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Le fonti agiografiche su Santa Marina di Antiochia a San Nicola di Myra e il culto PDF

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Preview Le fonti agiografiche su Santa Marina di Antiochia a San Nicola di Myra e il culto

RAFFAELA TORTORELLI LE FONTI AGIOGRAFICHE SU SANTA MARINA DI ANTIOCHIA E SAN NICOLA DI MYRA E IL CULTO DEI DUE SANTI NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA Il tratto fondamentale che connota la letteratura agiografica1 è la volontà di edificazione morale e di esemplarità spirituale. È noto che lo studio critico del culto dei santi, delle loro vite, delle leggende, traslazioni e miracoli, tramandato attraverso l’attività di numerosi scriptoria medievali, abbia conferito all’agiografia uno specifico statuto epistemologico. La letteratura agiografica della cristianità medievale si rivolge con maggior interesse alla comprensione delle azioni–modello del santo–eroe (virtù e miracoli), all’identificazione e riproduzione di alcuni topoi conferendo una particolare attenzione alla morte del santo intesa come dies natalis e alla storia del suo culto2. La più completa manifestazione dell’autocoscienza cristiana espressa dai testi agiografici è rappresentata per il Mezzogiorno d’Italia dal modello eremitico. Da questo stadio dell’evoluzione delle tematiche agiografiche, prenderà l’avvio la copiosa serie di Vite di santi, spesso commissionate agli stessi monaci, in particolar modo nei secoli XI e XII, molte delle quali mettono in risalto, attraverso la vicenda terrena del santo, l’ideale di ascesi 1 Fra le principali e più diffuse metodologie della ricerca agiografica resta quella fissata dalla più che tricentenaria Scuola bollandista, che pur sempre preoccupata di accertare la storicità dei testi agiografici, negli ultimi tempi, ha conosciuto approfondimenti e conferme. Già il Delehaye in particolare, si era accorto di come la storia del culto di un santo rappresenti anche una validissima spia per l’indagine sull’ambiente a lui contestuale. Il luogo di nascita del santo, i paesi in cui è vissuto, i suoi itinerari, soprattutto il luogo in cui muore, fanno parte della sua storia, quelli che il bollandista chiama loca sanctorum, ossia le dedicazioni e le consacrazioni di alcune chiese, fondazioni operate dagli stessi santi, essi rappresentano la testimonianza dell’abitudine medioevale ad usare vocables de saints per designare oratori, altari e presbiteri. H. DELEHAYE, Loca Sanctorum, in «Analecta Bollandiana», 48 (1930), pp. 5-6. 2 C. LEONARDI, L’agiografia latina dal Tardoantico all’Altomedioevo, in La cultura in Italia fra Tardo Antico e Alto Medioevo. Stato e prospettiva delle ricerche, Roma 1980, p. 6 1 monastica, conquistato con il distacco dal mondo3, l’esercizio delle pratiche penitenziali, la solitudine dell’eremo. Per la Puglia, l’elemento religioso, in specie quello monastico, è il principale fattore di dinamica culturale. Gli exempla delle Vitae dei santi, scritte nell’XI–XII secolo – periodo della massima fioritura della civiltà rupestre in provincia di Taranto – costituiranno anche per gli storiografi normanni e particolarmente cassinesi, un punto di riferimento fondamentale. La permanenza in molte di queste aree geografiche, specialmente in Puglia, di un culto greco, da un lato, e la scarsa omogeneità socio–politica dei secoli IX e X, dall’altra, non rendono facile un discorso agiografico di tipo unitario così come non consentono lo sviluppo di una vasta e qualificante produzione letteraria4. I temi che alimentano le Vite dei santi sono i miracoli, guarigioni, rivelazioni divine, ma anche, le opere malefiche del diavolo, dei demoni o dei maghi. Le vicende biografiche, le tentazioni o le vittorie, sono temi comuni in tutte le agiografie meridionali. Va anche rilevato che l’obiettivo dell’agiografia nell’Italia meridionale è quello di saldare il “collegamento” fra il santo e il mondo