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Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e PDF

479 Pages·2016·2.88 MB·Italian
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AAllmmaa MMaatteerr SSttuuddiioorruumm –– UUnniivveerrssiittàà ddii BBoollooggnnaa DOTTORATO DI RICERCA IN Politica, Istituzioni, Storia Ciclo XXVII Settore Concorsuale di afferenza: SPS / 05 Settore Scientifico disciplinare: 14 / B2 TITOLO TESI Le valigie dell'anarchia: Percorsi e attivismo degli anarchici emiliani e romagnoli in Argentina e Brasile nella svolta di fine Ottocento Presentata da: Jorge Ariel Canales Urriola Coordinatore Dottorato Relatore Stefano Cavazza Riccardo Brizzi Esame finale anno 2016 1 2 Introduzione Il presente lavoro è il risultato di circa quattro anni di ricerca, svolti intorno alla problematica delle migrazioni degli anarchici italiani in America Latina durante l'ultimo quindicennio del XIX secolo. Si tratta di un periodo particolarmente importante per le «diaspore libertarie» della penisola, così come per la formazione del movimento anarchico nell'America del Sud. Ma non solo, poiché sono anche gli anni in cui l'anarchismo di lingua italiana divenne un movimento di carattere internazionale, presente nelle principali città del pianeta, da New York a Londra e Parigi. Nello stesso periodo, moltissimi altri italiani lasciavano i paesi e le città d'origine per cercare nuovi orizzonti al di là dell'Atlantico. Sono anche gli anni della «grande emigrazione», fenomeno di espatrio massiccio che raggiunse un ingente volume di emigranti mai visto prima. Anche se apparentemente questi due processi furono diversi nella loro origine – cioè, in Italia – si congiunsero poi nelle città d'arrivo, sia al Sud che al Nord delle Americhe. Questa ricerca si è proposta, per l'appunto, di comprendere la relazione dell'emigrazione anarchica con l'emigrazione dei lavoratori che dall'Italia si recarono nelle principali città argentine e brasiliane. Per avvicinarci al problema, evidentemente molto ampio, si è deciso di sviluppare una prospettiva regionale riguardo al processo d'emigrazione anarchica. In questo caso, abbiamo scelto di trattare in specifico l'espatrio degli attivisti libertari dell'Emilia e della Romagna, che in ragguardevole numero si sono recati nella sponda sudoccidentale dell'Atlantico. In termini storiografici, l'interesse di questa ricerca si è incentrato, dunque, nella comprensione del ruolo della componente emiliana e romagnola della migrazione anarchica, nella nascita e nello sviluppo del movimento libertario in Argentina e Brasile. Per discutere quest'argomento, il metodo ritenuto più adatto è stato quello di descrivere i percorsi militanti dei singoli attivisti, dalla loro adesione all'ideale anarchico in Italia, al loro inserimento nelle realtà libertarie sudamericane. Ovviamente, lungi da ridurre il fenomeno alle sole esperienze individuali, si è tentato di rilevare i rapporti degli attivisti emiliani e romagnoli con le diverse espressioni dell'anarchismo in Sudamerica e in Europa, con lo scopo di mostrare il legame di questi militanti con le reti e con le correnti del movimento libertario locale e internazionale. 3 Anche se la scelta dell'Emilia e della Romagna è stata ispirata principalmente da questioni d'ordine metodologico, la prospettiva regionale per il trattamento delle migrazioni anarchiche, è diventata un problema a sé stante per questo studio. In primo luogo, perché le esperienze individuali degli attivisti variarono enormemente sia nel momento della partenza, che nelle condizioni in cui essa avvenne, così come nei processi d'inserimento nelle realtà locali, nei gradi di partecipazione politica nella penisola e nei paesi sudamericani, ecc. Gli elementi comuni riscontrabili fra gli attivisti emiliani e romagnoli non sono diversi di quelli che li accomunano ad altri militanti italiani. Questo fatto è diventato il principale ostacolo per riconoscere una migrazione anarchica propriamente emiliano-romagnola. Questa ricerca ha tentato