Quaderns d’Italià 11, 2006 203-221 Petrarca e le arti: l’occhio della mente fra i segni del mondo Marcello Ciccuto Università degli Studi di Pisa Abstract Con questo studio si percorrono i numerosi luoghi dell’opera petrarchesca impegnati in que- stioni d’arte, sugli artisti, gli artefici, le opere che il poeta ebbe modo di vedere o frequenta- re. Si tratta di esperienze che è necessario indagare attraverso la prospettiva privilegiata della costruzione della biblioteca di Petrarca e del suo specifico amor librorum: perché di fatto l’av- vicinamento all’arte —nei casi petrarcheschi qui studiati— avviene invariabilmente in nome di un distacco dal valore materiale di essa e a favore esclusivo, invece, di una superiore sub- stantiaspirituale riconosciuta all’esecuzione artistica. Si passano in rassegna perciò alcuni esempi di collaborazione interpretativa fra testi e immagini all’interno dei manoscritti pro- dotti per Petrarca e dietro sua specifica commissione, in modo da evidenziare una sorta di gara tra l’immagine e la scrittura tenuta dal poeta sotto l’egida di una visione classica e clas- sicistica del problema, e commentata in fasi varie della sua esistenza sulle pagine della sua estesa produzione epistolare. Si studiano altresì i rapporti di Petrarca con Simone Martini nonché un codice in particolare, contenente il testo delle Dechedi Tito Livio, che segnò in modo straordinario l’attitudine del poeta nei confronti degli oggetti d’arte. Parole chiave:Petrarca, arti figurative, epistole, Simone Martini. Abstract By this research I cover the various places of Petrarch’s work connected with artistic mat- ters or about artists, craftsmen and artworks which the poet saw or met with during his own lifetime. The topic is to study all these experiences through the perspective of the building of Petrarch’s library and his specific amor librorum: actually, the poet’s approach to art —in the cases in point— invariably happens in the name of a disjunction from the material value of it, and on exclusive behalf of a superior, spiritual substantiathat is typi- cal —in the poet’s opinion— of artistic engagement and achievement. So I studied here several examples of interpretative co-operation among texts and images within manuscripts produced for Petrarch and/or after his advice, in order to highlight a kind of contest between image and writing held by the poet under the aegis of a classic and classicistic vision of the problem, together with a commentary he offered us in different periods of his existence by the pages of his wide letter collection. Finally I have studied the relations between Petrar- ch and the painter Simone Martini, as well as a famous codex, containing the texts of Titus Livius, that marked the whole poet’s disposition towards art objects. Key words: Petrarch, figurative arts, epistles, Simone Martini. 204 Quaderns d’Italià 11, 2006 Marcello Ciccuto Nel suo lungo peregrinare Francesco Petrarca ebbe modo di frequentare arti- sti, commissionare decorazioni per opere sue ed altrui, discutere e far approvare programmi iconografici, descrivere immagini le più diverse. Si delinea per la sua figura storica una familiarità costante con artisti (pittori e scultori e miniato- ri il più delle volte in sintonia coi più specifici gusti del poeta orientati a idea- li di chiarezza e sobrietà), tale da avere certo riscontro nella messe di rilievi, indicazioni, ricordi sparsi nelle sue opere: come quando accoglie nel De reme- diis utriusque fortunaemolti pronunciamenti sulle arti e proposizioni rilevan- tissime sul piano dell’estetica,1scrivendo ora dei Dioscuridi Montecavallo, ora di Apelle e di Fidia (per i Dioscuribasterà quindi il richiamo alla lettera a Gio- vanni Colonna, del 1337 oltreché ad Africa8, 907-910, mentre è con una let- tura ragionata della lettera a Guido Sette, del 1342-43, che si ricava importante documentazione circa la posizione petrarchesca nei confronti degli artefici del- l’Antichità);2 o come quando in qualcun’altra delle lettere più impegnate su questo versante descrive l’effigie romanica di sant’Ambrogio a Milano (Fami- liares, XVI, 11, 12: «quam illi viro simillimam fama fert»)3e si intrattiene sulla legendaAUREA ROMA presente sulla bolla di Carlo IV,4ripescandola anche 1. Si possono vedere intanto i cenni, peraltro parziali, contenuti nel saggio di Maria Monica DONATO, «“Veteres” e “novi”, “externi” e “nostri”. Gli artisti di Petrarca: per una rilettu- ra», in Arturo Carlo QUINTAVALLE(a cura di), Medioevo: immagine e racconto. Atti del Con- vegno internazionale di studi Parma(27-30 settembre 2000), Milano: Mondadori Electa, 2003, p. 434-436. Questo importante insieme resta sostanzialmente ancora da studiare nella totalità dei suoi riferimenti. 