fuori dal monastero, un mondo sempre e comunque inquadrato in una dimensione spirituale, mistica e taumaturgica. Nelle fonti agiografiche dell’Italia meridionale bisogna distinguere due momenti: il primo momento, quello dal VI al X secolo, vedeva un modello di santità e una produzione agiografica di Vite di santi monaci, dovuta alla forte presenza di monaci greci, cui poi subentra, nel periodo normanno anche una produzione latina. L’ideale di santità dopo il X secolo è, invece, legato all’introspezione della vita del santo in cui fossero facilmente rintracciabili i requisiti di virtù attestati dall’abbandono dei beni terreni, dalla piena imitazione della paupertas evangelica: elementi che gli consentono di offrirsi al mondo affinché possa vivere e godere a pieno titolo, la propria condizione di sanctitas. Infatti, verso la fine del secolo XI, assistiamo in Puglia all’emergere di un’agiografia latina5 che non ha solo come protagonisti vescovi/santi legati al patronato della città e quindi localizzabili. 3 G. VINAY, Altomedioevo Latino, conversazioni e non, Napoli 1978, p. 11; cfr., LEONARDI, L’agiografia latina dal Tardoantico all’Altomedioevo,op. cit., p. 645-648; 4 FALKENHAUSEN, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, op. cit., pp.16-22; si veda anche FALKENHAUSEN, I monasteri greci dell’Italia meridionale e della Sicilia dopo l’avvento dei Normanni: continuità e mutamenti, in AA.VV., Il passaggio dal dominio bizantino allo stato normanno nell’Italia meridionale, op. cit. pp. 205-207. 5 PANARELLI, Dal Gargano alla Toscana: il monachesimo riformato latino dei pulsanesi, secc. XII – XIV, op. cit., pp. 279 – 300; G. G. MEERSSEMAN, Eremitismo e predicazione itinerante dei secc. XI e XII, in L’eremitismo in Occidente, op. cit., pp. 164 – 179. Per quanto riguarda la scrittura agiografica del periodo si rimanda allo studio di F. PANARELLI, Scrittura agiografica nel Mezzogiorno normanno. La Vita di S. Guglielmo da Vercelli, Galatina 2004, pp. 12 – 39. 2 L’aspetto emergente dai testi agiografici di questo secolo è sopratutto quello che evidenzia la tempestività dello scritto in concomitanza con la morte di un santo o a poca distanza da essa o in relazione alla translatio delle reliquie6, il caso esemplare è rappresentato dalle reliquie nicolaiane asportate da Myra e giunte a Bari. Infatti, la traslazione di s. Nicola – un santo orientale – del 1087 e il suo unanime riconoscimento come santo universale da parte della cristianità occidentale si deve proprio al “tempo” agiografico in cui l’impresa della translatio maturò e si realizzò. Un filo diretto di interessi concreti e di ideali religiosi unisce la cavalleria mercantile dell’anno Mille, errabonda e mercenaria, alla figura cavalleresca del vescovo di Mira, fino al punto che s. Nicola, marinaio, mercante, banchiere, difensore dei deboli, venne immaginato come cavaliere. Lungo questa linea si può affermare che la traslazione delle reliquie dall’Oriente all’Occidente segnò l’investitura ufficiale di s. Nicola anche nel rango della cavalleria7. L’epoca peraltro in cui avvenne la traslazione nicolaiana è quella propria dei santi cavalieri: s.Giorgio lo è in senso reale poiché il suo culto era già diffuso in Italia meridionale, s. Nicola, lo è in senso traslato. Alla luce di quanto affermato nasce e si afferma un nuovo modo di intendere e concepire la santità. E cioè che la figura del santo viene intesa in funzione dello stretto rapporto che viene ad instaurarsi tra santo e città, rapporto che, talvolta, si configura attraverso la unanime scelta del santo come patrono. L’agiografia pugliese presenta elementi non dissimili da altre agiografie al di fuori della Puglia, ma in questa particolare regione così come anche nel resto del Mezzogiorno d’Italia, l’elemento agiografico costituisce un capitolo importante nella storia dei rapporti letterari e spirituali intercorsi tra l’Oriente e l’Occidente8. Infatti, l’influenza del mondo greco sulla religiosità delle popolazioni dell’area meridionale d’Italia9 è fortemente costituita dalla diffusione di due culti di santi orientali: Marina di Antiochia conosciuta in occidente come santa Margherita e Nicola di Myra ormai noto come san Nicola di Bari. 6 F. NITTI DE VITO, La traslazione delle reliquie di S. Nicola da Myra a Bari, in «Japigia», VIII/3-4, 1937, pp.295-330. 