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Manuale sui frutti dimenticati PDF

101 Pages·1.438 MB·Italian
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Presentazione Quando si parla di FRUTTI DIMENTICATI, l’immaginazione comune evoca un albero, a volte un fiore oppure un frutto che un tempo erano importantissimi sia perché fornivano sostentamento in periodi di carestia alimentare, sia perché venivano utilizzati in medicina per curarsi ed alleviare i malanni. “Tutti gli alberi ed arbusti che i nostri contadini piantavano in prossimità delle case coloniche avevano prima di tutto una funzione pratica: ogni pianta non veniva messa a dimora casualmente, ma per fornire cibo o cure, oppure alimenti e riparo al bestiame, o per mitigare gli eccessi del clima. La funzione estetica era solamente un aspetto secondario.” ricorda Luciano Pallotti, sulla rivista “Romagna, ieri, oggi e domani”. “Frutto piccolo, poco commerciabile, deperibile, dal sapore particolare”: questi sono gli aspetti negativi che fanno sì che questi frutti siano rimasti ai margini del mercato, sebbene ricchi di sapore e prodotti da piante robustissime, resistenti alle malattie. Le piante di azzeruolo, cotogno, corniolo, melograno, giuggiolo, pero volpino ecc: nel dopoguerra, data anche l’evoluzione del mercato agricolo, sono state abbandonate ed ora rischiano l’estinzione. Con loro si perderanno migliaia di “fole”(favole), detti, indovinelli o soltanto modi di dire, che i nonni tramandavano ai più piccini, raccontandoli davanti al focolare o durante le veglie nella stalla. Pur non producendo quantità elevate di frutti, queste piante rappresentavano durante tutto l’arco dell’anno una continuità alimentare. Alla fine di maggio maturavano le more di gelso, poi a giugno “fruttaio” si raccoglievano le prime varietà di pere, mele, ciliegie e albicocche; alla fine di agosto arrivavano le corniole e l’autunno portava cotogne, melograne, sorbe e nespole. Una tradizione legata al modo di raccogliere la frutta descrive così la sua ritualità: “L’agricoltore lasciava almeno tre frutti sulla pianta, uno per il sole, uno per la terra e infine uno per la pianta che aveva lavorato duramente e si meritava un premio”. Nei lunghi inverni del passato, le popolazioni contadine hanno ingannato la fame cibandosi di frutti che venivano essiccati e conservati nel “fruttaio” perché maturassero (è il caso di sorbe e nespole). Quelli che non si prestavano al consumo immediato, per le loro caratteristiche organolettiche, venivano cotti per ottenere ottime marmellate, gelatine e salse, altri quali corbezzoli, prugnoli, sorbe impiegati per la preparazione di bevande leggermente alcoliche. In questo lavoro, grazie alla preziosa collaborazione dei Ristoranti “Fava” di Casola Valsenio (Ra) e “Avion Blu” di Modena, ho trascritto ricette antiche, fornendo nel contempo anche spunti per nuovi e sfiziosi piatti. Facendo inoltre riferimento ad antichi trattati di medicina e di cultura popolare ho cercato di dare più informazioni possibili sull’utilizzo in campo medico e cosmetico. Fortunatamente negli ultimi anni molti Comuni, Associazioni e Enti, con la collaborazione di alcuni agricoltori organizzano iniziative, mostre e sagre paesane che mantengono in vita la coltivazione di questi frutti. nonchè le tradizioni ad essi collegate. Questo libro nasce quindi come risposta alle frequenti domande curiosità e consigli che i frequentatori di queste sagre ci hanno posto negli anni. Ciò che distingue questo manuale da tanti altri dedicati al medesimo argomento non è solamente la molteplicità di frutti descritti, ma la presenza