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Manuale di semiotica PDF

335 Pages·2005·12.168 MB·Italian
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Manuali di base Ugo Volli © 2000,2003, Gius. Laterza & Figli Nei «Manuali Laterza» Prima edizione 2000 Nei «Manuali di base» Nuova edizione aggiornata 2003 Settima edizione 2008 Questo libro è il frutto del lavoro di un gruppo di semiologi riuniti presso l'istituto di comunicazione dello IULM di Milano: Michela Deni, Cristina De Maria, Guido Ferrara, Cecilia Gallotti, Francesco Marsciani, Valencina Pisanty. Mentre la responsabilità complessiva di tutto il lavoro spetta all’autore, il gruppo ha collaborato per la concezione e la stesura di ogni parte del libro. In particolare, tuttavia, si individuano alcuni contributi individuali prevalenti: Valentina Pisanty (§§ 2.2, 4.2, 4.5, 4.6.1, 4.6.2, cap. 6), Francesco Marsciani (§ 3.4), Cristina De Maria (§§ 7.1, 7.5, cap. 11), Cecilia Gallotti (cap. 5, §§ 8.4, 8.5, 8.6), Guido Ferrara (§§ 7.7, 7.8, 9.1, 9.6, 9.7), Michela Deni (§§7.3, 10.4) 1. Comunicazione 1.1. Non si può non comunicare Il punto di partenza della semiotica e la giustificazione della sua utilità si possono trovare in un fatto elementare che è stato definito «il primo as­ sioma della comunicazione» (Watzlawick, Beavin, Jackson 1967). Questo principio afferma che «non è possibile non comunicare». Ogni persona, ogni oggetto, ogni elemento naturale o artificiale del nostro paesaggio, ogni forza o organizzazione «comunicano» continuamente. Comunicare in questo caso vuol dire semplicemente diffondere informazione su di sé, presentarsi al mondo, avere un aspetto che viene interpretato, magari ta­ citamente, da chiunque sia presente. Nel seguito, a proposito di questo fe­ nomeno, seguendo una terminologia semiotica più rigorosa, parleremo piuttosto di «significare» o di «aver senso». Tutte le cose del mondo han­ no senso per noi: questo è un fenomeno meraviglioso e decisivo, cui rara­ mente si fa caso, tanto è fondante per la nostra esperienza. Della nostra esistenza cosciente fa dunque parte, come primo presup­ posto, il fatto che il mondo ci appaia sensato. Il che significa, fra l’altro, che noi vediamo sempre le cose che ci troviamo attorno e i loro compor­ tamenti secondo certe categorie o etichette. Fin dall’inizio non abbiamo l’impressione di percepire un caotico insieme di stimoli sensoriali, cui in effetti i nostri organi sensoriali devono essere sottoposti. Da subito, inve­ ce, vediamo delle cose, relativamente stabili, che agiscono e subiscono azioni. Allo stesso tempo queste cose non sono per noi oggetti astratti, de- Manuale di semiotica 4 gli enti spazio-temporali come sono definiti dalla fisica. Al contrario, essi ci appaiono immediatamente concreti, sensati. Quella forma rossa laggiù, per esempio, è un’automobile; si muove in una certa direzione, sta per svoltare a sinistra e quindi si trova nella parte centrale della carreggiata. Una luce arancione lampeggiante indica l’in­ tenzione del guidatore (che deve esserci, che do per scontato, anche se non lo scorgo) di girare a sinistra. Questo squillo invece è un telefono, che so usare in una certa maniera non solo tecnica ma anche interpersonale (di giorno e non di notte, con persone che si conoscono e non a caso, per di­ re qualcosa e non per cantare, ecc.). A seconda del momento, quello squil­ lo mi dà gioia, angoscia, sorpresa, noia. Ha senso per me perché mi inseri­ sce in un contesto di relazioni interpersonali. Il profumo che sento è cibo, e viene dalla mia cucina: senso di casa. Quel fuso nero è un ombrello, se qualcuno lo ha in mano vuol dire che piove. Quella persona ha un sorriso stanco, è giovane, ha l'aria da studente, dal suo atteggiamento so che mi vuol parlare. Vedo lontano del fumo e capisco che