2. In particolare, come è noto, Petrarca si riferisce in esplicito ai Dioscuri di Montecavallo nelle due importanti occasioni cui si accenna nel testo: nella familiarisVI,2, 13 a Gio- vanni Colonna, poco dopo il primo viaggio a Roma del 1337 («Hoc Praxitelis Phidieque extans in lapide tot iam seculis de ingenio et arte certamen»), e nell’Africa, 8, 907-910 («Quirinalem superato vertice montem / transierant, nudoque duos astare gigantes / cor- pore conspiciunt —en quot certamina fame!— / Praxitelis opus Phidieque insigne supre- mi»). Entrambi i luoghi sono stati oggetto di studi specifici e anche accurati, come risulta per il primo da Maurizio BETTINI, «Francesco Petrarca sulle arti figurative», in Salvatore SETTIS(a cura di), Memoria dell’antico nell’arte italiana, I, Torino: Einaudi, 1984 (ci si riferisce alla rielaborazione dello stesso, Città di Castello, 2002, p. 28-29) e da Maria ACCAMELANZILLOTTA, «Le Antiquitates romanae di Petrarca», in Preveggenze umanistiche di Petrarca. Atti delle giornate petrarchesche di Tor Vergata, Roma-Cortona(1-2 giugno 1992), Pisa: Edizioni ETS, 1993, p. 213, 234-235; per il secondo specialmente da Guido MAR- TELLOTTI,Pietro Paolo TROMPEO, «Cartaginesi a Roma», Nuova Antologia, 430, 1943, p. 254-264. Per la lettera a Guido Sette si veda allora il più recente Maria Monica DONA- TO, «“Veteres” e “novi”», cit., p. 439-440, in attesa di riferire notizie sufficienti sulla fortuna umanistica degli antiqui artificesche naturalmente non è possibile concentrare nel breve spazio di una nota. 3. Giusta il titulusche la dice «tracta […] ab imagine vivi / Ambrosii»: cfr. Carlo BERTELLI, «Percorso tra le testimonianze figurative più antiche: dai mosaici di San Vittore in Ciel d’Oro al pulpito della basilica», in La basilica di Sant’Ambrogio: il tempio ininterrotto,II, Milano: Electa, 1995, p. 374. 4. Vedi allora anche la referenza collocata in Seniles, 6, 8, e il luogo discusso in Maurizio BET- TINI, «Francesco Petrarca», cit., p. 20-21. Dall’imperatore Petrarca ricevette in dono anche una coppa aurea, come ricorda in Familiares, XXXIII, 8: «cratera preriosissimus, quem michi auro solidum atque asperum signis … non meae quidem sed tuae sortis munus exi- Petrarca e le arti: l’occhio della mente fra i segni del mondo Quaderns d’Italià 11, 2006 205 per un verso dell’Africa, 6, 883 (Familiares, XXI, 2, 8). Di riferimenti a com- petenze d’arte sono comunque ricchi molti documenti, a voler scrutare ad esempio all’interno di più opere e di più postille legate al gusto e, appunto, alla specifica competenza «all’antica» di Petrarca in materia numismatica,5 o anche alla sensibilità del poeta, all’attrazione sua per quell’aspetto dell’ars sump- tuaria che lo spinge ad ammirare le vesti lussuose e raffinate del suo tempo (come è del caso esplicito di Fam., XIII, 8 e, ancora, di Fam., I, 5, a Giovan- ni Colonna),6 sino al momento in cui si è potuto pensare al possibile calco suo di alcune iscrizioni della Porta di Capua per i versi coniati nel 1341 e desti- nati a una delle porte civiche della città di Parma.7Sono invero una legione i pensieri petrarcheschi sull’arte, gli artisti e gli artefici —così dell’antichità come dei tempi moderni—, le opere individuate e persino a tutt’oggi riconoscibili in qualche manufatto giunto sino a noi. Tuttavia resta comunque e sempre difficile afferrare a pieno il senso complessivo di questo gusto artistico di Petrarca, pur disponendo di «indicatori» assai eloquenti in fatto di inclinazioni e idee di cul- tura figurativa che non dovremo più legare, allo stato attuale delle conoscen- ze, a una mentalità di gotica, attardata e insomma superficiale inclinazione. Perché se si vuole far un po’ di chiaro in materia, e capire quali furono i contatti effettivi del poeta, si vede bene che si tratta di spostare subito e con- mius destinasti … vasculum insigne materia, insigne artificis ingenio, sed super omnia ore cesareo consecratum a tuis in meos translatum usus». 5. Si tratta in questo caso di una autentica messe di ricordi e citazioni, specialmente annida- ti tra le postille autografe e il corpo delle opere latine: dalle monete col l’effigie dell’impe- ratore Vespasiano di cui è scritto in Rerum memorandarum libri,II,73, 6, alla citazione della moneta che permise al poeta di correggere il nome di Drusilla in quello di Giulia a margine della vita di Caligola —come ricorda Giuseppe BILLANOVICH, «Nella biblioteca del Petrarca», Italia medioevale e umanistica, 3, 1960, p. 50 sul codice dell’Historia Augu- sta; dalle monete scambiate con l’imperatore Carlo IV (Familiares, XIX, 2 e 13) a quella donatagli da Luigi Marsili che ci rivela una postilla al codice petrarchesco di Suetonio, per arrivare ad altre indicazioni su due monete di Faustina Maior e Faustina Minor, ancora dal codice dell’Historia Augusta(cfr. Pierre DENOLHAC, Pétrarque et l’humanisme d’après un essai de restitution de sa bibliothèque, Paris: Champion, II, p. 64) o alla moneta di Claudio riprodotta su un margine del