di molteplici informazioni (medico-cosmetiche, modi di dire, tradizioni, indovinelli, approfondimenti) descritte in modo vivace e immediato. Ora tocca al lettore rimboccarsi le maniche, ricordando che “…vi è uno stretto rapporto tra bosco, campo e giardino, in fondo il giardino non è altro che il prolungamento degli altri…”. Katia Agide Elenco Frutti Dimenticati ♦ Agazzino ♦ Albicocco (Luiset, Paviot, Reale d’Imola, Tondina di Tossignano, Amabile Vecchioni, Ivonne Liverani, Pisana, Bianca, Veecot) ♦ Azzeruolo ♦ Biancospino ♦ Biricoccolo ♦ Castagno ♦ Ciliegio (Selvatico, Pado, Canino, Amarena, Mirabolano, Ciliegio Biggerau Burlat, C.Durone Giallo, C.Durone di Vignola, C.Mora di Vignola, C.Mora di Diolo, C.Fiore di Maggio, C.Progressiflora) ♦ Corbezzolo ♦ Corniolo ♦ Cotogno ♦ Crespino ♦ Fico (Albo, Cuore, Madama, Dottato, Verdino, Brogiotto Nero, Monaco) ♦ Frangola ♦ Gelso ♦ Ginepro ♦ Giuggiolo ♦ Kaki (Mela, Vaniglia, Cioccolatino) ♦ Lampone ♦ Mandorlo ♦ Melograno ♦ Mora di spino ♦ Nespolo ♦ Nocciolo ♦ Noci ♦ Olivello Spinoso-Olivagno ♦ Pesco (Bella di Cesena, Bella di Lugo, Bonfiglioli, Bonvicini, Buco Incavato, Carota, Gialla di Piangipane, Morellona, Piatta a Polpa bianca, Pieri 81, Sant’Anna Calducci, Sanguinea) ♦ Prugnolo ♦ Rosa Canina ♦ Sorbo (Montano, Alpino, Ciavardello, degli Uccellatori, Domestico) ♦ Spino Cervino ♦ Susino (Agostana di Cesena, Di Lentigione, Favorita del Sultano, Favorita Maggiorata, Grossa di Felisio, Occhio di Pernice, Pisera, Regina Claudia d’Althan, Regina Claudia Mostruosa, Regina Claudia Trasparente, Regina Claudia Verde, San Pietro, Spiccalosso, Susino Segondo, Zucchella gruppo) ♦ Uva Spina AGAZZINO (Pyracantha coccinea M.J. Roemer) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Marruca nera, Lazzaròl. Etimologia : Voce dialettale toscana di etimologia incerta. Arbusto spinoso e Distribuito nella regione mediterranea, in Crimea, nel Caucaso ed in caducifoglio. Asia minore. Naturalizzato nell’America boreale. Specie xerofila e Fioritura: Maggio- decisamente eliofila, predilige suoli mediamente ricchi in sostanze giugno. nutritive. Si può trovare in siepi, boschi luminosi e radure. Si presenta Altezza: fino a 2 m. come un arbusto ramificato e cespitoso, sempreverde, con corteccia Ambiente: fino alla dapprima giallastra e poi rosso cupo. I rami sono sparsi con spini forti media collina. alterne, acute. Foglie persistenti, con piccolo picciolo, ovate oblunghe, minutamente dentate, glabre, nella pagina superiore sono lucide color verde scuro, sotto verdi pallido. I fiori si presentano in numerosi corimbi, densi, terminali ai rai laterali; sono piccoli a calice, i petali sono bianchi. Il frutto piccolo è rosso mattone a maturità globoso, della grandezza di un pisello, polposo, molle racchiude 5 semi. Citazioni & Co. Tanaglia, 3-151: “perfetto ancora è il vertice agazzino / che al gennaio mette”. ALBICOCCO (Prunus armeniaca L.) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Mugnega, Mugnegh, Percocca. Etimologia : dall’arabo “AL-BARQŪQ”, deriva dal latino “Praecoquus” – frutto precoce (da cui il merid. "percoco”). Albero a foglia caduca. Originario della Cina settentrionale, introdotto in Europa dagli antichi Fioritura:inizio romani che lo importarono dall’Armenia. Questo tipo ha dato origine ai primavera. vecchi e ai moderni albicocchi; ha foglie ovate, lunghe cm 6-9, larghe Altezza: fino a 8 m. cm 4-6, acuminate, verde scuro, con fiori rosa pallidissimo o bianchi, Ambiente: pianura fino del diametro di cm 2,50, semplici, portati sulla vegetazione dell’anno alla collina. precedente, e frutti globosi, rosso