deve esserci un incen­ dio, da qualche parte. Ogni cosa ci appare dunque etichettata secondo la sua apparenza, e fornita, per così dire, di istruzioni per l'uso. Le cose, infatti, non ci ap­ paiono in maniera astratta, come configurazioni geometriche o psicologi­ che di stimoli, ma subito le vediamo secondo la loro utilità, il loro perico­ lo, le azioni che ci sono richieste: ogni cosa è per noi. Questa ricchezza di senso del mondo mobilita moltissime conoscenze, tutta un’enciclopedia di saperi formali e informali. Ed è quindi diversa da persona a persona, da società a società, da tempo a tempo. Ma dappertutto non vi sono se non persone o cose che significano (se non altro, al minimo, che significano per me la loro mancanza di utilità e di interesse). Più le guardo e le studio, na­ turalmente, più il loro senso si arricchisce, in un processo che appare ine­ sauribile. La conseguenza di questo fatto elementare - che il mondo ab­ bia senso - è che il comportamento (o anche l’assenza di comportamento) di ogni persona o organizzazione è una potenziale sorgente di comunica­ zione. Chiameremo significazione questa condizione di ricchezza di senso. L’emergere del senso dal mondo e il suo rapporto con la percezione e con la conoscenza sono un tema centrale per la filosofia, la psicologia, la semiotica. Filosofi come Locke e Hume, Kant e Hegel, Husserl e Hei­ degger, Carnap e Quine; correnti psicologiche come il gestaltismo e il co­ gnitivismo hanno portato rilevanti contributi su questo tema. È impossi­ bile riassumere qui questo dibattito secolare. Per una informazione sulle posizioni semiotiche più recenti al riguardo, vedi Violi 1997, Eco 1997, Greimas e Fontanille 1991. 1. Comunicazione 5 1.2. Comunicazione/significazione Quando ci figuriamo una comunicazione, non pensiamo normalmen­ te a situazioni così elementari come capire la direzione del movimento di una macchina, o dedurre il tempo che fa dal colore del cielo, o identifica­ re un cane da una certa sagoma colorata nel nostro campo visivo. Ci rife­ riamo piuttosto ad attività come spedire una lettera, fare pubblicità, gri­ dare qualcosa a qualcuno, raccontare una storia. In tutti questi casi acca­ de che ci sia qualcuno (che chiameremo emittente}, il quale «trasmette» qualche cosa (che chiameremo messaggio o, in maniera più tecnica, testo) a qualcun altro (che chiameremo destinatario). In questo tipo di comuni­ cazione vi è naturalmente un lavoro da parte dell’emittente, per dare al messaggio un formato accessibile al destinatario. Tale operazione può ave­ re più o meno successo, ma l’iniziativa e il lavoro in essa spettano all’e­ mittente. Il destinatario si trova a ricostruire l’intenzione dell’emittente, a interpretare il messaggio, a reagire ad esso o a rifiutarlo. Ma la situazione di base è quella della trasmissione pura e semplice, come accade quando qualcuno spedisce una lettera a qualcun altro. È evidente che la significazione di cui si è parlato nel paragrafo prece­ dente non è un fenomeno dello stesso tipo della comunicazione vera e pro­ pria. Non c’è in questo caso un emittente che ci mandi un messaggio di cielo grigio per farci prevedere la pioggia, il ragazzo che incontriamo non sta cercando di apparire uno studente (semplicemente ha l’aria di uno stu­ dente), gli esantemi del morbillo non ci vengono inviati dai virus della ma­ lattia come una specie di lettera per informarci, ma sono una sgradevole conseguenza biologica della loro presenza nel corpo, che il medico è ca­ pace di interpretare. La significazione ha però anch’essa, indubbiamente, una certa natura comunicativa. Un passaggio di informazione avviene. In questo caso, tut­ tavia, il lavoro viene svolto tutto dal destinatario, che innanzitutto decide in proprio di assumere questo ruolo, osservando certi fatti. In