d'individuare alcuni tratti comuni, ma occorre avviare studi specifici sull'immigrazione anarchica in Sudamerica da altre regioni italiane, per poter comparare percorsi e processi, il che eventualmente consentirebbe di riconoscere le particolarità regionali. Sicuramente si rende necessario comprendere in modo più approfondito, il fenomeno globale dell'emigrazione dei militanti anarchici – e anche altri di tipo «politico» – dalle diverse provincie della penisola e, più in generale, anche le diverse manifestazioni regionali della «grande emigrazione». In qualche modo, questa ricerca si è indirizzata in quella direzione, anche se i suoi risultati non ambiscono a contribuirne che come «appunti». Dall'altra parte, la scelta per lo studio del movimento anarchico in Sudamerica è stata motivata dall'evidenza storiografica sul ruolo svolto da esso nella nascita, non solo dei primi movimenti operai nella regione, ma anche – e soprattutto – nell'origine delle prime forme di contestazione esplicita e frontale all'insieme del sistema «oppressivo» locale. Quest'ultimo punto non è secondario, poiché, in un momento successivo, l'espansione dell'ideale anarchico nell'America del Sud contribuì enormemente a dotare di un contenuto apertamente combattivo e «classista», anti-élitista insomma, alla sinistra locale, spostando il suo asse politico, da rivendicazioni riformiste verso prospettive rivoluzionarie di trasformazione sociale, seppur queste fossero rimaste pressoché nel solo ordine del discorso. Responsabili di questo processo furono attivisti europei che accompagnarono le grandi leve migratorie richieste dai mercati locali del lavoro, fra i quali gli italiani svolsero un ruolo sostanziale. È vero che anche socialisti – e, ancora prima, repubblicani – fecero parte dell'immigrazione politica in Argentina e Brasile, tuttavia furono gli anarchici a riscuotere maggior «successo» fra le classi popolari. Gli attivisti italiani, però, non furono gli unici, poiché il contributo di anarchici spagnoli, portoghesi e, in grado minore anche francesi, fu fondamentale per l'espansione delle 4 idee libertarie nel continente. In ogni caso, non è casuale che quest'impostazione rivoluzionaria fosse arrivata nell'America del Sud da oltreoceano, portata da attivisti formati in una tradizione di lotta politica esogena alla logica dei discorsi nazionali locali, costruiti con successo dalle élites per legittimare la loro egemonia politica, economica e culturale nelle repubbliche dell'emisfero Sud. Fu principalmente in Argentina, Brasile e Uruguay che questo processo ebbe luogo. In questi tre paesi, l'arrivo degli anarchici europei – e segnatamente italiani – si collegò con le masse di migranti che dal Vecchio Continente, attraversarono l'oceano alla ricerca di migliori opportunità, creando un nuovo e più complesso panorama sociale che scombussolò le classi dominati locali. In effetti, l'incontro e il progressivo rapporto che si andò verificando fra «sovversivi» e immigrati, diede vita a un fenomeno fino ad allora sconosciuto nell'America del Sud: nacquero molti gruppi libertari, apparvero decine di giornali anarchici e, pian piano, gran parte delle nascenti società operaie, aderirono all'ideale dell'anarchia. La diffusione dell'anarchismo, parallelamente all'espansione del socialismo, dunque, condizionò l'emergenza di un massiccio e consistente movimento operaio di matrice straniera che si rese protagonista delle acute tensioni sociali dei primi anni del Novecento. La presente ricerca non ha considerato i processi vissuti nell'Uruguay, pure per ragioni metodologiche, anche se si ritiene fondamentale considerarli in futuri studi che intendano comprendere il fenomeno della diffusione dell'anarchismo europeo da un punto di vista «latinoamericano». L'inclusione dell'immigrazione anarchica spagnola a Cuba potrebbe offrire una visuale ancora più ampia, anche se, per l'appunto, la componente libertaria italiana nell'isola caraibica, non raggiunse i livelli sudamericani. In ogni caso, l'inclusione dell'Argentina e del