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Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno Accademico 1997/1998 PDF

42 Pages·1998·0.199 MB·Italian
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Prof. Andrea Bonomi Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio Anno Accademico 1997/1998 Scheda n. 1: Semantica e condizioni di verità L’idea che esista un nesso profondo fra il significato degli enunciati e le loro condi- zioni di verità rappresenta uno dei cardini attorno a cui si è sviluppata buona parte delle riflessioni della logica e della filosofia del linguaggio di impostazione analitica. Un utile punto di riferimento è rappresentato da alcune proposizioni del Tractatus di Wittgenstein: Comprendere una proposizione vuol dire sapere che accada se essa è vera. [Prop. 4024.] [...] Invece di: questa proposizione ha questo e quest'altro senso, si può semplicemente dire: questa proposizione rappresenta questa e quest'altra situazione. [Prop. 4.031.] [...] Per poter dire "p" è vera (o falsa), devo aver determinato in che circostanze io chiamo vera "p", determinando così il senso della proposizione. Secondo questo punto di vista, un enunciato dichiarativo (come p. e. Leo sta corren- do) ha eminentemente lo scopo di descrivere uno stato di cose: nel caso questo stato di cose sia parte della realtà, l'enunciato sarà vero, in caso contrario sarà falso. Per- tanto, comprendere un enunciato equivale a saper distinguere in quali circostanze l'enunciato descrive correttamente la realtà, e cioè, più semplicemente, in quali situa- zioni l'enunciato risulta vero e in quali risulta falso. È in questo senso che si identifica il significato di un enunciato con le sue condizioni di verità. Così, nel nostro esempio, afferrare il significato di Leo sta correndo equivale, idealmente, alla capacità di dire per ogni situazione possibile s con la quale fossimo messi a confronto: sì, alla luce della situazione s l'enunciato è vero; oppure: no, l'enunciato è falso. Sarebbe infatti per lo meno bizzarro sostenere che io conosco il significato dell'enunciato Leo sta correndo se, posto di fronte a una situazione in cui Leo sta visibilmente scrivendo una lettera, seduto alla propria scrivania, io affermassi che quell'enunciato è vero. Prima di passare agli sviluppi di questa idea dovuti al logico polacco A. Tarski, due precisazioni risultano opportune. Anzitutto va notato che questo modo di collegare il significato di un enunciato alle sue condizioni di verità non comporta, ovviamente, che per conoscere il significato di un enunciato E si debba sapere se, di fatto, E è vero o falso. Per esempio, è molto probabile che io non sia in grado di dire se un enunciato come A mezzogiorno del 2 agosto 1810 i gatti vivi erano in numero dispari, e che non sia neanche in grado di indicare un metodo pratico per stabilirne la verità1. Quello che conta, però, è che di principio sono in grado di discriminare, almeno mentalmente, i due tipi di situazioni che renderebbero rispettivamente vero, o falso, quell'enunciato. In secondo luogo, va notato che un'altra caratteristica di questo orientamento teorico consiste nel fatto che, proprio perchè si parla non della semplice verità o falsità di un enunciato, ma delle circostanze nelle quali esso sarebbe vero o falso, nel definire il concetto di condizioni di verità non si fa riferimento a un'unico "mondo" o stato di 1 Cfr. Casalegno (1997: 11 - 12.) 3 cose, ma a una pluralità di mondi o stati di cose possibili. Nella prossima scheda si cercherà di illustrare come questo requisito sia soddisfatto nelle cosiddette semanti- che intensionali. Per il momento, occupiamoci però di un altro problema. Anche ammettendo che la definizione di significato in termini di condizioni di verità che abbiamo appena intro- dotto risulti intuitivamente chiara (cosa che non tutti i filosofi sono disposti ad am- mettere), rimane comunque il fatto che ciò che ci serve è una definizione rigorosa di verità, pena la vaghezza della nostra semantica (il cui ruolo essenziale è appunto l'at- tribuzione di opportune condizioni di verità agli enunciati). Come si è già accennato, è grazie ai lavori di Tarski che, negli anni Trenta, prende corpo l'idea di uno studio formale dei meccanismi di interpretazione