secondo luo­ go il destinatario assume i fatti che gli interessano come oggetto di infe­ renza, applicando ad essi, in maniera più o meno consapevole, le proprie conoscenze. Possiamo immaginare, forzando un po’ le cose, che in questo caso si applichino delle regole. Per esempio, io so che, se c’è un incendio, allora si vede del fumo (questa potrebbe essere pensata come una regola), e io effettivamente vedo del fumo. Allora posso dire che è probabile che ci sia un incendio. Uno studente si veste in un certo modo. Tizio è vestito in quel modo, dunque mi sembra uno studente. Quando piove si usa l’om­ brello. Vedo qualcuno che porta un ombrello aperto, e penso che piova. Non c’è alcuna necessità logica nelle regole che agiscono nei processi Manuale di semiotica 6 di significazione. Solo una costruzione di probabilità, una specie di scom­ messa sul fatto che il mondo funzioni in maniera regolare e sensata. Sulla base dell’ipotesi generalissima che tutto ciò che accade abbia senso, noi costruiamo delle regole ipotetiche per spiegare quel che accade e le appli­ chiamo poi, in via ancor più ipotetica, ai casi che stiamo esaminando. Se­ guendo Peirce (per esempio 1984) chiamiamo abduzione questa forma di ragionamento semi-logico, ma comunissimo. TIPI DI COMUNICAZIONE La comunicazione si Il lavoro comunica­ capisce per via di... tivo è svolto da... Comunicazione Codice Emittente vera e propria Significazione Regole/Abduzione Destinatario Perché trattare assieme i processi di comunicazione vera e propria e di significazione sotto il nome comune di comunicazione? Negli studi su questo argomento, la parola comunicazione è stata usata in modo ambi­ guo, ed è meglio rispettare tale uso per non produrre ulteriore confusio­ ne. Ma poi ci sono due ragioni di sostanza. In primo luogo, anche i mec­ canismi che rendono possibile la comunicazione vera e propria sono ca­ ratterizzati dalla logica della significazione. Perché l’oggetto che viene tra­ smesso dall’emittente al destinatario possa adempiere alla sua funzione, esso deve risultare significativo. In secondo luogo, è spesso facile e in ge­ nere assai comune lavorare sull’aspetto di una cosa o di una persona, ma­ nipolare insomma la sua significazione, in maniera tale da raggiungere de­ terminati effetti comunicativi. Dunque si può produrre comunicazione mo­ dificando la significazione di un oggetto. Pratiche come il packaging e il de­ sign degli oggetti, l’arredamento e la cura della casa, l’abbigliamento e la cura del viso e dei capelli sono mezzi comunissimi per alterare e in gene­ re migliorare la percezione di un oggetto sociale, in maniera tale da otte­ nere una certa immagine. In questo modo spesso la significazione nascon­ de una comunicazione vera e propria: il destinatario crede di scoprire il senso di qualcosa e in realtà riceve una comunicazione accuratamente ela­ borata da un emittente. E in generale è persino possibile pensare tutta la comunicazione come una complessa manipolazione dell’ambiente opera­ ta da qualcuno (l’emittente) interessato a far sì che qualcun altro (il desti­ natario) percepisca un certo senso. I fenomeni semiotici della comunica­ zione e della significazione, insomma, si incrociano fittamente e si con­ tengono spesso l’un l’altro a diversi livelli. C’è un terzo concetto importante, da non confondere con i primi due, 1, Comunicazione 7 ed è quello di informazione. In un senso che può essere formalizzato e in linea di principio calcolato matematicamente, l’informazione può essere intesa come la capacità di ridurre l’incertezza sullo stato del mondo. Esse­ re informati sul risultato di una partita di calcio, per esempio, vuol dire ri­ durre i possibili tre risultati (vittoria, pareggio, sconfitta) a uno solo che si è effettivamente realizzato. Da questo punto di vista