Paolo Antonio Rolli IL PARADISO PERDUTO Edizione critica a cura di Laura Alcini In copertina: incisione dello studio Lauro per La Sacra Bibbia, Firenze, David Passigli, 1843. A Stefano, senza il cui aiuto prezioso questo lavoro non avrebbe visto la luce. Opera pubblicata con il finanziamento di Ateneo - Fondi per la ricerca scientifica. So much the rather thou Celestial light Shine inward, and the mind through all her powers Irradiate, there plant eyes, all mist from thence Purge and disperse, that I my see and tell Of things invisible to mortal sight. J. Milton, Paradise Lost Per cui Luce celeste tanto più risplendi Dentro di me, e con i tuoi poteri irradia la mia mente, Donale occhi, e sottrai, e disperdi le nebbie Che l’uomo invasa, così che possa vedere e raccontare Queste cose invisibili allo sguardo umano. Desidero in particolare ringraziare, per la loro disponibilità, gli addetti della British Library di Londra, della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, della Biblioteca Classense di Ravenna e della Biblioteca Na- zionale Centrale di Roma, in particolare nella persona della sig.ra Car- la Bassetta la quale, con competenza e cortesia, mi ha fornito per anni indicazioni bibliografiche preziose. INDICE Premessa ....................................................................... 9 I. Introduzione .................................................................. 13 I.a Il Paradise Lost: l’autore e la tradizione testuale dell’opera ...................................................................... 13 Il Paradiso Perduto di Paolo Antonio Rolli: Genesi e I.b tradizione testuale di una traduzione ........................... 22 II. Tavola delle edizioni reperite ......................................... 37 III. Nota alla presente edizione .......................................... 38 IV. Criteri di edizione .......................................................... 48 V. Critica delle varianti ..................................................... 50 V.a Prospetto sintetico delle varianti .................................. 90 VI. Commento linguistico .................................................. 95 Bibliografia ................................................................... 98 IL PARADISO PERDUTO Libro primo .................................................................. Er ro- Libro secondo ............................................................... Er re. ror Libro terzo .................................................................... Er L'o e. ror Libro quarto .................................................................. rEigri Il e. Libro quinto .................................................................. rsEgeoigrr- Il Libro sesto .................................................................... rnsEneoaegrerl. LLLLLLiiiiiibbbbbbrrrrrroooooo sondudetoenuttcndoatiivoedmmcoe iooc m .i .m ... o..........o .... .... ..... ..... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................ riiiiiinrrrrrrrvdndsndsndsndsndsndsnsnsnsnmtiiiiiiiiiinnnnnnnnnsnnnnnnEEEEEEEftnnnnnnnnnibbbbbbbbbbeeeeeeeeeooooooortattfeeaeaeaeaeaeaeaaaaaoooooreeeeeeee IIIIIIIIIiiiiiiaogggggggggooaoooooooooooooooooeerrrrrrrèèèèèèèèèrrrrrrrrrrrrrrrrr-fffffff-ttttttilllllllllllllllllll.............. irdinnboeoioorrft. innnoe iooèt.. dne Ièfl noo. isdneeigft n è innaoitl. def ibor. init o o. no n è def init o. 9 PREMESSA «A me piace assumere come motto dialet- tico il bisticcio Traduzione = tradizione: questo è il logos storico delle lingue...» Gianfranco Folena1 Con la presente edizione della traduzione del Paradiso Perduto ad opera di Paolo Antonio Rolli, si intende dar vita ad un tentativo di edizione critica di opera tradotta che contempli, in parallelo, la tradizione e l’interpretazione del testo di arrivo (in que- sto caso l’edizione 1742, postillata dall’autore) e del testo di partenza (l’edizione del Paradise Lost di John Milton a cui