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Miti e coscienza del decadentismo italiano. D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, Pirandello PDF

293 Pages·1975·14.348 MB·Italian
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CRITICA LETTERARIA CARLO SALINARI Miti e coscienza del decadentismo italiano Carlo Salinari MITI E COSCIENZA DEL DECADENTISMO ITALIANO Interessi di carattere storico e di carattere metodologico s’intreccia­ no nella struttura di questo volume. Da una parte, infatti, la ricerca di Carlo Salinari tende a superare lo schema più diffuso d’inter­ pretazione del nostro primo Novecento, che vorrebbe ritrovare l'elemento caratteristico di quel periodo nello sforzo di sprovin­ cializzare la cultura italiana e di adeguarla alle contemporanee esperienze europee. Al contrario essa esamina i miti del nostro decadentismo — il superuomo, il fanciullino, il santo, l’uomo alie­ nato e sopraffatto dalle cose — nella loro genesi storica, prima ancora che psicologica e culturale: nell’ambito, s’intende, degli scrittori che originariamente li hanno posti al centro della loro poetica (D’Annunzio, Pascoli, Fogazzaro e Pirandello). In tal modo il nostro Novecento si rivela profondamente radicato nella crisi post-risorgimentale — variante italiana della più generale crisi della borghesia liberale in Europa — e si manifesta come reazione spi­ ritualistica: nella quale, tuttavia, è dato ritrovare scoperte parziali e non più alienabili dallo spirito moderno e autentiche ribellioni dettate dalla coscienza della condizione dell’uomo contemporaneo. D’altra parte, poi, l’autore ha voluto affrontare il problema dell’ana­ lisi di tipo marxista di singoli scrittori, ben sapendo che al marxismo si riconosce una sua validità nel campo della storia della cultura, ma non lo si ritiene adatto neppure ad entrare nella storia della poesia. Di conseguenza egli si preoccupa di liberare la critica marxista dall’equivoco fondamentale: che compito del critico sia esclusivamente quello di ritrovare il nesso fra l’opera d’arte e la formazione economico-sociale caratteristica del periodo in cui l’opera è venuta alla luce. E avanza, invece, l’ipotesi di una critica letteraria concepita rigorosamente come scienza positiva. Carlo Salinari è nato a Monte Scaglioso (Matera) il 17 ottobre 1919. Laureato in lettere all’Università di Roma, ha partecipato attivamente alla Resistenza guada­ gnandosi due medaglie d’argento. Si è dedicato sia alla critica militante sia a ricerche intorno ai nostri classici. Frutto di tale attività sono, oltre al presente volume, la raccolta dei Lirici del Duecento (1956), il commento al Decameron (1964), i volumi La questione del realismo (1960) e Preludio e fine del realismo in Italia (1967) e la Storia della letteratura (1970). Attualmente è ordinario di lette­ ratura italiana all’Università statale di Milano. In prima di copertina: Giovanni Boldini, Le sorelle Laskaraki (part.), Ferrara, Museo Boldini. L. 3.500 (3.300) Prima edizione: febbraio I960 Undicesima edizione: ottobre 1975 Copyright by © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Carlo Salinari Miti e coscienza del decadentismo italiano (D’Annunzio, Pascoli, Fogazzaro e Pirandello) Feltrinelli Editore Milano Introduzione Il progetto iniziale di questo volume era del tutto diverso da quello che è stato, poi, concretamente realizzato. La cosa non avrebbe alcun interesse per il lettore se le varie modifiche che il libro ha subito nel corso degli anni non corrispondessero ad espe­ rienze che, per quanto modeste e limitate, possono forse risultare in qualche modo istruttive. Per questo ritengo che non sia del tutto inutile fornire alcune informazioni preliminari. Nel 1954 cominciai a lavorare intorno alla letteratura del de­ cennio giolittiano spinto soprattutto da interessi di carattere storico. Mi sembrava che dovessero essere considerate mitologiche le imma­ gini di quel periodo che erano state proposte da varie parti e che occupano ancora oggi la maggioranza delle menti. L’immagine fa­ scista di uri Italietta tutta dedita all’ordinaria amministrazione, e, a riscontro, quella liberale di un’Italia che aveva raggiunto un suo stabile equilibrio, con la sconfitta delle velleità reazionarie da ima parte e di quelle socialiste dall’altra, e infine quella salveminia- na — dei democratici moralisti — di un’Italia avvilita dal trasfor­ mismo, governata da una classe dirigente corrotta, priva di pro­ grammi e d’ideali, incapace di affrontare con serie riforme i gran­ di problemi del Paese. Sospettavo, invece, che quel periodo fosse straordinariamente ricco di fermenti e di contraddizioni e che in esso si ponesse il nodo di problemi — economici, politici, sociali e culturali — che ancora oggi ci sta davanti e che siamo chiamati a risolvere. Giolitti e il giolittismo, lo sviluppo economico, il trionfo dell’idealismo, il sorgere del nazionalismo, le esperienze avanguar- distiche, lo stesso travaglio del movimento socialista e di quello cat­ tolico, mi