giallognoli. Propagazione: seme, Le piante dell’albicocco prediligono le zone soleggiate, alcune specie talea, innesto. poi temono il gelo, molto più che altre, si raccomanda quindi di scegliere per l’impianto una posizione a sud. Il terreno deve essere ben drenato, non hanno problemi se esso è acido o calcareo, deve essere profondo, fertile e mai troppo asciutto. La stagione migliore per l’impianto è l’autunno. Piante & Varietà Albicocco “Luizet” (o Luisot) Pianta molto vigorosa e produttiva, dai frutti grossi di colore giallo limone punteggiato di rosso, con polpa finissima e succosa, sapore raffinato e gradevole profumo. Il frutto si consuma fresco o in marmellate, ed ha un nocciolo grande che contiene una mandorla dolce. Produce grandi fiori bianchi, e matura tardivamente a metà luglio. Pianta molto rustica. Albicocco “Paviot” Antica varietà tardiva di fine luglio, di provenienza francese. Il frutto è di buone dimensioni, ovale, di colore tra l’arancio ed il giallo, polpa ben colorata, succosa, zuccherina, molto profumata. . Albicocco “Reale d’Imola” (Mandorlana) È una varietà che ha avuto origine in Emilia-Romagna dalla città di cui prende il nome, prima segnalazione nel 1901. L’albero è di grande vigoria, con portamento assurgente, di produttività elevata e costante. Fruttifica tra fine giugno ed inizi di luglio. L’albicocca è molto saporita e di grande pezzatura, presenta buccia arancione e polpa profumata e compatta, varietà molto produttiva. Matura a scalare nel tempo ed ha una buona resistenza alla monilia. Albicocco “Tondina di Tossignano” Varietà che prende il nome dall’omonimo paesino, prima segnalazione nel 1977. Albicocco “Amabile Vecchioni” È stata individuata a Bolghieri (Livorno) dal prof. Franco Scaramuzzi nel 1961 da un selvatico di origine sconosciuta. L’albero è di buona vigoria, di produttività elevata e costante. Il frutto, di calibro medio grosso,è di forma ovalizzata, con buccia di colore giallo molto intenso soffusa di rosa nella parte esposta al sole. La polpa è di colore arancione, di buona consistenza, spicca e di sapore ottimo. Questa varietà è resistente ai marciumi della monilia. Matura alla fine della prima decade di giugno. Albicocco “Ivonne Liverani” Frutto giallo aranciato. Matura dal 15 al 25 giugno. Albicocco “Pisana” Frutto grosso di ottime caratteristiche organolettiche con maturazione medio tardiva (20-30 giugno). Albicocco “Bianco” Albicocco “Veecot” Il frutto è di media pezzatura, dalla buccia arancio carico, che tende al rosso a maturazione (soprattutto se esposta al sole). La polpa è anch’essa arancione, dolcissima e molto consistente. Si raccoglie nella prima e seconda decade di luglio. Citazioni & Co. G.B. Tedaldi, I-29: “Prima si innesta i mandorli e gli albicocchi, perché sono i primi che muovono, e dipoi i peschi.” B. Davanzati, II-507: “Scegli quando innesti marza che abbia cominciato a muovere, giornata calma e quieta: comincia la luna di gennaio; què frutti prima, che movon prima, per esser più caldi, mandorli peschi e albicocchi, tutti in sul susino, che è umido.” Targioni Tozzetti, II-2-496: “Non crederai che [i bruci] avessero a fare gran danno, se a caso non si andassero a rodere le messe dei susini ed albicocchi.” Pascoli, 89: “Il sole così chiaro/che tu ricerchi gli albicocchi in fiore” D’Annunzio, II-723: “I peri, i fichi in terra tosca/son di dolcezza carchi, e i meli,/gli albicocchi, i nespoli ancora!” Negri, I-901: “Fuori stamane il giovine albicocco/primo e solo, nell’orto ancora ignudo” Govoni, I-195: “io che non vidi/di ciliegi di peschi e di albicocchi” Medicina & Cosmesi L’albicocca contiene