UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA Dottorato di Ricerca in Filosorm VI Ciclo MORFOLOGIA E ANTROPOLOGIA IN WITTGENSTEIN Marilena Andronico 1S f - Tutore Prof.Maurizio Ferraris Anno 1995 M.Andronico MORFOLOGIA E ANTROPOLOGIA IN WITTGENSTEIN Introduzione l - D problema e le sue interpretazioni 1.1 Il termine 'antropologia' in relazione a Wittgenstein 1.1.1 Antropologia empirica 1.1.1.1 1.1.1.2 1.1.1.3 1.1.1.4 1.1.2 Antropologia fisica 1.1.3 Antropologia filosofica 1.1.4 Filosofia antropologica. 1.2. L'interpretazione trascendentalistica della questione antropologica 1.2.1 Le origini 1.2.2 Trascendentalismo e soggettività 1.2.3 Trascendentalismo e non-revisionismo (indagine riflessiva) 1.2.4 Antropologia trascendentale 1.2.5 Trascendentalismo delle forme di vita 1.3 Prime critiche de li 1 interpretazione trascendentalistica l. 3 .l Due usi della distinzione dire/mostrare 1.3.2 La vita come uso 1.4 L 1 interpretazione non trascendentalistica 1.4.1 Forme di vita e fondamento 1.4.2 Alcune osservazioni 2. Morfologia e grammatica 2.1 Questioni di metodo 2.2 La filosofia tra descrizione e immaginazione 2.2.1 La filosofia non può essere descrittiva 2.2.2 La filosofia non può che essere descrittiva- Il ruolo dell'immaginazione 2.2.2.1 Dal limite del linguaggio e del pensiero ai limiti del senso 2.2.2.2 La dissoluzione dell'essenza 2.2.2.3 Descrizione filosofica e invenzione. 2.3 Goethe 2.4 Spengler 2.4.1 Natura e storia 2.4.2 Contro le spiegazioni causali 2.4.3 Civiltà come organismi 2.4.4 Relativismo 2.4.5 Il caso della matematica 2. 4. 6 La critica a Kant 2.4.7 Analogia e metodo matematico 2.5 Wittgenstein morfologo 2.5 .l Programma logico e programma morfologico 2.5.2 Contro la spiegazione causale, a favore della semplice descrizione 2.5.3 Esempi e tecniche di confronto 2.5.4 Rappresentazione perspicua e distanza dell'osservatore 2.5.5 Critiche a Goethe e a Spengler 3 - Wittgenstein e l'antropologia 3.1 Morfologia e antropologia 3.2 Wittgenstein lettore di Frazer 3.2.1 Le critiche a Frazer come critiche classiche 3.2.2 Antropologia ed estetica 3.2.3 Comprensione antropologica e morfologia 3.3 Natura e concetti 3.3.1 Il modo di comportarsi comune agli uomini 3.3.2 Due sensi di 'natura' 3.3 .3 Le interpretazioni naturalistiche di Wittgenstein 3.3.4 Naturalismo non deterministico 3. 3. 4.1 Primitività logica 3.4 Filosofia e antropologia 3.4.1 Antropologia nella filosofia 3.4.1.1 Osservare e descrivere 3.4.1.2 Località dei concetti e comparativismo morfologico 3.4.2 Sulla differenza tra filosofia e antropologia 3. 4.2.1 Il carattere riflessivo della filosofia 3.4.2.2 La questione del noi 3.4.3 Filosofia nell'antropologia Bibliografia Introduzione Il presente lavoro costituisce un tentativo di comprendere il rapporto tra il pensiero del "secondo" Wittgenstein e l'antropologia. In più occasioni Wittgenstein dichiara di assumere un punto di vista antropologico nel suo studio della logica del linguaggio comune, e indica nel tipo di indagine che l'antropologo svolge presso una tribù straniera una sorta di modello a cui la ricerca ftlosofica dovrebbe ispirarsi. Scopo di questo studio è di rispondere ad alcuni quesiti che naturalmente si pongono in relazione a ciò: cosa ha in mente Wittgenstein quando parla di 'antropologia'? Quali intuizioni teoriche sulla natura della ftlosofia e dell' antroplogia giustificano il confronto tra queste due discipline? Quale ne è lo scopo? La ftlosofia finisce con l'essere considerata come un'attività empirica, al pari dell'antropologia? Che ruolo svolgono in tutto ciò le riflessioni di Wittgenstein sul Ramo d'oro di Frazer? Nel primo capitolo, dopo avere passato in rassegna i vari sensi in cui l'espressione 'antropologia' può essere impiegata in rapporto al pensiero di Wittgenstein, si osserva come l'interesse della critica nei confronti di questa tematica abbia finito per identificarsi con quello per la nozione di forma di vita. Il punto di vista antropologico si manifesta, stando a questa interpretazione, proprio nel rilievo dato da Wittgenstein al fatto che vi è un nesso inscindibile tra il parlare un linguaggio e lo svolgere un'attività (PU 23), o anche tra immaginare un linguaggio e immaginare una forma di vita (PU 19). Solo un'accurata analisi di ciò che Wittgenstein propriamente intende con questa