Quando, nel 1978, i nerazzurri di Eugenio Bersellini sbarcano all'aeroporto di Pechino, su una pista occupata solo da velivoli militari, prima squadra occidentale a giocare in quel Paese, il destino sta già tessendo le sue trame. Con perfetta simmetria, infatti, anni dopo il FC Internazionale Milano è stata la prima società italiana ad avere un proprietario cinese. Era un altro mondo, anche nel calcio: non c'erano procuratori, i contratti erano annuali, quindi il rinnovo bisognava sudarselo ogni volta correndo come matti, tutta la squadra era italiana doc, dai giocatori ai manager, e i ruoli in campo erano ben definiti, c'erano le ali, i terzini, i mediani. Non si regalava la maglia autografata ai tifosi, perché era una sola in dotazione per tutta la stagione. E le veline erano ancora solo fogli di carta. I campioni che hanno fatto grande l'Inter degli anni Settanta e Ottanta, di cui cinque artefici del Mondiale 1982, rievocano con umorismo e nostalgia la stagione d'oro della squadra nerazzurra, quando la società era come la mamma, che ti allevava e ti faceva crescere, gli allenatori facevano anche la parte del papà severo, e la parola data aveva valore di contratto. E con lo stesso humour e lo stesso affetto, fanno i raggi X alla squadra di oggi. La verità è che il nerazzurro non si toglie con la maglia, rimane impresso sulla pelle, e infatti nessuno di loro ha mai dato l'addio alla beneamata. Quello che ancora oggi rimane invariato, e che li accomuna agli oltre quattro milioni di tifosi, è il cuore grande del popolo interista. E la sua eterna capacità di sognare.