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Poetica, retorica e comunicazione nella tradizione classica ADOLF M. HAKKERT EDITORE PDF

636 Pages·2012·4.86 MB·Italian
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LEXIS Poetica, retorica e comunicazione nella tradizione classica 30.2012 ADOLF M. HAKKERT EDITORE LEXIS Poetica, retorica e comunicazione nella tradizione classica SOMMARIO ARTICOLI Fabio Di Pietro, La traduzione come ‘medium’ tra poesia e dottrina: spunti di riflessione sul compito del traduttore in una prospettiva benjaminiana ……………………………… 1 Carlo Pelloso, ‘Ius’, νόμος, ‘ma’at’. ‘Inattualità’ e ‘alterità’ delle esperienze giuridiche antiche ……………………………………………………………………………………… 17 Alessandro Iannucci, L’‘Odissea’ e il racconto fantastico ………………………………. 87 Monica Centanni, Il ritmo incongruo: metro e testo nella sezione lirica della ‘parodos’ dei ‘Persiani’ di Eschilo …………………………………………………………………… 105 Giovanna Pace, Aesch. ‘Pers.’ 256-9 = 262-5: colometria e problemi testuali ………… 117 Julia Scarborough, The Inheritance of Violence in the Lyric Imagery of Sophocles’ ‘Electra’ ……………………………………………………………………………………. 125 Madeleine Jones, Siblings in the ‘Choephori’: A Psychoanalytic Approach ..……………. 134 Vittorio Citti, Les ‘Choéphores’ de l’anomalie …………………………………………..... 145 Xavier Gheerbrant, Le prologue des ‘Choéphores’ est-il composé en anneau ? ..………… 151 Giampaolo Galvani, Riflessioni testuali e metrico-semantiche sul primo stasimo delle ‘Coefore’ (vv. 585-646) ……………………………………………………………………. 168 Bénédicte Barillé, Un problème de traduction : la première occurrence du mot ‘mère’ dans le ‘kommos’ des ‘Choéphores’ (vv. 418-22) …………………………………………. 187 Daria Francobandiera, L’Oreste des ‘Choéphores’: histoire des interprétations ………… 205 Jean Alaux, Fonctions du chœur et évolution dramatique dans les ‘Choéphores’ et les deux ‘Électre’ ………………………………………………………………………………. 227 Klas Molde, Opera’s Tragic Past: The Example of ‘Elektra’ ……………………………... 243 David H. Kaufman, Reaching the καιρός in Sophocles’ ‘Electra’ …………………………. 253 Sophie Bocksberger, La scène du meurtre d’Egisthe dans l’‘Electre’ de Sophocle ………. 261 Jean Bollack, Les deux temps de la reconnaissance dans l’‘Electre’ de Sophocle ………… 268 Samuel Cooper, Sophocles’ ‘Electra’ and the Revolutionary Mind ………………………… 275 Alexander F. Garvie, Three Different Electras in Three Different Plots ………………….. 285 Stefano Jedrkiewicz, Vengeur? Sauveur? Menteur? Apollon aux yeux des ‘trois Electres’ . 294 Pietro Pucci, Jeux de miroirs dans l’‘Electre’ d’Euripide …………………………………. 308 Aurélie Wach, Le chœur dans l’‘Electre’ d’Euripide : la question du lien des ‘stasima’ avec l’action dramatique ………………………………………………………………….. 319 Pierre Judet de la Combe, Le théâtre, au-delà de la metathéâtralité. Sur la fin de l’‘Electre’ d’Euripide ……………………………………………………………………… 341 Nuala Distilo, Euripide, ‘Elettra’ 699 …………………………………………………….. 354 Froma I. Zeitlin, A Study in Form: Three Recognition Scenes in the Three Electra Plays 361 Paola Ingrosso, L’infelicità del tiranno: declinazioni di un ‘topos’ da Euripide a Menandro …………………………………………………………………………………. 379 Daria Bertolaso, Come chiudere una tragedia. A proposito della contraddizione tra i capitoli 13 e 14 della ‘Poetica’ di Aristotele ……………………………………………… 396 Damiano Fermi, Un’isola per i Phlegyai: Euph. ‘CA’ fr. 115, p. 50 e [Apollod.] 3.5.5 (41 W.) . 414 Romeo Schievenin, Medici e musici (Vitruv. 1.15) ………………………………………... 432 Daniele Lutterotti, Indagini linguistiche sugli ‘hapax’ e le prime attestazioni dei grecismi del ‘Satyricon’ ……………………………………………………………………………… 441 Giuseppina Magnaldi, Antiche tracce di ‘apparato’ nel testo tràdito di Apuleio filosofo … 478 Anna Tiziana Drago, Palombe e colombe (Ael. ‘ep.’ 19) ………………………………… 493 ADOLF M. HAKKERT EDITORE 30.2012 Paolo Mastandrea, Sereno Sammonico: ‘res reconditae’ e dati di fatto ………………….. 505 Paola Tomè, Fortuna umanistica di Teocrito nell’‘Orthographia’ di Giovanni Tortelli … 518 Pilar Gómez, De Samosata a Leiden: Luciano y Rembrandt en el espejo de Zeuxis ............ 