espressione ('forma di vita') può metterei in condizioni di comprendere in che cosa consiste la sua prospettiva antropologica. Ora, le interpretazioni della nozione di forma di vita possono essere sostanzialmente suddivise in due tipi: quelle "trascendentalistiche" e quelle "non trascendentalistiche". Le prime considerano la forma di vita come l'insieme delle condizioni di possibilità della vita umana, le seconde come l'insieme costituito dai fatti naturali e culturali in cui è radicato l'uso del linguaggio. Secondo le interpretazioni trascendentalistiche - tra cui sono esemplari quelle di S. Cavell, B. Wi lliams e J. Lear - il riferimento alla nostra forma di vita rimanda ai limiti di ciò che possiamo comprendere e dire sensatamente. Tuttavia, risulta evidente che il tema dei limiti viene affrontato da questi interpreti senza tenere in nessun conto i profondi mutamenti subiti su questo punto dalla riflessione di Wittgenstein dopo il '29. Non a caso essi attribuiscono a Wittgenstein la stessa posizione del Tractatus logico philosophicus sostenendo, come fa Williams, che l'uso di un soggetto plurale - il 'noi' che ricorre nelle osservazioni della seconda fase - non comporta affatto l'abbandono del punto di vista trascendentale, ma semplicemente lo pluralizza, cosicché anche nella prospettiva delle Ricerche filosofiche sarebbe vero che "i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo". Alle interpretazioni non trascendentalistiche - esemplificate in modo paradigmatico da quella di G. Conway - va riconosciuto il merito di aver messo a fuoco i molti elementi di novità e di rottura nel modo di considerare il linguaggio da parte del secondo Wittgenstein rispetto al primo: elementi quali la concezione pluralistica delle forme di vita e dei giochi linguistici, l'interesse per la costituzione naturale del mondo umano, l'attenzione per la diversità culturale. Tuttavia, esse tendono ad imputare a Wittgenstein una forma di fondazionalismo naturalistico che appare estranea al suo pensiero. Nel secondo capitolo, si è cercato di comprendere l'evoluzione della riflessione di Wittgenstein sulle nozioni di "limite del pensiero", "limite del linguaggio" e "limite del mondo", tenendo conto soprattutto delle osservazioni contenute nel Big Typescrpit, il fondamentale testo inedito del 1932. Da questa analisi è emerso in primo luogo che, dopo il Tractatus, Wittgenstein rifiuta defmitivamente la nozione "trascendentale" di limite, con cui la ftlosofia metafisica tradizionale esprime la richiesta contraddittoria di pensare ciò che essa stessa ii dichiara essere impensabile. Nella prospettiva metafisica (che è quella del Tractatus) i limiti del linguaggio e del pensiero vengono concepiti come entità quasi fisiche, che tuttavia non è possibile né dire (esprimere nel linguaggio), né pensare (rappresentare o immaginare nel pensiero). Wittgenstein trova che questa nozione di limite è frutto del classico errore metafisico che produce la maggior parte dei fraintendimenti filosofici, e che consiste nel prendere per fattuale una determinazione concettuale. Dalle sue analisi risulta, invece, che se i limiti sono fattuali sono perfettamente "dicibili", mentre se non sono fattuali -se sono, cioè, concettuali- non possono che essere limiti del senso posti nel linguaggio. Tutto ciò ha conseguenze rilevanti sulla riflessione wittgensteiniana sull'essenza del linguaggio: questa, nella prospettiva del Tractatus, era concepita metafisicamente come qualcosa che c' é, ma non può essere detta né pensata. Se invece si abbandona la nozione metafisica di limite, i limiti risulteranno sempre soltanto delimitare qualcosa rispetto a qualcos 'altro, cosicché tanto ali' impensabile quanto ali' indicibile non corrisponderanno più entità (l'essenza) che, per così dire, noi non saremmo in condizioni di afferrare {dire e pensare), bensì semplici divieti a dire e a pensare qualche cosa così e così. E tali divieti altro non sono che regole del senso poste nel linguaggio, la cui funzione generale è per l'appunto di permettere, in quanto sensate, o di vietare, in quanto insensate, espressioni linguistiche, combinazioni di parole. Non vi è più, dunque, un'essenza inafferrabile del linguaggio, ma una molteplicità di regole che permettono o vietano i più diversi usi linguistici, e su di essi l'analisi