7 N. LAVERMICOCCA, Città e patrono. Bari alla ricerca di una identità storico-religiosa, in G. OTRANTO (a cura di), S. Nicola di Bari e la sua Basilica. Culto, arte, tradizione, Milano 1987, pp. 10-22. 8 G. CAVALLO, I bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 608-622. 9 LAVERMICOCCA, Città e patrono. Bari alla ricerca di una identità storico-religiosa, op.cit., pp. 24-26. 3 I due culti si manifestano anche all’interno del villaggio rupestre di Casalrotto (Casale Ruptum) con la costruzione di chiese dedicate ai santi eponimi e intere pareti dipinte raffiguranti scene delle loro Vite. Si tratta di una devozione popolare in auge durante il periodo medioevale in quanto entrambi i santi venivano implorati come intercessori o protettori contro i mali del mondo. All’interno dei due “monumenti” religiosi presi in esame, ritroviamo il “ciclo” agiografico della Passione di santa Margherita associato alla Praxis de Tribus Filiabus relativo alla Vita di s. Nicola; i due culti risultano essere ampiamente documentati nell’area esaminata. La dedica di chiese rupestri e subdiali a Margherita e Nicola ci conferma che il culto dei santi orientali era saldamente radicato all’interno del complesso rupestre di Casalrotto e in linea generale in questo ampio territorio preso in esame. Dal punto di vista metodologico, per istituire il confronto fra testo e immagine si è ritenuto opportuno affrontare prima l’aspetto propriamente agiografico attraverso la presentazione rispettivamente della Passione di Margherita e della Vita di Nicola, la diffusione del loro culto e le fonti circa la tradizione scritta in area greca e latina: infatti, attraverso la presentazione delle loro Vite è stato possibile comprendere meglio le scene agiografiche dipinte all’interno delle due cripte esaminate, metodologia che ci permette di individuare nonchè identificare i diversi testi, greci o latini, utilizzati dall’ideatore dei “cicli” nel momento di concepire i vari programmi iconografici. 1.1. La Passione e la tradizione agiografica di s. Margherita di Antiochia La storia del culto di santa Margherita, venerata sia in Oriente che in Occidente, rappresenta un particolare esempio di commistione fra nomi e personaggi che si sovrappongono o, al contrario, si sdoppiano. Infatti, le scarse notizie riguardanti un’unica persona, martirizzata ad Antiochia, hanno dato origine a Vitae e Passiones di quattro sante: Marina – Marino, Marina – Margherita, Pelagia – Pelagio, Pelagia detta Margherita, nelle quali si ritrovano situazioni comuni10. Risalendo alle fonti e limitandoci esclusivamente alla martire Marina di Antiochia ci è giunta un’antica passione greca del V - VI secolo11, attribuita ad un certo Teotimo, dove compare 10 Anche il Delehaye ha dimostrato quanto poco caso si debba fare delle esagerate conclusioni di certe scuole mitologizzanti secondo le quali, le leggende di Marina – Margherita, altri non sarebbe che un equivalente di santa Pelagia e di altre martiri, sarebbero solo trasformazioni del personaggio di Afrodite (Venere) la dea del mare: cfr. H. DELEHAYE, Les légendes hagiographiques, Bruxelles 1955, pp. 42-45. 