Brasile in questo lavoro consente di fare diverse osservazioni di rilievo sul fenomeno libertario. Concesso che questo ebbe le proprie dinamiche in ogni paese – e, anzi, in ogni città –, legate soprattutto alle condizioni di sviluppo delle società locali e ai loro divergenti processi politici, ci sono alcuni tratti simili: da un lato, l'intimo legame della crescita del movimento operaio e dell'espansione delle ondate di scioperi, con la consolidazione del movimento anarchico e, dall'altro, la chiusa risposta delle élites locali alle agitazioni operaie con l'approvazione di leggi di espulsione degli stranieri. Questa ricerca, seguendo i percorsi degli attivisti emiliani e romagnoli, ha cercato di evidenziare sia le caratteristiche comuni che le particolarità della diffusione dell'anarchismo italiano in entrambe le repubbliche sudamericane. 5 Dal punto di vista storiografico, si è tentato di concettualizzare la migrazione anarchica italiana incrociando le nozioni di «migrazione politica» e «migrazione economica», quest'ultima considerata nella sua particolare forma di «migrazione di massa». L'espatrio degli attivisti libertari dall'Italia, in intima relazione con entrambi i concetti, non si risolve però in nessuno dei due. La «migrazione politica», specialmente utilizzata per segnalare l'espatrio di militanti repubblicani mazziniani e garibaldini dalla penisola fin dagli anni '20 dell'Ottocento – soprattutto per espulsioni ma anche motivata per la ricerca di nuovi orizzonti economici e politici all'estero –, ha certe somiglianze con la partenza degli anarchici, motivata prevalentemente dalle persecuzioni del governo italiano. Tuttavia, l'immigrazione repubblicana in Sudamerica trovò un ambiente politico ed economico piuttosto favorevole, il che portò i suoi militanti a mettersi a capo delle nascenti società italiane, diventando poi l'élite italiana in Sudamerica – non a caso alcuni studiosi chiamano la migrazione repubblicana, una «migrazione d'élite». Di tutt'altro genere, fu l'inserimento degli anarchici, che non solo si trovarono di fronte a governi locali alquanto reticenti nei loro confronti, ma anche al rifiuto di una parte importante delle colonie italiane organizzate intorno a repubblicani e monarchici e a condizioni economiche avverse. Quest'ultima caratteristica, infatti, fu quella che li affratellò agli immigrati economici, i quali non avevano reti di supporto – oltre a quelle familiari – che consentissero loro, d'inserirsi nella società locale se non concorrendo con gli alti immigrati per un posto nel mercato locale del lavoro. In ogni caso, sarebbe troppo semplicistico, rimanere su queste generalità, poiché nella realtà dei fatti molte furono le sfumature: alcuni mazziniani dovettero anche essi inserirsi nel mercato del lavoro come qualsiasi altro immigrato, così come alcuni immigrati economici riuscirono a sfruttare legami con le società italiane, procurandosi qualche vantaggio. Nel caso degli anarchici, seppur non ottenessero niente dai sodalizi italiani, sicuramente le reti libertarie costruite nelle repubbliche sudamericane, furono utilissime per la loro integrazione in Argentina e in Brasile, non solo da un punto di vista economico ma soprattutto sociale. L'espatrio degli attivisti anarchici dall'Italia, come si è già menzionato, non ebbe come destinazione soltanto l'America del Sud. Fin dagli anni '70, molti militanti furono costretti ad abbandonare la penisola a causa della sistematica politica repressiva del governo nei loro confronti, recandosi prima in Francia, Inghilterra, Svizzera, Belgio, Egitto e in altri paesi europei e del Mediterraneo, per poi ampliare i loro orizzonti anche verso le Americhe. Tuttavia, il loro interesse per i processi che si vivevano in Italia, non sparì in assoluto e, infatti, la grande maggioranza degli anarchici mantennero un legame 6 permanente con i compagni che restarono nella penisola e anche con quelli che avevano preso la via dell'esilio. Prendendo soprattutto esempio dal caso nordamericano, nel suo articolo Italian