codice Parigino lat. 8082, f. 4v, in veste di ritratto del poeta Claudiano, come segnalato a suo tempo da Lucia CHIOVENDA, «Die Zeichnungen Petrar- cas», Archivum Romanicum, n. 17, 1933, p. 58 6. Cfr. appunto Familiares, XIII, 8: «Quid de vestibus, quid de calceis loquar? mutata sunt omnia; non ille habitus, meus inquam propter eximiam raritatem, qua, salva ni fallor hone- state et decore servato, inter pares olim conspici dulce fuit. Agricolam me seu pastorem dixeris, cum tamen adhuc et vestis exquisitior non desit»; e ancora Familiares, I, 5: «excepit Colonia … Mirum in terra barbarica quanta civilitas, que urbis species, que virorum gra- vitas, que munditie matronarum … Omnis enim ripa preclaro et ingenii mulierum agmi- ne tegebatur. Obstupui: dii boni, que forma, quis habitus ! amare potuisset quisquis eo non preoccupatum animum attulisset». 7. Basterebbe confrontare il testo petrarchesco di «Imperiosa situ victrici condita dextra […] Me videat securus amans hostisque tremiscat» (in Francesco PETRARCA, Rime, Trionfi e poe- sie latine, a cura di Federico NERI, Milano-Napoli: Ricciardi, 1951, p. 848) con quello «capuano» «Cesaris imperio regni custodia fio […] intrent securi qui querunt vivere puri / Infidus excludi timeat vel carcere trudi», come fa Maria Monica DONATO, «“Veteres” e “novi”», cit., p. 434 e nota 34. 206 Quaderns d’Italià 11, 2006 Marcello Ciccuto cretamente l’attenzione su quel che rappresentarono la biblioteca e lo specifi- co amor librorum petrarcheschi, in una con predilezioni individuate proprio nel campo dell’arte e un percorso che dalle esperienze oculari, di semplice sen- sibilità percettiva, sale al culmine della sfera conoscitiva e della sapienza che, sole, consentono il piacere della memoria e della vita culturalmente atteggiata all’in- segnamento antico: At nobilis inque altum nitentis animi est, multas terras et multorum mores hominum vidisse atque observasse memoriter; verissimumque est quod apud Apuleium legisti: «non immerito» enim, inquit, «prisce poetice divinus auc- tor apud Graios, summe prudentie virum monstrare cupiens multarum civi- tatum obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit». Quod poeta noster imitatus, suum Eneam scis quot urbibus atque litoribus circumducit … nec intelligis quam gratum spectaculum illi fuerit futurum- que sit oculis cernere que cogitatione previderit; quod Hadrianum principem facere solitum accepimus … Et quanto, putas, alacrior quantoque rerum expe- rientior redibit, quanto non solum ceteris sed etiam semet ipso sublimior, qui tam multa oculis viderit.8 La stessa idea del possesso librario, più volte esaltato in appassionati accen- ti da Petrarca medesimo, andrà interpretata da subito nella chiave dell’esito di una ricerca e di un competente desiderio da parte dell’intellettuale, fattosi ardens explorator9 soggetto di quella pulcra indago capace di offrire, a scia di pur inexplebilis cupiditas, una ineguagliabile dolcezza interiore: 8. È il luogo, notissimo, di FamiliaresIX,13, doppiato a distanza dalla convinzione circa la pos- sibilità di recupero nel ricordo di ogni situazione improntata a questo stesso piacere (cfr. Itinerarium ad sepulcrum Domini, § 7: «Ibis ergo sine me et multa conspiciens quorum tibi, dum vixeris, memoria voluptatem renovet»). Del resto sarà poi il testo della SenilisIX,2, a Francesco Bruni, a testimoniarci l’esigenza petrarchesca di neutralizzare proprio la cupidi- tas videndiin nome di una superiore coerenza tra vita e letteratura: «in peregrinationibus vitam duxi … Iam de ingenio ac doctrina facilis coniectura est, profecto enim plus aliquid ambiendo vidit, quam visurus domi fueram, et experientie, rerumque notitie, non nichil est additum, sed detractum literis. Quot enim studio putas dies hi, discursus abstulerint … Que iactura haud quaquam levis est, brevitatem, fugamque temporis extimanti. Et nisi hic metus tenuisset, frenassetque impetum, ut erat adolescenti animus, et casuum imrovi- dus et videndi avidus issem ad extremos hominum Seres, atque Indos, ultimaque terrarum Taprobanem adiissem …». 9. Cfr. a riguardo Rerum memorandarum libri, I, 19, 2: «Itaque iam aliquali fama ingenii, falsa licet, sed multo maximo favore cognitus talium dominorum, varias amicitias per diversa con- traxeram, quod essem in loco, ad quem fieret ex omni regione concursus. Abeuntibus demum amicis et ut fit petentibus, numquid e patria sua vellem, respondebam: nichil preter libros Ciceronis. Ante alios dabam memoralia, scriptoque et verbis instabam. Et quotiens putas pre- ces, quotiens pecuniam misi, non per Italiam modo, ubi eram notior, sed per Gallias atque Germaniam, et usque ad Hispanias atque Britanniam? Dicam quod mireris, et in Greciam misi … Multo studio, multaque cura, multa undique parva volumina recollegi, sed sepe mul- tiplicata, eorum vero, que maxime optabam, raro aliquid, ita ut, quod humanis