4 unicamente il nome di Marina che rimarrà costante in tutta la tradizione orientale; i Bollandisti la chiamano Passio auctore Theotimo dal nome del favoloso autore che l’avrebbe composta. Il testo è stato tradotto e pubblicato dall’ Usener12. La prima redazione fu tradotta in latino in epoca antica; nella traduzione, per una ragione sulla quale non si possono emettere che delle ipotesi, l’eroina compare con il nome di Margherita (perla). I latini, come sostengono i Bollandisti, avrebbero sostituito Marina con Margherita: sive quia hoc modo virginitatis nitorem et candorem voluerint esprimere; sive quia sic voluerint onorare Sanctam tamquam virginum et martyrum gemmam antonomastice, et utraque digitate prae reliquis insignem 13. Fu sotto questo nuovo appellativo che il culto della santa cominciò ad espandersi in tutto l’Occidente, diventando una delle sante ausiliatrici più diffuse e conosciute durante il Medioevo, e tale culto, continuò ad essere, nelle epoche successive, saldamente inserito nell’ambito della devozione popolare. Il racconto della Passione segue i canoni tradizionali di questo genere di Passiones delle vergini di nobili origini, con un pretendente respinto, il processo, le torture ed infine il martirio14. Tenendo conto della tradizione agiografica scritta, Marina deve la sua fama ad una leggenda ampiamente diffusa in Oriente. Si segnalano gli episodi più caratteristici che permettono almeno di comprendere al meglio l’origine di alcune devozioni in onore della martire e, successivamente, interpretare le scene agiografiche rappresentate nella chiesa rupestre di Mottola a lei dedicata, poiché, i soggetti dei dipinti, non sono casuali, ma risultano essere sostenuti proprio dalla tradizione agiografica scritta. Prima di affrontare lo studio delle fonti, si ritiene utile esporre le linee essenziali della storia della santa. 1.1.1. Passione di s. Marina di Antiochia 11 M. AIROLDI, Marina-Margherita, in C. LEONARDI – A. RICCARDI – G. ZARRI, Il grande libro dei Santi, vol. II, Milano 1988, pp. 1371 – 1372. 12 H. USENER, Acta S. Marinae et S. Christophori, in Festschrift zur funften sacularfeier der Carl Ruprechts – Universitat zu Heidelberg uberreicht von Rector und Senat der Rheinischen Friedrich Wilhelms Universitat, Bonn 1886, pp. 2, 10 – 26; pp. 15 – 46; si veda anche BHG, I, nn. 1165-1167 c. 13 AA.SS. Julii, t. V, Antverpiae 1727, pp. 24-25. 14 AIROLDI, Marina-Margherita, op. cit., pp. 1374 – 1376. 5 Marina sarebbe stata originaria di Antiochia di Pisidia, figlia di un sacerdote pagano di nome Edesimo. Nessuna notizia si ha della madre: si sa solo che rimasta orfana alla nascita fu affidata dal padre ad una nutrice cristiana che abitava nella campagna vicina e che, all’insaputa del padre, educò la bambina ai principi evangelici. All’età di quindici anni, Marina, tornò alla casa paterna, dove provò subito disagio. Il padre, mal sopportando gli insegnamenti cristiani della figlia, la cacciò di casa, sicché, la giovane, fece ritorno dalla nutrice. Secondo la leggenda, un giorno, mentre conduceva le pecore al pascolo, Marina fu notata dal prefetto Olibrio, il governatore della provincia in viaggio verso Antiochia, il quale, rimasto colpito dalla straordinaria bellezza della fanciulla, decise di volerla prendere in moglie se di condizione libera, altrimenti come sua concubina. Dunque, ordinò ai suoi servitori che fosse condotta al suo cospetto. L’alto funzionario romano non riuscì a convincere Marina a sposarlo, perché la ragazza dichiarò di aver dedicato la sua verginità a Cristo. Alle promesse più allettanti, fecero seguito, dinanzi alle ostinazioni indomabili della giovane, le minacce più terribili. Olibrio, tentò invano di persuadere Marina ad abbandonare la sua fede e a sposarlo. Di fronte al rifiuto della fanciulla, il prefetto, si vide costretto ad applicare le leggi romane contro i cristiani, che prevedevano in prima istanza, la flagellazione e la carcerazione. Subìta la tortura in cella, Marina fu sottoposta ad un nuovo interrogatorio ma, anche in questa occasione, non accettò di adorare le divinità pagane e tanto meno, le lusinghe del prefetto. Olibrio la fece sottoporre ad una serie di tormenti: fu gettata in prigione dove il demonio unì i suoi assalti all’accanimento dei carnefici. È a questo punto, come vedremo, che si verifica un episodio che ha avuto maggiore fortuna nella successiva storia di Marina, soprattutto nella tradizione agiografica latina15: il demonio le apparve sotto forma di un orribile drago gigante, circondato da serpenti, minacciando di divorarla. Con un solo segno di croce, la martire si liberò dall’abominevole aggressore. Nelle successive tradizioni, l’episodio del drago, si sviluppa in modo più drammatico: l’orribile bestia la inghiotte voracemente, ella rimane prigioniera nelle profondità interne del mostro. 