si ritiene il traduttore abbia, con più probabilità, fatto riferimento). Nella consapevolezza delle difficoltà che un tale progetto comporta, non si ha la pretesa di presentare un modello esauriente e definitivo ma, più umilmente, di propor- re una prospettiva di studio che metta in luce l’interdipendenza (naturale ma non scontata) tra originale e testo tradotto. L’interessante tematica che ruota intorno agli autori bilingui della letteratura ita- liana investe sia il rapporto lingua straniera - lingua italiana (espresso anche dai testi in tradizione indiretta), come pure quello latino - volgare e dialetto – lingua; in defini- tiva tutti quei casi in cui si ponga un raffronto dialettico tra messaggi linguistici porta- tori di differenti universi culturali.2 L’intero lavoro è stato perciò fondato sull’assunto che l’edizione critica di un te- sto tradotto non debba, e non possa, prescindere da una analisi interpretativa della re- lazione tra quest’ultimo e l’originale. Nell’approntare la edizione critica di una traduzione si pone, a giudizio di chi scrive, una questione fondante, quella del legame tra filologia e traduzione letteraria, legame che peraltro sussiste sin dalle origini di ogni tradizione letteraria. «In principio fuit interpres»,3 ricordava Gianfranco Folena; tuttavia, sebbene nata prima di ogni teo- ria linguistica e nel corso dei secoli esplicitata da illustri letterati e poeti,4 la problema- 1 v. G. Folena, Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1994, p. 3. 2 Ciò avviene nei migliori esempi della nostra tradizione letteraria; a tal proposito non si può non condividere il pen- siero di N. Tanda, quando ricorda come lo scrittore ceco Bohumil Hrabal amasse ripetere che «le grandi letterature nascono nei crocevia di molte identità linguistiche, nei luoghi di intersezione». cfr. Antonio Mura Ena, Memorie del tempo di Lula, ed. critica a cura di D. Manca, pref. di N. Tanda, Cagliari, CUEC Editrice, 2006, p. XXII. 3 G. Folena, op. cit., pp. 3-4. Folena aggiungeva inoltre che « all’inizio di nuove tradizioni di lingua scritta e letteraria, fin dove possiamo spinge- re lo sguardo, sta molto spesso la traduzione». ibid. 4 Mi si permetta di citare alcuni studi precedenti in cui ho ripercorso, in prospettiva diacronica, le secolari vicende di fortuna e sfortuna del fenomeno traduttivo, legate alle diverse linee metodologiche e interpretative: L. Alcini, “Lin- guistica generale e teoria della traduzione. Il problema del significato in rapporto al tradurre”, in Civiltà Italiana, Perugia, Guerra ed. n. 1-2, 1990, pp. 121-47. L. Alcini, “Tradurre ut interpres tradurre ut orator: il fenomeno tradut- tivo tra storia della lingua e della letteratura”, in Gli Annali della Università per Stranieri, Perugia, n. 15, 1990, pp. 247-268 e n. 17, 1991,.pp. 59-100. L. Alcini, “Per una teoria del tradurre come «scienza dello spirito»”, in Gli Anna- li della Università per Stranieri, Perugia, n. 25, 1998, pp. 71-85. 10 tica connessa alla traduzione di un’opera letteraria è oggi confinata esclusivamente ad alcuni ambiti di studio.5 Al contrario essa dovrebbe costituire un centro d’indagine all’interno delle diverse prospettive critico-letterarie, linguistiche e filologiche. Poiché «... non si dà teoria senza esperienza storica. Né si può parlare di “teoria della tradu- zione” se non come parte di teorie generali della letteratura, della linguistica o dell’ermeneutica filosofica».6 In questa sede non si può, né s’intende, tornare sulla irrisolta querelle del rapporto tra originale e testo tradotto, sul tradurre fedelmente o tradire traducendo (cioè sulle numerose implicazioni teoriche implicite nel tradurre7), quanto piuttosto considerare le problematiche specificamente connesse all’edizione di un testo tradotto e dunque al rapporto tra ‘traduzione e tradizione’. La definizione di una edizione critica, con le sue regole, il suo fine e i suoi desti- natari, sollecita sempre molti