i secoli XIII e XIV, vol. VI della Storia della Filosofia diretta da M. Dal Pra, Casa Editrice F. Vallardi SEI, Milano 1976, pp. 321-322 8 Cogliamo un suggerimento di Paul Vignaux: «La spiegazione del concetto come elemento di un linguaggio naturale porta a far dipendere il valore di questa spiegazione dalla solidità di un ordine della natura che, secondo il giudizio più diffuso, viene messo in causa dall’occamismo, nonostante paradossalmente Ockham tenga in grande considerazione il diritto naturale nelle “opere politiche” della sua carriera di polemista antipapale, e nonostante la sua dottrina della giustificazione supponga 7 il modo in cui il filosofo francescano trattò di ius naturale, non solo componendo l’Opus nonaginta dierum nel contesto della disputa sulla paupertas evangelica – nella quale fu coinvolto dal 1328 – ma soprattutto nelle opere politiche successive, scritte a partire dal 1332-33, nelle quali egli avrebbe abbandonato i temi pauperistici mostrando un maggiore interesse per le tematiche ecclesiologiche e politiche che analizzavano i poteri delle autorità sovrane chiamate al governo temporale e spirituale della Cristianità, seguendo una tendenza molto diffusa a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. In questo contesto, Ockham avrebbe posto una particolare attenzione anche ai limiti normativi rivendicati per arginare possibili sconfinamenti di tali poteri, assumendo una prospettiva che già una consolidata tradizione giuridica aveva introdotto, riconoscendo nel diritto naturale la giusta misura di ogni legge umana. Un approccio diffuso, negli studi sul pensiero medievale e moderno, è la distinzione (che spesso tende a diventare opposizione) tra etiche razionalistiche (o intellettualistiche) ed etiche volontaristiche. In genere, a queste diverse concezioni dottrinali si accompagnano riflessioni sui sistemi politici e giuridici. Emergerebbe così un’opposizione tra la concezione che riconosce alle leggi la loro razionalità, difende il primato del diritto naturale e la libertà dell’individuo all’interno di un sistema garantito da leggi giuste, e quella che invece insiste sulla convenzionalità del diritto positivo, espressione di etiche volontaristiche che vengono associate spesso a un’idea di libertà intesa come immunità da obbligazioni morali oggettivamente vincolanti9. Pur ammettendo alcune distinzioni, questa ricerca nasce dall’esigenza di ridefinire i termini della questione al fine di ristabilire un maggior accordo tra le due concezioni dottrinali, nel tentativo di sottrarre il cosiddetto ‘volontarismo’ medievale dalle accuse che tendono ad individuare in esso la radice ideologica di etiche scettiche, soggettivistiche o arbitrarie che secondo alcuni studiosi sarebbero il frutto di una ‘filiazione’ avvenuta nel corso dell’età moderna e contemporanea. Si tratterebbe di uno schema storiografico che convince poco, poiché oggi sembra chiaro che le dottrine filosofiche e politiche medievali vadano contestualizzate nella realtà storica alla quale appartenevano, evitando di arricchirle di significati estranei all’autore che le aveva elaborate. Un esempio di questo tipo ci è fornito dalle opposte soluzioni che i critici l’esistenza di valori etici che dipendono da una disciplina razionale. Qual è quindi, nel suo pensiero (ed in quello dei suoi discepoli, fino a Gabriel Biel), la posizione di un ordine stabilito de potentia Dei ordinata da un Dio che ne rimane il Signore – potentia absoluta?» P. Vignaux, La problematica del nominalismo medievale può chiarire alcuni problemi filosofici attuali?, in Medioevo in discussione. Temi, problemi, interpretazioni del pensiero medievale, a cura di G. Briguglia, Edizioni Unicopli, Milano 2001, pp. 251-252 9 Cfr. M. Barberis, Libertà, Il Mulino, Bologna 1999, p. 17 8 dell’opera politica di Marsilio da Padova hanno proposto e dall’efficace tentativo di discussione critica grazie alla quale la vexata quaestio ha trovato oggi una sua chiarificazione10. Anche per Ockham, dunque, riteniamo utile rivedere alcuni luoghi comuni che contribuiscono poco a chiarire il suo pensiero sulla scienza morale. Ricordando il filosofo Guido Calogero, si deve ammettere che la volontà sceglie liberamente ma l’autonomia decisionale dipende sempre da una «visione delle cose che le suggerisce la conoscenza»11. Da questa convinzione riteniamo giusto partire nello studio della filosofia morale ockhamiana. In primo luogo, si cercherà