15 JACOBI A VORAGINE. Legenda Aurea vulgo historia lombardica dicta, ed. T. GRAESSE, Lipsia 1850, cap. XCIII, pp. 400 – 401; cfr. JACOPO DA VARAZZE, Legenda Aurea, edizione critica a cura di G. P. MAGGIONI, in «Millennio medievale, 6», vol. II, Firenze 1998, pp. LXVI-1368. 6 Marina, si sarebbe liberata con un segno di croce secondo la Passione greca di Teotimo, oppure, nelle versioni latine, in particolare nella lectio dell’ufficiatura liturgica, utilizzando un crocifisso16, come arma per squarciare il ventre dell’animale diabolico17. Sconfitto la prima volta, il demonio non si lascia abbattere e ritorna sotto forma di un uomo villoso e sgraziato, i cui tratti, quelli di un etiope, comparivano spesso quando si trattava di rappresentare una tentazione di questo genere, ma ancora una volta, Marina, riesce a liberarsi dal suo assalitore. Tolta dalla prigione, la giovane deve affrontare l’ultima parte del processo. Viene sottoposta quindi ad una seconda fase di giudizio. Essendosi dimostrata inflessibile come nella prima parte del processo, Marina è costretta a subire altre torture, ed infine, la decisione di Olibrio di farla decapitare18. La tradizione orientale vuole che s. Marina, sia stata decapitata il 17 luglio del 290, durante l’impero di Diocleziano (284 – 305). 1.1.2. Valore della tradizione agiografica Negli Acta Sanctorum julii, V al 20 luglio19 (giorno di commemorazione della martire nella tradizione occidentale), il Bollandista Jean Pien20 rigetta come apocrifi gli Atti della leggenda di s. Margherita riferendosi sia agli Atti greci sia agli Atti latini. L’autore rimanda tra le favole le parti più fantastiche del racconto, quali ad esempio l’episodio del drago, i dialoghi della santa con 16 Nel testo greco così come in quello latino non si fa riferimento alla “croce” come arma, ma è la santa che con un segno di croce in …draconis in duas partes eum divisit… in Mombrizio, tomo 2, a fol. 103, (Appendice, p. 181). Solo in alcuni testi liturgici si fa riferimento alla “croce” come arma per lacerare il ventre del drago. Per il testo liturgico si rinvia al Breviarium ad Usum Insignis Ecclesiae Sarum. Fasciculus III, Editionem C. Chevallon, 1531, p. 532 e sg.: Lectio VI …Videns itaque praefectus quod nichil proficeret donec exquisita tormenta excogitaret quibus eam perimeret in latebroso carceris fundo sanctam virginem includit : sed furvam caliginem caelestis splendor irradiat… Surgens ergo ab oratione draconem terrificum conspexit : qui erecto capite, rictu faucium aperto, sybilis terribilibus et squamarum stridoribus maximum metum virgini incussit. Cumque jam paene ab ipsis beluae hyatibus patentibus absorberetur : vexillo Dominicae crucis apposito, † serpens squalidis crepuit medius. 17 G. TAMMI, Due versioni della leggenda di S. Margherita di Antiochia in versi francesi del Medioevo, Piacenza 1958, pp. 56-89. 18 USENER, Acta S. Marinae et S. Christophori, op. cit., pp. 4-6. 19 Cfr. AA.SS., Julii, V, op. cit., pp. 24 – 45. 