interrogativi, di natura teorica e pratica, e proposte di lavoro. Se l’edizione critica è sempre un’opera ‘aperta’, un’ipotesi di testo, soggetta a di- scussioni e sempre suscettibile di nuovi ampliamenti, pare di poter a ragione riscon- trare una evidente specularità tra il lavoro del traduttore e quello dell’editore-filologo. Non a caso nell’antichità greco-romana, come pure nell’umanesimo quattrocentesco, il filologo-traduttore era figura centrale nella trasmissione dei testi letterari; basti per tutti il nome di Leonardo Bruni, insigne traduttore e filologo, al quale dobbiamo la moderna denominazione di traductio (con la reductio ad unum di tutta la varietà sino- nimica latina indicante tale prestigiosa attività), a cui farà seguito la famiglia di termi- ni oggi omologhi nelle lingue romanze.8 Lavoro complesso quello del tradurre che, oltre a richiedere competenze specifi- che e ottima conoscenza della lingua di partenza e di arrivo, si sviluppa, almeno nelle sue migliori espressioni, attraverso un lungo percorso di mediazione e interpretazione, scandito da revisioni e miglioramenti. La relatività e la ricerca di perfezionamento non costituiscono tuttavia un limite del processo traduttivo bensì, come ha ben espres- so Walter Benjamin,9 rendono testimonianza del continuo mutare della lingua stessa. È in questo percorso, costantemente in fieri, che si può individuare la profonda affinità tra l’attività del traduttore e quella del filologo; entrambe infatti si esplicano in un continuo e affascinante work in progress, artigianale, nella più nobile accezione del termine, che rimanda all’idea humboldtiana, divenuta in seguito centrale in Ben- 5 Come sottolinea Folena «... da quando negli anni Quaranta gli studi teorici sulla traduzione hanno ricevuto un forte impulso dalle ricerche applicate alla traduzione automatica e la scienza della traduzione è caduta prevalentemente sotto il dominio della linguistica, c’è stata in questo campo un’alluvione teorica alla quale non hanno corrisposto adeguati approfondimenti storici». cfr. G. Folena, op. cit., p. IX. 6 v. G. Folena, op. cit., p. VIII. 7 Che tuttavia meritano comunque d’esser tenute presenti, considerato l’incremento avuto, negli ultimi decenni del Novecento, dalla indagine sul tradurre. La ricchezza sinonimica che ad esse riferisce ne è testimonianza (traduttolo- gia, scienza della traduzione, translation studies ecc. ...). 8 cfr. R. Sabbadini, «Maccheroni» e «tradurre» (per la Crusca), in «Rend. R. Ist. Lomb. di Scienze e Lettere», s. II, XLIX (1916), pp. 221-24. E in G. Folena, op. cit., p. 67. 9 Il rapporto dell’opera tradotta col suo originale può infatti, con le parole di Benjamin, essere definito “naturale” «... o meglio ancora un rapporto di vita. Come le manifestazioni vitali sono intimamente connesse col vivente senza significare qualcosa per lui, così la traduzione procede dall’originale, anche se non dalla sua “sopravvivenza”. ...[Così] la vita dell’originale raggiunge, in forma sempre più rinnovata, il suo ultimo e più comprensivo dispiega- mento». v. W. Benjamin, “Il compito del traduttore”, in Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1962, pp. 38-39. 11 jamin, della traduzione quale processo infinito, correlativo a quello del costituirsi del linguaggio stesso. Similmente all’edizione critica che si prefigge lo scopo di ‘far passare’ un testo da un’epoca all’altra, garantendone, in sostanza, la sopravvivenza, così la traduzione non ne traspone meramente il contenuto e la forma da una lingua all’altra, ma veicola il mondo ideale, culturale e linguistico che a quel testo è indissolubilmente legato.10 Come infatti sottolinea U. Eco «... per capire un testo – e a maggior ragione per tra- durlo – bisogna fare una ipotesi sul mondo possibile che esso rappresenta».11 Qual’è allora il compito del filologo di fronte ad una traduzione letteraria e in che misura l’ecdotica dovrebbe considerare la multitemporalità