537 Gian Franco Gianotti, Petronio e gli altri nel ‘Satyricon’ di Federico Fellini ……………. 565 RECENSIONI U. Egelhaaf-Gaiser – D. Pausch – M. Rühl (hrsgg.), Kultur der Antike: Transdisziplinäres Arbeiten in den Altertumswissenschaften (A. Novokhatko) …………………………………. 585 F. Prontera, Geografia e storia nella Grecia antica (C. Franco) …………………………. 590 Z. Petre – A. Lițu – Cătălin Pavel (coord.), Dicționar de mitologie greco-romană: zei, eroi, mituri (M. Taufer) ......................................................................................................... 591 A.M. Belardinelli – G. Greco (a c. di), Antigone e le Antigoni. Storia forme fortuna di un mito (P. Mureddu) ………………………………………………………………………… 592 C.F. Russo, L’iscrizione della Coppa di Nestore (V. Citti) ……………………………… 594 V. Pagano, L’‘Andromeda’ di Euripide, Edizione e commento dei frammenti (L. Carrara) . 595 Menandro, ‘Lo Scudo’, a c. di P. Ingrosso (S. Schirru) ………………….………………… 600 G. Picone – L. Beltrami – L. Ricottilli (a c. di), Benefattori e beneficati. La relazione asimmetrica nel ‘de beneficiis’ di Seneca (S. Costa) ………………………………………. 605 G. Vannini, Petronii Arbitri ‘Satyricon’ 100-115, Edizione critica e commento (S. Mattiacci) …………………………………………………………………………………... 609 Tacito, ‘Annali’, Libro XI, a c. di A. De Vivo (C. Franco) .................................................... 614 Aristeneto, Lettere d’amore, a c. di A.T. Drago (C. Miralles) …………………………….. 615 N. Brocca, Lattanzio, Agostino e la ‘Sibylla maga’. Ricerche sulla fortuna degli ‘Oracula Sibyllina’ nell’Occidente latino (C. Franco) ………………………………………………. 618 Anonimo, ‘Andrieta’. Mercurino Ranzo, ‘De falso hypocrita’, a c. di P. Rosso (P. Gatti) ... 619 A. Tessier, Vom Melos zum Stichos. Il verso melico greco nella filologia tedesca di inizio Ottocento (G. Galvani) …………………………………………………………………….. 621 Direzione VITTORIO CITTI PAOLO MASTANDREA Redazione STEFANO AMENDOLA, GUIDO AVEZZÙ, FEDERICO BOSCHETTI, CLAUDIA CASALI, LIA DE FINIS, CARLO FRANCO, ALESSANDRO FRANZOI, MASSIMO MANCA, STEFANO MASO, LUCA MONDIN, GABRIELLA MORETTI, MARIA ANTONIETTA NENCINI, PIETRO NOVELLI, STEFANO NOVELLI, GIOVANNA PACE, ANTONIO PISTELLATO, RENATA RACCANELLI, ANDREA RODIGHIERO, GIANCARLO SCARPA, PAOLO SCATTOLIN, LINDA SPINAZZÈ, MATTEO TAUFER Comitato scientifico MARIA GRAZIA BONANNO, ANGELO CASANOVA, ALBERTO CAVARZERE, GENNARO D’IPPOLITO, LOWELL EDMUNDS, PAOLO FEDELI, ENRICO FLORES, PAOLO GATTI, MAURIZIO GIANGIULIO, GIAN FRANCO GIANOTTI, PIERRE JUDET DE LA COMBE, MARIE MADELEINE MACTOUX, GIUSEPPE MASTROMARCO, GIANCARLO MAZZOLI, CARLES MIRALLES, GIAN FRANCO NIEDDU, CARLO ODO PAVESE, WOLFGANG RÖSLER, PAOLO VALESIO, MARIO VEGETTI, BERNHARD ZIMMERMANN LEXIS – Poetica, retorica e comunicazione nella tradizione classica http://www.lexisonline.eu/ [email protected], [email protected] Direzione e Redazione: Università Ca’ Foscari Venezia Dipartimento di Studi Umanistici Palazzo Malcanton Marcorà – Dorsoduro 3484/D I-30123 Venezia Vittorio Citti [email protected] Paolo Mastandrea [email protected] Pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici Università Ca’ Foscari Venezia Copyright by Vittorio Citti ISSN 2210-8823 ISBN 978-90-256-1278-8 La traduzione come medium tra poesia e dottrina: spunti di riflessione sul compito del traduttore in una prospettiva benjaminiana Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre, devono susseguirsi nei minimi dettagli, ma non perciò somigliarsi, così, invece di assimilarsi al significato dell’originale, la traduzione deve amo- rosamente, e fin nei minimi dettagli, ricreare nella propria lingua il suo modo di intendere, per far appa- rire così entrambe – come i cocci frammenti di uno stesso vaso – frammenti di una lingua più grande1. 