è possibile misurare ogni informazione sulla base del numero di scelte binarie (nel gergo infor­ matico: il numero di bit) che sono necessarie per determinarla univoca­ mente. Se per esempio le possibilità sono otto, per definire quale di esse effettivamente si verifica sono necessarie tre scelte binarie e dunque quel­ l’informazione vale tre bit. Così definito, quello di informazione è un con­ cetto molto utile in ambiti scientifici, tecnologici e soprattutto informati­ ci. Ma, per quanto riguarda le interazioni umane, nelle quali il senso è im­ portante, esso risulta del tutto inadeguato. E infatti molto difficile stabili­ re a priori il numero delle alternative che fanno da sfondo a ogni comuni­ cazione, dato che esse dipendono in maniera determinante dalle cono­ scenze condivise fra gli interlocutori e in particolare dal loro linguaggio. Vi sono sempre, nei rapporti fra gli esseri umani, fenomeni di ridondanza (cioè di informazioni che non sono trasmesse nella maniera più economi­ ca, ma al contrario sono ripetute e ribadite in diversi modi, in maniera da renderle più convincenti o meno sensibili ai disturbi della comunicazione, che vengono definiti dalla teoria dell’informazione come rumore). E vi so­ no dei fenomeni di informazione ellittica o implicita, in cui l’emittente non cerca neppure di trasmettere tutta l’informazione che intende far giunge­ re al destinatario, perché fa affidamento sulla capacità di quest’ultimo di integrare col ragionamento, o con i dati che presume siano in suo posses­ so, gli elementi mancanti. Infine, la comunicazione non serve solo al pas­ saggio di informazione pura e semplice, ma consiste in vari tipi di azione-. convincere, per esempio, promettere, sedurre, far immaginare e così via. E queste azioni difficilmente si possono far rientrare nel calcolo della quantità di informazione trasmessa. Per un approfondimento sulla nozione di abduzione e sui concetti ad essa collegati, vedi infra al § 6.3, e anche Eco e Sebeok, a cura di, 1983. E stato molto vivace il dibattito che contrapponeva una semiotica della comunicazione propugnata da Eco 1968, 1975, Barthes 1964b, Prieto 1975 a una semiotica della significazione difesa da Greimas 1966, 1970. Una proposta di analisi della comunicazione tutta dal punto di vista del­ la manipolazione della significazione è Sperber e Wilson 1992. Per la de­ finizione matematica dell’informazione: Shannon e Weaver 1949. Manuale di semiotica 8 1.3. Ricezione Si definisce ricezione l’atto con cui un certo messaggio o testo è fatto proprio da un essere umano (o da un altro essere vivente o da un qualche dispositivo adatto) che in questo caso viene definito destinatario, ricetto­ re o ricevente, o lettore. La ricezione è dunque il momento in cui, in una certa porzione del mondo, che per l’appunto l’atto della ricezione qualifi­ ca come testo, emerge per qualcuno un senso. In questa attribuzione di senso si trova il punto di partenza del complicato processo di interpreta­ zione. Di conseguenza si tratta dellW/o decisivo della comunicazione. Si può facilmente ammettere infatti che vi sia comunicazione senza emitten­ te, per esempio nei casi in cui dalla lettura di uno strumento scientifico o dai sintomi di una malattia o da altri indizi, cioè configurazioni rilevanti del mondo, qualcuno tragga un senso (esempi classici di indizi sono il fu­ mo per il fuoco, la febbre per la malattia, l’impronta digitale per l’assassi­ no). Ma al contrario, non vi è comunicazione efficace, anzi non vi è affat­ to comunicazione, senza ricezione. Gli stessi indizi che abbiamo citato, senza nessuno che li interpreti, sono semplici fatti del mondo, privi di ef­ fetti comunicativi. E lo stesso vale per strumenti di misura, allarmi auto­ matici, cioè dispositivi costruiti apposta per comunicare un