L’evento educativo: uno sguardo pedagogico al “pensiero indipendente” di Hannah Arendt Marta Ilardo 1. Due sguardi inattuali per leggere l’attualità L’agire arendtiano e la sua concettualizzazione offre interessanti ricadu- te sul piano pedagogico non appena decidiamo di sostare su alcuni quesiti: quando parliamo di educazione, a quale agire educativo facciamo riferimen- to? L’interrogativo potrebbe apparire sterile, mentre se insieme alle considera- zioni di Arendt ragioniamo attorno all’evento1 – pensato assieme a tutte le sue variabili storiche, sociologiche, politiche – possiamo tentare di individuare come alcune attività di studio e approfondimento della Arendt camminino parallelamente con l’interesse pedagogico impegnato a pensare e a difendere l’evento educativo come uno dei primi momenti significativi dentro il quale ciascun soggetto è impegnato a costruire la propria esistenza. I testi di Arendt, dove si troveranno ampiamente trattati i concetti di Male, di Evento e di Azione a cui faremo riferimento2, presentano alcune affinità con la scuola pedagogica impegnata ad indagare il senso dell’azione umana ed educativa e orientata alla definizione di spazi inediti per la possibile realizza- zione del personale progetto esistenziale. La prospettiva problematicista include tra le chances dell’esistenza an- che l’accettazione della possibilità di non vedere mai realizzati i mondi im- 1 Hannah Arendt è una delle prime filosofe contemporanee a riconsiderare l’evento come zona di riflessione indispensabile per coloro che pensano la condizione umana. Hannah Arendt quando fa riferimento all’evento ci parla di “tutto ciò che accade, tutto ciò che ci tocca, tutto ciò che ci attraversa”. Per comprendere meglio questa affermazione dobbiamo partire dal contesto storico durante il quale viene pensata: per Arendt, infatti, non era più possibile pensare la condizione umana se non a partire dall’evento tragico del Totalitarismo, il momento della storia che richiede di ripartire dalla catastrofe per riconsegnare senso al pensiero. Sarà proprio a partire dall’analisi della Shoah che, da lì a breve, nasceranno i concetti e le sue opere più importanti (Le Origini del Totalitarismo, La banalità del male). 2 Cfr. Arendt H., Vita activa. La condizione umana, Tascabili Bompiani, Milano 2009 e Arendt H., La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli editore, Milano 2009. Studi sulla formazione, 1-2014, pag. 165-180 DOI: 10.13128/Studi_Formaz-15040 ISSN 2036-6981 (online) © Firenze University Press MARTA ILARDO maginati, i progetti pensati, o di vederli realizzati nel modo un cui non li avevamo pensati. Ma, in accordo con Arendt, come vedremo più avanti, afferma anche che è proprio all’interno della possibile realizzabilità e pre- liminarmente della pensabilità che si esprime la vitalità di un progetto che rimanda sempre in avanti, richiede continue verifiche mentre modella l’e- vento esistenziale che deriva ed è condizionato da “agenti” prima di noi3 e, allo stesso tempo, contribuisce alla realizzazione di altri eventi, di altri spazi e luoghi dell’esistenza. Le indicazioni pedagogiche proposte dal problematicismo sembrano porsi in prossimità dell’opera arendtiana, poco dopo, anche lì dove entra in gioco in- sieme all’intenzionalità storica4 di tenere insieme i tasselli di una realtà spesso indecifrabile e quindi di facile interpretazione, l’inattualità come nuova lente di lettura della realtà. Cosa resta parzialmente visibile? Cosa non coincide con la diffusione storica e l’attenzione mediatica che, spesso, contribuisce alla costruzione dei valori dominanti e rinforza l’appartenenza al senso comune duplicando identiche visioni del mondo nei personali progetti esistenziali? In che modo questi aspetti condizionano l’andatura dei nostri eventi persona- li? Proviamo a declinare le risposte facendo qualche passo indietro; per noi che studiamo e ci interessiamo di educazione, infatti, credo sia significativo comprendere innanzitutto le motivazioni che riservano un’attenzione speciale verso tutto ciò che è marginale. 