Il compimento dell’amore come chiave di lettura della Pasqua di Gesù 271 «Li amò sino alla fi ne»: il compimento dell’amore come chiave di lettura della Pasqua di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni di Chiara Curzel This paper proposes to conjugate the exegetic analysis grounded in the original text of the Gospel of John with certain notions from spiritual readings. Starting from the common linguistic root present in John 13,1 («loved … to the end») and John 19,30 («It has been completed») it is possible to hypothesize an inclusion which allows interpreting the entire event of Easter starting from the category of completion and, more specifi cally, of the completion of love. Tutti e quattro i Vangeli dedicano ampio spazio agli ultimi giorni della vita di Gesù, narrando in modo particolareggiato la sua passione, morte e risurrezione. Pur nelle molte concordanze, è possibile però rile- vare accenti e sottolineature differenti, che connotano lo stile di ciascuno. L’intera seconda parte del vangelo di Giovanni (13-21) si svolge in quei drammatici giorni di morte e di vita, anticipati dai lunghi discorsi di Gesù durante l’ultima cena (13-17). Scorrendo l’originale greco si scopre un’interessante inclusione che dà alla narrazione giovannea un tono par- ticolare: in 13,1 tutto ciò che sta per avvenire è introdotto come ‘amore sino alla fi ne’ (εἰς τέλος ἠγάπησεν αὐτούς) e sulla croce Gesù grida «è compiuto» (τετέλεσται). Si può dunque leggere la Pasqua di Gesù sotto la chiave interpretativa del τέλος, del compimento e, nello specifi co, del compimento dell’αγάπη, di quell’amore che aveva motivato l’incarnazione del Verbo e la sua missione tra gli uomini. I capitoli 13-21 diventano di conseguenza una ‘storia dell’αγάπη’, esemplifi cata nella lavanda dei piedi, comandata nel precetto dell’amore, pregata nell’implorazione di Gesù al Padre (capitolo 17), compiuta sulla croce, accolta dai discepoli nell’incontro con il Risorto. 1. Analisi linguistica Per comprendere meglio il signifi cato che l’evangelista attribuisce ai passi che saranno oggetto di questo studio, può essere utile una breve 272 Chiara Curzel analisi lessicale, che consenta di meglio individuare l’ambito semantico entro cui si muove il gruppo di termini τέλος, τελέω, τέλειος, τελειόω, nel vocabolario della grecità classica, nella tradizione dei LXX e infi ne all’interno dell’intero corpus del Nuovo Testamento.1 a. Etimologia ed uso nel greco classico L’etimologia di τέλος e dei termini ad esso correlati non è certa. Il vocabolo potrebbe derivare dalla radice *tel (o *quel) che signifi ca ‘girare intorno’ e quindi indicherebbe in origine il ‘timone’, lo ‘sterzo’, e, di con- seguenza, la ‘svolta’, la ‘conclusione’, il ‘punto culminante’, dove termina una misura e ne inizia un’altra.2 In questo senso il matrimonio e anche la morte sono un τέλος per l’uomo, in quanto dichiarano conclusa una fase e danno inizio a qualcosa di nuovo. Un’altra possibile derivazione è da *telos con il signifi cato di ‘elevazione’, ‘prestazione’.3 Un uso particolare e antico del termine lo ritroviamo in Esiodo e Sofocle con il signifi cato di ‘bilancia’, ‘piatto della bilancia’ che pende dall’una o dall’altra parte per decretare la vittoria o la sconfi tta in una contesa.4 Il termine allude comunemente fi n dai tempi più antichi all’idea di ‘compimento’, ‘adempimento’ di una decisione, di una legge, di una sen- tenza; di qui il passaggio al signifi cato di ‘fi ne’, ‘méta’, ‘esito’, ‘termine’ e quindi ‘scopo’, ‘punto culminante’, ‘coronamento’, ‘perfezione’. Particolare importanza riveste questo termine in ambito fi losofi co. Esso indica, soprattutto nel pensiero aristotelico, lo scopo dell’agire umano e come tale è una delle quattro cause, il ‘ciò per cui’ l’uomo agisce. Nella sua etica il fi losofo defi nisce quale «scopo delle nostre azioni» (τέλος τῶν πρακτῶν) «il sommo bene», da noi ambito per se stesso, in fi n dei conti la felicità (εὐδαιμονία), che consiste, in primo luogo, nel vivere secondo ragione. Oltre che nell’etica, il vocabolo riveste una certa importanza anche nella fi sica, in