del linguaggio. La convinzione di Tarski era che uno studio del genere potesse applicarsi esclusivamente alle lingue artificiali (come p. e. quella della teoria delle classi), e che le lingue naturali non si prestassero a questo tipo di trattamento. Successivamente, però, soprattutto per merito del logico statunitense R. Montague, il metodo tarskiano è stato esteso anche a tali lingue, e uno degli obiettivi del presente lavoro è proprio di mostrare come le espressioni temporali dell'italiano possano essere associate a opportune condizioni di verità. Tuttavia, prima di passare alla complessità delle lingue naturali, è opportuno fornire un esempio suf- ficientemente semplice di definizione ricorsiva delle condizioni di verità. Siccome la lingua della logica predicativa (o logica del "primo ordine") sarà alla base delle rap- presentazioni semantiche che introdurremo in seguito, è a questa lingua che ci rivol- geremo a titolo di illustrazione. Il linguaggio L della logica predicativa è così definito. Anzitutto abbiamo l'insieme T dei termini, dato dall'unione dell'insieme V, infinito numerabile, delle variabili indi- viduali (qui rappresentate da x, y, z, ...) e dell'insieme C (che può anche essere vuoto) delle costanti individuali, che qui rappresenteremo con a,b,c,... Altre espressioni sem- plici di L sono i predicati, che, per n arbitrario, indicheremo con Pn, Qn, Rn, ..., (n sta per il numero di argomenti cui può essere applicato il predicato in questione). Le formule atomiche di L sono sono del tipo Pnt ...t 1 n dove Pn è un predicato a n posti e t ,...,t sono termini (cioè variabili o costanti indivi- 1 n duali). Per esempio, un enunciato atomico come P2ab asserisce l'esistenza della relazione a due posti P2 fra gli oggetti a e b ed è assimilabi- le, intuitivamente, a un enunciato del linguaggio naturale come 'a ama b'. Le formule complesse sono ottenibili in questo modo: Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi 4 (cid:217) B se A e B sono formule, allora lo sono anche ¬A (non si dà il caso che A), A (A e , (cid:218) B , fi E " B) A (A o B) A (se A allora B), xA (di ogni individuo x si dà il caso che A2), $ xA (di qualche individuo x si dà il caso che A) Veniamo ora all'interpretazione di L. La nozione fondamentale è quella di struttura (o modello), costituita da una coppia M = <D,F>, dove D è un insieme di individui (il dominio o universo di discorso) e F una funzione (la funzione interpretazione) che as- segna a ogni costante non logica del linguaggio opportune denotazioni. Più precisa- mente: ˛ F(a) D (Altrimenti detto, la denotazione della costante individuale a è un individuo del do- minio.) ˝ F(Pn) Dn (Se n = 1, allora la denotazione del predicato (p. e. il predicato corrispondente a 'cor- rere') sarà un certo sottoinsieme del dominio (l'insieme degli individui che corrono, nel nostro esempio); se n = 2, allora la denotazione del predicato (p. e . il predicato corrispondente a 'amare') sarà un insieme di coppie ordinate (l'insieme delle coppie di individui <u, v> tali che u ama v, nel nostro esempio); se n = 3, allora la denotazione del predicato sarà un insieme di triple ordinate, e così via.) Nel caso delle variabili, l'idea è di considerarle come dei pronomi di natura astratta, la cui interpretazione dipende ogni volta dal contesto. Formalmente, possiamo ottenere ciò ricorrendo a una funzione (la cosiddetta funzione assegnazione) g, che associa a ogni variabile x un certo individuo del dominio D: ˛ g(x) D. Sulla base di questi elementi è possibile definire sistematicamente, secondo le linee a indicate da Tarski, il valore semantico, o denotazione, di un'espressione in una struttura M = <D, F>, rispetto a un'assegnazione g., denotazione che rappresenteremo con [[a ]]M,g. Avremo dunque: [[x]]M,g = g(x) per ogni variabile individuale x; [aa]MM,,gg == FF((aa)) ppeerr ooggnnii ccoossttaannttee iinnddiivviidduuaallee aa;; [[Pn]]M,g = F(Pn) per ogni costante predicativa Pn. Il valore semantico di un enunciato è dato, in questa cornice teorica, da un valore di verità: il Vero (che rappresenteremo con 1) oppure il Falso (che rappresenteremo con 0). E se adesso ci chiediamo quale può essere una definizione di verità in L che ri- 2 Per esempio, ’" xP2xb’ asserisce che tutti gli individui x dell’universo dato sono nella relazione P2 con l’individuo b. Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi 5 spetti i requisiti di rigore e adeguatezza indicati da Tarski, la risposta è fornita dalla seguente definizione ricorsiva di verità (rispetto a un modello M e una assegnazione g): [[Pnt ...t ]]M,g = 1 se e solo se < [[t ]]M,g,..., [[t ]]M,g> ˛ [[Pn]]M,g 1 n 1 n [[¬A]]M,g = 1 se e solo se [[A]]M,g = 0 [[A (cid:217) B ]]M,g = 1 se e solo se [[A]]M,g = 1 e [[B]]M,g = 1 [[A (cid:218) B ]]M,g = 1 se e solo se [[A]]M,g = 1 o [[B]]M,g = 1 [[A fi B ]]M,g = 1 se e solo se [[A]]M,g = 0 o [[B]]M,g = 1 [[" xA]]M,g = 1 se e solo se, per ogni individuo u del dominio D, [[A]]M,g[u/x] = 1, dove g[u/x] associa alle variabili gli stessi valori che associa loro g, con la possibile ecce- " zione che g[u/x](x) = u. (Così, ciò che questa clausola richiede, per la verità di xA, è che ogni individuo del dominio soddisfi la formula A.) [[$ xA]]M,g = 1 se e solo se, per qualche individuo u del dominio D, [[A]]M,g[u/x] = 1. (Co- $ sì, ciò che questa clausola richiede, per la verità di xA, è che almeno un individuo del dominio soddisfi la formula A.) Sulla base di questa definizione rigorosa di verità è poi possibile definire altre im- portanti nozioni logiche, fra le quali quella di validità di una formula (definita come la verità di quella formula in tutti i modelli) e di conseguenza (una formula A è una G conseguenza di un insieme di formule se e soltanto se in ogni modello in cui risul- G tano vere tutte le formule di risulta vera anche A). Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi Scheda n. 2: Semantiche intensionali Uno dei contributi fondamentali che Frege ha fornito alla logica e alla filosofia del linguaggio è l'individuazione di due diversi livelli di significato: quello del senso e quello della denotazione. Va però detto che Frege non si preoccupa di dare una defi- nizione formalmente rigorosa di queste nozioni, che rappresentano dunque un pro- blema aperto nella teoria semantica contemporanea. Un tentativo di fornire una rispo- sta a tale problema è fornito da R. Carnap, che fa corrispondere alla distinzione fre- geana, la distinzione fra intensione e estensione, interpretata alla luce della semantica a mondi possibili. Per spiegare questi concetti possiamo tornare brevemente alla semantica elementare introdotta nella scheda precedente. Si ricorderà che in quella circostanza abbiamo ge- nericamente parlato di di valore semantico (o di denotazione) di un'espressione. Si è detto, per esempio, che, dato un certo modello M = <D, F>, la denotazione in M di un predicato a un posto come abitare al Polo Nord è un insieme di individui apparte- nenti al dominio D, e cioè l'insieme degli individui che abitano al Polo Nord. Se pen- siamo che la nozione di modello ci serve per ricostruire matematicamente la nozione di stato di cose rispetto al quale valutare un enunciato in termini di verità e falsità, è facile vedere che questo modo di procedere può risultare inadeguato nel trattamento di vari tipi di enunciati delle lingue naturali. Si consideri infatti un enunciato come (2) È possibile che qualcuno abiti al Polo Nord. Supponiamo dunque di disporre di un unico modello M (e quindi di fare riferimento a un unico stato di cose) e immaginiamo che sia falso, rispetto a quel modello, che esi- stano persone che abitano al Polo Nord: questo semplicemente perchè, rispecchiando lo stato di cose reale, la denotazione in M del predicato abitare al Polo Nord è l'in- sieme vuoto. È sufficiente questa constatazione a rendere intuitivamente falso l'enun- ciato (2)? La risposta non può che essere negativa, dal momento che con (2) non si intende semplicemente far riferimento allo stato di cose reale, ma anche a qualche possibile stato di cose in cui qualcuno abita al Polo Nord. E siccome possiamo benis- simo immaginare che esistano stati di cose siffatti e che (nonostante le avversità at- mosferiche) qualcuno abiti davvero al Polo Nord, vorremmo poter dire che (in questa interpretazione della possibilità) l'enunciato (2) risulta vero. D'altra parte niente, in M, ci autorizza a questo tipo di valutazione dell'enunciato, perchè con M si fa ideal- mente riferimento a un'unica situazione (quella che si