anarchism as transnational movement, Davide Turcato dimostra come questa rete, facilitò la costruzione di un movimento libertario italiano al di fuori dei confini della penisola, piuttosto attivo grazie alla circolazione di giornali, alle corrispondenze fra gli anarchici residenti nei più sparsi punti del pianeta e, fondamentalmente, grazie allo spostamento fra diverse città di un gran numero di attivisti impossibilitati a rientrare nella penisola. Questo movimento, che mai perse la sua identità – i loro periodici, nella maggior parte dei casi, erano scritti esclusivamente in lingua italiana – e che sempre si dimostrò solidale con i compagni rimasti in Italia, fu capace di costruire legami organici e sistematici fra diversi punti del pianeta, il che gli diede una vera consistenza internazionale.1 Da questo punto di vista, l'anarchismo di lingua italiana non solo fu un fattore sostanziale per la diffusione delle idee anarchiche nelle repubbliche sudamericane, ma fu anche capace di connettere e inserire i movimenti argentini e brasiliani nella sua ampia rete internazionale. Negli ultimi anni, la storiografia sull'anarchismo ha compiuto una svolta interessante, passando dal considerare le manifestazioni libertarie come un fenomeno che si limitava ai confini nazionali, a concepirle come un movimento «transnazionale» che s'inseriva in diverse realtà politiche a prescindere delle frontiere nazionali. Di particolare importanza è il volume curato da David Berry e Constance Bantman, New perspectives on anarchism, labor and syndicalism, apparso nel 2010, che raccoglie una serie di articoli su alcuni problemi, episodi e personaggi riguardanti l'anarchismo europeo durante il XIX e il XX secolo.2 Nella stessa linea si situano anche lo studio di Davide Turcato sul lavoro di propaganda svolto da Errico Malatesta in Europa durante gli ultimi dieci anni dell'Ottocento, la ricerca di Constance Bantman sull'anarchismo francese a Londra fino alla Prima Guerra Mondiale e quella di Pietro Di Paola sugli anarchici italiani residenti nella capitale inglese nello stesso periodo.3 Le manifestazioni 1Vd. D. TURCATO, Italian anarchism as transnational movement, 1885-1915, in «International Review of Social History», Vol. 52, n. 3, 2007, pp. 407-444. 2Vd. D. BERRY e C. BANTMAN, New perspectives on anarchism, labor and syndicalism. The Individual, the National and the Transnational, Newcastle, Cambridge Scholars Publishing, 2010. 3Vd. D. TURCATO, Making sense of anarchism: Errico Malatesta's experiments with revolution, 1889-1900, Basingstoke (UK), Palgrave Macmillan, 2012; C. BANTMAN, The French anarchists in London, 1880-1914. Exile and transnationalism in the first globalisation, Liverpool, Liverpool University Press, 2013; P. DI PAOLA, The Knights Errant of Anarchy: London and the Italian Anarchist Diaspora (1880-1917), Liverpool, Liverpool University 7 transnazionali dell'anarchismo italiano sono state studiate anche da Travis Tomchuk, che incentra il suo lavoro sugli Stati Uniti e sul Canada tra le due guerre, e da Kenyon Zymmer, che ha rilevato la componente italiana e yiddish del movimento anarchico negli Stati Uniti dagli inizi fino agli anni '40 del XX secolo.4 Inoltre, Richard Bach Jensen ha pubblicato un libro sulle persecuzioni internazionali contro il movimento anarchico fino agli anni '30 del Novecento, mentre Alex Butterworth ha analizzato l'azione di spionaggio sull'anarchismo europeo e l'infiltrazione di agenti in esso dalla Comune di Parigi fino alla Rivoluzione d'Ottobre.5 Dal canto suo, Benedict Anderson ha collegato alcune manifestazioni di lotta anticoloniale di fine Ottocento a certe espressioni anarchiche, analizzando le reti globali che s'intrecciarono per dare luogo a quest'incontro.6 In una linea leggermente diversa, Steven Hirsch e Lucien Van der Walt, hanno curato l'edizione del volume Anarchism and syndicalism in the colonial and post- colonial world, 1870-1940, una compilazione di articoli che trattano dello sviluppo dell'anarchismo in vari paesi fuori l'Europa, enfatizzando