quanto, in base alla concezione teleologica, tutto ciò che è prodotto dalla natura e in essa avviene ha un fi ne. In ambito religioso, i riti e i sacrifi ci sono chiamati τέλη: hanno il compito di portare l’uomo a perfezione, alla vicinanza con Dio. La divi- nità stessa è defi nita come ἀρχὴ καὶ τέλος‘principio e fi ne’, opera di se stessa e nello stesso tempo detentrice di ogni potere su tutte le cose, suffi ciente a sé e a tutti. Frequenti sono anche le locuzioni preposizionali con τέλος. Usate in senso avverbiale, esse indicano la totalità, soprattutto di carattere tem- 1 Le fonti utilizzate sono: R. SCHIPPERS, τέλος, in L. COENEN - E. BEYREUTHER - H. BIETENHARD (edd), Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, trad. it., Bologna 1976, pp. 695-701; G. DELLING, τέλος κτλ, in R. KITTEL - G. FRIEDRICH (edd), Grande lessico del Nuovo Testamento, XIII, trad. it., Brescia 1981, coll. 951-985; H. HÜBNER, τέλος, in H. BALZ - G. SCHNEIDER (edd), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, II, trad. it., Brescia 1988, coll. 1601-1603. 2 Cfr. R. SCHIPPERS, τέλος, p. 695. 3 Cfr. G. DELLING, τέλος κτλ, col. 953. 4 ESIODO, Teogonia, 638; SOFOCLE, Edipo a Colono 422. Il compimento dell’amore come chiave di lettura della Pasqua di Gesù 273 porale: εἰς τέλος ‘completamente’, ‘interamente’, ‘alla fi ne’; διὰ τέλους ‘per sempre, ‘continuamente’; μέχρι τέλους ‘del tutto’. Bastano questi pochi accenni per evidenziare la gamma di sfumature del termine già nell’ambiente classico, esterno al Nuovo Testamento, e dunque la diffi coltà di una traduzione che risulta non sempre facile e univoca.5 Il verbo τελέω, accompagnato dai suoi numerosi composti, ha un uso molto antico, importante e diffuso. Esso signifi ca in generale ‘eseguire’ ciò che si vuole personalmente o ciò che altri vogliono, anche nel caso della volontà divina. Una accezione particolare è quella legata all’ambito religioso: in questo contesto τελέω indica ‘compiere’ atti quali un sacrifi cio, una festività, una preghiera, ma anche atti legati alla magia e al culto misterico. Accanto a τέλος e al corrispettivo verbo τελέω si trovano anche τέλειος e τελειόω. Questi due termini si distaccano in parte dal signifi cato temporale-fi nale per assumere quello di ‘perfezione’, ‘pienezza’. L’aggettivo è attribuito a ciò che è intero, senza difetti, integro, ciò a cui non manca nulla nel suo genere e quindi, in riferimento alle persone, indica l’adulto, l’uomo maturo. Il verbo di conseguenza rende l’idea di un processo che porta alla perfezione, alla maturità. Derivano dalla stessa radice e appartengono allo stesso ambito seman- tico altri sostantivi che si ritrovano sia nel greco classico che in quello neotestamentario e che meritano almeno di essere menzionati: τελείωσις ‘compimento’; τελειωτής ‘perfezionatore’; συντέλεια ‘conclusione’, ‘compimento’. b. Uso nella traduzione dei LXX Τέλος compare più di 150 volte nei LXX, ma raramente acquista una forte connotazione semantica. Esso è usato molto spesso in senso avver- biale, con signifi cato temporale e corrisponde all’italiano ‘per sempre’, ‘in eterno’, ‘continuamente’.6 Il sostantivo τέλος traduce spesso l’ebraico qëc e derivati, con il signi- fi cato temporale di ‘conclusione’, ‘fi ne’, ‘margine’, ‘confi ne’. Qëc in senso escatologico è reso invece con il termine συντέλεια, che allude ad un giorno fi nale con tinte apocalittiche. Mentre, quindi, nella fi losofi a greca e in genere nel greco classico predomina il signifi cato teleologico del termine (il fi ne), nella Bibbia dei LXX (e, come vedremo, in numerosi passi del Nuovo Testamento) l’accezione è soprattutto temporale (la fi ne) e piuttosto 5 Oltre a questo ambito semantico primario, τέλος può indicare anche ‘potere’, ‘autorità’, ‘uffi cio’ oppure ‘imposta’, ‘tassa’, ‘tributo’ o ancora ‘divisione militare’, ‘schiera’, ‘squadra’ e infi ne ‘offerta’, ‘doni’, ‘cerimonia’. Tali accezioni, meno frequenti, non rientrano però nell’interesse di questo lavoro. 