Sodio, potassio, tracce di ferro e calcio, vitamine: A-C-PP. Utile per problemi alla vista, affaticamento, anemia, stati di convalescenza, depressione, insonnia, nervosismo, invecchiamento, rughe, obesità, memoria, menopausa e stitichezza. In caso di clorosi, vengono consigliati gr. 40-60 di albicocche un paio di volte al dì; queste stimolano la formazione dell’emoglobina del sangue da parte del fegato. Il frutto spremuto, rende un succo leggermente acido che mischiato col latte è ottimo per i trattamenti dell’epidermide, sia per pelli normali che aride. L’albicocca viene spesso usata per creme che aiutano e facilitano l’abbronzatura. Cucina & Ricette Evitate che i bambini mangino i noccioli contenuti nelle drupe. Quelli di gusto amaro contengono infatti acido cianidrico, una sostanza molto tossica. Dolce di Amabile Vecchioni kg1 di albicocche. (non troppo mature), 3 uova, 100g. di farina 00, una manciata di mandorle tritate, lievito in polvere per dolci, 150g. di zucchero,50g. di burro, 1 cucchiaio di zucchero a velo. Imburrare una teglia, in modo da sformare con facilità il dolce. Tagliate a grossi spicchi le albicocche. Disporre le albicocche a raggiera sul fondo dello stampo, cercando di non lasciare spazi vuoti. Montate i tuorli con burro e zucchero fino a ottenere una crema gonfia e unire la farina setacciata, il lievito e le mandorle tritate. Amalgamare infine gli albumi montati a neve. Scaldare il forno a 190° .Versare l'impasto sulle albicocche e cuocere i per 40 minuti circa. Sformare la torta rovesciandola cospargere di zucchero a velo (si ringrazia il Ristorante “Fava” – Casola Valsenio (Ra) - Chef Fava Katia) Conserva di albicocche Prendete albicocche ben mature e di buona qualità, levate loro il nocciolo, mettetele al fuoco senz’acqua e mentre bollono disfatele col mestolo per ridurle in poltiglia. Quando avranno bollito mezz’ora circa, passatele dallo staccio onde nettarle dalle bucce e dai filamenti; poi rimettetele al fuoco con zucchero bianco fine e in polvere nella proporzione di 800 grammi di zucchero per ogni chilo di albicocche passate. Rimovetele spesso col mestolo fino alla consistenza di conserva, la quale si conosce versandone di quando in quando una cucchiaiata in un piatto, sul quale dovrà scorrere lentamente. Distillato d’albicocche 5 dl di alcol a 95°, 6 albicocche, zucchero, acqua distillata Sospendete le albicocche mature in un recipiente utilizzando il metodo della garza. Versate su di esse l’alcol facendo giungere il suo livello a tre centimetri dai frutti. Chiudete il vaso e fate macerare per 70 giorni. Eliminate la garza con le albicocche e assaggiate i prodotto. Aggiungete acqua distillata mescolata a zucchero nella quantità desiderata. Riponete il recipiente in cantina e lasciate stagionare 2 mesi prima di degustare. AZZERUOLO-AZZARUOLO (Crataegus azarolus, L. (sin. Aronia)) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Nazarella, Nazolu (Liguria), Lasarolo, Rasarolo (Piemonte), Lazarino, Nazarena, Pom lazarì (Lombardia), Pomo lazaren, Pom nazariol (Veneto), Cimbar (Friuli), Lazarén, pom nazareni, Pom rejèl, Pumbrièla (Emilia-Romagna), Lazzarolo, Razzerolo, Pomo imperiale (Toscana), Lazzarolo (Abruzzo, Lazio, Campania), ‘Nzalora, Lanzarolu (Sicilia), Lazzarolo(Sardegna). Etimologia : deriva dallo spagnolo “acerolo”, (dall’ar.ar-zu’ rura) con l’articolo concresciuto. Fioritura: IV-V. Pianta originaria del bacino del Altezza: fino a m 10. Mediterraneo, è diffusa nell’Europa Ambiente: dalla costa meridionale, Nordafrica e Asia occidentale, grazie alla sua elevata alla media collina. rusticità lo ritrova sia