2. Panorami storici e pedagogici La scuola problematicista che propone di sostare sui quesiti appena letti, invita per prima cosa ad osservare la realtà oltre ciò che è visibile. Ci offre un “paio di occhiali” che rivolge attenzione a tutto ciò che, restando ai margini, 3 “Il futuro è alle nostre spalle” ripete spesso Arendt nelle sue opere e lettere più intime. “Ciò che in un uomo è la cosa più fuggevole, e nello stesso tempo la più grande, la parola pronunciata e il gesto compiuto una sola volta, muore con lui, e rende necessario il ricordo che di lui conserviamo. La memoria trova il compimento nel nostro legame con il defunto […] e riecheggia di nuovo nel mondo”. Arendt. H., Commemorazione di Karl Jaspers, 4 marzo 1969 in Arendt. H., Vita activa…, op. cit., p.7. 4 La storicizzazione degli eventi viene in qualche modo riformulata da Hannah Arendt nel corso delle sue riflessioni. La tensione esistenziale, con lei, va sempre verso nuova vita ma per prima ci ricorda anche la responsabilità politica e l’impegno etico che in qualità di soggetti attivi in vita, la vita ci consegna. Se è vero che l’essere umano nasce sempre, l’azione è invece drammaticamente irreversibile, non torna su se stessa ed è un’azione estremamente rivoluzionaria oltre che tragica grazie al suo costante atteggiamento anti conservatore e anti reazionario. Questo significa che ogni soggetto, essendo chiamato alla riformulazione dell’azione, modella se stesso su ciò che non esiste ancora. Non conoscendo mai ciò che starà per produrre, Arendt deduce dal fardello dell’irreversibilità la certezza che il soggetto difficilmente riuscirà a conoscere e a prevedere gli esiti delle sue azioni. Tuttavia, questo aspetto non deve allontanare i soggetti dalle loro abilità di azione ma rinvigorirne la responsabilità che deriva esattamente dalla sua fragilità e vulnerabilità. 166 Articoli L'EVENTO EDUCATIVO appare di scarsa importanza e quindi, di conseguenza, anche distante dalle nostre vite quotidiane. Lo sguardo inattuale, impegnato a ricercare il senso e a privilegiare strade di significato, è in grado di snodare possibilità riflessive che riguardano la distanza5 e con essa la possibilità di progettare le nostre esistenze lontano da traiettorie esistenziali preconfezionate e più vicine alla dimensione della scelta6: scegliere se stessi, in primo luogo, consapevoli della fatica e delle rinunce che questo comporta ma anche degli spazi di autenticità che favorisce. Questi cenni che rimandano ad alcune delle categorie care al problemati- cismo – la scelta, l’inattualità entro forme di scarto esistenziale – mi serve, in primo luogo, per introdurre Bertin e Arendt in qualità di studiosi affezionati all’osservazione della realtà storica; un dettaglio importante che terremo a mente per tutto il corso delle prossime pagine per cominciare ad intravedere gli elementi di connessione tra la concezione dell’evento arendtiano e la pro- gettualità bertiniana. Anche nelle pagine di Hannah Arendt troviamo, infatti, un modo di guar- dare che è esercizio alla cura verso il mondo, verso ciò che dell’esperienza storica resta fuori, marginale, capace a tutti gli effetti di fare della distanza lo spazio da attraversare per raggiungere la conoscenza. I suoi occhiali sono lenti attente a tutto ciò che nasce e impegnate alla conservazione di questo sguardo al punto che, accostandosi ai suoi scritti, è molto facile immaginarla in osser- vazione del mondo. Tutti i suoi testi delineano l’immagine molto chiara di una donna del tem- po presente. Hannah ha sempre osservato e scritto del mondo per tentare di capire ciò che vedeva. Non appare una donna nostalgica o legata al passato; il passato nelle sue considerazioni resta se non altro lo spazio verso il quale volgere lo sguardo, funzionale alla comprensione di ciò che accade e di ciò che potrà accadere. Anche nel raccontare la sua vita resterà sempre piuttosto legata al suo tempo, aderente agli eventi più che ai sentimentalismi7. Una freschezza, una lucidità e una determinazione che avvicinano il suo punto di vista a quello che si mette in gioco nell’osservazione di luoghi ge- ografici, di panorami storici, molto attenti dunque alla sua configurazione strutturale, ai limiti che possiedono e alle sue possibilità di s-confinare altrove certi della processualità che non li lascia mai identici a se stessi, proprio come le idee. Sono mete, le sue, tutte trascendentali ed immaginarie come immagi- narie e soggettive sono le caratteristiche di un luogo e di uno spazio. 