6 In più di 15 occasioni la forma avverbiale εἰς (τὸ) τέλος traduce l’ebraico länecaH (ad esempio Gb 20,7; Sal 9,7; Ab 1,4). In molti salmi la stessa espressione greca è stata usata per tradurre in maniera erronea l’ebraico lamnaccëªH, che signifi ca probabilmente ‘per il culto’, ‘per il maestro del coro’ o ‘per l’esecuzione musicale’. 274 Chiara Curzel debole, al punto che l’espressione εἰς τέλος viene usata per indicare una conclusione anche quando non c’è un corrispondente ebraico. Il verbo τελέω si trova 30 volte per tradurre 8 termini ebraici differenti, per lo più con il signifi cato di ‘eseguire’, ‘attuare’, ‘concludere’, ‘portare a termine’. Il signifi cato religioso (‘essere consacrato a’) è impiegato solo in rapporto con i culti pagani e di conseguenza in senso negativo. L’aggettivo τέλειος e il verbo τελειόω7 pongono l’accento sull’integrità e la perfezione. Il primo viene usato quando si parla del cuore, dedito totalmente a Dio (cfr. 1Re 8,61) oppure di uomini votati completamente a Dio (cfr. Gn 6,9); il secondo indica il ‘rendere perfetto’, ‘perfezionare’ o comportarsi in maniera integerrima (cfr. 2Sam 22,26; Ez 27,11). Un signifi cato particolare assume il verbo τελειόω quando traduce l’ebraico millë´tä yad che signifi ca ‘riempire (la mano)’, cioè consacrare al culto (9 volte nel Pentateuco, ad es. Es 29, 9.29). Allo stesso modo τελείωσις è usato 11 volte con il signifi cato di ‘consacrazione’, in parti- colare quando si parla di consacrazioni sacerdotali.8 c. Uso nel Nuovo Testamento Nel Nuovo Testamento i vocaboli di questo gruppo sono usati abba- stanza spesso: τέλος 41 volte (soprattutto in Paolo e nei sinottici), τελέω 28 (nei sinottici e nell’Apocalisse), τέλειος 20, τελειόω 23 volte (entrambi soprattutto nella Lettera agli Ebrei). Non tutte le attestazioni possono essere classifi cate con sicurezza dal punto di vista lessicale, a volte il signifi cato risulta sfumato o ambivalente; una determinata accezione fondamentale può essere comunque ricavata dal contesto. I vari usi dei termini in questione possono essere sommariamente divisi in due grandi gruppi, che conoscono varie gradazioni e compenetrazioni: l’uso con signifi cato dinamico-tempo- rale e quello con signifi cato fi nale-teleologico. Per quanto riguarda il sostantivo τέλος la prima accezione risulta particolarmente chiara nella formula τέλος ἔχειν che riguarda ciò che viene ‘eseguito’, ‘attuato’, ciò che ‘ha fi ne’ (cfr. in particolare Lc 22,37 e Mc 3,26). Molto spesso τέλος si può trovare, privo di articolo, nei nessi preposizionali. In questo caso esso non ha l’impronta di termine tecnico, ma è usato, come abbiamo già visto in campo profano e nei LXX, come locuzione temporale (‘per sempre’, ‘fi no all’ultimo’) o quantitativa (‘inte- ramente’, ‘pienamente’).9 7 Sono presenti nella Bibbia dei LXX rispettivamente 20 e 25 volte. 8 Tale valenza sacerdotale continuerà a far sentire la sua infl uenza anche nella lingua del Nuovo Testamento, in particolare nella Lettera agli Ebrei, ma non manca chi vede un riferimento all’investitura sacerdotale anche nell’adempimento delle Scritture segnalato da Giovanni in relazione alla morte in croce di Gesù. Cfr. Y. SIMOENS, Secondo Giovanni. Una traduzione e un’interpretazione, trad. it., Bologna 2002, p. 763. 9 Malgrado questa affermazione di carattere generale presente nei lessici, grande spazio avrà in questa analisi l’uso della locuzione εἰς τέλος in Gv 13,1, che coniuga entrambe le valenze. Il compimento dell’amore come chiave di lettura della Pasqua di Gesù 275 Maggiormente rilevante, anche se con diversa intensità, risulta essere il valore fi nale del termine. In alcuni casi esso indica lo scopo di una pre- scrizione data (cfr. 1Tim 1,5: il fi ne del richiamo è la carità; 1Pt 1,9: il fi ne della fede è la salvezza delle anime). La valenza dinamica e quella fi nale si trovano combinate nel valore di τέλος come ‘esito’, ‘risultato fi nale’, ‘sorte defi nitiva’, in particolare col signifi cato escatologico di ‘destino fi nale’ e anche ‘fi ne del mondo’.10 Valenza temporale ed escatologica ha anche la formula con cui Dio si autodefi nisce nell’Apocalisse: ἀρχὴ καὶ τέλος ‘principio e fi ne’ (Ap 21,6; 22,13): essa designa l’eternità, ma anche la maestà assoluta di