con ciò il carattere globale del fenomeno libertario.7 Per quanto riguarda l'America Latina, il crescente interesse per il fenomeno libertario ha portato alla pubblicazione di un volume curato da Paola Domingo, Alba Lara-Alengrin e Karim Benmiloud, uscito a Parigi nel 2014 e a un altro edito da Geoffroy de Lafourcade e Kirwin Shaffer, uscito negli Stati Uniti nel 2015. Entrambi i volumi hanno raccolto diversi articoli sulle manifestazione anarchiche che si verificarono in molti paesi del continente fin dall'ultimo quarto del XIX secolo, senza mancare quelli riguardanti l'Argentina e il Brasile.8 Press, 2013. 4Vd. T. TOMCHUK, Transnational radicals: Italian anarchists in Canada and the U. S., 1915- 1940, Winnipeg, University of Manitoba Press, 2015; K. ZYMMER, Immigrants against the State. Yiddish and Italian anarchism in America, Urbana, Chicago and Springfield, University of Illinois Press, 2015. 5Vd. R. BACH JENSEN, The battle against anarchist terrorism. An international history, 1878- 1934, Cambridge, Cambridge University Press, 2013; A. BUTTERWORTH, The world that never was: a true story of dreamers, schemers, anarchists and secret agents, London, Bodley Head, 2010 [Il mondo che non fu mai: una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti, Torino, Enaudi, 2011] 6Vd. B. ANDERSON, Under three flags: anarchism and anti-colonial imagination, London, Verso, 2005 [Sotto tre bandiere: anarchia e immaginario anticoloniale, Roma, Manifestolibri, 2008]. 7Vd. S. HIRSH e L. VAN DER WALT (eds.), Anarchism and syndicalism in the colonial and post- colonial world, 1870-1940: the praxis of national liberation, internationalism, and social revolution, Leiden (Netherlands), Koninklijke Brill NV, 2010. 8Vd. P. DOMINGO, A. LARA-ALENGRIN e K. BENMILOUD (coords.), Amérique(s) anarchiste(s). Expressions libertaires du XIXe au XXIe siècle, Paris, Nada Éditions, Éditions Noir et Rouge, 2014; G. DE LAFOURCADE e K. SHAFFER (eds.), In defiance of boundaries. Anarchism in Latin 8 La prospettiva della World History – e in particolare la Global Labor History – che negli ultimi anni ha interessato anche gli studiosi della storia del movimento anarchico, ha contribuito non solo all'approfondimento dei suoi aspetti «transnazionali», ma anche a un relativo superamento dei «pregiudizi storiografici» della Labor History e della storiografia marxista nei suoi confronti. Riuscendo a lasciare dietro le «categorie» di «infantilismo», «volontarismo» e «spontaneismo» – tra le altre – riservate dagli storici marxisti al movimento anarchico, sembra che la storiografia dell'anarchismo internazionale, abbia raggiunto un nuovo status disciplinare. Peraltro, negli Studi sull'Anarchismo hanno confluito diversi metodi, scuole e prospettive storiografiche, che rendono impossibile identificare le ricerche che trattano sull'argomento con qualche particolare approccio disciplinare. Tuttavia, la Storia Sociale, la Storia Culturale e la Microstoria hanno dato un contributo significativo a una conoscenza più completa delle dinamiche all'interno dei movimenti libertari e dei loro rapporti con le realtà politiche e sociali con cui interagivano. Questo tipo d'analisi è ancora più utile per la storiografia dell'anarchismo internazionale, poiché offre strumenti atti a una descrizione esaustiva delle dinamiche di diffusione delle idee e delle pratiche libertarie, così come alla comprensione dei meccanismi attuati per la costruzione e il mantenimento delle reti anarchiche transnazionali, prestando attenzione alle particolari e quotidiane vicende che ne condizionarono le sorti. Nel caso delle ricerche condotte in Italia più recentemente, le prospettive sono alquanto divergenti. Piero Brunello ha studiato le strategie di sorveglianza dei governi italiani sul movimento anarchico durante il XIX secolo, mentre Susanna di Corato Tarchetti ha analizzato il trasfondo politico dei processi giudiziari aperti contro gli attivisti anarchici fino ai primi anni '90 dell'Ottocento, confrontandolo con lo sviluppo del movimento libertario.9 Erika Diemoz, d'altra parte, ha esaminato lo sviluppo del movimento anarchico italiano considerando alcune delle sue reti internazionali, ma riducendolo a un fenomeno unicamente legato alla violenza politica.10 Una visione piuttosto critica circa l'anarchismo, la sviluppa anche Emilio Gianni nel suo volume American history, Gainesville, University of Florida Press, 2015. 