segnale a qual- cuno-, senza destinatario (o almeno un dispositivo automatico che rispon­ da loro secondo modelli predisposti da un progetto), questi strumenti fun­ zionano materialmente, ma non creano senso. Un termometro che non è letto (o non serve come input per un sistema di rilevamento automatico) può funzionare perfettamente, ma letteralmente non ha senso, resta una colonna di mercurio in un tubo di vetro. Così per una popolazione di bat­ teri nel sangue di un malato che nessuno mette sotto un microscopio, o per il fumo di un incendio che nessuno scorge. Solo un’interpretazione (magari incorporata in un termostato) mette in relazione l’espansione del mercurio con il livello della temperatura, l’aspetto dei microbi con il de­ corso di una malattia. L’universo è pieno di indizi o sistemi di misura po­ tenziali, che nessuno rileverà mai. E viceversa, forse ogni cosa del mondo potrebbe diventare significativa, se fosse inserita nel sistema adatto di do­ mande. Tale concetto si applica a maggior ragione per l’esempio più tipico del­ la comunicazione volontaria, la produzione linguistica di un essere uma­ no, che non può logicamente essere pensata senza un polo ricettivo. An­ che chi grida da solo nel deserto o prova a scrivere una lettera che poi non spedirà, mette in opera lui stesso necessariamente una qualche ricezione parziale del suo stesso testo, se non altro per controllarlo; e comunque si figura una possibile ricezione futura, si regola su un ricevente virtuale ma 1. Comunicazione 9 non per questo inefficace (per esempio sceglie di usare una certa lingua e certe espressioni, in funzione di chi pensa potrà ricevere il suo messaggio). Se guardiamo all’organizzazione di una comunicazione normale, per esem­ pio di una telefonata o di una conversazione, troviamo che senza una rice­ zione effettiva, si tratta solo di tentativi di comunicazione: in presenza di ru­ more o altri disturbi, il tentativo di comunicare continuerà finché non si sarà avuta una ricezione - e la relativa conferma, esercitata spesso attra­ verso la funzione fàtica (vedi § 1.4) in ogni conversazione. Solo allora la comunicazione si sarà realizzata. L’emittente produce il tentativo-, solo l’av­ venuta ricezione realizza la comunicazione vera e propria. Esistono certamente degli oggetti culturali che sono compiuti prima della loro effettiva comunicazione al pubblico: è il caso di opere letterarie e delle altre arti. La Divina Commedia ha avuto certamente un senso pri­ ma delle complesse vicende della sua ricezione. Ma si tratta qui di oggetti comunicativi molto peculiari, seppure importanti, che si possono qualifi­ care più come eccezioni che come casi tipici. E pure allora bisogna pen­ sare che l’artista, nel suo lavoro di riscrittura e di perfezionamento, agisca anche e soprattutto come ricettore primo del suo lavoro. Ogni comunica­ zione presuppone dunque, a diversi livelli, un atto di ricezione: una rice­ zione empirica, negli atti comunicativi riusciti; un’autoricezione e un cer­ to modello di ricezione virtuale (cioè certe ipotesi sul possibile ricettore) in ogni altro caso. Chiameremo in seguito (§6.1) «lettore modello» que­ sto modello di ricezione virtuale. Lo stesso testo che viene comunicato, a rigore si forma solo nell’atto della ricezione. È infatti il ricettore a deciderne definitivamente i confini, cioè a stabilire col suo atto di lettura qual è esattamente il testo recepito (per esempio, un articolo di giornale, un titolo o un’intera pagina; un li­ bro letto da cima a fondo e di seguito o scorso velocemente; un verso o una cantica intera; una trasmissione televisiva isolata o il montaggio di uno zapping). È il ricettore a contestualizzare il testo alla sua enciclopedia, cioè ad attualizzare certi suoi significati a differenza di altri (per esempio, a