in rebus cre- bro accidit, multa mihi deforent, multa superfluerent … si quando visendi desiderio, quod tunc sepe faciebam, in longinqua proficiscerer, visis forte eminus Monasterii veteribus, diver- tebam illico. Et quid scimus, inquam, an hic aliquid eorum sit que cupio?». Petrarca e le arti: l’occhio della mente fra i segni del mondo Quaderns d’Italià 11, 2006 207 Libros quos querimus illic non esse non miror. Nam et ego, dum id tibi impo- nerem, temptabam potius quam sperabam. Sed iuvabat experiri an, quod inter- dum accidit, spem successus excederet. Inquisitionem quidem hanc librorum quamvis sepe irritam, omittere nescio: tam dulce est sperare quod cupias. Habebimus vero quos poterimus neque pulcre indagini fedus torpor obstite- rit; reliquos patienter optabimus, atque ita progrediemur his contenti quos nobis nostra sors tribuit, legendique impetum ac discendi ardorem mortalita- tis recordatione solabimur.10 Nella prospettiva che punta ad evitare lo sterile attaccamento ai beni mate- riali —gli accenti più convinti sono come è noto interni alla familiarisXXIII, 8, associabili a quel che viene dalla Varia 48, a Cola di Rienzo, in merito al commercio di antichità praticato dalle «nobili» famiglie romane11— il tutto agostiniano Petrarca si impegna a superare di slancio quella muta voluptas in nome di un intimo, quasi amicale godimento;12additando dunque come pri- vilegiate quelle immagini pur materiali che sappiano insinuarsi nell’animo del riguardante con una forza analoga (abditi aculei) a quella delle parole: de me autem, quid mereantur in solitudine quedam voces familiares ac note … quam preterea delectet vel aliorum vel mea nonnumquam scripta revolvere: quantumve ex ea lectione exhonerari me sentiam gravissimis acerbissimisque 10. Seniles,III,19. 11. Il testo è il seguente: «laceratas reipublice reliquias carptim in speluncis et infandis latroci- nii sui penetralibus congesserunt … post impie spoliato Dei templa, occupatas arces, opes publicas … in pontes, in menia atque immeritos lapides desevirent. Denique post vi vel senio collapsa palatia … post diruptos arcus triunphales … de ipsius vetustatis aut proprie impietatis fragminibus vilem questum turpi mercimonio captare non puduit … de vestris marmoreis columnis, de liminibus templorum … de imaginibus sepulcrorum … ut reli- quas sileam, desidiosa Neapolis adornatur». 12. La familiarisIX, 9, all’amico Socrate, sottolinea esattamente questo ideale collettivo (lon- tano dunque dall’usufrutto superficiale di un oggetto d’arte) che pare di cogliere anche nel ringraziamento a Carlo IV per il dono di una coppa d’oro (Familiares, XXIII, 8: «ego illo qui- dem non tam utar hoc comuni usu, quam libabo, dicerem ad aras, si nobis qui veteribus mos esset: nunc vero, mensis lautioribus rarum ad spectaculum adhibito, dies festos exor- nabo; habebo illum in delitiis, ostendam mirantibus amicis et gaudentibus … gemino sem- per tali munere glorabor»): cfr. appunto «Quantula autem sunt que videntur maxima, quibus vulgus inhiat, aurum argentum monilia anuli armille signa toreumata, vasa corinthia, fulgentes gemme, rotundissime margarite, marmor niveum, sculptum ebur, picte tabule, vive ac spirantes statue, radiantes purpure ceteraque id genus, fex ac purgamenta terrarum vel fuliginosorum decus artificum. Amicus singulare quoddam et inextimabile bonum est, quod non ferant venti, non urant pruine, non frangant procelle, sed ut purum aurum flam- me probent persecutionum ac laborum; bonum quod non superficietenus delectet ut plu- rima, sed in ipsum animum dulcedine sua penetret et quodammodo nostri pars fiat». Il referente agostiniano andremo a cogliere sui margini della copia petrarchesca delle Enar- rationes in psalmos, dove il poeta annota la consapevolezza in merito alla più profonda cono- scenza attivata dalla scrittura rispetto alla scrittura, desumendo la citazione dal Tractatus in Iohannem, XXIV, 2 (secondo Bettini si tratta di un’eco reperibile anche nella familiaris XXIII, 19, 8, secondo cui la moderna luxurians littera«longe oculos mulcens, prope autem afficiens ac fatigans, quasi ad aliud quam ad legendum sit inventa»). 208 Quaderns d’Italià 11, 2006 Marcello Ciccuto molestiis, non facile dicturum me speraverim … Quod nunquam profecto consequerer, nisi verba ipsa salutaria demulcerent aures, et me ad sepius rele- gendum vi quadam insite dulcedinis excitantia sensim illaberentur atque abdi- tis aculeis interiora transfigerent,13 rinviando cioè a una verità di alto spessore simbolico che, sebbene prodotto di un artificio, ha in sé connotati costruttivi a livello etico:14 dunque anche nel contesto di quelle artes che vengono dal poeta interpretate e viste come forme di un decusinteso ad apprezzare la cosa in sé e non il suo valore venale, esclusivamente materiale; la substantiain qualsiasi frangente, contro l’arbitrio del giudizio di valore (sono i casi, citatissimi, delle pietre preziose di cui tanto scrive Petrarca)15e, soprattutto, contro una casualità del vivere che significhi al di là dell’operare umano (così nella senilisVIII,3),16oltre il razional giudi- zio coltivato alla scuola degli antichi e della loro letteratura. È esattamente all’interno di questo processo —che qui non possiamo che abbozzare in termini assai generali— che sono diventate leggendarie le noti- zie sulla passione libraria esclusiva di Petrarca: a partire dalla dichiarazione 13. Familiares, I, 9. 