Dio e di Cristo sul tempo e sulla creazione (cfr. Ap 1,8; Eb 12,2). Allo stesso modo anche il verbo τελέω riceve diverse accentuazioni: in indicazioni temporali indica la conclusione,11 ma più forte è il senso dell’adempimento, del compimento (cfr. 2Cor 12,9: la forza giunge a compimento proprio nella debolezza; Gv 19,28.30: sulla croce tutto giunge al suo compimento;12 2Tim 4,7: l’Apostolo ha compiuto la corsa fi no al successo; Ap 10,7; 15,1.8: nelle sette piaghe si compie l’ira di Dio). Il verbo è usato, assieme a τελειόω e πληρόω, anche per indicare il ‘com- pimento delle Scritture’ (cfr. Lc 22,37). Sul piano teologico τέλος e τελέω si caratterizzano per la preminente funzione fi nale-escatologica, legata prevalentemente agli ultimi tempi. I termini sono fortemente infl uenzati dal genere apocalittico e indicano la perfezione di un processo dinamico, la cui meta è contemporaneamente realizzazione del signifi cato e della fi nalità. Diversa invece è la valenza teologica della coppia τέλειος - τελειόω, maggiormente legata all’ambito antropologico. In Paolo τέλειος è l’uomo ‘maturo’, ‘cresciuto’, ‘adulto’ (cfr. 1Cor 2,6; 14,20; Fil 3,15; Col 1,28), oppure ciò che corrisponde al volere di Dio in modo ‘perfetto’ (Rm 12,2; Col 4,12). Nei sinottici i due termini sono scarsamente presenti;13 in Giovanni troviamo un uso più ampio per indicare le opere del Padre che Gesù deve ‘compiere’ (Gv 4,34; 5,36; 17,4) oppure il compimento delle Scritture (19,28). Un posto tutto particolare ha il verbo τελειόω nella Lettera agli Ebrei: in essa il termine ha quasi sempre, a differenza degli altri scritti del Nuovo Testamento, un contenuto cultuale, in riferimento all’uso già presente nella Bibbia dei LXX. In questo contesto il verbo signifi ca ‘rendere perfetto’ 10 Alcuni esempi: Rm 6,21-22: il τέλος del peccato è la morte, il τέλος della giustizia è la vita eterna; 2Cor 11,15: il τέλος dei falsi apostoli sarà secondo le loro opere; 1Cor 15,24: quando Cristo riconsegnerà il regno a Dio Padre sarà la ‘ fi ne’; in Mt 24,6.14, Mc 13,7, Lc 21,9 τέλος è il termine tecnico per indicare la ‘fi ne del mondo’. Una menzione particolare richiede Rm 10,4 in cui l’Apostolo sentenzia che il τέλος della legge è Cristo: in questa affermazione lapidaria convergono la valenza temporale: in Cristo la legge ha cessato di essere via alla salvezza (cfr. R. SHIPPERS, τέλος, p. 697) e quella fi nale: Cristo come ‘compimento’ della legge mediante l’amore (cfr. H. HÜBNER, τέλος, col. 1603). 11 In passi redazionali è tipica di Matteo: ότε ἔτέλεσεν ὁ ᾽Ιησοῦς: «quando Gesù ebbe fi nito» (Mt 7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1). 12 Questo passo, oggetto dello studio, verrà poi approfondito. 13 τέλειος solo in Mt 5,48; τελειόω solo in Lc 2,43; 13,32. 276 Chiara Curzel nel senso di ‘consacrare’, ‘santifi care’ per poter avvicinarsi alla presenza di Dio ed è usato per sottolineare la differenza tra Cristo sommo sacer- dote perfezionato mediante la sofferenza (2,10; 5,9; 7,28) e il sacerdote dell’antica alleanza, soggetto alla debolezza (7,28). d. Excursus dei passi giovannei Le occorrenze nel Vangelo secondo Giovanni dei quattro termini presi in questione sono velocemente verifi cabili:14 – τέλος è presente una volta soltanto, in Gv 13,1: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fi ne (εἰς τέλος ἠγάπησεν αὐτούς)». – τελέω 2 volte, in Gv 19,28.30: «Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta (πάντα τετέλεσται), disse per adempiere la Scrittura: Ho sete»; «E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: Tutto è compiuto! (Τετέλεσται). E, chinato il capo, spirò». – τέλειος non è mai usato; – τελειόω si trova 5 volte: Gv 4,34: «Gesù disse loro: Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera (τελειώσω αὐτοῦ τὸ ἔργον)»; 5,36: «Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere (ἰνα τελειώσω αὐτά), quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato»; 17,4: «Io ti ho glorifi cato sopra la terra, compiendo l’opera (τὸ ἔργον τελειώσας) che mi hai dato da fare»; 17,23; «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità (τετελειωμένοι εἰς έν)»; 19,28 «disse per adempiere la Scrittura (ίνα τελειωθῇ ἡ γραφή): Ho sete». A questa scarsità di presenza corrisponde una notevole rilevanza semantica: i nostri termini sono usati in contesti particolarmente signifi - cativi e risultano importanti per la comprensione del testo e, oseremmo dire, della teologia giovannea. Può essere interessante notare qui come, consultando traduzioni diverse, mentre per il verbo τελειόω ci si muove univocamente verso il signifi cato di completamento-adempimento-perfezione, per τέλος e τελέω la gamma di traduzioni diventa più ampia e si muove all’interno degli ambiti già segnalati, cioè quello dinamico-temporale (la fi ne, il termine), quello quantitativo (l’estremo in intensità) e quello fi nale (il completamento, l’adempimento, la realizzazione). Il fatto che tali termini siano collocati proprio all’inizio e al culmine della passione di Gesù secondo Giovanni (Gv 13,1; 19,28.30) dà vita a un’interessante inclusione che permette di azzardare un’interpretazione globale dell’evento proprio in base al signi- fi cato attribuito alla coppia τέλος - τελέω. 14 La versione greca è tratta da The Greek New Testament, Stuttgart 19944; la versione italiana dalla traduzione della CEI. Il compimento dell’amore come chiave di lettura della Pasqua di Gesù 277 2. Il compimento nel Vangelo secondo Giovanni a. Il compimento della Scrittura Il verbo τελειόω, come abbiamo potuto notare dai testi giovannei citati, presenta nella sua costruzione transitiva solamente due oggetti (o soggetti, nel caso dell’uso passivo del verbo): l’opera/le opere (τὸ ἔργον/ τὰ ἔργα 4,34; 5,36, 17,4) e la Scrittura (ἡ γραφή 19,28). Proprio questo secondo caso si rivela particolarmente signifi cativo, in quanto si colloca nel momento cruciale della morte di Gesù. Interessante risulta il paragone tra il verbo più comunemente usato nei contesti dell’adempimento della Scrittura, cioè πληρόω, e il verbo τελειόω adoperato in 19,28. Nella sua accezione fondamentale il verbo πληρόω15 ha il senso meramente spaziale di ‘riempire’, ‘colmare’. Nel Nuovo Testamento il signifi cato spaziale è relativamente raro e il verbo assume il signifi cato di ‘compiere’, ‘adempiere’, ‘realizzare’ la legge e le sue esigenze oppure adempiere la Scrittura. In Giovanni la formula di adempimento non è fi ssa, ma l’evangelista adopera comunque quasi esclu- sivamente il verbo πληρόω, uniformandosi all’uso comune dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli. Il fatto che in 19,28 troviamo l’espressione ίνα τελειωθῇ ἡ γραφή non può dunque passare inosservato, tanto più che nello stesso contesto troviamo due volte il verbo πληρόω in 19,24.36, riferito a un preciso passo della Scrittura. A questa singolare scelta lessi- cale si aggiunge la controversa interpretazione della subordinata fi nale in questione, attribuita dagli studiosi più recenti non più alla proposizione che segue: λέγει Διψῶ (dice: Ho sete), ma a quella precedente, εἰδὼς … ότι ἠδη πάντα τετέλεσται (sapendo … che ogni cosa era stata ormai compiuta). Il compimento della Scrittura non si riferirebbe quindi alla singola parola «Ho sete», ma sarebbe la conclusione di tutto quello che precede, in particolare dell’affi damento reciproco di Maria e Giovanni, riassunto così nell’espressione: «Dopo questo, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta per adempiere la Scrittura, Gesù disse …».16 Questa 15 Cfr. G. DELLING, πληρόω, in R. KITTEL - G. FRIEDRICH (edd), Grande Lessico, coll. 641-674; H. BALZ - G. SCHNEIDER (edd), Dizionario esegetico, coll. 984-991. 