sembravano problemi su cui si dovesse tornare a ri flet Introduzione tere, anche perché, approfondendoli, la loro portata e i loro riflessi si sarebbero estesi notevolmente. Allo stesso modo, nel campo specifico della letteratura (e della cultura in genere) mi sembrava parziale ed unilaterale, se pure non del tutto falso, lo schema secondo il quale l’elemento caratteristico e di maggior rilievo, in quel periodo, andasse ricercato nello sforzo di sprovincializzare la nostra cultura e di adeguarla alle contem­ poranee esperienze europee: schema a cui non ha saputo resistere neppure il Garin (forse perché influenzato dal suo atteggiamento polemico nei confronti della filosofia ufficiale e accademica, delle cattedre e delle barbe),1 schema che ha finito per dominare il giu­ dizio sulla letteratura del nostro Novecento, considerata essenzial­ mente in base alle tappe successive della sua sprovincializzazione. Poiché un simile metro di giudizio finisce per portare spesso a con­ clusioni sbagliate, sia nel considerare provinciali momenti e aspetti della nostra storia che tali non sono (ad esempio, tutto il filone della cultura meridionalista è più moderno ed europeo di quanto non siano la chiassosa agitazione e lo sperimentalismo dei futuri­ sti e di Papini), sia nel riconoscere radici europee in correnti e scrittori che bisogna più modestamente ricondurre nei quadri della nostra cultura del tempo (ad esempio, Pascoli). Comunque il pro­ getto inviato allora all’editore (con un centinaio di pagine di saggio) prevedeva un volume sulla letteratura dell’età giolittiana diviso in tre parti: la prima dedicata agli orientamenti dello spi­ rito pubblico (e quindi, in connessione con essi, ai problemi della storia politica ed economica), la seconda alle poetiche, la terza alle principali personalità artistiche. Come si potrà constatare, di questo progetto non è rimasta quasi alcuna traccia. La cosa è dovuta a diversi ordini di ragioni. In primo luogo il fatto che, approfondendo i problemi, la periodizzazione iniziale si mostrava fittizia. Si pensi che le più forti personalità — esplose nel periodo giolittiano — Croce, D’Annunzio, Pascoli, Pirandello, lo stesso Fogazzaro, si erano tutte formate nel periodo precedente: che, addirittura, il maggiore scrittore italiano posteriore a Verga, Italo Svevo, aveva già scritto due romanzi e raggiunto l’acme della 1 Alludo al volume Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza, 1955. Introduzione sua arte prima della fine del secolo scorso. Si pensi soprattutto che bisognava ricercare negli anni precedenti la fine dell’Ottocento l’origine di alcune correnti di opinione e di alcune posizioni ideali che nell’età giolittiana assunsero un posto di primo piano: quale il nazionalismo che nel corso del "decennio felice” diventò un partito politico destinato a dominare la vita pubblica italiana, che nello sviluppo economico dei primi anni del nostro secolo trovò le sue basi strutturali, ma che già nel decennio precedente era stato elaborato come ideologia d’importanti gruppi d’intellettuali, come “nazionalismo retorico,” ed aveva trovato espressione nell’azione di un uomo politico, Crispi, e nell’opera di uno scrittore, D’An­ nunzio. Quale, inoltre, la crisi del mondo cattolico, che scoppiò nel primo decennio del Novecento, ma venne preparata in prece­ denza dalla politica di Leone XIII, dagli sviluppi dell’Azione Cat­ tolica e dalle esigenze avanzate dal movimento socialista. Insomma, nella iniziale periodizzazione, mentre il termine ad quem, la prima guerra mondiale, rimaneva fermo (e si manifestava, anzi, sempre più come un momento essenziale in cui entravano in crisi le prece­ denti esperienze e i problemi venivano posti in una nuova dimen­ sione), il termine a quo doveva spostarsi indietro almeno di un de­ cennio. In realtà l’Ottocento italiano finisce con la pubblicazione del Mastro don Gesualdo (1889), con l’ultimo grande prodotto del­ la scuola veristica: negli anni fra il ’90 e il 900 si assiste, invece, proprio nella letteratura, all’impetuoso sviluppo della reazione spi­ ritualistica. Basterà pensare all’aperta offensiva antizoliana e anti- naturalistica condotta dal D’Annunzio in nome del sogno, del­ l’illusione, dell’ignoto, dell’ideale; al tentativo fogazzariano di svuo­ tare la conquista più avanzata e rivoluzionaria della scienza po­ sitivistica, il principio dell’evoluzione naturale, di ogni suo con­ tenuto materialistico e di conciliarla con il dogma cattolico; all’evo­ luzione in senso simbolista della poesia pascoliana; alla liquida­ zione delle basi fondamentali del naturalismo compiuta da Piran­ dello e da Svevo già nei loro primi romanzi. Il Novecento in Ita­ lia — e non solo in Italia — sorge come reazione spiritualistica nei confronti dell’ultima manifestazione progressiva del pensiero borghese dell’Ottocento, il positivismo, e del più avanzato tenta­ tivo di arte realistica, il verismo. È evidente che sintomi di tale 9

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