14. Il valore positivo della costruzione artificiosa, per Petrarca, è enunciato a chiare lettere in De remediis, I, 22: «omne quod turpe est, quo artificiosius, eo fit turpius: honestatis orna- mentum ars, inhonestatis est cumulus», purché insomma si tratti di un ususonesto nella sostanza. Si ricorderà d’altronde che nello stesso De remediis(I, 41, 11-13) le statue sono pro- dotti dell’artificio, al pari dell’eloquenza di Familiares, XVIII, 8, 2, o della scrittura mede- sima di Seniles,V,5. 15. Basterebbe ricordare allora De remediis,I,37, luogo centrale al pregio per le gemme che sono in grado di segnalare l’altezza morale di un governante, ben al di là del limitato valore vena- le. Ma frequenti in molte opere sono le esibizioni petrarchesche di competenza terminologica riguardo alle gemme: sarà il capitolo 38 del primo libro ancora del De remediisa ribadire la condanna finale dell’aspetto materiale delle medesime («nusquam rarior est veritas neque enim alicubi vel experiendi minor copia vel maior licentia mentiendi vel mendacii fructus uberior vel impudentia liberior vel consuetudo frequentior»), in nome di un’esaltazione tutta aristotelica della «sostanza» della pietra («quis non videt, quenam scilicet ambitio et quanta sit cecitas non rei formam ac substantiam sed nudum nomen tanta mercede captantium?»), sola a poter contrastare il furor hominumper il possesso: ché «neque vasa Corinthia neque aurea meliorem faciunt neque Samia peiorem neque omnino de qualitate rerum, sed ex morbo animi hec vestra cupiditas orta est, seu ipsa potius morbus est animi»,I,39. 16. In questa lettera c’è spazio addirittura per una tirata contro la Fortuna (nella traduzione Fracassetti «la Fortuna veramente ho sempre stimato esser nulla: e che soltanto raccolsi e scrissi quanto mi parve opportuno dei rimedi acconci a francheggiare l’animo umano con- tro gli eventi che il volgo chiama fortuiti, accagionandone la Fortuna. Né mi pareve di cam- biarne il nome, perché non volli con inutile controversia infastidire il lettore e inimicarmelo. Credesi generalmente che quando accade alcuna cosa senza cagione apparente (ché senza causa veramente non accade mai nulla), avvenga per caso, e s’imputa alla Fortuna … Io guardo e veggo … le cose insomma e gli uomini che le fanno, ma da queste in fuori altro non veggo. Di mezzo a tutto questo cerco la Fortuna di cui tanto si parla; e non ne veggo pur l’ombra»), adiacente direi a quell’occasione di reprimenda circa il valore magico di pie- tre preziose o amuleti —la restituzione da parte di Galeazzo Visconti di un anello perduto in battaglia da Giovanni il Buono— che portò Petrarca a presentare l’orazione parigina Col- latio coram Domino Iohanne, giusto l’anno 1361 nel corso del quale il poeta aveva appena terminato di vergare la prima stesura del De remediise dei suoi libri «sull’arte». Petrarca e le arti: l’occhio della mente fra i segni del mondo Quaderns d’Italià 11, 2006 209 generale della lettera familiarisIII,18 (a Giovanni dell’Incisa), secondo la quale appunto «una inexplebilis cupiditas me tenet: libris satiari nequeo. Et habeo plures forte quam oportet; sed sicut in ceteris rebus, sic et in libris accidit: que- rendi successus avaritie calcar est»;17 per passare se vogliamo ai ricordi distesi in un’altra lettera, del gruppo delle Seniles(XVI, 1, a Luca da Penne), dove Petrar- ca torna col pensiero a quando, bambino, mentre i coetanei leggevano Pro- spero ed Esopo, si dilettava dei libri di Cicerone «senza capirci niente, affascinato com’eradalla bellezza delle parole», tornando altresì a dire di dolorose perdi- te librarie che lo avevano tormentato nel tempo.18Analogamente, in mezzo a testimonianze del genere, il poeta ci informa con indicazioni e ricordi precisi circa la presenza o la mancanza di qualche opera nel suo scrittoio (e sulle illu- stri assenze andrebbe avviato un discorso troppo ampio per queste poche note);19sui desideratae le acquisizioni scalate nel tempo o quant’altro ancora perteneva alla formazione della sua biblioteca (di straordinario rilievo a riguar- do gli «elenchi» di libri, ben noti agli studiosi, e sui quali è intervenuto di nuovo e di recente anche Francisco Rico).20Questo per dire che solo scavan- 17. «Ho un desiderio sfrenato, non riesco a saziarmi di libri; ne posseggo molti più di quanti ser- virebbero ma accade