1. Premessa. Il saggio di Walter Benjamin Die Aufgabe des Übersetzers è del 1921 e verrà poi in- serito nel ’23 come Introduzione alla pubblicazione in traduzione tedesca dei Table- aux Parisiens di Baudelaire. La teoria è piuttosto originale ed estrema, ma trova già fondamento in un saggio del ’16, Über die Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, dove l’autore parte dall’immagine biblica della caduta di Babele, come catastrofe di quella unica lingua della verità, prebabelica, di Adamo il parlante che è «datore di nomi»2. La differenza tra il testo del ’16 e quello del ’23 è ben spie- gata da Schiavoni: La molteplicità delle lingue storiche, nelle quali va situato il lavoro della traduzione, non può essere separata dalla tensione verso la “pura lingua”, allora configuratasi come espressione dello stato paradisiaco, e ora presentata come l’inteso unico che ogni sin- gola lingua, a suo modo, vuole esprimere3. Ma l’impianto teorico di riferimento del saggio sulla lingua è ben presente anche ne Il compito del traduttore, così come l’idea di una Namensprache, di una lingua dei nomi adamitica, in cui è la parola singola lo strumento del traduttore, definita meta- foricamente «arcata»4, Arkade di accesso o meglio di tensione verso il paradiso per- duto della lingua pura che è verità e conoscenza, nell’immediatezza e nella coinci- denza della comunicazione di se stessa nei singoli nomi. Dopo Babele: […] il linguaggio da creativo, si degrada a semplice mezzo; il comunicabile assume i tratti dell’incomunicabile, rendendo ostinatamente “mute”, indicibili le cose […]5. Questa teoria mistica è naturalmente spiegata sulla base della creatività della lingua sacra e divina, l’ebraico in quanto prima derivazione dalla lingua di Adamo, secondo una diffusa tradizione cabalistica medievale, di cui Gershom Scholem è stato acuto studioso. In questa tradizione c’è il senso della confusione delle stesse Sacre Scrittu- 1 Benjamin 1962, 42. 2 Benjamin 1962, 58. 3 Schiavoni 2001, 80. 4 Benjamin 1962, 49. 5 Schiavoni 2001, 58. Lexis 30.2012 Fabio Di Pietro re, ma anche la sfida, la tensione, diremmo noi più del traduttore che dell’interprete, del compito grande e difficile di trovare le chiavi giuste: Nel suo commento ai Salmi, Origene racconta che un dotto ebreo, probabilmente un membro dell’accademia rabbinica di Cesarea, gli ha detto che le Sacre Scritture sono come una grande casa con molte, moltissime stanze, e davanti a ogni stanza c’è una chiave – ma non è quella giusta. Le chiavi di tutte le stanze sono scambiate e confuse: trovare le chiavi giuste che aprono le porte è il compito grande e difficile6. Non vi è dubbio che il cabalismo medievale, in particolare di Abulafia, sia alla base del ragionamento de Il compito del traduttore, come già avvertito da Solmi nell’introduzione ad Angelus Novus in cui appunto cita Le grandi correnti della mi- stica ebraica di Scholem: […] Abulafia ama giocare con parole latine, greche o italiane per sostenere le sue idee. Perché, in ultima istanza, ogni parola parlata consiste di lettere sacre, e la combinazio- ne, separazione e riunione delle lettere rivela al cabalista profondi misteri, e gli scopre il segreto del rapporto di tutte le lingue alla lingua sacra7. L’aspetto tensionale nella traduzione è dunque figlio di un approccio mistico alla lingua, ma allo stesso tempo si presta, al di là di quanto possa essere ricevibile l’elemento redentivo e messianico di questo discorso, ad una prova interessante ed anche piuttosto inedita: il saggio di Benjamin è effettivamente utile al traduttore? Con gli eventuali distinguo, che si osserveranno nel corso dell’attraversamento criti- co dell’argomentazione benjaminiana, certamente sì, perché fornisce una prospettiva che, proprio perché straniante rispetto alle tradizionali concezioni sul tema, consente un ripensamento sia del lavoro del traduttore che della didattica della traduzione. È opportuno, però, prima di entrare nel testo di Benjamin, considerare con atten- zione ma anche con prudenza ciò che si è venuto a creare intorno a questo saggio: una vasta mole di studi e di teorie sulla teoria che lo hanno reso il luogo privilegiato di un confronto-scontro quasi necessario per essere