5 Intesa come distanza pedagogica tra la realtà e le nostre rappresentazioni della realtà, tra noi e gli altri, tra il sapere pedagogico e le nostre proposte, tra le strade possibili di realizzazione individuate dagli educatori e quelle intraviste dal soggetto. Cfr. Contini M., Elogio dello scarto e della resistenza. Pensieri ed emozioni di filosofia dell’educazione, CLUEB Editore, Bologna, 2009. 6 Cfr. Fabbri M., Nel cuore della scelta, Kierkegaard, l’etica senza fondamenti e l’angoscia della formazione, Edizioni Unicopli, Milano 2005. 7 Per approfondire la biografia di Hannah Arendt si consiglia la lettura di Young-Bruehl E., Hannah Arendt 1906-1975 Per amore del mondo, Bollani Boringhieri editore, Torino 1990. Articoli 167 MARTA ILARDO Allora, una lettura delle sue opere accompagnata dallo sguardo proble- maticista e dai suoi occhiali, anch’essi esperti di linee immaginarie e di com- plessità, interessati ad esplorare l’esperienza dell’esistenza umana, a proble- matizzarla a sua volta, a superarne la problematicità per poi rincontrarla, a favorire la sperimentazione di zone sconosciute dell’esistenza facendo della ricerca l’atteggiamento da privilegiare, riesce ad intravedere immediatamente la possibilità di dialogo tra alcune sue categorie e le parole chiave delle princi- pali concettualizzazioni arendtiane. Questo accade ad esempio se, ripensando l’idea di superamento degli aspetti problematici dell’esistenza, come scrive Contini, intendiamo collocare la costruzione del nostro “evento” personale […]in un processo –Bertin dice in un “travaglio” – incessante, in cui condi- zionamenti di vario genere gravano e inceppano un cammino destinato a non pervenire a una conclusione definitiva, ma sempre connotato e sostenuto da una tensione critica mirata ad approfondire, in altezza e profondità, secondo il monito di Nietzsche, la struttura ricca e articolata della concretezza storica.8 L’esigenza di approfondire e connettere alcuni aspetti della filosofia arendtiana con queste parole avviene, in un secondo momento, grazie al rico- noscimento con l’impegno indicato da Arendt, di decostruire la realtà affin- ché sia realizzabile la sua esplorazione. Se Bertin e la scuola problematicista ci invitano ad accede al sapere e all’esplorazione dei contesti con l’intenzione e il dovere deontologico di tentare di comprendere il modo in cui li abitiamo nella concretezza storica, Arendt non dimenticherà mai di sottolineare quanto sia importante favorire la processualità dell’esperienza, storica ed esistenziale, a partire innanzitutto dalla costruzione di pensiero. “Solo il pensiero critico”, scrive Marzano spiegando Arendt, “permette di fare a pezzi i pregiudizi, gli errori, i compromessi, le scuse, l’oscurantismo, i ritardi e le ingiurie”9. È l’assenza del pensiero, del pensiero critico, affermerà infatti più volte la pensatrice tedesca, a generare il male10. Hannah Arendt è stata un’importante rivendicatrice di forme di pensiero indipendente – il pensare da sé, lo definiva – una delle vie che prevedevano la libertà della condizione umana e probabilmente la più efficace tra tutte le azioni umane. Figura intellettuale lontana dai cliché, spesso incompresa e cri- ticata per questo, Arendt era interessata a comprendere la realtà piuttosto che a cercare le verità del mondo. Ne sono testimonianza quasi la maggior parte 8 Contini M., “Categorie e percorsi del problematicismo pedagogico”, in Ricerche di Pedagogia e Didattica, Vol. 1, 2006, p. 6. (http://rpd.unibo.it). 9 Marzano M., Pedagogia e politica. All’interno dell’inferno in http://edieducazione.blogspot. it, 28/03/2014. 