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Questioni romane. Testo greco a fronte PDF

283 Pages·2007·4.378 MB·Italian
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Plutarco QUESTIONI ROMANE Prefazione di John Scheid Introduzione,traduzione e note di Nino Marinone Testo greco a fronte CLASSICI GRECI E LATINI Proprietà letteraria riservata © 2007 RCS Libri S.p.A.,Milano ISBN 978-88-58-64912-1 Titolo originale delle opere: AITIA RWMAIKA Prima edizione digitale 2013 Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu PREFAZIONE Le Questioni romane di Plutarco sono uno strano libro. Ho sempre provato una certa difficoltà a capire questa strana suc- cessione di domande, di cui ognuna è seguita da diverse rispo- ste contraddittorie. Di che si tratta? Di un libro incompiuto o di un libro dalla struttura specifica? I miei dubbi accrebbero quando riflettevo sull’uso che noi ne facciamo. Generalmente, ci accontentiamo di prendere in considerazione da tutto il li- bro una domanda, la isoliamo e la privilegiamo per ricostruire una data istituzione. Ma quale può essere, nell’ambito di una dimostrazione, il valore di questo tipo di testimonianza? Nel corso di uno studio sistematico delle Questioni condot- to col mio amico J. Svenbro, man mano che acquistavo una certa familiarità con l’opera di Plutarco, cominciavo ad intra- vederne l’originalità. Feci allora qualche constatazione che non ho mai avuto l’occasione di esporre più dettagliatamente. Mi propongo di farlo oggi, mostrando in particolare che que- sto libretto non è uno schedario incompiuto, bensì un testo coerente e finito che espone, in modo molto originale, un in- sieme di conoscenze sulle tradizioni e sui costumi di Roma. Il punto più importante fra le questioni, come vedremo, è costi- tuito dalla topografia di Roma. Ma cominciamo dall’inizio. Le Questioni romane non sono un’opera completamente esoterica. Già Rose (49 sg.) ricordava, nella sua edizione com- mentata, che il genere etiologico deriva dalla filosofia peripate- tica. Fra le opere conosciute di Plutarco, esso è impiegato anche nelle Questioni grechee nelle Questioni naturali.D’altronde, la II PREFAZIONE tecnica consistente a dare risposte ed interpretazioni diverse ad una domanda è di uso comune fra gli antiquari, anche se le loro opere sono composte in modo diverso. Ma quale può essere l’u- nità di un’opera del genere? Si tratta forse di un insieme di sche- de, come pensava H. J. Rose (46 sg.), destinate ad un opera let- teraria più elaborata oppure, al contrario, di un libro finito? A due riprese, nelle Vite,Plutarco rinvia alle Questioni ro- mane.Nella Vita di Romolo (15, 7), a proposito dell’usanza di dividere i capelli della sposa con una lancia, scrive: “di ciò ci siamo occupati più diffusamente nelle Questioni (peri ;wn| epj i; pleov n enj toi~` Aitj iov i~ eirj hkv hmen)”; nella Vita di Camillo (19, 2), a proposito dei giorni considerati come nefasti, l’au- tore precisa che questo soggetto è trattato più accuratamente nelle Questioni romane (taut` a men oun\ enj tw /` Peri ; aitj iwv n ÔRwmaik> wn` epj imelesv teron eir{ htai). In entrambi i casi, il problema è effettivamente sviluppato più ampiamente nelle Questioni.In ogni caso queste due citazioni provano che, per il loro autore, le Questioni non sono né uno schedario, né un’opera incompleta. Plutarco le cita come uno dei suoi libri, e questo libro sembra adempiere la sua funzione. Il rimando ad un’opera incompleta o ad uno schedario sarebbe in effetti incomprensibile. Certo, i due rimandi potrebbero essere con- siderati come delle interpolazioni. C. Ampolo (311Romolo) ha fatto notare che Plutarco non menziona le Questioni roma- ne nelle precedenti frasi della Vita di Romolo concernenti il grido Talasio. Ora in effetti, nelle Questioni romane, questo grido era stato sì preso in esame, ma in modo più succinto che nella Vita di Romolo e senza il riferimento a Giuba e Sestio Sulla. Questa variazione mostra che l’autocitazione risale al- l’autore e ciò può servire da indizio per comprendere la natu- ra delle Questioni romane. Le interpretazioni presentate nelle Questioni romane sono del tutto identiche a quelle che Plutarco dà altrove o a quelle che si possono trovare nell’opera di tutti gli antiquari ed eru- diti dell’epoca. Molti elementi utilizzati nelle Questioni