qualcuno nel campo della tradut- tologia8. D’altronde la stessa insistenza o enfatizzazione di alcune suggestioni che Benjamin riprende dal cabalismo, come di alcune espressioni che utilizza, quale an- che solo quella più volte ripetuta di Reine Sprache, possono portare ad una pluralità di interpretazioni che spingono a declinare la riflessione in prospettive molto diverse fra di loro o addirittura ad indagini di ampio respiro, come quella di Umberto Eco sulla ricerca utopica e fallimentare della lingua perfetta: La storia delle lingue perfette è la storia di un’utopia, e di una serie di fallimenti. Ma non è detto che la storia di una serie di fallimenti risulti fallimentare. Se pure fosse la storia dell’invincibile ostinazione a perseguire un sogno impossibile sarebbe pur sem- 6 Scholem 2001, 17. Si veda anche sulla teoria cabalistica Scholem 1972, ma soprattutto Scholem 1965. 7 Scholem in Benjamin 1962, XXIII n. 1. 8 Come è avvenuto negli anni ottanta nel dibattito post-derridiano e decostruzionista europeo ed ame- ricano: ricorda con una certa ironia Gentzler 1998, 191 l’affermazione di Paul de Man, secondo la quale non si è nessuno se non si è scritto qualcosa su di Aufgabe des Übersetzers di Benjamin. - 2 - La traduzione come ‘medium’ tra poesia e dottrina pre interessante – di questo sogno – conoscerne le origini, e le motivazioni che lo han- no tenuto desto nel corso dei secoli9. Nel proporre un’antropologia della traduzione nella cultura antica Bettini insiste sul fatto che le preoccupazioni moderne al riguardo sono sostanzialmente sconosciute alla cultura classica e a tante altre culture del mondo, perché vertere non significa certo la stessa cosa in tutte le culture. Di fronte alla proposta di Benjamin della paro- la come arcata non si dilunga affatto: la relega in una sola nota, mostrando di aderire ad una vulgata benjaminiana del tutto impropria con il contesto di riferimento, quando dice: Viene fatto di pensare che con quel fabellas Latinas ad verbum e Graecis expressas, immediatamente recepito dai moderni come se si trattasse di opere “tradotte parola per parola”, Cicerone volesse in realtà significare una cosa diversa10. Molti sono i testi sulla storia della traduzione e sulle teorie11 e ad essi si rinvia per avere un quadro completo del contesto, all’interno del quale si muove la complessa forma della traduzione, e della vasta produzione bibliografica di riferimento. Non rientra, infatti, tra gli obiettivi principali di questo contributo l’indagine di teorie e metodi traduttori, né di fornire tantomeno un’ulteriore teoria o proporre nuove distinzioni definitorie, perché esso mira, molto più umilmente, a ritornare sul testo di Benjamin, sgombrando il campo da qualsivoglia prospettiva ideologica pre- costituita e cercando invece di rilevare nel testo i passaggi argomentativi che lo strutturano, per costruire una mappa concettuale in grado di suggerire aspetti utili ad un ripensamento del compito del traduttore oggi, sia egli uno studente, un docente o un traduttore per così dire professionista. 2. Dalla cattiva traduzione alla traduzione ideale. Il ragionamento di Benjamin sul compito del traduttore segue un’articolazione che va dalla cattiva traduzione alla traduzione ideale. Stabilendo alcuni aspetti teorici, veri e propri puntelli di una visione messianica delle lingue umane, in nome di un principio di integrazione destinato ad una lingua della verità, la lingua pura, Benja- min propone elementi di riflessione, che puntano a ridefinire la questione della tra- duzione tra fedeltà e libertà ed a fornire una soluzione problematica, che ancora oggi può essere portatrice di spunti concreti per la difficile attività del traduttore delle grandi opere classiche. La cattiva traduzione è «la trasmissione imprecisa di un contenuto inessenzia- le»12. Se infatti essa vuole solo mediare la comunicazione (inessenziale), tradendo quel poetico, inafferrabile e misterioso che è l’essenziale dell’originale, ciò che va ben oltre la mera comunicazione e che dice e comunica ben poco anche a chi lo 9 Eco 1993, 24. 