16 Questa interpretazione, relativamente recente e non ancora assimilata dalle traduzioni divul- gative del testo evangelico, è stata portata all’attenzione degli studiosi da un articolo di G. BAMPFYLDE, John XIX,28, a Case for a Different Translation, in «NovTest», 11 (1969), pp. 247-260. Da questo momento in poi gli esegeti risultano divisi o possibilisti sulle diverse traduzioni e interpretazioni. R. BROWN, Giovanni, II, trad. it., Roma 1979, pp. 1129-1130, pur ammettendo che la costruzione anomala in Giovanni permette varie interpretazioni, afferma che «la maggior parte dei grammatici cita questo versetto come un esempio in cui la frase fi nale precede la principale, di modo che l’adempimento della Scrittura è messo in relazione con le parole di Gesù: Ho sete». X. LÉON-DUFOUR, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, trad. it., Alba (Cuneo) 1998, p. 194, lascia aperta la possibilità a entrambe le costruzioni. D. SENIOR, La passione di Gesù nel Vangelo di Giovanni, trad. it., Milano 1993, p. 118, non ha dubbi ad attribuire l’adempimento delle Scritture alle parole testuali di Gesù sulla croce. Y. SIMOENS, Secondo Giovanni, p. 762 preferisce invece legare la subordinata alla frase che precede e la stessa interpretazione è suggerita anche da R. FABRIS, Giovanni, Roma 1992, p. 981. Il sostenitore più autorevole e determinato della nuova interpretazione è I. DE LA POTTERIE, La sete 278 Chiara Curzel nuova interpretazione si appoggia su varie considerazioni, di indubitabile peso17 e risulta densa di conseguenze per il fi ne di questo studio: sulla croce Gesù non porta soltanto a pienezza alcune espressioni o prefi gu- razioni presenti nell’Antico Testamento (cfr. 19,24.36-37), ma adempie perfettamente tutta la Scrittura18 nel suo insieme. La Scrittura è compiuta alla perfezione proprio in quell’atto di amore supremo che è la morte di Gesù in croce. In questo passo si esprime letterariamente la continuità tra l’Antico Testamento e il Nuovo, tra la fi gura e la realtà.19 L’uso del verbo τελειόω in 19,28 non risulta quindi né casuale né scarsamente espressivo: non si tratta di far collimare un evento con una parola, ma di portare alla perfezione tutto il testo sacro, fatto di promesse e profezie, ma anche di fi gure, avvenimenti che possono essere spiegati solo con la luce che viene dalla croce di Cristo. b. Il compimento della Rivelazione La coscienza che Gesù è venuto proprio per rivelare il Padre si trova esplicitamente espressa in tutti i testi evangelici, ma spicca con particolare evidenza nell’opera giovannea. Dio, il Padre, per amore comunica a Gesù tutto ciò che possiede, pone tutto nelle sue mani (3,35; 13,3). Gesù, il Figlio, ha coscienza di questo suo ruolo e afferma di trasmettere la verità che ha udito (8,38.40). Il Gesù di Giovanni è ‘l’inviato del Padre’, il ‘luogo teologico’ in cui i credenti vengono a contatto con la vera identità di Dio Padre, sorgente e contenuto di tutta la Rivelazione. Questo cammino di comunicazione dell’amore del Padre si scontra con il rifi uto dell’uomo, ma è proprio attraverso questo ostacolo che la missione di Gesù può essere portata a defi nitivo compimento. La passione e la croce, come dono d’amore totale, diventano la parola fi nale e defi nitiva di Gesù morente e l’interpretazione giovannea della sua morte in croce, in La sapienza della croce oggi, I, Torino 1976, pp. 33-49. In questo testo, ma anche in altri suoi scritti, de la Potterie afferma: «Si può considerare come quasi certo che la proposizione ‘perché fosse compiuta la Scrittura’ si ricollega alle parole πάντα τετέλεσται che descrivono il compimento dell’opera di Gesù» (p. 43). 17 Abitualmente in Giovanni la costruzione della proposizione fi nale con ίνα segue e non precede la frase a cui si riferisce; il verbo τελειόω qui adoperato non indica mai il compimento di un singolo e preciso passo (per cui si usa πληρόω), ma piuttosto dell’intera opera del Padre (4,34; 5,36; 17,4); non c’è nell’Antico Testamento l’espressione testuale: «Ho sete»; il verbo τελειόω si trova in una posizione particolare e cioè tra le uniche due occorrenze del verbo τελέω in Giovanni: questo rafforza il suo signifi cato di ‘completamento’, piuttosto che di ‘pienezza’ ed è quindi più adatto ad una considerazione della Scrittura nella sua globalità. 18 L’uso del singolare ἡ γραφή per indicare l’intera Scrittura non è comune in Giovanni, ma si può trovare in 10,35 («la Scrittura non può essere annullata»), in 20,9 («non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti») e forse in 2,22 («e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù»). 