10 Il male nei termini arendtiani è da intendersi come “assenza di pensiero”, colui che non è capace di pensare è incapace di comprendere anche la realtà; è tragicamente superficiale. Arendt definisce il male “normale” poiché compiuto da uomini comuni che rispondono dei cosiddetti “crimini d’obbedienza”. Per una narrazione completa del processo di Eichmann, in seguito al quale pubblicherà “La banalità del male” cfr. Fusini N., Hannah e le altre, Einaudi editore, Torino 2013. 168 Articoli L'EVENTO EDUCATIVO dei testi biografici che ce la raccontano e quasi la sua intera bibliografia; tra i più significativi e conosciuti al mondo troviamo la “Banalità del male”, esito di un lungo periodo di studi, ricerche e partecipazione attiva al processo di Gerusalemme che determinò la sua fama internazionale11. Sempre interessata agli “affari umani”, Hannah ricercava spazi di riflessione da dedicare al momento storico: chi fosse l’uomo, perché avesse agito in un modo piuttosto che in un altro, per lei, era comprensibile a partire dalla storia, dalla realtà come si mostra. E qui entra in gioco un’altra sfumatura che, unita allo sguardo inattuale e alla rivendicazione del pensiero critico, ci fornisce un campo di indagine definito e più completo per continuare le nostre considerazioni. Non è banale, infatti, sottolineare che il pensiero arendtiano è un pensie- ro situato, ovvero interessato a cogliere quello che “accade” e agisce nel/sul mondo. Non lo è soprattutto per noi che siamo interessati in modo specifico all’esplorazione dei contesti educativi e alla costruzione e condivisione di co- noscenza per capire e agire i contesti, capire e accompagnare i soggetti nel pro- cesso complesso che li vede impegnati nella personale e altrui realizzazione. L’umanità del XX secolo, seguendo l’analisi di Arendt12, in seguito alla tragedia del Totalitarismo e della Shoah ha la necessità di ricostruire le fon- damenta di un tessuto sociale ed umano disperso dentro un progetto di alie- nazione ed eliminazione identitario che, insieme ai soggetti, era riuscito a frammentare qualcosa di molto profondo e difficile da ristrutturare: il pen- siero e la capacità di pensare, quella capacità critica che avrebbe favorito la ricostruzione di un nuovo avvio per l’umanità intera ed offerto almeno una possibilità per escludere la ripetizione dell’evento drammatico. Tale evento può servire a spiegare cosa significa, mentre siamo impegnati come educatori e pedagogisti ad individuare le vie di superamento della pro- blematicità più favorevoli alla realizzazione dei soggetti, includere l’osservazio- ne della “geografia” – intesa nelle accezioni che abbiamo visto precedentemen- te – dei luoghi dove l’educazione si mostra e le sue trasformazioni. Dobbiamo consegnare uno spazio importante alla riflessività capace di pensare l’evento che accompagnerà ciascun soggetto alla costruzione della propria autonomia futura. Senza dimenticare, naturalmente, che la problematicità è ricorsiva e processuale (proprio come l’azione, ricorderebbe Arendt13), che è storicizzata e che, proprio per questo, incontrerà nel corso della sua strada esigenze e sog- getti sempre diversi, vissuti e complessità che richiederanno la ridefinizione continua in un processo di ri-conoscimento di sé e degli altri sempre attivo. 11 Da lunghissimi anni, e ancora oggi, sono vivaci i dibattiti di riflessione sull’opera arendtiana dedicata interamente al processo ad Eichmann. Per approfondire un recente articolo Cfr. Stajano C. La Arendt di fronte a Eichmann, lo scandalo del mostro banale, «Corriere della sera», 22 Maggio 2013. 12 Cfr. Arendt H., Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano 1967-2004. 