nelle regioni ad inverno freddo (resiste fino a 25 Propagazione: innesto gradi sotto zero), sia nelle zone ad estete calda e siccitosa. In Italia, (a triangolo, a spacco). coltivata negli orti fin dall’epoca romana ed ora a rischio di estinzione, lo si trova in Liguria, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna e Sicilia). In base al colore dei frutti si distinguono tre tipi di azzeruolo coltivati in Italia: - azzeruolo bianco (detto anche moscatello o lazzeruolo d’Italia a frutto bianco) i cui frutti hanno buccia di colore giallastro chiaro; - azzeruolo giallo (detto anche del Canada) dai frutti di colore giallo oro aranciato; - azzeruolo rosso (detto azzeruolo d’Italia o di Romagna) dai frutti di colore rosso. I tre tipi si distinguono anche per le caratteristiche delle foglie, che nell’a. bianco sono piccole (simili a quelle del biancospino), spesso profondamente suddivise e provviste di due stipole a margine seghettato; grandi, intere, di forma ovale arrotondata e provviste di due piccole stipole nell’a. giallo; di dimensioni intermedie e pure intere, con margine seghettato, ma ovali allungate e prive di stipule nell’a. rosso. Il portamento dell’albero si presenta espanso nell’a. rosso, semieretto negli altri due. Inoltre i rami dell’a. rosso sono spesso provvisti di spine. I fiori in tutti e tre i tipi sono ermafroditi, di colore bianco, riuniti in infiorescenze a corimbo che si sviluppano all’apice di rami e rametti di u anno; la fioritura, a seconda delle latitudini, avviene tra la seconda metà di maggio e i primi di giugno. I frutti, simili a piccole mele, spesso costoluti hanno polpa tenera di colore verde chiaro o crema dal sapore acidulo gradevole, leggermente vinoso,croccante e profumato, contengono piccoli semi (da 1 a 5) di natura simile ai noccioli del nespolo comune. Come si coltiva Quando sono innestate su biancospino le piante vanno poste a dimora lungo la fila alla distanza di circa 3-3,5 metri, se innestate su franco si porranno a 4-4,5 metri; distanze minori possono provocare un reciproco ombreggiamento fra le piante che invece amano il pieno sole. Talora i vivaisti utilizzano il cotogno per la rapida crescita in vivaio, ma le piante hanno la vita più breve anche per la disaffinità. Tra le file si lasceranno 4-5 metri. La pianta se ornamentale, può essere fatta crescere liberamente e in genere assume una forma globosa, che è allungata per l’azzeruolo bianco e per quello giallo, espansa per il rosso. Se invece viene coltivata a scopo produttivo, il più delle volte viene allevata a vaso con 3-4 branche che partono da 1 metro circa da terra. Per quanto riguarda la potatura si potranno effettuare i tagli necessari a far assumere all’albero la forma che si preferisce e per eliminare qualcuno dei rami deperiti o diradare quelli troppo fitti, anche per agevolare la raccolta, specialmente se i rami hanno le spine. Per la potatura da produzione si deve tenere presente che l’azzeruolo produce i frutti all’apice di rami e rametti di un anno. Se questi vengono spuntati, aumenta il numero di rametti che si svilupperanno nella loro parte mediana e quindi aumenterà la formazione di fiori per la produzione di frutti. Per moltiplicare l’azzeruolo si ricorre all’innesto; come portainnesto viene utilizzato soprattutto il biancospino, anche per la sua notevole adattabilità a diverse condizioni ambientali: si può impiegare anche il franco giallo o rosso, ma la crescita delle piante così ottenute è molto lenta(12-15 anni). Altri portainnesti possibili sono: cotogno, pero e nespolo comune. La maturazione dei frutti avviene a partire dalla seconda