e il doppio registro lingui- stico implicito in ogni testo tradotto? La questione è di notevole rilievo, poiché è attraverso le traduzioni, dai classici e dai moderni, che le opere straniere sono venute a nostra conoscenza trasmettendoci il loro stile ed il loro pensiero fondante. Tuttavia se nelle edizioni di traduzioni dai clas- sici la problematica riguardante l’originale è stata presa in seria considerazione, non altrettanto è stato fatto per le edizioni critiche italiane di traduzioni sette - ottocente- sche, ove il problema è stato spesso eluso.12 La maggior parte degli studi critici e delle edizioni sui moderni ha sancito infatti un primato del testo d’arrivo trascurando l’osservazione del testo di partenza, anche 10 Concordando con Friedmar Apel, si può infatti sostenere che nessuna opera d’arte possa essere interpretata e compresa «senza immaginare e ricostruire il luogo e il tempo della sua nascita» perché«solo questa rappresentazio- ne immaginativa del nesso storico riporta alla vita i singoli formativi». v. F. Apel, Il manuale del traduttore letterario, Milano, Guerini e Associati, 1993, pp. 20-21. 11 cfr. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa, Milano, Bompiani, 2006, p. 45. 12 Si può, come esempio riportare il caso, in precedenza studiato, della edizione del Viaggio Sentimentale di Ugo Foscolo curata da Mario Fubini, nel 1951, che appare nelle Prose Varie d’Arte. Mario Fubini, attento interprete e meticoloso editore, ricostruisce l’iter della traduzione foscoliana del Sentimental Journey di Laurence Sterne presen- tandola quale “documento di un metodo di lavoro” e sviluppando una rigorosa indagine incentrata nel confronto tra il testo a stampa del 1813, e un esemplare 1813 postillato dal poeta. (v. M. Fubini, Prose Varie d’Arte, vol. V, Firen- ze, Le Monnier, 1951, p. LIII). Il fondamentale lavoro di Fubini lascia poco spazio ad una ulteriore indagine filologica sul testo foscoliano e tuttavia lo stesso editore rilancia motivi e occasioni di studio sui quali ancora «... ci sarebbe molto da dire» (vedi M. Fubini, op. cit. p. L). Forse uno degli aspetti tralasciati da Fubini può essere rintracciato proprio nell’assenza di una analisi, o almeno di un tentativo di ricerca, della edizione inglese del Sentimental Journey sulla quale Foscolo lavorò, nonché sull’appropriatezza del suo testo tradotto. Ripercorrendo lo sviluppo della traduzione foscoliana e analizzando le varianti si è potuto rilevare che l’analisi di Fubini, pur condotta in modo esemplare, tratta solo marginalmente il pro- blema del rapporto tra testo tradotto e opera originale. Viceversa il fatto acquista una rilevanza centrale considerando il lungo work in progress di Foscolo che si cimentò in infiniti tentativi di variazione del testo, proprio a causa del confronto col complesso linguaggio sterniano. Foscolo d’altronde incarna meglio di altri la figura di poeta-traduttore in costante e dialettico rapporto con la lingua dell’originale. Esempio ne è, ancor prima della traduzione del Senti- mental Journey, la traduzione dell’Iliade di cui il poeta ci ha lasciato i primi sette canti, continuamente rielaborati, in numerose varianti. (v. L. Alcini, “Foscolo versus Monti nel primo esperimento di traduzione della Iliade. Lettura in parallelo con le versioni di S. Clarke, R. Cunich, C.G. Heyne, A. Pope, J. H. Voss”, in Annali della Università per Stranieri di Perugia, n.24, anno V, 1997, pp. 123-165). La Iliade foscoliana va considerata anch’essa, come suggeri- sce Gennaro Barbarisi, «... nel suo divenire, come un succedersi di traduzioni di diversi periodi, caratterizzate ognu- na nel suo periodo». (cfr. in G. Barbarisi, Esperimenti di traduzione dell’Iliade, Edizione nazionale delle opere di Ugo Foscolo, vol. III, Firenze, Le Monnier, 1961, p. XIII.). Ugo Foscolo è, in assoluto, testimone di quello che Benvenuto Terracini chiamava “dramma del traduttore” e cioè del perenne conflitto tra testo da tradurre e testo tradotto, alla ricerca di una sintonia ideale mai raggiungibile; «in un certo senso, fare uso del linguaggio è già tradurre [...]