20 Dunque, il Pien sostiene che la fantasia degli antichi biografi di s. Marina / Margherita, si è sbizzarrita intorno a queste apparizioni e vessazioni del demonio. Furono proprio queste descrizioni fantastiche che indussero il papa Gelasio I (492- 496) a porre nell’indice dei libri apocrifi gli Atti del Martirio di S. Marina, in AA. SS., Julii, V, op. cit., p. 32, paragrafo 47. Si veda anche : AA.SS., Julii, V, op. cit., p. 30, paragrafo 38: …Occasione famosi draconis S. Georgii die XXIII Aprilis, paragrapho 3 – Commentarii praevii ad acta eiusdem Sancti, obiter mentio facta est de dracone S. Margaritae; quem si symbolice illi appingi intellexeris, quia multiplicia, sicut ibi tunc diximus, diaboli machinamenta virtute superavit, rem pictam ex vero aestimaveris; sin physice, iam draco fiet commentum, ad aniles naenias relegandum; quemadmodum illum nobis in scenam producunt vulgaria Sanctae acta, graphica et ficta inductione seu hypotyposi eiusdem speciem externam exhibentia, tot ridiculis adjunctis vestitam, ut risum moveant. 7 quest’ultimo, le grazie che essa concederà, l’inverosimile apparizione della colomba21 o l’assurda orazione al carnefice affinché la uccida. Il Pien sembra asserire che non si sa nulla di certo su questa santa anche se, di fatto, trascrive gli atti più corretti e meno fantastici del manoscritto di Rebdorf22 appartenuto al Cenobio dei Canonici Regolari di S. Agostino in Baviera. Inventati sembrerebbero i nomi: sia dello scrittore della leggenda (tale Theotimo o Tectinus23 che troviamo indicato come testimone oculare della passione, in tutti i testi sia greci che latini) sia di altri personaggi (per es. il padre Teodosio o Edesimo e il prefetto Olibrio o Oliberio). Comunque la tradizione agiografica sulla Passione della santa risulta particolarmente ricca sia in ambito greco che in area latina. Inoltre, da una osservazione rapida delle stesse Passiones emerge che la fortuna della santa e della sua leggenda è stata maggiore in Occidente anzichè in Oriente, senza dubbio il luogo originario del culto. 1.1.3. Il dossier agiografico greco di s. Marina di Antiochia Come si è già evidenziato nel paragrafo precedente, la più antica redazione della leggenda di s. Marina24, molto diffusa nell’area greca, è la Passione attribuita a Theotimo25. Esiste in tre redazioni quasi identiche, segnalate dalla BHG nn. 1165-1167c. Il Menologio di Basilio II, invece, contiene un breve riassunto della leggenda della santa con tutti gli elementi principali presenti già nella Passione di Teotimo, diventati ormai tradizionali26. 21 ivi, par. IV, 44 – 45: Apocrypha Acta sapit Martyris oratio, quae sic rogat: Si quis legerit librum gestae meae, aut audierit passionem meam legendo, ex illa hora deleantur peccata eorum… Quaenam hic umbra veritatis? Adde tonitrua et columbam cum Sancta colloquentem; quae petitiones eius impletum iri affirmat. 22 AA. SS., Julii V, op. cit., pp. 33-39. 23 Il Tammi sostiene che il nome Teotimo sia un nome di pura invenzione, un nome mistico di derivazione greca, e afferma che: «…gli agiografi medioevali ricorrevano facilmente a questa finzione letteraria», cfr. TAMMI Due versioni della leggenda di S. Margherita di Antiochia in versi francesi del Medioevo, pp. 33-34. 24 USENER, Acta S. Marinae et S. Christophori, op. cit., pp. 3-5 ; BHG 1167m. Secondo l’Usener il testo primigenio di questa prima versione greca, risale senza dubbio alla prima metà del IX secolo e sarebbe la Passio attribuita a Theotimo e probabilmente fu trascritta da Metodio. L’Usener ha tradotto il testo greco del codice della Biblioteca Nazionale di Parigi (grec. 1470) che apparterrebbe appunto al IX secolo, l’ipotesi avanzata dall’Usener sarebbe quella di Metodio come autore della Passione. Infatti alla fine del testo troviamo il nome di Metodio : «…e fu trascritto da quel martirologio che compose di sua mano S. Metodio, abitante della grande Roma, per S. Pietro, martirologio che egli diligentemente commentò con note» (vd. Appendice, p. 174). 25 In linea generale si rinvia a BHG 1165-1169d e BHG Novum Auctarium 1165-1169d, cfr. USENER, Acta sanctae Marinae et sancti Christophori, op. cit, pp. 4 – 5 e BGH 1165-1157c; J. PARGOIRE, L’Eglise Byzantine de 527 à 847, ed. 3, Paris 1923, p. 348; G. HOFMANN, v. Metodio, in «Enciclopedia Cattolica.», vol. VIII (1942), c. 888. 