decade di agosto per l’azzeruolo giallo; in settembre invece si raccolgono i frutti dell’azzeruolo bianco e del rosso. In genere conviene effettuare la raccolta senza attendere la maturazione completa sull’albero. Per l’azzeruolo bianco occorre intervenire quando il colore della buccia diventa giallo chiaro, altrimenti, oltre a correre il rischio di spaccature in caso di pioggia, si avrà il distacco del pendutolo con parte della polpa. Il rosso deve essere raccolto non appena la superficie si è coperta completamente di rosso, altrimenti è facile la caduta a terra dei frutti, anche se, soprattutto se il terreno è inerbito, ciò non determina grossi danni al frutto stesso. L’azzeruolo giallo viene considerato quello dal frutto più gradevole, anche se di dimensioni più piccole degli altri tipi che possono raggiungere gli 8-10 grammi (rosso) e i 10-15 grammi (giallo). Essendo la raccolta fatta precocemente, i frutti devono essere lasciati a maturare ponendoli per qualche giorno stesi sulla paglia in ambiente asciutto. Per avere una conservazione che superi i 3-5 giorni occorre servirsi di un frigorifero con temperatura di 3-4° C; in questo modo la conservazione stessa può giungere a 30-35 giorni. In genere questa è una pianta rustica che può essere coltivata senza trattamenti con fitofarmaci. Tuttavia segnaliamo le principali avversità che possono attaccare l’azzeruolo: l’oidio (Podosphaera clandestina), la ruggine delle pomacee (Gymnosporangium clavariaeforme) e la moniliosi (Monilinia fructigena) tra i funghi; Cydia molesta e Euproctis chrysorrhaea tra gli insetti; il colpo di fuoco da Erwinia amylovora tra i batteri. Usi & Storia Nel XVI secolo, Giacomo Castelvetro chiamava i frutti “Lazzeroni” e sosteneva che essi erano “un frutto non soltanto bello e piacevole all’occhio ma buono di gusto e molto sano per i corpi indisposti” attribuendogli, inoltre, virtù curative: “il suo sapore è agrodolce, ed è fuor di dubbio che allevia la sete dalle febbri ardenti, e per questa ragione, i medici lo danno agli efferati”. Era così convinto delle proprietà di questa bacca che ne fece dono a Sir Arrigo Wottoni, un diplomatico inglese che rese numerose visite in Italia. Il Mattioli associa le azzeruole alle nespole, rifacendosi a Dioscoride (medico greco originario della Cilicia che studiò le proprietà medicinali delle piante e scrisse De Materia Medica, uno dei primi testi autorevoli di botanica e farmacologia) chiamandole “nespole prime” e ne descrive alcune caratteristiche: “ Quando sono maturi, sono gratissimo al gusto, onde procede che sieno stimati non poco tra gli altri frutti, il perché non solamente si mangiano crudi, ma si condiscono, per conservarli nel mele o nel zucchero. Oltre a ciò sono gratissimi, gl’azzeruoli, alle donne gravide, imperò non solamente aggradiscono molto al loro appetito, ma levano loro la nausea.” Per il dono di un cesto di “lazzeruole bianche e rosse” nel 1769 Ferdinando IV di Borbone ammise il donatore al “bacio della sua mano destra”. L’azzeruolo, detto anche “Pom Rejèl”, è una specie multi-funzionale; è infatti una pianta ornamentale, da frutto e medicinale. Come pianta decorativa in parchi e giardini unisce ai pregi estetici nelle fasi di fioritura e di maturazione, l’edulità del frutto, consumato dall’uomo, ma che può avere l’importante funzione di alimentazione dell’avifauna. Come pianta da frutto, è coltivato in frutteti familiari e giardini in esemplari isolati, in filari o innestato in siepi di biancospino. C’è chi dice… “… il vero “pam lazarein” è quello selvatico, con le spine e con la frutta piccola di colore rosso