13 Afferma a proposito l’autrice: […] L’esasperazione per la triplice frustrazione inevitabilmente connessa all’agire – imprevedibilità dell’esito, irreversibilità del processo e anonimità degli autori – è vecchia quasi quanto la storia. Arendt H., Vita Activa…, op. cit., p. 162. Articoli 169 MARTA ILARDO Il dialogo che si prefigura tra colei che pensa l’evento e chi, come noi, in termini educativi ne riconosce la problematicità, trova qui risvolti comuni nell’interesse a favorire al suo interno forme esistenziali il più possibili auten- tiche, orientate, progettuali. Se Bertin definisce la progettualità esistenziale come “orientamento, as- sunto più o meno consapevolmente dal soggetto, rivolto ad elaborare, vagliare e unificare aspirazioni, criteri di valori e obiettivi di azione sul piano di un “quotidiano” vissuto in rapporto al futuro”14, Hannah Arendt dedica la sua intera vita all’esplorazione di un nuovo modo di pensare il mondo e, con esso, le nuove forme di protagonismo umano che diventano la precondizione del riappropriarsi di uno spazio entro il quale progettare la propria esistenza e una nuova strutturazione storica della condizione umana. Per Arendt, inoltre, ciascun soggetto è unico e deve fare della sua unicità la spinta ad andare avanti, a costruire consapevolmente la propria storia tra gli altri15, con i quali è in costante relazione. Non è secondario questo aspetto relazionale che individua nella funzione del “tra” la costituzione di forme esistenziali non solo temporalmente circo- lari e interconnesse ma realizzabili internamente ad una collettività che ci vede plurali e in azione, sempre16. Entrambi gli Autori, inoltre, usano la com- prensione e la lettura storica per uscire fuori da strutture predeterminate che allontanano dalla realtà, che prediligono la ripetizione di un pensiero domi- nante, scarsamente interessate al rinnovo di un pensiero critico, autentico e interconnesso. Ciò che può salvare il pensiero –e con lui quegli aspetti di complessità che 14 Bertin G.M., “Antecedenti storico-culturali e definizione del concetto di educazione alla progettazione esistenziale”, in Bertin G.M./Contini M., Costruire l’esistenza. Il riscatto della ragione educativa, Armando, Roma, 1983, p. 89. 15 Alcune sfere della vita per Arendt sono essenzialmente private, ovvero si concretizzano e sopravvivono grazie alla loro intima esistenza resa possibile dalla relazione implicita con una struttura pubblica che permette di poter udire e osservare altro tra gli altri. Secondo le sue parole, il contesto individuale, il “fatto privato” – soggettivo – non potrà mai sostituirsi alla realtà che è necessariamente esterna e si nutre della somma dei ‘fatti privati’ e dei singoli modi di vivere la realtà, e tuttavia con essa in relazione grazie all’in-fra/in between che ci definisce soggetti unici nella condizione umana della pluralità. Per un approfondimento cfr. Arendt H., Vita Activa, op. cit…, p.38. 16 Spiega Arendt stessa: “con la parola e con l’agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale. Questo inserimento non ci viene imposto dalla necessità, come il lavoro, e non ci è suggerito dall’utilità, come l’operare. Può essere stimolato dalla presenza di altri di cui desideriamo godere la compagnia, ma non ne è mai condizionato. Il suo impulso scaturisce da quel cominciamento che corrisponde alla nostra nascita, e a cui reagiamo iniziando qualcosa di nuovo di nostra iniziativa. Agire nel senso più generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare (come indica la parola greca archein, “incominciare”, “condurre”, e anche “governare”), mettere in movimento qualcosa (che è il significato originale del latino agere). Poiché sono initium, nuovi venuti e iniziatori grazie alla nascita, gli uomini prendono l’iniziativa, sono pronti all’azione”. Ivi, pp. 128 e 129. 170 Articoli L'EVENTO EDUCATIVO riguardano ciò che ci circonda – risiede, per Arendt, nell’attenzione che i no- stri occhiali rivolgono alla completezza temporale. Lo sguardo esercitato ad osservare la scansione del tempo, infatti, è quello allenato ad indagare anche quei condizionamenti socio-politici che non si vedono per numerose ragioni: perché appartengono e derivano dal passato, perché non ancora verificati, per- ché riconducibili ad un’eredità culturale/biologica/sociale che ci trova gettati nel mondo – heideggerianamente parlando – costituendo quella condizione data prevista per ogni nuovo inizio. Nella gettatezza, tuttavia, Hannah Arendt rintraccia qualcosa di più dell’insensatezza e della vischiosità del fatalismo, un concetto che molto assomiglia