così per i libri come per tutte le altre cose: se le ottieni, hai desiderio di possederne ancora di più»; sulla via della posizione, ancora del De remediis, intesa con- tro il puro accumulo dei beni materiali e l’apprezzamento dei soli ornamenti (I, 43, De librorum copia: «Nam ut quidam discipline, sic alii voluptati et iactantie libros querunt. Sunt qui hac parte suppellectilis exornent thalamos que animis exornandis inventa est neque aliter his utantur quam Corinthiis vasis aut tabulis pictis ac statuis ceterisque de quibus proxime disputatum est. Sunt qui obtentu librorum avaritie inserviant, pessimi omnium non librorum vera pretia, sed quasi mercium extimantes: pestis mala sed recens et que nuper divitum studiis obrepisse videatur, que unum concupiscentie instrumentum atque una ars accesserit»), diremmo da collezionismo librario avignonese a norma della familiarisanti- pontificaleVI,1: «Animadverti olim tale aliquid in principibus dominisque terrarum, qui omni studio libros querunt petunt rapiunt mercantur, non literarum amore quas ignorant, sed avaritia inducti, nec animi sed thalami querentes ornatum, nec scientiam sed nomen, neque librorum sententias sed pretia cogitantes … dicent enim sobolem se ac posteros cogi- tare … ingens bibliotheca congeritur». 18. Noto che nel corpo della stessa lettera, assieme al rammarico per la perdita di un De gloria ciceroniano «perdutogli» dal vecchio maestro Convenevole da Prato, Petrarca ricorda il rogo di libri che il padre avrebbe allestito a Montpellier —il poeta aveva 13 anni— per impedi- re al giovane, che doveva restare versato allo studio delle leggi, di dedicarsi troppo alla let- tura di Cicerone e dei poeti. Al pianto disperato di Francesco, il padre decide in extremis di salvare dalla distruzione due volumi, che risultarono essere una probabile opera retorica ciceroniana «strumento utile allo studio delle leggi», appunto, e un esemplare di Virgilio che sarebbe servito almeno «come consolatore della vita». Ma questa lettera è ricchissima di tracce relative a vari altri testi passati per le mani di Petrarca. 19. Centrato ad esempio sulla storia circa l’assenza dalla biblioteca petrarchesca di un esempla- re dei Saturnaliadi Macrobio, il cui testo è peraltro presente in abbondanza sui margini del Virgilio Ambrosiano. Opera macrobiana dalla quale poi Petrarca ricava come è risaputo gran parte delle conoscenze (dunque indirette) del testo del De rerum naturalucreziano. Ma altre fila andrebbero annodate, per questa ricerca, attorno alle storie che riguardano le epistole ciceroniane ad Atticum, Valerio Massimo, Properzio, i cosiddetti geografi minori… 20. Si tratta ovviamente della «lista» contenuta nell’amato codice di Cassiodoro-Agostino, oggi parigino, la cui titolatura (libri mei peculiares ad reliquos n(on) tra(n)sfuga sed explorator 210 Quaderns d’Italià 11, 2006 Marcello Ciccuto do tra gli scaffali della biblioteca petrarchesca saremo in grado di capire qual- che cosa sulle idee del poeta in fatto d’arte, e valutare quanto il suo atteggia- mento verso i libri faccia tutt’uno e con la sua competenza di cultura figurativa, e con reali coinvolgimenti del poeta stesso in fatti d’arte, non ultime le effet- tive frequentazioni di artisti in veste di amico e / o di committente. Vien bene pensare allora alla soscrizione vergata da Petrarca su un fogliet- to aggiunto al suo Virgilio(oggi Ambrosiano, Sala del Prefetto 10 / 27), «liber hic furto mihi subreptus fuerat anno Domini 1326 in kalendis Novembris ac deinde restitutus anno 1338 die 27 Aprilis, apud Avinionem», assieme a tutto quel che conviene cogliere entro il tessuto visivo dell’Allegoria virgilianadepo- sta da Simone Martini sul frontespizio di quel codice superbo già a livello testuale;21vien bene pensare altresì a quanto il poeta scrive in chiusura di un altro amatissimo codice, l’illustrato Tito Livio(oggi Parigino lat. 5690), quan- do riesce a ottenerlo definitivamente nel 1351 dopo averlo a lungo consulta- to e desiderato.22 E considerando che siamo di fronte a codici illustrati ed esteticamente assai rilevanti, è su questa via che riusciremo ad avere già una prima, provvisoria idea di come libri e figure e rispettive loro storie intreccia- te siano uno dei nuclei fondamentali del vivere di Petrarca a ridosso delle arti del suo tempo. Vedremo, in conclusione del nostro discorso (ma ne abbiamo già accennato in apertura), che Petrarca finirà per assolvere le immagini alme- no quando esse si pongano a ingenii simulacrao animi effigies: Nichilominus te animo comitabor et, quoniam ita vis, his etiam comitabor scriptis … imaginem flagitasti, qua utcunque tuam absentiam solareris, non hanc vultus imaginem, cuius in dies mutatio multa fit, sed stabiliorem effi- giem animi ingeniique mei que, quantulacunque est, profecto pars mei opti- ma est. Hic tibi ergo non amici domicilium corpus hoc … sed amicum ipsum internis spectare luminibus licebit,23 per quanto sia compito superiore della parola sempre poter estendere l’ingenii ornamentum —come ancora testimoniano altre pagine, notissime pur esse, tra(n)sire soleo) è stata oggetto di più interpretazioni, talvolta anche assai divergenti. A que- sta forma di citazione abbastanza vistosa dall’epistolario senecano dovremo agganciare altre- sì l’analoga referenza della familiarisXXII, 12, circa il fatto che «ci sono libri che ho letto, ma anche libri invece che amo e che sono diventati carne e sangue, libri nei quali ho diffi- coltà a distinguere ciò che è mio da quello che è di questi autori. Libri che ho letto di corsa, Ennio, Plauto, Marziano Capella e Apuleio». 