vivo”…. …..”adesso da questo hanno selezionato delle piante che producono frutta più grande come dimensioni, di colore rosso sbiadito e, cosa positiva per i raccoglitori, senza le spine”…. …”l’azzeruolo è comunque un frutto piccolo ma un una fragranza e un gusto eccezionale…”….l’unico inconveniente sono i noccioli che racchiude, numerosi e spessi, che rendono difficile la masticazione…” Medicina & Cosmesi Le azzeruole consumate fresche sono dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive; la polpa ha proprietà antianemiche ed oftalmiche per il contenuto di provitamina A (100-200 gr di frutti di lazzeruolo per i casi di anemia). Ha circa 20 g di carboidrati, tracce consistenti di grassi (1,1 g), molte fibre, calcio (130 mg) ferro (1,1 mg) e potassio. In cosmesi vengono utilizzate per rivitalizzare la pelle. Fiore e frutto contengono principi attivi ad azione cardiotonica, ipotensiva ed antiossidante, similmente al Biancospino. Oggi lo troviamo descritto nella farmacopea europea come costituente della droga Crataegi folium cum flore, contenente germogli fioriti ed essiccati di diverse specie di Crataegus. Cucina & Ricette Questi frutti vengono talora riproposti come ingredienti di ricette antiche e nuove, come confetture, marmellate e gelatine, insalate e macedonie di frutta; si utilizzano in pasticceria, si conservano sotto spirito o grappa. Conserva di azzeruole 1kg di azzeruole, 800g di zucchero, 700g di acqua Gettare le azzeruole in acqua bollente, fa bollire per dieci minuti e, mentre sono ancora calde, togliere i noccioli. Sciogliere lo zucchero in acqua, che può essere anche quella impiegata per bollire le azzeruole, aggiungere i frutti e quando lo sciroppo è addensato versare nel vaso. La conserva può essere usata per guarnire dei dolci. BIANCOSPINO (Crataegus) Famiglia : Rosaceae Nomi dialettali : Spin bianch, Cagapoi, Gratacúl, Boch bianch, Potlèing, Maruca bianca. Arbusti e alberi, sempreverdi o a foglia caduca. Etimologia : Calco probabile Fioritura: Maggio-giugno. del latino “ALBISPĪNUS”, Esposizione: sole. composto da ALBUS=bianco e SPĪNUS=spina; il nome botanico Ambiente:Pianura e collina. deriva dal greco “Kràtaigos” che indicava la pianta del biancospino. Propagazione: seme, talea, La sistematica del genere Crataegus è abbastanza confusa. I innesto. botanici americani ne hanno elencate più di 1000 specie, appartenenti alle zone nordiche e più temperate; successivamente il numero è stato assai ridotto, ma resta tuttavia molto alto. L’Europa e l’Asia ne contano solo una novantina e, di queste, il Baroni ne dà solo 3 come spontanee nel nostro paese; anzi 2, dal momento che considera il C. monogyna una varietà dell’oxyacantha. In tutte le specie le spine non sono modificazioni delle foglie, come in altre piante, ma veri e propri rami. Crataegus oxyacantha, L. (sin. C. oxyacanthoides) Originario dell’Europa e del Nordamerica, in Italia è presente su tutto, il territorio, escluse le isole. E’ un arbusto o un alberello fornito di spine lunghe circa cm 2,50. La corteccia è giallastra e scurisce con l’età. Le foglie sono obovate, a 3-5 lobi, seghettate; i lobi sono rotondeggianti. I fiori sono bianchi, semplici, i corimbi portano 8-10 fiori; il calice e i pendutoli sono sempre lisci. I frutti sono rossi, il più delle volte ovali, dalla polpa farinosa e inspida. Il Correvon, in Champs et bois fleuris, scrive: “Non credo che si possa vedere nulla di più commovente che le siepi del Devonshire a maggio, quando fiorisce il Biancospino. Assume forme gigantesche; non si tratta più di un arbusto, ma di un albero, e quale albero. Onde gigantesche di