26 Si tratta di collezioni di leggende agiografiche compilate per Basilio II imperatore di Costantinopoli, in PG, 117, cll. 546-547. Il testo è edito anche da P. FRANCHI DÈ CAVALIERI ed è l’edizione del famoso ms. della Vaticana ricco di 8 Un’altra versione è quella attribuita a Simeone Metafraste del secolo X che risente ugualmente dell’antica Passione di Teotimo. Essa si trova in diverse redazioni indicate dalla BHG n. 1168, delle quali la prima è stata tradotta in latino dal Lipomano (VI, 130-133) e dal Surio al 12 febbraio27. Il dossier narrativo su Marina comprende anche altre Passioni, tutte inedite, tranne quella del Menologio di Latyšev28 segnalato nella BHG 1168e. Alla luce di quanto sopra una conclusione è certa: che tutti gli scrittori orientali dipendono dalla Passione scritta da Teotimo. 1.1.4. Il dossier agiografico latino di s. Margherita di Antiochia Per i testi latini29 la più antica versione è quella pubblicata la prima volta dal Mombrizio30 che attinge a diversi manoscritti: detta dal suo nome appunto versione Mombritius31 (BHL 5303). La seconda versione latina è chiamata Caligula perché è contenuta nel codice Cotton Caligula, A. VIII, del British Museum di Londra32. numerose miniature, Il Menologio di Basilio II (Cod. Vaticano Greco 1613), Torino-Roma 1907. Un’altra tradizione nasce dalla preghiera che Marina rivolge a Dio durante quest’ ultima tortura: essa chiede la colomba dello Spirito Santo per purificarla e fortificarla con l’acqua nella quale è immersa: «Postea in lacum aquae proiecta est; apparensque colomba aquam benedixit ipsamque baptizavit», in J. M. SAUGET, Marina (Margherita),in BS vol. III, Istituto Giovanni XIII della Pontificia Università Lateranense, Roma 1967, p. 1153. Si veda anche AA.VV. I santi. Dagli Apostoli al primo Medioevo, a cura di P. MANNS, Milano 1989, pp. 27 –33. 27 A. LIPOMANO, Vitae Sanctorum priscorum patrum, quae in stantia R.P.D. Alojsio Lipomano Episcopi Veronensi nunc primo ex Symeone Metaphraste Greco auctore latinae factae sunt, voll. 8, Romae 1551 – 1560 al v. VI, 1558, pp. 130 – 333; L. SURIUS, De probatis sanctorum historiis, 1 ed. Coloniae Agrippinae, tt. 7, 1570 – 1581. 28 B. LATIŠEV, Menologii anonymi byzantini saeculi X, Petropoli (1911-1912). 29 Il dossier latino di s. Margherita di Antiochia contiene due altre Passioni inedite indicate dalla BHL 5306-5307. In linea generale si rinvia a BHL 5303-5313 e BHL Novum Suppl. 5303-5313. 132 P. SANNAZZARO, v. Mombrizio, in «Enc. Catt.», v. VIII, 1952, cll. 1233- 1234 con relativa bibliografia. 31 BONINUS MOMBRITIUS, patricius Mediolanensis, Sanctuarium seu Vitae Sanctorum collectae ex codicibus manuscriptis, t. 2, f. 103, Mediolani 1479; B. MOMBRITIUS, Sanctuarium seu Vitae Sanctorum – Novam hanc editionem curaverunt duo Monachi Solesmenses, Parisiis 1910, V. II, pp. 190-196. Si rimanda a USENER, Acta S. Marinae…, op. cit., pp. 8-9. L’Usener, esaminando la versione pubblicata dal Mombrizio, suppone che derivi da una versione latina antiquior, la quale a sua volta deriverebbe da altra supposta versione greca, fonte anche di quella trascritta probabilmente da Metodio nel IX secolo, ma secondo il giudizio del Joly, del Wiese e del Tammi, i quadri della passione pubblicata dal Mombrzio, sembrano quelli della versione greca pubblicata dell’Usener. Si sa che il Mombrizio ristampa fedelmente alcuni manoscritti, secondo Wiese, egli però riproduce il manoscritto latino n. 17002 della Biblioteca Nazionale di Parigi che appartiene al secolo X. 32 La versione Caligula fu studiata dal Joly ma non possediamo notizie circa la datazione di questa versione che riporta la Passione di Margherita. Per lo studio dei confronti dei testi greci e latini si rinnvia a A. JOLY, La vie de sainte Margherite, poème inédit de Wace, Paris 1879, pp. 13 sgg.. Questa versione fu ugualmente segnalata dal Joly ed è stata criticamente edita da E. A. FRANCIS, la quale confrontandola con quella del Mombrizio è giunta a concludere che entrambe derivano da un originale greco comune, anche se, la Caligula