di chiarire se il volontarismo attribuito al filosofo inglese si coniughi con un’etica razionalistica, cercando un riscontro nei numerosi studi esistenti12. Si analizzeranno alcuni brani tratti dall’opera filosofica e teologica del Venerabilis Inceptor13 contenenti la sua dottrina morale; si concentrerà l’attenzione sul ruolo della recta ratio, al fine di comprendere se anche Ockham si situi sulla stessa linea già tracciata da alcuni teologi del tempo riguardo alla possibilità di conoscere con certezza i princìpi pratici universali. In più, si cercherà di dare una risposta alla domanda riguardante il complesso rapporto esistente tra filosofia e teologia secondo la prospettiva assunta dal filosofo, avendo 10 Grazie a un noto articolo di Gregorio Piaia nel quale lo studioso raccomandava di non «spiegare certe dottrine alla luce di altre dottrine elaborate in seguito, riconducendo le prime alle seconde sulla base di un ideale filo “logico” che spesso non trova affatto riscontro nella realtà storica, costituita da una fitta trama di rapporti di interazione fra idee filosofico-politiche ed eventi politici e socio-economici». G. Piaia, Democrazia o totalitarismo in Marsilio da Padova, in «Medioevo», II (1976), pp. 363-376 11 G. Calogero, Etica, Giuridica, Politica, in Lezioni di Filosofia, vol. II, Einaudi, Torino 1960, p. 25 12 Cfr. L. Urban, William of Ockham’s Theological Ethics, in: «Franciscan Studies», XXXIII (1973), pp. 310-350; L. Freppert, The Basis of Morality According to William Ockham, Franciscan Herald Press, Chicago 1988; J. Kilcullen, Natural Law and Will in Ockham, in «History of Philosophy Yearbook», I, (1993), pp. 1-25; A. Ghisalberti, Guglielmo di Ockham, Vita e Pensiero, Milano 1972; Id., La fondazione dell’etica in Guglielmo di Ockham, in Etica e Politica. Le teorie dei frati mendicanti nel Due e Trecento. Atti del XXVI Convegno Internazionale, Assisi 15-17 Ottobre 1998, CISAM, Spoleto 1999, pp. 61-89; A. Ghisalberti, F. Todescan, L. Zanolli (a cura di), Guglielmo di Ockham, introduzione bibliografica di A. Ghisalberti, CEDAM, Padova 2007 13 Ockham fu conosciuto dai moderni con l’appellativo ‘venerabilis inceptor viae modernae’, intendendo il termine ‘inceptor’ come ‘maestro’, secondo la definizione che ne diede nel XV secolo il filosofo tedesco Bartolomeo di Usingen nella disputa programmatica del 1497 tenuta presso l’Università di Erfurt, benché fosse noto a tutti che le vicende legate al soggiorno forzato ad Avignone impedirono ad Ockham di conseguire tale titolo. Cfr. H.A. Oberman, Via antiqua e via moderna: preambolo tardo medievale alle origini teoriche della riforma, in: Sopra la volta del mondo. Onnipotenza e potenza assoluta di Dio tra medioevo e età moderna, Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo 1986, pp. 57-59. A proposito dell’ockhamismo del filosofo di Usingen si legga: S. Knuuttila, Trutfetter, Usingen and Erfurtian Ockhamism, in Was ist philosophie im mittelalter?, J.A. Aertsen, A. Speer (ed.), Walter de Gruyter, Berlin-New York 1998, (Miscellanea Madiaevalia, 26, pp. 818-823) 9 come punto di partenza l’analisi della sua filosofia morale razionale; se è vero che gli scritti di Ockham sulla filosofia naturale erano orientati verso una logica non-realista che privilegiava l’intuizione sensibile del particolare e rivendicavano una libertà di giudizio in merito a questioni filosofiche che non mettevano in discussione verità di fede, è anche vero che la sua teoria della conoscenza teneva in grande considerazione l’apporto della notitia intuitiva in merito all’evidenza dei princìpi, alla loro intelligibilità, anche quando il discorso si concentrava sui princìpi pratici universali e immutabili. Secondo una convinzione diffusa tra i maestri ‘dialettici’, la teologia condivideva con la filosofia morale un carattere speculativo; per questo i maestri medievali riconoscevano a tali discipline una superiorità rispetto alle altre scienze. Sarà interessante indagare sulla riflessione del filosofo inglese per capire quali risposte egli diede al problema, consapevoli che il Dialogus inter magistrum et discipulum ci permetterà di gettare uno sguardo in più sulla scienza morale già trattata nelle opere scritte prima dell’esilio, oltre che sulla concezione politica ockhamiana. In questa prospettiva appare necessario il riferimento ad alcuni studi che permettono di chiarire meglio la vexata quaestio sul modo di intendere volontarismo