neve, di un bianco rosato, vi salutano da tutte le parti e vere cupole fiorite si elevano ai margini della strada. E’ una vista gloriosa.” Il Correvon parla di alberi alti m 8-10; ma perché un C. arrivi a simili dimensioni bisogna che passi quasi un secolo. Esistono diverse varietà di C.o.: il più delle volte tuttavia è incerto se derivino da questa o da quella specie seguente, trattandosi spesso di ibridi. Segnaliamo: aurea(sin. Xanthocarpa) a frutti gialli; alba plena a fiori doppi, che diventano rosa prima di sfiorire; candida plena, a fiori doppi bianchi; punica, a fiori semplici, con diametro fino a cm 2, rosso cremisi, molto raccomandabile; coccigea, a fiori semplici, scarlatti; coccigea plena (Paul’s double Scarlet), a fiori rossi, doppi. Crataegus monogyna, Jacq. Ha la stessa, o anche più ampia, diffusione del precedente: giunge fino all’Himalaya. Da alcuni, come per esempio Baroni, è dato come varietà del C. oxyacantha. Le spine sono lunghe e diritte, i rami glabri; le foglie ovate, a 3-7 lobi, più lunghe che del c. oxyacantha, seghettate solo alla sommità. I fiori sono bianchi e semplici, i frutti quasi sferici. Diversamente dal C. oxyacantha, che ha 2 semi, il C.monogyna ne ha solo 1. Può arrivare a m 6 di altezza. Ne esistono diverse belle varietà: pendula, a rami pendenti; pendula rosea, a fiori rosa e rami pendenti; semperflorens (sin. Bruantii) che ha una crescita molto lenta, ha portamento basso e fiorisce fino all’autunno senza interruzione; praecox, che fiorisce e mette le foglie in inverno; striata (sin. Pyramidalis) che cresce eretta e a colonna; rosea a fiori rosa e petali con l’unghia bianca; albo-plena, a fiori bianchi doppi; rubro-plena, a fiori rossi doppi; laciniata, a foglie profondamente incise; ferox (sin. Horrida) raccomandabile per le siepi, con rami coperti di fasci di brevi e solide spine; inermis, senza spine. Come si coltiva Il Crataegus è lento a crescere ed è pianta da terreni calcarei, dove prospera e cresce più rapida e rigogliosa che altrove. Se il terreno è troppo secco non raggiungerà grandi dimensioni; al sole, alla gran luce darà fiori e frutti in abbondanza; coltivato in posizione semi ombreggiata produrrà invece più foglie. Il fatto che i Crataegus, e specialmente le specie nostrane, crescano un poco dappertutto, anche in terreni poveri, non vuol dire che si debba far loro patire sete e fame. La annaffieremo invece abbondantemente se sono esposti in un luogo caldo e luminoso e non faremo mancare loro una buona concimazione a base di letame, una volta l’anno: le piante ci ripagheranno con una crescita più rapida e una maggior espansione. Le specie più rustiche e nostrane si possono anche seminare: ma si tratta di un procedimento assai lungo, che possiamo risparmiare comprando le piantine o andandocele a prendere in campagna, se ancora molto giovani, nel periodo in cui si trovano allo stato dormiente. I floricoltori trapiantano di frequente i C. in vivaio: in caso contrario svilupperanno lunghi fittoni che, disturbati, tarperanno lo sviluppo della pianta. A chi volesse ricorrere ugualmente alla semina, converrà mettere i frutti a macerare nell’acqua; i semi, separandosi dalla polpa, cadranno sul fondo del recipiente; basterà allora farli asciugare al sole e saranno pronti. Si semina in vassoi che si tengono in serra fredda per un lungo periodo, un anno intero, durante il quale occorrerà badare soltanto che la terra resti costantemente umida. Di solito la germinazione avviene nella primavera del secondo anno. Ma vi sono anche specie che germinano il terzo.

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