a quella responsabilità decantata da Bertin e che rinforza, sul piano etico, la realizzabilità di scelte individuali e collettive. Questa nuova spinta generatrice, ricercata nei tratti di unicità di ciascun soggetto, sottolinea il potenziale creatore e rinnovatore della nascita. Da una parte protegge la possibilità di “dar luogo a un nuovo inizio proprio là dove tutto sembrava concluso”17, dall’altra costituisce e ci aiuta ad individuare quel- li che Bertin definisce “valori storici”, quei valori che si modificano a seconda del contesto, del luogo, dei soggetti coinvolti in un specifico tempo e nei quali inevitabilmente ciascuno di noi è immerso in gradi di consapevolezza diffe- rente. Gli stessi che hanno luogo, per prima cosa, a partire dalla relazione con chi condivide e abita il nostro tempo storico. Una dilatazione che il problema- ticismo ricerca nella configurazione di spazi e tempi sempre in divenire e in cui il soggetto possa costruire il personale evento storico ed esistenziale oltre i valori “dati” e precostruiti e all’interno di valori scelti, autentici e soggettivi. Ma cosa intendiamo quando parliamo di soggetti iniziatori? 3. La vulnerabilità dell’evento educativo The presence of others who see what we see and hear what we hear assures us of the reality of the world and ourselves. I soggetti iniziatori di Hannah Arendt diventano l’occasione non solo di ripensare i soggetti nella loro facoltà “attiva” e “rigeneratrice” ma di ripen- sarli internamente agli eventi che li trovano collocati e in azione. Tanto più se quell’evento/azione mostra per noi ricaduta educativa lì dove esiste la pos- sibilità di costruire percorsi e cammini esistenziali più autentici: certamente orientati all’azione e al cambiamento, ancora di più verso azioni consapevoli capaci di contribuire alla crescita e all’emancipazione di soggetti che, in altro modo, disperderebbero la possibilità di conoscere il proprio potenziale inizia- tico e “creatore”. 17 Per Arendt l’unico elemento capace di salvare la condizione umana è la lingua materna. Solo la lingua e la sua conservazione consentiranno a ciascun soggetto di non perdere mai la propria umanità e la propria autentica identità. Per un approfondimento è consigliata la seguente lettura: Arendt H., Che cosa resta? Resta la lingua materna, in “aut-aut”, nn. 239- 240, Il Saggiatore, Milano 1990. Articoli 171 MARTA ILARDO Questa nuova e rivoluzionaria idea di soggetto viene pensata da Arendt mentre è concentrata a comprendere gli avvenimenti che avevano travolto il suo Secolo; gli stessi che, in seguito, verranno da lei definiti come le premesse dell’avvento del Totalitarismo. Il suo impegno quotidiano, come abbiamo vi- sto, sarà per molti anni orientato a ricercare, dentro la frantumazione, strade sufficientemente capaci di sfuggire alla rassegnazione. In effetti, la nostra pen- satrice vuole arrivare a comprendere in modo profondo come l’umanità possa rilanciarsi nel mondo della storia e fare in modo che quello che è accaduto al popolo ebraico non accada più: la questione non è solo ebraica, per Arendt, ma riguarda l’umanità intera. Il XX Secolo è anche il momento storico in cui, grazie alla filosofia, si inizia a capire che l’essere umano non è solo un agente razionale capace di scegliere quello che può e deve fare ma che è continuamente chiamato a confrontarsi con una parte irriducibile che rappresenta la vulnerabilità dell’esistenza uma- na.18 Dove, con vulnerabilità, pensiamo all’impossibilità di poter prevedere con certezza gli esiti delle nostre azioni dati gli ostacoli che ogni soggetto incontra nel suo percorso mai perfettamente lineare. Sul piano esistenziale, quindi, il fatto che per la prima volta il soggetto sia riconosciuto come portatore di istanze pur all’interno di limiti e vulnerabilità ci invita alla riflessione su un agire che non risponde ad esigenze essenzial- mente logiche e pragmatiche ma piuttosto all’esigenza di accompagnamento verso forme di azioni autonome e consapevoli che rendano i soggetti final- mente protagonisti delle loro azioni. Fabricando e agendo il mondo, ogni