e razionalismo14. Ricordando i rapporti tra la scolastica medievale e il cosiddetto giusnaturalismo, compresa la sua traduzione in epoca moderna, occorrerà innanzitutto concentrarsi sull’origine dell’idea di ius naturale e sul suo sviluppo ad opera dei teologi e dei filosofi medievali. Si potrà quindi evidenziare la posizione di Ockham in merito a tale questione, cercando i nessi con la sua filosofia morale razionale, poiché qualsiasi teoria giusnaturalistica non può prescindere dalla considerazione del ruolo determinante della ragione attraverso la quale si rendono evidenti i princìpi primi del diritto naturale. Per cogliere l’originalità della dottrina morale del filosofo inglese, bisogna abbandonare il luogo comune che lo presenta come un tipico ‘volontarista’, così come è stato fatto con altri filosofi come Suárez e Grozio. Questa ricerca analizza in primo luogo la nozione di ‘ragione’, il valore centrale che Ockham le riconosceva in ogni aspetto della sua riflessione filosofica, preoccupandosi di distinguere tra la pura ragione naturale (teoretica) e la retta ragione (pratica); ma qui è l’etica ockhamiana a suscitare il nostro particolare interesse. Come si vedrà, egli afferma costantemente che la volontà da sola non sceglie rettamente ma necessita la guida di una regola direttiva esterna identificabile con i 14 Cfr. D.W. Clark, Voluntarism and Rationalism in the Ethics of Ockham, in: «Franciscan Studies», XXXI (1971), pp. 72-87; L. Urban, William of Ockham’s Theological Ethics, op. cit., pp. 310-350; A. Ghisalberti, La fondazione dell’etica in Guglielmo di Ockham, op. cit., pp. 61-89 10 dettami della ragione. Inoltre, l’identificazione da lui operata tra intelletto e volontà – intese come due funzioni distinte della stessa sostanza razionale – ci sembra utile per suffragare la tesi di una possibile convergenza tra volontarismo e razionalismo15. Per capire meglio il contesto in cui si inserisce l’opera del filosofo inglese occorre soffermarsi brevemente sui caratteri distintivi dell’epoca in cui egli visse. Il Trecento si mostrava un secolo particolarmente fecondo, ricco di idee e di novità in campo culturale. La tradizionale cultura scolastica subiva un’evoluzione orientata a sviluppare tematiche che, attraverso la logica, aprivano nuove possibilità di indagine nella scienza della natura, senza tuttavia rinunciare a discussioni su aspetti teologici e morali che mantenevano un ruolo primario all’interno delle scuole universitarie del tempo. A partire dal XIII secolo, esponenti degli Ordini Mendicanti erano entrati nelle maggiori università europee inserendosi nei vivaci dibattiti sui problemi epistemologici e logici che avrebbero caratterizzato la cultura scolastica tra XIII e XIV secolo. Una delle problematiche più dibattute riguardava la distinzione tra conoscenza intuitiva e astrattiva che metteva in luce la possibilità di una conoscenza diretta e immediata del singolare, in contrapposizione alla dottrina che valorizzava esclusivamente la conoscenza dell’universale mediata dalle species16. Le dottrine elaborate dai maestri domenicani e francescani, pur nella loro diversità, tendevano in genere a rendere possibile la ricezione delle idee aristoteliche nel contesto di una tradizione culturale profondamente intrisa di agostinismo. L’opera del francescano Bonaventura da Bagnoregio restava invece una delle maggiori espressioni dell’agostinismo medievale orientato spesso in funzione antiperipatetica, poiché insisteva sui limiti della speculatio filosofica se ad essa non si accompagna la luce della fede che illumina il cammino verso la conoscenza della verità17. Secondo la dottrina che Bonaventura aveva elaborato, dunque, filosofia e teologia non possono mantenersi autonome ma collaborano insieme per giungere alla conoscenza di Dio. La ricerca di un rapporto armonioso tra verità razionale e verità di fede aveva caratterizzato la trasmissione della cultura 15 Sulla scienza morale ockhamiana si rimanda al capitolo I, § 1.2 di questo lavoro 16 Cfr. C. Berubé, La connaissance de l’individuel au Moyen Age, PUF, Montréal-Paris 1964; L. Cova, Francesco di Meyronnes e Walter Catton nella controversia scolastica sulla «notitia intuitiva de re non existente», in «Medioevo», II (1976), pp. 227-251 17 Cfr. T. Gregory, Bonaventura e l’agostinismo, in: La filosofia medievale: i secoli XIII e XIV, op. cit., pp. 69-77

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