ro- mane ricorrono anche nei trattati e nelle Vite, talvolta in mo- PREFAZIONE III do isolato, come la spiegazione da accogliere, talvolta in se- rie, come nelle Questioni, con l’indicazione che si tratta del- l’opinione di questo o di quell’autore. L’esempio tratto dalla Vita di Romolo ne offre un’illustrazione. Talvolta, Plutarco ri- porta – come per Talasio – delle interpretazioni diverse da quelle raccolte nelle Questioni romane: quindi non bisogna neanche considerare quest’opera come una somma di tutte le interpretazioni possibili. I miei predecessori hanno già constatato che le diverse questioni sono costruite secondo uno schema fisso. L’inter- pretazione non è mai presentata come la risposta definitiva al problema posto. Alla domanda posta, Plutarco risponde in- fatti con un numero variabile di altre domande, di cui nessu- na inficia l’altra. Le risposte-domande si oppongono e si giu- stappongono come altrettanti punti di vista enunciati dagli interlocutori nel corso di un dibattito. Basta paragonare le Questioni romane alle Questioniconviviali per rendersi con- to che le Questioniromane non sono diverse dalle altre ope- re di Plutarco. La questione 75 concerne il problema seguente: perché non spegniamo la fiaccola ma lasciamo che essa si spenga da sola? Sono date tre risposte in forma di domande nell’ordine che segue: forse perché i Romani venerano la fiaccola in quanto parente del fuoco inestinguibile e immortale? o forse perché essa simboleggia il fatto che non bisogna distruggere o fermare ciò che è vivente, se questi non provoca alcun dan- no, dal momento che il fuoco è un essere vivente? oppure l’usanza ci insegna a non distruggere né il fuoco, né l’acqua, né alcun altro bene necessario, quando noi ne abbiamo a sa- zietà, e a permetterne invece l’uso a tutti coloro che ne han- no bisogno? Ora il problema 4 del libro 7 delle Questioni conviviali ri- guarda lo stesso soggetto. Ma questa volta non si tratta di una mera enumerazione di domande e risposte, bensì del raccon- to di una conversazione. All’inizio della discussione, Plutar- co racconta che Mestrio Floro, suo protettore, amava le anti- IV PREFAZIONE che usanze e non lasciava mai che gli schiavi sgomberassero la sua tavola vuota, ma vi lasciava sempre qualche pietanza. A tal proposito, Floro ricorda che anche suo padre e suo non- no praticavano la stessa usanza e non facevano mai spegnere le fiaccole, contrariamente alle cattive abitudini della sua epoca. L’enunciazione del problema è seguita da una cinica parentesi in cui Eustrofio fa presente che gli schiavi avrebbe- ro comunque rubato l’olio economizzato. In seguito, Floro invita i suoi amici a prendere in esame la questione. Interven- gono tre interlocutori: Cesernio, Lucio e il narratore, i quali espongono nell’ordine i tre argomenti presentati nella que- stione 75 a proposito della fiaccola. Soltanto che le loro ri- sposte sono più sviluppate e, a partire dal terzo argomento, gli invitati danno diverse spiegazioni all’uso di lasciare sem- pre del cibo sulla tavola. Nella questione 75 non si fa allusione a quest’usanza, ma possiamo immaginare che, dopo la terza risposta, Plutarco abbia continuato: forse che i Romani facevano per la fiaccola come per la tavola, che non lasciavano mai vuota, affinché anche gli schiavi potessero approfittare del cibo? Rispetto alle Questioni conviviali, le Questioni romane sembrano una sorta di trattato ridotto, come il grado zero di un dibattito speculativo, il cui aspetto schematico rivela an- cora più chiaramente le caratteristiche retoriche delle inter- pretazioni date dagli antichi dei loro usi e costumi. Invece di suscitare una risposta definitiva, ogni domanda innesca il prorompere di altre domande che non si neutralizzano a vi- cenda. Il confronto delle questioni di questo libro con quelle formulate da Plutarco in altre opere o con quelle dei suoi col- leghi Varrone e Ovidio, mostra che nelle Questioni romane quella che troviamo è sempre una scelta tra le interpretazio- ni possibili e che lo scopo a cui si mira non è l’esaustività. Va da sé che, stando così le cose, nell’uso delle Questioni ro- mane si devono sempre e innanzi tutto tenere presenti gli obiettivi dell’opera e il suo gioco col registro delle spiega- zioni possibili. PREFAZIONE V Bisogna dunque considerare le Questioni