sog- getto riconfermerebbe la sua unicità pur nell’inconoscibilità degli esiti, nono- stante (o grazie) la forma di indefinitezza che caratterizza gli eventi. Ecco che, allora, se si prova a declinare il concetto di vulnerabilità all’in- terno di un evento che si dichiara educativo, dunque destinato a tutti i soggetti e ontologicamente orientato a offrire indicazioni di senso lì dove sembrano predominanti il disordine e il tempo dell’incertezza, dobbiamo innanzitutto comprendere l’evento educativo come una struttura porosa, contraddittoria, che, riconoscendosi problematica, non esclude la comprensione degli aspetti d’inquietudine dell’esistere ma li assume come parte integrante e da integrare dentro ogni specifico percorso esistenziale. Questa tensione vuole essere la spinta, simile in questo a quanto auspicato da Arendt nella relazione del soggetto con l’agire, ad accettare la problema- ticità (il proprio essere incompleti, irraggiungibili, inconoscibili, insufficien- ti al proprio sé), e a con-vivere con essa. Ciò non significa e non implica la rassegnazione ma l’ipotesi di un’esistenza che nel riconoscimento del proprio essere “in crisi” possa intravedere margini di azione e di costruzione che, pur talvolta tragicamente irreversibili, rivelano anche tratti di cambiamento e processualità e quindi aperti al possibile. L’azione arendtiana arriva così an- 18 Cfr. Pialli L., Fenomenologia del fragile. Fallibilità e vulnerabilità tra Ricoeur e Lévinas, Edizioni Scientifiche Italiane, Perugia 1998. 172 Articoli L'EVENTO EDUCATIVO che a coincidere con i piani delle possibilità che ci viene progettato da Bertin e Contini19 nella teorizzazione della progettazione esistenziale Ma per gli stessi motivi ha carte da giocare nell’orizzonte della crisi, sua e della realtà in generale, perché i rischi e i limiti che minacciano o arginano il suo percorso sono anche occasioni per approfondire o dilatare gli spazi di ricerca, per sperimentare la produzione di significati esistenziali non in luo- ghi mitici ove la problematicità sia stata sconfitta, ma nel mondo della storia che registra contemporaneamente l’esigenza dell’affermarsi e realizzarsi della ragione e la presenza della problematicità in tutte le sue forme20. Accettare i diversi gradi della problematicità significa, usando le parole di Contini, riconoscere a tutti i soggetti la possibilità di trasformare alla propria “condizione data” in condizione “prescelta”21. Non solo ogni soggetto sceglie di partecipare attivamente nella costruzione della propria esistenza ma lo fa all’interno della ricerca di ciò che lo definisce “iniziatore” e quindi portatore di istanze sempre nuove. Spazi di ricerca che Arendt individua attorno all’a- zione: storicizzata sempre, temporalmente scandita, retrospettiva oltre che tesa al futuro per eludere il rischio della ripetizione e del fallimento. Tutto questo, accettando di includere il tragico, l’imprevedibilità dell’esito, la possi- bilità della ripetizione. Se le parole di Bertin ci invitano a tendere a un continuo superamento del- la problematicità e l’evento di Hannah Arendt ci riporta alla consapevolezza di non poter gestire sempre ciò che attraversa il soggetto (l’evento stesso), può essere interessante provare a intrecciare l’incompiutezza concettualizzata da quest’ultima e l’impegno tutto problematicista di spingere il soggetto a nuo- va realizzazione. Affiancando le due prospettive, infatti, possiamo facilmente immaginare accanto alla problematicità e a un suo superamento l’apertura di strade che affiancano l’esistenza con numerose possibilità di rinnovo, di ricostruzione, di scelte. L’interesse politico di Arendt stessa, abbiamo accennato, è un esempio estremo ma significativo per comprendere la complessità e insieme il fascino della possibilità che contiene la relazione tra la problematicità e il suo supera- mento. Perché una condizione che fino a quel momento non aveva scatenato interrogativi diviene un problema? Perché l’essere ebrei trasforma la vita delle persone? Attraverso questi interrogativi Hannah Arendt è per la prima volta obbligata ad allontanarsi dalla sfera personale e ad accogliere la consapevolez- za che l’essere ebrei aveva oramai acquisito un significato politico universale, ed era avvenuto nel modo più tragico possibile. In che modo era pensabile, dunque, una restaurazione? 