19 I. DE LA POTTERIE, Il mistero del cuore trafi tto. Fondamenti biblici della spiritualità del Cuore di Gesù, Bologna 1988, p. 108 vede nella coscienza messianica di Gesù morente il punto di congiunzione delle due grandi parti dell’economia della salvezza. È in essa che si opera il passaggio da un Testamento all’altro, in essa il Nuovo è generato dall’Antico e l’Antico si trova interpretato nel Nuovo. Gesù percepisce nella coscienza il compimento che sta attuando ed è proprio in questo luogo sacro che avviene in primis la realizzazione dell’opera messianica e l’apertura dell’era nuova dello Spirito. Il compimento dell’amore come chiave di lettura della Pasqua di Gesù 279 di Dio per il mondo, perché sono l’espressione estrema del suo amore redentore. La rivelazione del volto del Padre e della sua parola sull’uomo non potrebbe essere completa senza questo supremo atto di offerta della vita, che porta fi no alle massime conseguenze l’offerta di salvezza del Padre e l’accoglienza libera e defi nitiva da parte del Figlio. Se dunque la missione del Figlio è, come abbiamo visto lungo tutto il testo evangelico, rivelare il volto del Padre, si può affermare che il τετέλεσται (è compiuto) della croce esprime «l’intima consapevolezza che Gesù morente possiede di aver condotto a pieno termine l’opera di rivelazione salvifi ca affi datagli dal Padre»;20 «la verità infatti, cioè la rive- lazione suprema della sua persona e del suo rapporto col Padre, culmina sulla croce: lì Gesù manifesta l’amore del Padre per il mondo (3,14), il proprio amore per il Padre (14,31) e per gli uomini (13,1)».21 Sulla croce Gesù è in pienezza il luogo della teofania: la sua morte volontaria mostra che Dio è Padre che ama gratuitamente e fi no all’estremo l’uomo, nello stesso tempo rivela nel Figlio il progetto di Dio sull’uomo che si realizza proprio nel dare la vita, nell’amore gratuito fi no al limite massimo. c. Il compimento dell’umanità e della divinità di Gesù Colpisce e stupisce l’insistenza con cui Giovanni usa, in particolare in riferimento a Gesù, il termine uomo (ἀνθρωπος).22 Particolarmente interessanti risultano i passi in cui Gesù è chiamato semplicemente ‘uomo’ da altri personaggi, quasi si volesse sottolineare la sua piena umanità e nello stesso tempo l’insuffi cienza di un tale termine per defi nire la sua persona e le sue azioni. Si tratta di un cammino di riconoscimento: le persone che entrano in contatto con Gesù lo riconoscono prima di tutto come uomo, ma sono condotte da lui stesso o dalle sue parole a un ulteriore approfondimento.23 L’uso di questo termine arriva al 20 R. VIGNOLO, La morte di Gesù nel Vangelo di Giovanni, in «Parola Spirito e Vita», 32 (1995), p. 123. 21 L. ZANI, Perché credendo nel Figlio di Dio abbiate la vita, Verona 1989, p. 167. 22 Nei sinottici il termine «uomo» è usato raramente in riferimento a Gesù e si può riassu- mere in tre gruppi di signifi cati: senza importanza particolare (Mt 11,19; Lc 7,34); con signifi cato peggiorativo nel rinnegamento di Pietro (Mc 14,71; Mt 26,72.74); con distacco o disprezzo da parte di Pilato (Lc 23,4.6.14). Un’eccezione particolarmente signifi cativa è costituita dall’affermazione del centurione sotto la croce nel Vangelo secondo Marco (15,39): «veramente quest’uomo (οτος ὁ ἀνθρωπος) era fi glio di Dio». 23 Un primo esempio signifi cativo lo troviamo nell’incontro con la Samaritana al pozzo: la donna si chiede se l’uomo che le ha detto tutto quello che lei ha fatto può essere il Messia (4,29). Alla piscina di Betesda Gesù è l’uomo che ha detto al paralitico «alzati e cammina» (5,12). In 7,46 sono le guardie mandate dai sommi sacerdoti a riconoscere la straordinaria potenza della parola di Gesù, affermando che «mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo» e in 8,40 Gesù stesso si defi nisce «un uomo che vi ha detto la verità». La parola uomo per identifi care Gesù è centrale in tutto l’episodio del cieco nato (9,11.16(bis).24b) e si alterna all’uso della stessa parola per indicare il cieco stesso (9,1.24a.30): l’uomo fatto di fango (e guarito dal fango) è portato a riconoscere in Gesù la pienezza umana. Infi ne in 10,33 sono i Giudei stessi ad accusare Gesù «perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» e in 11,50 Caifa profetizza che «è meglio che muoia un solo uomo per il popolo». Cfr. L. ZANI, Perché credendo, pp. 155-157; I. DE LA POTTERIE, Gesù verità, trad. it., Torino 1973, pp. 181-184. 