. Se l’esercizio del parlare su può considerare un dialogo, il dialogo è sempre una forma di dramma velata o evidente [...], dramma che affonda in quell’antinomia tra universali- tà e soggettività che sta alle radici del problema della comprensione linguistica, e non linguistica soltanto». B. Terracini, “Il problema della traduzione”, in Conflitti di lingue e di cultura, Venezia, Neri Pozza, 1957, pp. 50-51. 12 quando la fedeltà a quest’ultimo è espressa con vigore, dai nostri autori-traduttori (si pensi a Foscolo e allo stesso Rolli). Se per le edizioni di traduzioni dalle lingue classiche e romanze si dà per scontata la conoscenza da parte dell’editore critico della lingua in cui l’originale è composto, al fine di valutare l’appropriatezza della interpretazione italiana del testo tradotto, al- trettanto dovrebbe avvenire per le edizioni di traduzioni effettuate dal Cinquecento in poi. L’epoca compresa tra Sette e Ottocento è sicuramente la più interessante dal pun- to di vista di una storia della traduzione; ove si pensi al complesso intrecciarsi degli scambi culturali a livello europeo, all’affermarsi delle lingue nazionali e all’atmosfera cosmopolita che, sebbene in ritardo, investe anche l’Italia, soprattutto a seguito del celebre articolo di Madame De Staël De l’esprit des traductions,13 in cui viene messo in discussione l’assolutismo estetico del classicismo ed affermata la nozione di relati- vità del gusto. Oltre al nuovo interesse per le lingue moderne, che affianca le tradizio- nali traduzioni dei classici, si assiste, contemporaneamente, al nascere di una intensa produzione teorica e al rifiuto del modello traduttivo della ‘bella infedele’.14 Nel caso della prima traduzione italiana del Paradise Lost di John Milton ad ope- ra di Paolo Antonio Rolli ci si confronta con un ponderoso poema, redatto in inglese secentesco, e contemporaneamente con la sua versione italiana, dal gusto arcadico, del nostro Rolli. Si è cercato di esaminare sia la traduzione dell’opera d’arrivo sia quella dell’opera di partenza, in maniera da poter individuare il testo su cui il traduttore ha operato e soprattutto come egli si sia rapportato all’originale.15 Questa edizione che, come ogni lavoro scientifico, è suscettibile di correzioni, e ampliamenti futuri, intende perciò costituire un’ipotesi di indagine filologica che ope- ri in parallelo su entrambi i testi in osservazione; nell’ambizione di segnare l’inizio di un nuovo modo di studiare le opere straniere tradotte. 13 v. L. Alcini, op. cit., (1991), p. 73. 14 Come ricorda W. Romani, a partire dal secondo Settecento appaiono ben distinte due tendenze del tradurre: quella esistente da tempo che si propone di «”naturalizzare” nella lingua d’arrivo l’opera da tradurre fino a farne scompari- re del tutto le tracce della lingua di partenza» e che trova la sua espressione più estrema nelle «belle infedeli», ed un’altra tendenza che possiamo definire «estraniante» che intende invece «mantenere nell’opera tradotta il maggior numero possibile delle caratteristiche originali». cfr. W. Romani, Note metodologiche intorno a traduzioni cinquecentesche, in La Traduzione saggi e studi, Trieste, Lint, 1973, pp. 390-91. Riguardo al rifiuto delle “belle infedeli”, G. Mounin cita come esempio proprio la traduzione francese del Paradise Lost condotta da Francois-August René de Chateaubriand (1768-1848) il quale, affermava di aver «ricalcato il poe- ma di Milton sul vetro». v. G. Mounin, Teoria e storia della traduzione, Torino, Einaudi, 1965, p. 53. 15 A tal fine si è rivelato di grande utilità il ricco apparato critico che Rolli traduttore appose a integrazione delle va- rie edizioni del suo Paradiso Perduto, al quale si fa riferimento nel cap. I.b.
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