19 Cfr. Bertin G.M., Educazione alla progettualità esistenziale, Armando, Roma 2004; Bertin G.M., Contini M., Costruire l’esistenza. Il riscatto della ragione educativa, Armando, Roma, 1983. 20 Contini M., Dal possibile alla differenza: percorsi (anche) utopici tra disordine e ragione in Piero Bertolini in M. Gatullo, P. Bertorlini, A. Canevaro, F. Frabboni, V. Telmon (a cura di), Educazione e ragione 1. Scritti in onore di Giovanni Maria Bertin, La Nuova Italia, p. 198. 21 Cfr. Contini M., Figure di felicità e orizzonti di senso, La nuova Italia, Firenze 1998. Articoli 173 MARTA ILARDO Queste considerazioni, inoltre, ci ricollegano a quei principi di speranza che Ed- gar Morin individua internamente alla disperazione, quando insieme alle esistenze umane viene frammentato anche tutto quel mondo della conoscenza che conser- va vivo il processo e l’attivazione di riorganizzazione. “Ciò che è improbabile non sempre accade; talvolta un dio malevolo fa accadere l’imprevisto”, scrive Morin ma “[…]dobbiamo pensare che oggi le forze generatrici e rigeneratrici si manife- stano in modo dispersivo e embrionale, ma non arrivano ancora a dispiegarsi. […] Allora esse ci indicheranno che dobbiamo cambiare strada, che abbiamo bisogno di un nuovo inizio. Potremo dare un senso alle parole di Heidegger «L’origine non è dietro di noi, è davanti a noi»22. Ecco la spinta che Arendt ricerca nella tragedia quando si interroga sulle possibilità di rinnovo del percorso esistenziale di un intera umanità che ri- chiedeva urgentemente una ristrutturazione sul piano politico, umano, etico. Prendere in mano la complessità di quel momento storico, dentro il quale per altro lei è inserita e coinvolta anche in qualità di donna ebrea, avvia la ricerca di elementi e indizi per un nuovo inizio, un nuovo incominciamen- to: intravediamo in questo alcune interessanti sfumature educative oltre che politiche. Certamente, se è vero che non potremo mai definire interamente il nostro evento esistenziale in modo completo poiché sarà sempre fronteggiato dall’imprevisto, è vero anche che la sua “incompiutezza” diventa per noi la sfida di ricercare sempre nuovi significati, di poter contribuire alla costruzione dell’evento storico parallelamente alla formazione del nostro evento personale. Vengono in questo modo meglio esplicitate le ragioni per cui l’evento edu- cativo può essere considerato nella riflessione come uno dei primi e impor- tanti momenti esistenziali, pur non esprimendosi mai nella piena realizzazio- ne dei bisogni, desideri, progetti di ciascun soggetto (perché vulnerabile e in preda agli imprevisti). Prospettando il proprio dispositivo regolativo, l’evento educativo può offrire e suggerire gli strumenti di osservazione e di ricerca del proprio agire, del proprio evento personale. Se accettiamo l’evento educativo come componente qualitativa dell’evento uni- versale e originario per ciascun essere umano – l’esistenza –, chi studia e riflette ne- gli ambiti della filosofia dell’educazione è chiamato ad una doppia responsabilità. Oltre alla consapevolezza dell’incompleta conoscibilità dell’evento (che ci attraversa e non conosciamo completamente dice Arendt, ci sfugge), quell’e- vento che vorrebbe potere e dovere essere scelto, potere e dovere essere inter- rogato, se educativo, richiama alla costruzione di un “evento razionale” che può e deve scegliersi, può e deve interrogarsi. In questi termini pensiamo ad un evento educativo che, divenendo esso stesso un dispositivo trascendentale, teso al superamento di uno spazio (esi- stenziale), sempre mancante, favorisca insieme all’insoddisfazione, la spinta a desiderare, ad andare avanti, a progettare nuove direzioni esistenziali e de- 22 Morin E., L’anno I dell’era Ecologica, Armando, Roma 2007, p. 124. 174 Articoli
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