280 Chiara Curzel suo culmine in 19,5: «E Pilato disse loro: Ecco l’uomo!». Proprio nel Gesù fl agellato, oltraggiato e incoronato re da burla possiamo vedere il modello di uomo perfetto, che si realizza nel dono della sua vita per amore degli uomini.24 Tale insistenza, fi no alla fi ne del Vangelo, sull’umanità di Gesù e in particolare il passo di 19,5 appena citato, ci aprono a una lettura dell’evento pasquale quale ‘nuova creazione’, compimento della vocazione dell’uomo quale il Creatore lo aveva pensato fi n dalle origini.25 Gesù, proprio in quanto «carne» (1,14), «uomo» (8,40) e nello stesso tempo «l’Uomo» (19,5), «il Figlio dell’uomo» (9,35) si presenta come modello di uomo e meta del suo sviluppo, rivendica il valore della realtà umana, mostrando che la deifi cazione dell’uomo non esige la rinuncia ad essere tale ma, al contrario, porta al culmine il processo della sua umanizzazione; il termine dello sviluppo dell’uomo nella sua qualità umana è la condizione divina, intesa pertanto non come una fuga o rifi uto del proprio essere uomo, ma come una fi oritura di tutte le sue possibilità con la forza dello Spirito. Gesù non è soltanto uomo: egli, proprio perché è Figlio, è tutt’uno col Padre, è Dio. Il Vangelo di Giovanni si apre con questa affermazione: «Il Verbo era Dio» (1,1) e si chiude con il riconoscimento di Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» (20,28). La permanenza del Logos sulla terra è il cammino del Figlio da un’origine divina, da cui «esce» (cfr. 8,42; 16,30), verso una meta divina, a cui «ritorna» (cfr. 6,62).26 Gesù si mostra fi n dall’inizio pienamente consapevole di questa sua identità e dell’obiettivo della sua missione nel mondo: tutto il Vangelo di Giovanni è un lungo e continuo «parlare», attraverso i discorsi e i segni, di quell’ora che vedrà glorifi cato, esaltato il Figlio e, attraverso di lui, il Padre (12,27-28; 17,1).27 In questo senso si può parlare della morte di Gesù in croce e della sua risurrezione come un unico mistero che porta a compimento non solo la natura umana, ma anche la comunione trinitaria; la croce realizza nella sua realtà perfetta l’unità personale di Padre e Figlio e, attraverso lo Spirito, diventa il luogo centrale e permanente della partecipazione dell’uomo a questo rapporto d’amore. 24 Ignazio di Antiochia (Smirn. 4,2) esprime bene questa idea: egli accetta il martirio come mezzo per giungere ad essere discepolo completo: «Unicamente per la causa di Gesù Messia – al fi ne di soffrire con lui – sopporto tutto, perché è proprio colui che giunse ad essere Uomo completo (τοῦ τελείου ἀνθρώπου) a darmi forza». 25 È questa la teologia che sottende l’intera Lettera agli Ebrei: Gesù si è fatto pienamente solidale con l’uomo per portare a compimento la vocazione dell’uomo, per realizzarla a vantaggio di tutti e divenire così padrone di tutto il creato. Cfr. A. VANHOYE, Il sangue dell’alleanza. Corso di esercizi spirituali biblici, Roma 1992, pp. 48-49. 26 Gesù parla con insistenza del suo «venire» e del suo «tornare»; due passi molto espliciti sono 13,3: «Gesù … sapendo che era venuto da Dio e a Dio ritornava» e 16,28: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre». 27 Cfr. D. SENIOR, La passione di Gesù, p. 15: «Da molto tempo i commentatori di Giovanni hanno notato che questo Vangelo riesce ad enunciare il suo intero messaggio praticamente in ciascuno dei suoi passi. Mano a mano che il Vangelo si svolge, Giovanni proclama ripetutamente la conoscenza che egli ha di Gesù, come le onde che si frangono su una spiaggia. Sebbene la narrazione abbia una trama e vi sia un certo movimento nell’azione dal principio alla fi ne, il lettore si trova di fronte fi n dai versetti iniziali all’intero quadro, che viene riproposto in quasi tutte le scene seguenti».
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