leg­ gere VAntigone di Sofocle come un testo sul conflitto fra libertà indivi­ duale e Stato, piuttosto che sul conflitto fra diritto della polis e diritto di­ vino, o fra valori maschili e femminili). È infine il ricettore che colma gli inevitabili buchi del testo con la sua attività figurativa, che gode del testo trasformandolo da oggetto inerte in relazione sociale. L atto semiotico fondamentale non consiste dunque nella produzione di segni, ma nella comprensione di un senso. Questo non significa innan­ zitutto ricondurre un oggetto significante (o representamen) a una legge generale di tipo ipotetico (se c’è questo, allora quello), ma semmai porlo come un testo e cioè interrogarsi sul perché di quell’oggetto, dunque in- Manuale di semiotica 10 nanzitutto sulla sua differenza rispetto al contesto (differenza sintagmati­ ca), sulla sua differenza rispetto a quel che potrebbe essere al suo posto (differenza paradigmatica) e sulla ragione di queste differenze - che sono sempre ragioni, rete di ipotesi principali e accessorie che costituiscono la testualità dell’oggetto. Alla base di questo atto semiotico c’è dunque la me­ raviglia, l’essere stupiti - base di tutta la filosofia e la scienza. Il principio di efficacia di questa meraviglia è la rilevanza o salienza nel contesto. Il suo modo di funzionamento consiste nel rilevare identità e differenze di tipi. La produzione di segni è invece dell’ordine della manipolazione-, si tratta di realizzare degli oggetti che, per il modo in cui sono fatti o per la loro posizione, «chiedano» di essere interpretati. La ricerca semiotica ha mostrato che si possono ricostruire in ogni te­ sto dei simulacri della ricezione virtuale immaginata dall’autore come pos­ sibile interlocutore: è quel che Umberto Eco chiama lettore modello, cioè una certa competenza linguistica e di genere, un certo atteggiamento ideo­ logico, un certo bagaglio enciclopedico che permette di dare per scontata una certa forma del mondo e così via. Nessun testo può fare a meno di un lettore modello perché necessariamente esso deve formularsi secondo un codice linguistico e dare per scontate certe conoscenze sulla realtà, che so­ no presupposte comuni al destinatario. Dal lettore modello bisogna tener distinti un altro tipo di simulacri del­ la ricezione che sono presenti spesso anche se non sempre nelle comunica­ zioni letterarie, giornalistiche, televisive, pittoriche, ecc. Si tratta del desti­ natario rappresentato, che consiste in una certa figura (o più d’una) che sta nel testo, in modo esplicito a marcare enunciativamente il lettore o lo spet­ tatore: per esempio il pubblico in studio di una trasmissione televisiva, il lettore cui si rivolge eventualmente in seconda persona un narratore, i vari soggetti delle rubriche di «lettere» su un giornale e così via. In questi casi siamo di fronte a un’enunciazione enunciata, in cui l’atto della comunica­ zione (e in esso la figura della ricezione) viene rappresentato oltre che ese­ guito. Non sempre, però, la ricezione enunciata, e prevista dall’autore se­ condo il filtro del lettore modello, corrisponde alla ricezione effettiva. Da quel che si è detto risulta chiaro che la ricezione è certamente un atto del ricettore e non solo una sua passiva condizione, e soprattutto che non si tratta per nulla di un atto semplice e puntuale. Si tratta piuttosto di un processo complesso, che coinvolge numerose tappe e verifiche, che vie­ ne compiuto non nella solitudine di un soggetto astratto, ma in un rap­ porto stretto e dialogico col testo, con la società in cui la ricezione si svol­ ge, con gli altri testi che il ricettore conosce e da cui è influenzato. La co­ siddetta «estetica della ricezione» ha mostrato che alla base di ogni atto ri-

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