21. Le principali coordinate interpretative riguardanti questo fondamentale episodio della bio- grafia culturale petrarchesca si possono ricavare da Marcello CICCUTO, «Circostanze fran- cesi del “Virgilio Ambrosiano”», in Id., Figure di Petrarca (Giotto, Simone Martini, Franco bolognese), Napoli: Federico & Ardia, 1991, p. 79-110. 22. In inchiostro blu, a c. 367: emptus Avignone 1351, diu tamen ante possessus. 23. Itinerarium ad sepulcrum Domini, § 7. Per gli ingenii simulacracfr. allora Familiares,I,1: «Adversus hanc proterviam latebris saltem tuis horridula hec atque improvide nobis elapsa defendito. Illam vero non Phidie Minervam, ut ait Cicero, sed qualemcumque animi mei effigiem atque ingenii simulacrum multo michi studio dedolatum, si unquam supremam illi manum imposuero, cum ad te venerit, secure qualibet in arce constituito». Petrarca e le arti: l’occhio della mente fra i segni del mondo Quaderns d’Italià 11, 2006 211 dell’Itinerarium.24 Il proposito di fondo restando quello di conseguire una parità significante tra i due codici, il letterario e l’iconico, la necessità di trovare un’utile coerenza come nel caso, di forte evidenza argomentativa, dell’utilizzo di una fonte iconografica d’origine monetale ai fini della trattazione di un anti- co etimo o della conferma di un brano storico,25 o anche viceversa, dell’im- portanza di alcune legendae numismatiche ai fini dell’interpretazione di complicati soggetti iconografici.26 Anche a non voler insistere sull’importanza di Giotto all’interno della biografia culturale dell’umanista —più e più volte additata dalla critica— sale alla mente all’istante il ricordo della Madonna di mano del maestro mugellese («tabula sive icona beate Virginis Marie, operis Iotti pictoris egre- gii») che Petrarca volle legare per testamento al signore padovano France- sco da Carrara; restando peraltro in ombra ben più vasto quadro di «cose viste» e memorie figurative giottesche, appunto, che si rincorrono nell’u- niverso di Petrarca dai tempi del soggiorno napoletano (con la possibile conoscenza del ciclo della Gloria mondanaaffrescato proprio da Giotto per Roberto d’Angiò) risalendo via via agli analoghi cicli di Milano e di Pado- va le cui reliquie giottesche, oltreché in luoghi esatti dell’opera petrarchesca, riceveranno eco nientemeno che nel frontespizio figurato da Altichiero per due codici (tardi) del De viris illustribus, oggi Parigini lat. 6069 F e 6069 I. Certo ad eccezione di Giotto, e come vedremo di Simone Martini, finisco- no per assommare a poche unità gli artisti contemporanei degnati di una menzione esplicita da Petrarca, magister Benedictus da Como, l’orafo Enri- co Capra… la parte del leone scoprendosi giocata, nella registrazione in 24. Cito dall’edizione Francesco PETRARCA, Itinerario in Terra Santa 1358, a cura di France- sco Lo Monaco, Bergamo: Lubrina, 1990, § 9: «Poscis ergo, vir optime, quoniam me non potes, comites has habere literulas, in quibus que oculis ipse tuis mox videbis ex me, qui ea certe necdum vidi omnia, nec unquam forte visurus sum, audire expectis: mirum dictu, nisi quia passim multa que non vidimus scimus, multa que vidimus ignoramus … Certius te visurum speras que calamus meus hinc quam que oculus tibi tuus inde mostra- verit». 25. È il caso nel quale l’umanista viene a confermare l’interpretazione di Elio Sparziano secon- do cui Cesaravrebbe radice nell’etimo dei Mauri cesai, «elefante», che si trovava inciso sulle monete di età cesariana (cfr. Michele FEO, «Francesco Petrarca», in Enciclopedia Virgilia- na,IV,Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1988, p. 57). Ma anche in Rerum memo- randarum libri,II,73, 6, Petrarca arriva a sostenere la congruenza tra l’immagine di Vespasiano e quanto veniva dal testo di Suetonio riguardo all’aspetto «nitentis et impellentis» dell’im- peratore («nitenti enim atque impellenti simillimam faciem habuisse eum et scriptores rerum tradunt et imago vultus sui que vulgo adhuc aureis vel argenteis eneisque numi- smatibus insculpta reperitur, indicat»). 