10 Bettini 2012, 75. 11 In Italia ha avuto una fortuna editoriale forse non del tutto meritata Mounin 1965; notevole e ricco di esempi è Steiner 1984. Sui Translations Studies e le teorie si rimanda al già citato Gentzler 1998, invece sulla storia della traduzione all’utile lavoro di Osimo 2002. 12 Benjamin 1962, 39. - 3 - Fabio Di Pietro comprende, lo farebbe con la pretesa di servire ad un lettore che non lo comprende. La falsa idea che sottostà a questo approccio è che l’opera d’arte abbia in sé l’intenzione di un ricettore concreto, quando invece l’arte può semmai presupporre la natura fisica e spirituale dell’uomo e non la sua attenzione. Ma la traduzione è una forma – e questo lo sa bene il buon traduttore – e la legge fondamentale che la anima è la traducibilità dell’originale, essenziale a certe opere. Essa istituisce un rapporto intimo con l’originale, nella misura in cui l’opera d’arte ha una propria vita, concreta e non metaforica, uno stadio di sopravvivenza, che la consegna alla gloria. Quest’ultima non è data dalla traduzione, ma si ha «quando si riconosce vita a tutto ciò di cui si dà storia»13; è compito della traduzione invece funzionare ben oltre che come forma di trasmissione (l’opera non ne ha bisogno, ha già la sua gloria), ma come tramite di un’esistenza dell’opera, intesa come «ultimo e più comprensivo dispiegamento» – erneute späteste und umfassendste Entfaltung – in una forma sempre rinnovata di vita e finalità, che è quella di esprimere il rapporto più intimo tra le lingue, nel rappresentare l’oggetto significato secondo un assunto preciso: «[…] le lingue non sono estranee fra loro, ma a priori, e a prescindere da ogni rapporto storico, affini in ciò che vogliono dire»14. La teoria tradizionale della traduzione è solo superficialmente ravvisabile nell’assunto, perché di fatto questa teoria non spiega in che cosa consista l’esattezza (l’essenziale) o la travisa nella forma, tradendo di nuovo il compito di cogliere in modo più profondo l’affinità delle lingue in una traduzione che non può essere so- miglianza all’originale, in quanto esso, nella sua sopravvivenza vive il mutamento ed il cambiamento, una maturità postuma, che complica non poco il compito del tra- duttore. Se infatti «la parola del poeta sopravvive nella sua lingua»15, la parola del tradut- tore deve fare i conti con la propria lingua materna e con la ricerca dell’essenziale di quei mutamenti del significato dell’originale, dovuti ad una vita più intima della lin- gua ed alla soggettività dei posteri. Insomma, la traduzione non è la sorda equazione di due lingue morte, ma è avvertimento e considerazione: 1) della «maturità postuma della parola straniera»; 2) dei «dolori di gestazione della propria»16. L’affinità d’altronde non è somiglianza per discendenza storica, ma una sorta di parentela metastorica, come «totalità delle intenzioni reciprocamente complementa- ri»17 – der Allheit ihrer einander ergänzenden Intentionen erreichbar – volte a co- gliere, come intentio, quella pura lingua, sulla quale può basarsi la legge dell’integrazione. Nell’intenzione – insegna la filosofia del linguaggio – la distinzione fondamentale è tra inteso (integrabile) ed i modi di intendere (divergenti); ma nelle lingue singole l’inteso non è mai in relativa indipendenza, ma in continuo divenire: «in attesa di affio- rare come la pura lingua dall’armonia di tutti quei modi di intendere»18 e la tensione in- tenzione del traduttore è di avvicinare all’integrazione ciò che è divergente all’inteso. 13 Benjamin 1962, 41, corsivo nel testo. 14 Benjamin 1962, 42. 15 Benjamin 1962, 43. 16 Benjamin 1962, 44. 17 Benjamin 1962, ibid. 18 Benjamin 1962, 45. - 4 -

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Il verso melico greco nella filologia tedesca di inizio. Ottocento It is primarily aimed to find the conceptual drivers in the reasoning of the. German
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