assume come reale), e in questa situazione nessuno abita al Polo Nord. L'idea che Carnap sviluppa, a partire da Leibniz e da Wittgenstein, è che occorra invece fare riferimento a una pluralità di si- 7 tuazioni o mondi possibili3, e che il valore semantico di un’espressione debba essere di volta in volta relativizzato a ciascuno di questi mondi. Per illustrare questa idea, possiamo tornare brevemente ai all’esempio di prima. Al fi- ne di giustificare la verità di un enunciato come (2), sulla base di una certa interpreta- zione della possibilità, abbiamo semplicemente chiamato in causa un possibile stato di cose in cui, a differenza da quanto accade nello stato di cose reale, il predicato abitare al Polo Nord non è vuoto. Abbiamo dunque assunto che siano rilevanti più stati di cose (o mondi possibili) e che l’estensione di un predicato possa variare da mondo a mondo. Potremmo rappresentare la situazione in questi termini: ... mm fifi ll’’iinnssiieemmee ddeeggllii iinnddiivviidduuii cchhee aabbiittaannoo aall PPoolloo NNoorrdd iinn mm mm’’ fifi ll’’iinnssiieemmee ddeeggllii iinnddiivviidduuii cchhee aabbiittaannoo aall PPoolloo NNoorrdd iinn mm’’ mm"" fifi ll’’iinnssiieemmee ddeeggllii iinnddiivviidduuii cchhee aabbiittaannoo aall PPoolloo NNoorrdd iinn mm"" ... A sinistra della freccia è indicato il mondo pertinente, a destra la denotazione corri- spondente: una certa estensione del predicato nel mondo m, un'altra (eventualmente diversa) nel m' e via dicendo. Carnap usa il termine estensione per l'insieme di oggetti che corrisponde al predicato in un certo mondo (e parlerà dunque dell'estensione del predicato in quel mondo). Usa invece il termine intensione per riferirsi alla funzione (rappresentata dalla freccia nello schema di prima) che associa sistematicamente a ogni mondo l'estensione del predicato in questione. Il che equivale a dire che, da que- sto punto di vista, un'intensione è semplicemente un modo di assegnare a un predi- cato le varie estensioni di quel predicato nei vari mondi. Vale la pena di osservare che questa variabilità della denotazione o estensione di un predicato a seconda dei diversi mondi possibili ha come conseguenza la variabilità della denotazione o estensione di altre importanti classi di espressioni. È questo il ca- so di termini singolari quali le cosiddette descrizioni definite, come rivela la possibi- lità associare individui diversi, nei diversi mondi possibili, a un'espressione come L'uomo più alto che ci sia: ... mm fifi ll’’uuoommoo ppiiùù aallttoo iinn mm mm'' fifi ll''uuoommoo ppiiùù aallttoo iinn mm'' mm"" fifi ll''uuoommoo ppiiùù aallttoo iinn mm"" ... Di conseguenza, anche la denotazione o estensione di un enunciato (che, come ab- biamo visto nella scheda precedente, è un valore di verità: il Vero o il Falso) può va- 3 Più precisamente, Carnap non introduce nel proprio apparato semantico veri e propri mondi possibili, ma quelle che chiama descrizioni di stato, cioè entità linguistiche (in quanto insiemi di enunciati). Questo passo è molto significativo dal punto di vista filosofico, ma non può essere affrontato qui. Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi 8 riare da un mondo possibile a un altro. Per esempio, in corrispondeza dell’enunciato L'uomo più alto che ci sia è calvo avremo: ... mm fifi iill VVeerroo ((iill FFaallssoo)) ssee qquueelllloo cchhee èè ll''uuoommoo ppiiùù aallttoo cchhee ccii ssiiaa iinn iinn mm èè ccaallvvoo ((oopp-- ppuurree nnoonn èè ccaallvvoo)) iinn mm mm'' fifi iill VVeerroo ((iill FFaallssoo)) ssee qquueelllloo cchhee èè ll''uuoommoo ppiiùù aallttoo cchhee ccii ssiiaa iinn mm'' èè ccaallvvoo ((ooppppuu-- rree nnoonn èè ccaallvvoo)) iinn mm'' mm"" fifi iill VVeerroo ((iill FFaallssoo)) ssee qquueelllloo cchhee èè ll''uuoommoo ppiiùù aallttoo cchhee ccii ssiiaa iinn iinn mm"" èè ccaallvvoo ((ooppppuurree nnoonn èè ccaallvvoo)) iinn mm"" ... Rispetto alla semantica estensionale introdotta nella scheda precedente, la novità è dunque rappresentata dal fatto che abbiamo due distinti livelli di interpretazione, dal momento che ad ogni espressione è associata sia un'intensione che un'estensione. La prima rende conto di quella parte costante del significato che non dipende dalle diver- se situazioni e che si suppone nota (idealmente) al parlante che usa correttamente la linguaggio in questione. L'estensione è ciò che si ottiene quando si applica l'intensio- ne di un'espressione a un mondo possibile, secondo questo schema generale: Intensioni Estensioni Termini Individuali Funzioni da stati di cose a in- Individui dividui Predicati Funzioni da stati di cose a in- Insiemi di individui o relazioni siemi di individui o relazioni Enunciati Funzioni da stati di cose a va- Valori di verità lori di verità Una importante formalizzazione di questo orientamento (che si discosta da quella fornita da Carnap su aspetti anche importanti) è dovuta a Kripke (1963). In questo ti- po di semantica intensionale (al cui centro sono le nozioni di necessità e di possibili- tà), ogni singolo modello è costituito non solo da un dominio di individui e da una funzione interpretazione, ma anche da un insieme di mondi possibili, in modo che l'interpretazione sia vista come una funzione che associa una denotazione alle costanti non logiche (i predicati, particolare) non una volta per tutte, ma rispetto ai diversi mondi possibili. Formalmente, possiamo specificare le cose in questo modo. Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi 9 Un modello o struttura è adesso una tripla M = <D, F, W, R>, dove W (l'insieme dei mondi possibili) è un insieme non vuoto distinto dal dominio D, R è una relazione4 definita su W e F è una funzione che a ogni costante non logica e a ogni mondo pos- sibile associa l'estensione di quella costante in quel mondo. Più precisamente: ˛ se a è una costante individuale e w un mondo possibile, F(a, w) D (La denotazione della costante individuale a, nel mondo w, è un individuo5 del domi- nio D) ˝ F(Pn, w) Dn (La denotazione della costante predicativa Pn, nel mondo w, è un insieme di n-ple di individui del dominio D; nel caso di predicati a un posto come essere calvo, sarà semplicemente un insieme di individui del dominio: intuitivamente, gli individui che in w hanno la proprietà di essere calvi.) Pertanto, a differenza da quanto avveniva nella semantica estensionale delineata nella scheda n. 1, parleremo adesso di valore semantico (o denotazione) di un'espressione a in una struttura M = <M, F, W, R>, rispetto a a un mondo w in W e a un'assegna- zione g, che rappresenteremo con [[a ]]M,w,g. Avremo dunque: [[x]]M,w,g = g(x) per ogni variabile individuale x; [aa]MM,,ww,,gg == FF((aa,, ww)) ppeerr ooggnnii ccoossttaannttee iinnddiivviidduuaallee aa;; [[Pn]]M,w,g = F(Pn, w) per ogni costante predicativa Pn. Facendo corrispondere alla possibilità e alla necessità gli operatori enunciativi L e M (cosicchè 'L(A)' può essere letto come 'È necessario che A' e 'M(A)' come 'È possi- bile che A'), nel caso degli enunciati le condizioni di verità saranno date dalle se- guenti clausole [[Pnt ...t ]]M,w,g = 1 se e solo se < [[t ]]M,w,g,..., [[t ]]M,w,g > ˛ [[Pn]]M,w,g 1 n 1 n [[¬A]]M,w,g = 1 se e solo se [[A]]M,w,g = 0 e così via per gli altri connettivi e quantificatori. Rimangono da specificare le clau- sole per il possibile e il necessario: [[MA]]M,w,g = 1 se e solo se [[A]]M,v,g = 1 per qualche mondo possibile v in W tale che wRv [[LA]]M,w,g = 1 se e solo se [[A]]M,v,g = 1 per ogni mondo possibile v in W tale che wRv. 4 È la cosiddetta relazione di accessibilità fra mondi: 'wRv' può essere interpretato, intuitivamente, come asserente che v è possibile rispetto a w. Come vedremo in seguito, questa relazione di accessibilità diventa particolarmente importante nelle semantiche temporali, dove coinciderà con una opportuna relazione fra istanti o intervalli (p. e . la relazione di precedenza). 5 Sempre lo stesso individuo, se si vogliono trattare le costanti individuali come designatori rigidi nel senso di Kripke. Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi 10 In altri termini, la possibilità è interpretata come verità in qualche mondo possibile (rispetto a un mondo dato), e la necessità come verità in tutti i mondi. Nella scheda successiva ci occuperemo di quel particolare sviluppo delle semantiche intensionali che ha dato origine alle semantiche temporali. Andrea Bonom: Materiali per il corso di Filosofia del linguaggio, Anno accademico 1997/98. © 1998 Andrea Bonomi

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