26. Così nella familiarisXIX, 3, a proposito delle monete donate a Carlo IV nell’occasione del- l’incontro mantovano del dicembre 1354: «aliquot sibi aureas argenteasque nostrorum prin- cipum effigies minutissimis ac veteribus literis inscriptas, quas in delitiis habebam, dono dedi in quibus et Augusti Cesaris vultus erat pene spirans. “Et ecce” inquam “Cesar, quibus successisti; ecce quos imitari studeas et mirari, ad quorum formulam atque imaginem te componas …” Sub hec singulorum vite summam multa brevitate perstringens, quos potui ad virtutem atque ad imitandi studium aculeos verbis immiscui; quibus ille vehementer exhilaratus, nec ullum gratius accepisse munusculum visus est». 212 Quaderns d’Italià 11, 2006 Marcello Ciccuto carte, dai famosi antiqui, Fidia, Policleto, Apelle su su fino al mitico Pig- malione.27 La natura sostanzialmente a-critica del giudizio petrarchesco riesce d’al- tronde a mostrarsi specialmente in luoghi simili a questi, di scoperto riflesso dell’antico, dove emerge l’utilizzo di un lessico convenzionale, ispirato agli usurati topoiclassicheggianti in materia di «pensieri sull’arte», quale appunto è dato vedere ad abundantiam nel corpo della più volte ricordata epistola a Guido Sette (Fam., V 17):28ciò che ci fa intendere quanto solo nel caso in cui scatti il requisito dell’autopsia da parte dello scrittore, fuori cioè dai recinti dell’uniformante visione retorica del problema, viene a precisarsi una più esat- ta competenza estetica —e relative dichiarazioni— da parte petrarchesca.29 27. Un’ampia ricostruzione di questo complesso quanto decisivo nucleo di vicende legate alla competenza figurativa di Petrarca si può leggere in Marcello CICCUTO, Figure di Petrarca, cit. Nella fattispecie l’insieme degli elementi giotteschi, costantemente legati nell’universo petrarchesco al tema e al dibattito sulla Fama terrena, accompagna proprio l’importanza del passaggio della riflessione del poeta da estetica a etica, nei termini rilevati sia all’interno della familiarisXVIII, 8, sia nel capitolo De forma corporis eximiadel De remediis(sul bello come forma esteriore del buono), sia infine a proposito dell’utile esempio di decusche il restauro di «superficie» dei monumenti antichi può offrire alla quotidiana esistenza dei cit- tadini (così ad es. nella senilisXIV, 1: «Illud preterea ad amorem civium promerendum efficax, si rector populi non istius modo, sed beneficus sit in suos … Hoc in genere est tem- plorum refectio et publicorum edificiorum … Est autem talis patria quidem tua et nobili- tate civium et fertilitate locorum et vetustate venerabilis … hec urbs, inquam, talis, tot preclara fulgoribus, te spectante nec obstante cum possis, ceu rus horridum ineptumque, por- corum gregibus deformatur … Fedum spectaculum, tristis sonus … Frivola ista fortasse dicet aliquis; ego nec frivola nec spernenda contendo. Restituenda maiestas sua est urbi nobili et antique, non in magnis tantummodo, nec in his solum que ad intimum rei publi- ce statum sed que ad exteriorem quoque pertinet ornatum, ut oculi etiam partem suam de communi felicitate percipiant, et cives mutata civitatis facie glorientur et gaudeant … Nam illa in viscerationibus ac ludis circensibus et ferarum peregrinarum exhibitione luxuria ad nichil utili, delectationem solam ac libidinem oculorum habens brevem nec honestam qui- dem nec honestis dignam oculis, quamvis insano pessimoque rerum iudici vulgo grata, repudianda tamen est penitus»). Sul confronto tra artisti antichi e moderni nonché sulla frequentazione petrarchesca di alcuni artisti contemporanei cfr. ancora Maria Monica DONA- TO, «“Veteres”e “novi”», cit., passim. 28. «De Phidia et Apelle nusquam lectum est fuisse formosas; operum tamen illustrium alterius reliquie stant, alterius ad nos fama pervenit. Itaque, tot interlabentibus seculis, utriusque artificis preclarissimum vivit ingenium, varie licet pro varietate materie; vivacior enim sculp- toris quam pictoris est opera; hunc est ut in libris Apellem, Phidiam in marmore videa- mus. Idem de Parrhasio et Policleto, de Zeuxi et Praxitele censuerim, ceterisque quorum corporee forme nulla mentio est, operum decor eximius et fama percelebris. Atque ut a veteribus ad nova, ab externis ad nostra transgrediar, duos ego novi pictores egregios, nec for- mosos: Iottum, florentinum civem, cuius inter modernos fama ingens est, et Simonem senensem; novi et sculptores aliquot, sed minoris fame —eo enim in genere impar prorsus est nostra etas». 29. Nella senilisI,6 anche il discorso sul ritratto del poeta viene subito convogliato all’interno del tradizionale confronto con i pittori dell’antichità («Multos quidem ille vir [Pandolfo Malatesta] per annos, antequam me videret, loquaci tantum fama excitus, pictorem non exiguo conductum, nec paucorum dierum spatio, misit ad locum, qui ea me tempestate incolam habebat, ut is sibi in tabellis exoptatam ignoti hominis faciem reportaret … et
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