romanecome un libro, allo stesso titolo delle Questioni conviviali e delle Vite. Esso è redatto seguendo gli stessi procedimenti retorici del- le altre opere, con la sola differenza che, nelle Questioni ro- mane, mancano la messa in scena, il racconto o la descrizione della conversazione. Ma ciò non implica l’assenza di nessi re- torici. L’analisi dettagliata prova invece che si tratta di un libro in cui solo l’indispensabile è espresso in forma esplicita, men- tre il resto rimane sullo sfondo. Solo un lettore accorto o av- vertito è in grado di percepirlo. Leggendo infatti le Questioni romanecome un libro, ci possiamo rendere conto dell’esisten- za di relazioni fra le diverse questioni.1 In 53 delle 113 que- stioni, questi nessi sono palesi, poiché si tratta in effetti della continuazione dello stesso argomento. E così, le due prime questioni riguardano il matrimonio: Diana è menzionata alla fine della seconda questione e offre lo spunto alle due que- stioni successive. Le questioni 5-9 trattano della famiglia, le questioni 10-14 del culto e degli abiti; le questioni 24 e 25 hanno come oggetto la divisione del mese; le questioni 72-73 concernono gli auguri, le questioni 10-104 i figli e le cinque ultime questioni il flamine di Giove. Ma io non mi riferisco soltanto ad un collegamento limitato ad alcuni gruppi di que- stioni che espongono un dato argomento secondo un ordine più o meno fortuito e comunque slegato. Il procedimento che collega le questioni è in effetti sistematico, anche se, per il let- tore moderno, esso non è sempre immediatamente percepibi- le. È questo uno dei principî della composizione del libro. Alcuni nessi sono di ordine tematico. Prendiamo degli esempi. Il calendario serve esplicitamente da ponte fra la questione 34 e la 35. Nell’ultima domanda-risposta della questione 34, Plutarco si chiede se non è semplicemente un errore il pensa- 1Ho avuto il piacere si constatare che alcuni specialisti delle Questio- ni greche e romane seguono questa proposta e leggono le Questioni co- me un libro. VI PREFAZIONE re che D. Bruto (136) fosse il solo a celebrare i parentalia nel mese di dicembre. La questione 34 doveva appunto risolvere questo problema, dal momento che è nello stesso mese di di- cembre che i Romani sacrificavano e facevano delle libazioni presso la tomba di Acca Larenzia. La questione 35 riguarda proprio Larenzia e l’ultimo argomento della questione 34 è una pura invenzione, poiché non si possono mettere esatta- mente sullo stesso piano e i riti domestici e funerari di Deci- mo Bruto e i parentalia dei sacerdoti durante i Larentalia.Bi- sogna quindi considerare questa spiegazione come un errore di Plutarco, come una prova della sua ignoranza sugli usi di Roma? Assolutamente no. Il rapporto, artificiosamente crea- to, fra la tradizione familiare di Decimo Bruto e il sacrificio sacerdotale durante i Larentalia del 23 dicembre, è dovuto non tanto all’incompetenza di Plutarco, quanto alla sua tecni- ca letteraria. Il contesto è talmente chiaro da non lasciare al- cun dubbio. Il mese di dicembre e persino D. Bruto sono in- fatti evocati col solo scopo di introdurre Acca Larenzia. La deviazione si produce in una delle risposte-domanda prece- denti, nella questione 34. Dopo una prima ipotesi, secondo cui, essendo dicembre l’ultimo mese dell’anno antico, è nor- male che i morti si onorino in questo periodo. Per compren- dere la tecnica, bisogna leggere il seguito: “dato che questi onori riguardano gli dei inferi, la stagione più propizia al lo- ro culto è forse quella in cui tutti i frutti, karpoiv, sono spari- ti? oppure è ancora più opportuno commemorare gli dei in- fernali quando si comincia a scavare la terra, al principio del- la semina? o forse è perché questo mese è stato consacrato dai Romani a Saturno, ritenuto dio infernale e non celeste? o for- se perché è durante questo periodo che si celebra la loro festa più importante, i Saturnalia, famosa per le numerosissime riunioni e festeggiamenti, e che Bruto riteneva opportuno of- frire ai defunti le primizie di questa festa?” In ultimo, la que- stione finale sull’eventuale falsità di tutto il problema. All’inizio, Plutarco evoca i karpoiv, in latino sata, poi lo sporv o~, il tempo della semina, in latino satio.Da ciò passa a

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