filosofica può ora vertere liberamente. Sempre nel secondo capitolo vediamo quindi come il rifiuto dell' essenzialismo consenta a Wittgenstein di realizzare appieno il progetto, irrealizzabile per il Tractatus, di fare della filosofia un'attività di pura descrizione e presentazione della logica del nostro linguaggio: insieme ali' idea metafisica di essenza, cade infatti anche il veto antidescrittivista che nell'opera del '21 impediva che potessero esserci proposizioni della filosofia. La descrizione dei nostri usi linguistici diventa ora possibile, anche se è resa difficile dalle vecchie abitudini di pensiero (abitudini iii metafisiche) che continuamente sviano il ftlosofo; egli deve quindi adottare metodi di indagine del tutto particolari. E' a questo punto che è emersa con chiarezza l'influenza sul pensiero di Wittgenstein dello stile di indagine morfologico proposto da Goethe e poi da Spengler. Wittgenstein fa sue molte idee che si ritrovano negli studi naturalistici goethiani: l'abbandono della distinzione superficie/profondità, l'uso dell'analogia, l'idea di visione sinottica e quella di somiglianze di famiglia. Soprattutto, Wittgenstein fa sua l'idea secondo cui l'inserimento di una forma in una serie di forme (reali o possibili) che ne rappresentano le variazioni costituisce un modello di comprensione, ed applica tale modello alle strutture logico-linguistiche che sono oggetto della sua ricerca. Nel Tramonto dell'occidente di Spengler, invece, Wittgenstein trova teorizzata l'idea di un punto di vista contemporaneamente interno ed esterno ali' oggetto della ricerca: per Spengler, è la nostra civiltà che è al tempo stesso solo una civiltà tra altre e il punto di vista privilegiato da cui guardiamo a tutte le civiltà (inclusa la nostra); per Wittgenstein ciò varrà del nostro linguaggio. Tuttavia, facciamo vedere anche come W~ttgenstein non solo non erediti, ma anzi denunci, sia in Goethe, sia in Spengler, la confusione metafisica tra indagine sui concetti e indagine sui fatti, e rifiuti quindi come pseudoscientifiche le pretese di Goethe e di Spengler di costruire teorie (rispettivamente della natura e della storia). Nel terzo capitolo, infme, ci proponiamo di chiarire l'analogia tra ftlosofia e antropologia. Dalla lettura dell.e Note al 'Ramo d'oro' di Frazer è risultato evidente che Wittgenstein considera la comprensione antropologica come un genere di quella morfologica, e che le sue critiche a Frazer rappresentano un tentativo di estendere anche ali' antropologia empirica i metodi e gli scopi del comparativismo morfologico desunto dalle riflessioni di Goethe e di Spengler. L'antropologia, secondo Wittgenstein, non è interessata alla spiegazione causale o alla ricostruzione di processi genetici: essa è essenzialmente una disciplina descrittiva fmalizzata alla comprensione di usanze aliene. Così, se da un lato è giusto mettere in luce, come fa la critica, che nell'affrontare la questione della comprensione di concetti diversi iv dai nostri Wittgenstein assume che si dia un "modo di comportarsi comune agli uomini" che funge da sistema di riferimento per la traduzione di linguaggi sconosciuti, dali' altro lato è altrettanto vero che dal suo punto di vista la comprensione dell'alterità non rimanda alla considerazione di una base naturale che sarebbe a fondamento dei concetti. Comprendere concetti diversi dai nostri è inserirli in catene di somiglianze di famiglia a cui anche i nostri concetti appartengono. Comprensione filosofica (logica) e comprensione antropologica hanno quindi molto in comune: entrambe scaturiscono dali' applicazione delle tecniche di analisi morfologico-comparative che rendono possibili l'esibizione e l'esplorazione di regole e di giochi linguistici, reali o immaginari. Questo ci ha permesso, da un lato, di individuare la ragione teorica fondamentale che ha reso plausibile il confronto metodologico tra attività antropologica e attività filosofica; dali' altro, ci ha consentito di sviluppare tale confronto mettendo in luce come per Wittgenstein filosofia e antropologia non fmiscano affatto per coincidere. La filosofia è un'attività riflessiva, a cui interessa la descrizione di strutture linguistico-concettuali possibili, indipendentemente dalla loro realizzazione effettiva presso questa o quella comunità umana (realizzazione che invece è imprescindibile per l'antropologia empirica), e il filosofo, a differenza dell'antropologo, è al tempo stesso il soggetto dell'indagine e il nativo al cui giudizio l'indagine è sottoposta. Da ultimo, infme, abbiamo fatto vedere come l'immagine dell'antropologia proposta da Wittgenstein trovi significativi riscontri in alcune tendenze dell'antropologia contemporanea. v Se sentiamo parlare un cinese, siamo portati a prendere le sue parole per un gorgoglio inarticolato. Chi capisce il cinese vi riconoscerà invece il linguaggio. Così, spesso io non so riconoscere l'uomo nell'uomo. (VB p.15, 1914) I - D problema e le sue interpretazioni 1.1 D termine 'antropologia' in relazione a Wittgenstein Nella biografia di Monkl si legge che, ritornato a Cambridge nel '29, Wittgenstein strinse un rapporto d'amicizia con un pensatore "non borghese", l'economista italiano Piero Sraffa, dalle cui critiche stimolanti fu indotto ad assumere una diversa prospettiva nel fare filosofia. Questa influenza fu così determinante da far meritare a Sraffa un ringraziamento esplicito da parte di Wittgenstein nell'Introduzione alle Ricerche filosofiche; alle discussioni con Sraffa Wittgenstein sarebbe debitore delle più feconde idee contenute nel libro. Sempre Monk ci informa che "una volta Wittgenstein fece presente a Rush Rhees che il maggior guadagno che aveva tratto dalle conversazioni con Sraffa era un modo 'antropologico' di affrontare la problematica filosofica" (ib.). Dunque -si potrebbe concludere- Wittgenstein riteneva che le idee più feconde del libro più rappresentativo della nuova fase del suo pensiero fossero connesse con, o addirittura fossero il risultato di un modo 'antropologico' di affrontare la problematica filosofica. Tuttavia, nonostante l'evidente rilievo che il riferimento ad una tematica antropologica sembra avere per l Monk 1990, p.260. Cap. l -Il problema e le sue interpretazioni la comprensione del Wittgenstein post-Tractatus, ciò che stupisce il lettore è che nei suoi testi non si trovi nessun chiarimento teorico esplicito, nessuna elaborazione concettuale di ciò in cui potrebbe o dovrebbe consistere tale tematica, di ciò in cui potrebbe o dovrebbe consistere il "modo antropologico di affrontare la problematica filosofica". Né le pochissime annotazioni sparse qua e là negli scritti (in cui Wittgenstein si limita a 'menzionare' la prospettiva antropologica), né le Note al 'Ramo d'oro' di Frazer, in cui viene presentata una critica circoscritta del modo di concepire l'indagine antropologica da parte di Frazer, affrontano il problema in questione, come sarebbe legittimo aspettarsi dato il rilievo che gli viene attribuito. Fedele ali' assunto di non produrre teoria nel fare filosofia, Wittgenstein si comporta nei confronti della prospettiva antropologica allo stesso modo in cui si comporta nei confronti del proprio stile filosofico: ne parla ogni tanto attraverso vaghi accenni, che non di rado suonano come provocazioni che creano sconcerto e perplessità nel lettore. Nessuna spiegazione ulteriore viene fornita. E proprio il parallelo con l'atteggiamento che Wittgenstein ha tenuto nei confronti della filosofia si rivela utile in questo contesto: l'idea wittgensteiniana secondo cui la filosofia è un'attività e non una teoria trova realizzazione concreta nel fatto che ciò in cui propriamente la filosofia consiste si può evincere quasi esclusivamente dalla lettura dei testi, dal ripercorrimento degli itinerari linguistico-concettuali che il filosofo propone. Lo stesso sembra applicarsi alla prospettiva antropologica, quella da cui l'attività filosofica viene condotta: la si comprende guardando da vicino ai metodi e ai risultati di tale attività, nonché agli assunti e ai principi che tale attività è interessata a far valere. Questo rende legittimo, inoltre, il fatto che si voglia cercare di fare chiarezza in merito agli scopi e ai metodi della prospettiva antropologica. Infatti, proprio come è vero che nonostante Wittgenstein abbia difeso una concezione della filosofia che la considera una non-teoria, gli esegeti hanno cercato di comprendere e di inquadrare teoricamente tale concezione, allo stesso modo è vero che nonostante che Wittgenstein non abbia ritenuto opportuno dilungarsi 2
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