9Vd. P. BRUNELLO, Storie di anarchici e di spie. Polizia e politica nell'Italia liberale, Roma, Donzelli Editore, 2009; S. DI CORATO TARCHETTI, Anarchici, governo, magistrati in Italia, 1876-1892, Torino, Carocci Editore, 2009. 10Vd. E. DIEMOZ, A morte il tiranno: anarchia e violenza da Crispi a Mussolini, Torino, Einaudi, 2011. 9 sull'Internazionale italiana.11 Più interessante, invece, è il recente libro di Antonio Senta, che tratta della storia dell'anarchismo italiano, dalla sua «preistoria» fino agli anni '80 del Novecento, mettendo in luce i suoi episodi più significativi, così come il lavoro di Giorgio Sacchetti, che ripercorre le vicende del movimento libertario nel XX secolo analizzando il punto di vista sostenuto dalla polizia italiana.12 Altrettanto stimolante è il libro di Elena Bignami sull'inclusione della «questione femminile» e sulla partecipazione delle donne al movimento libertario fino alla Grande Guerra, linea in cui s'inscrive anche la ricostruzione dei percorsi militanti delle più note attiviste anarchiche italiane fatta da Massimo Lunardelli.13 Infine, Fabrizio Giulietti si è interessato allo sviluppo del movimento libertario italiano dall'inizio del XX secolo fino alla vigilia della Grande Guerra14 Anche se l'ampia bibliografia sull'anarchismo argentino e brasiliano menziona senza eccezioni la determinante influenza degli attivisti libertari d'origine europea sui movimenti locali, rilevando soprattutto il ruolo svolto dagli anarchici italiani, non sono molti gli studi che hanno affrontato l'argomento in modo esaustivo. Il lavoro paradigmatico continua a essere la tesi di dottorato d'Isabelle Felici – scritta ormai più di vent'anni fa – che esamina l'attivismo degli anarchici italiani nello stato di São Paulo, dalle sue prime espressioni fino al 1920.15 In ogni caso, ci sono altri lavori, tra i quali diversi articoli apparsi in riviste scientifiche e volumi compilatori, che trattano della partecipazione degli anarchici italiani ai movimenti argentini e brasiliani. Uno di questi studi è la biografia di Oreste Ristori, anarchico empolese poi divenuto militante 11Vd. E. GIANNI, L'Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti. I congressi della Federazione Italiana e della Federazione Alta Italia dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (1872-1880), Milano, Edizioni Panterei, 2008. 12Vd. A. SENTA, Utopia e azione. Per una storia dell'anarchismo in Italia (1848-1984), Milano, Elèuthera Editrice, 2015; G. SACCHETTI, Carte di Gabinetto. Gli anarchici italiani nelle fonti di polizia (1921-1991), Ragusa, Edizioni La Fiaccola, 2015. 13Vd. E. BIGNAMI, «Le schiave degli schiavi»: la «questione femminile» dal socialismo utopistico all'anarchismo italiano (1825-1917), Bologna, CLUEB, 2011; M. LUNARDELLI, Dieci pericolossisime anarchiche, Torino, Blue Edizioni, 2012. 14Vd. F. GIULIETTI, Storia degli anarchici italiani in età giolittiana. Milano, Franco Angelli Edizioni, 2012 15Vd. I. FELICI, Les italiens dans le mouvement anarchiste au Brèsil, 1890-1920. Paris, These pour le doctorat, Universitè de La Sorbonne Nouvelle – Paris III, 1994. D'altra parte, due ricerche di laurea si sono svolte in Italia sull'argomento. Vd. L. Biondi, La stampa anarchica italiana in Brasile: 1904-1915, Roma, Tesi di Laurea di Storia Contemporanea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 1995; E. Cavalieri, Emigrazione italiana in Brasile e movimento anarchico. Propaganda e tecniche comunicative a São Paulo (1892- 1920). Bologna, Tesi di laurea in Storia Contemporanea, Univesità delgi Studi di Bologna, 2003. 10

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