è di poco posteriore, apparterrebbe quindi al secolo XI. Cfr. E. A. FRANCIS, A Hitherto unprinted Version of the Passio Sanctae Margaritae with some observations of vernacular derivatives, in PMLA, XLII, I, (1927), pp. 97 –104; cfr. TAMMI, Due versioni della 9 La versione successiva è quella del ms. Rebdorf proveniente, come è stato ricordato, dal cenobio dei Canonici Regolari di S. Agostino in Baviera e pubblicata da Jean Pien negli Acta Sanctorum33. L’autore di questa versione sarebbe un monaco rimasto anonimo che l’avrebbe scritta in epoca ignota. Si ipotizza che egli trasse lo scritto o da una fonte diversa da quella usata dai suoi predecessori o dalla stessa fonte, tralasciando però le parti favolose della leggenda34. Segue la versione metrica di Alfano, monaco benedettino e poi Vescovo di Salerno (1015 – 1085) che, in un poemetto35 di circa 39 esametri, riassume poeticamente la Passione di s. Margherita, senza tralasciare nessuno degli episodi principali. Un’altra versione latina è quella di Vincenzo di Beauvais (1190 – 1264) presente nello Speculum Historiale36 il cui inizio è il seguente: Sancta Margaritha nata est in Antiochia, a parentibus gentilibus nutrici traditur a ..dulciter et studiose nutritur. Al XIII secolo risale la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (1230 – 1298). L’opera ebbe una così larga diffusione sì da influenzare le posteriori versioni prosastiche e poetiche. Jacopo da Varazze nella sua Legenda mette in dubbio l’inghiottimento e si sofferma sull’ultima personificazione del demonio che la santa, senza esitare, atterra e schiaccia sotto il tallone quasi a riproporre un’immagine mariana37. Vincenzo di Beauvais e Jacopo da Varazze furono tra i primi autori a porre in rilievo la protezione della santa per le partorienti: tale tema è assente sia nella passione greca di Teotimo sia nella versione pubblicata dal Mombrizio. Fu questo particolare agiografico assente nella tradizione letteraria greca, che entrato nell’immaginario collettivo, ufficializzò la devozione popolare del XIII secolo, quella di s. Margherita protettrice delle gestanti. La passione di s. Margherita riportata nello Speculum Historiale e nella Legenda Aurea, dipendono probabilmente da una fonte comune. Infatti, verso la fine della sua composizione Vicenzo di Beauvais scrive: …Et ut alibi legitur pro parturientibus oravit ut quaecumque in partu leggenda di S. Margherita di Antiochia in versi francesi del Medioevo, pp.35-43; B. WIESE, Eine altlombardische Margarethen-Legende, Halle 1890, pp. 46-67. 33 AA.SS., Julii, V, op. cit., pp. 33-39. 34 FRANCIS, A Hitherto unprinted Version of the Passio Sanctae Margaritae with some observations of vernacular derivatives, op. cit. pp. 25-47. 35 Carmina, XX “Cantus in laudem beatae Margaritae virginis et martyris”, in PL, 147, (1839) cll. 1238 – 1239. Si veda anche F. UGHELLI, Italia Sacra editio seconda, auota et emandata cura N. Coleti, 10 tt., Venetiis 1717 – 1722, al t. X, cl. 47. Per lo studio sulla figura di Alfano da Salerno cfr. G. FALCO, Un vescovo poeta del sec. XI; Alfano di Salerno, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria» 35, 1912, pp. 429 – 482; A. VISCARDI, Le origini, Milano 1939, pp. 109 – 116; I. CECCHETTI, v. Alfano, in «Enc. Catt.», v. I, 1948, cll. 838 – 840. 36 VINCENTII BELLOVACENSIS, Speculum Maius, Strasburgo 1473 – 1474; Speculum Historiale, XIV, 27 – 28. Si veda anche P. ALBERT PONCELET, Le légendier de Pierre Calo, in «Analecta Bollandiana» t. XI, 1920, p. 35. Per la bibliografia sul Bellovacensis: A. D’AMATO, v. Vincenzo di Beauvais, in «Enc.Catt.» v. XII, 1954, cll. 1438 – 1439. 37 J. DA VARAZZE, Legenda Aurea, op. cit. p. 403 10

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giovane, fece ritorno dalla nutrice. Secondo . IV, 44 – 45: Apocrypha Acta sapit Martyris oratio, quae sic rogat: Si quis legerit librum gestae meae, aut.
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