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Le due anime di Caravaggio, Davide con la testa di Golia PDF

15 Pages·2015·1.16 MB·Italian
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La due anime di Caravaggio, il Davide con la testa di Golia di Antonio De Leo, anno 2015 Caravaggio ha ritratto se stesso in diverse tele, c'è chi ipotizza in più di venti, in realtà gli autoritratti evidenti sono otto, il primo in ordine cronologico è senz'altro il Bacchino malato dipinto appena uscito dall'Ospedale della Consolazione a Roma intorno ai 23-24 anni, in seguito si ritrae in Giuditta che uccide Oloferne nel 1599 nei panni di Oloferne mentre Giuditta lo sta sgozzando, poi nel 1600-1601 fuggitivo nel Martirio di San Matteo, e ancora nelle tre tele di Davide con in mano la testa di Golia nei panni di Golia, la prima è del 1597-1598, le altre due vengono eseguite dopo la fuga da Roma del 1606, una nel 1607 e l'altra nel 1610, infine attorno agli anni 1609-1610 si ritrae nei due Salomè con la testa del Battista nei panni del Battista decapitato. Bacchino malato 1593-1594, Roma, Galleria Borghese Gli altri autoritratti sono incerti, in alcuni la somiglianza è notevole ma mai così evidente come nelle opere appena citate. L'autoritratto è una forma particolare di rappresentazione che alcuni pittori praticano con una certa frequenza, basti ricordare Van Gogh, Rembrandt ed altri, ma i ritratti che Caravaggio fa di se stesso non sono mai statici, nel senso che mai il pittore si mette in posa per ritrarsi ma lo ritroviamo sempre in situazioni particolari, malato nel Bacchino, Martirio di San Matteo, 1600-1601, San Luigi dei francesi, Roma Particolare del Martirio di San Matteo, 1600-1601, San Luigi dei francesi, Roma in una fuga nel Martirio di San Matteo o con il capo reciso in Giuditta e Oloferne e poi nei tre dipinti di Davide con la testa di Golia e nei due di Salomè con la testa del Battista. L'autoritratto è chiaramente una rappresentazione narcisistica di se stessi, è guardarsi allo specchio, in Caravaggio però non è solo questo, non è solamente la rappresentazione della propria immagine nei vari periodi della vita e nelle fasi della maturazione artistica, è anche la narrazione della condizione a cui si sente incatenato a causa degli eventi che segnano il cammino della sua esistenza. La storia dell'artista racconta un uomo che per affermare la vita ha avuto bisogno ogni volta di sfidare la morte e gli autoritratti sono testimonianza di questa narrazione. Ricordiamo brevemente la sua biografia, fugge ancora ragazzo da Milano per un probabile omicidio, arriva a Roma a 19 anni dove gli episodi di violenza e intolleranza non si contano, tira in faccia ad un taverniere un piatto di carciofi per una disputa, tira sassi alle finestre di due prostitute, ferisce di spada un notaio di provincia a causa di un diverbio sulla prostituta Lena sua modella ed amante, scrive due sonetti assieme ad Orazio Gentileschi, Ottavio Leoni e Onorio Longhi, calunniando il pittore Giovanni Baglione e per questo i tre subiscono un processo, va in giro di notte per Roma con i suoi amici attaccando briga con bande rivali, diviene famoso per aggredire alle spalle le persone di cui vuole vendicarsi, insomma negli anni a Roma frequenta con grande assiduità le galere pontificie di Tor di Nona. Davide con la testa di Golia 1597-1598, Madrid, Museo del Prado Il culmine romano lo raggiunge il 28 maggio del 1606 in cui, dopo un diverbio per una partita di pallacorda, uccide Ferruccio Tommasoni ed è costretto a fuggire da Roma perché inseguito da un Bando capitale emesso nei suoi confronti dal Papa Paolo V°. Gravemente ferito trova rifugio presso i Colonna nei feudi di Paliano, Palestrina e Zagarolo, in seguito si reca a Napoli dove i Colonna ottengono una possibilità di salvezza procurandogli un cavalierato di Malta, condotto a Malta per ricevere il cavalierato commette anche qui un delitto, probabilmente ferendo gravemente un cavaliere o commettendo un altro atto infame che non viene descritto nel documento che decide la sua espulsione dalla congregazione e l'incarcerazione perché troppo ignobile, sul documento si legge: "tanquam membrum putridum et foetidum", insomma ne ha combinata una delle sue ed anche estremamente grave. Giuditta taglia la testa a Oloferne 1598-1599, Roma, Galleria nazionale d'arte antica Riesce miracolosamente, forse con l'aiuto dei Colonna, a fuggire dal carcere di Malta e si reca in Sicilia, da qui fugge perché inseguito dai cavalieri e torna a Napoli dove viene gravemente sfregiato all'uscita da una taverna, sempre con l'aiuto dei Colonna riesce ad ottenere il perdono dal Papa e tenta di recarsi a Roma passando da Civitavecchia, perde i dipinti che aveva portato con sé perché rimangono sulla barca che l'ha trasportato e muore inseguendoli sulla spiaggia di Porto Ercole il 18 luglio 1610 all'età di 39 anni. Come abbiamo visto tutto il percorso della sua vita è un itinerario di morte che conduce alla morte. Altrettanto la sua opera è costellata di dipinti che descrivono la morte e la prossimità alla morte, Giuditta e Oloferne, la Deposizione di Cristo, la Decollazione di San Giovanni, il Martirio di San Matteo, la Morte della Vergine, il Sacrificio di Isacco, i due Salomè con la testa del Battista, il Martirio di San Paolo, la Resurrezione di Lazzaro fino ai tre Davide con la testa di Golia. Davide con la testa di Golia 1607, Vienna, Kunsthistorisches Museum Come abbiamo già detto è proprio in questi dipinti di morte che Caravaggio ritrae più volte se stesso, naturalmente i più significativi sono quelli posteriori alla fuga da Roma in cui l'artista dipinge per due volte il proprio volto nella testa recisa di Golia tenuto per i capelli dal giovane Davide e per due volte in Salomè che porta nel vassoio la sua testa nelle vesti del Battista decapitato. In questi dipinti l'immagine di se stesso diviene immagine del sé separato dall'altro, qui l'artista è come se si spezzasse in due, non più quindi un lui e gli altri ma un sé sdoppiato, un lui ed un altro sé, una replica che racconta la volontà di separazione dal suo sé peggiore, quello di "scarto", del "reale brutto dell'esistenza" direbbe Recalcati, dove le colpe si identificano nella colpa dell'esistenza stessa in cui la stratificazione della storia personale si realizza, si rende cioè reale, nella rappresentazione mortifera della propria immagine specchiata. Nei Davide è come se fosse sempre un se stesso giovane, e quindi privo di storia, che sorregge la testa recisa dell'altro della storia "fallita", dove l'uno, nel rimpianto, sacrifica l'altro inseguendo l'illusione di un riscatto che la biografia ormai tracciata rende impossibile. Davide con la testa di Golia 1609-1610, Roma, Galleria Borghese E' come se Caravaggio fosse sempre stato sdoppiato in una doppia azione vitale, la prima alla ricerca dell'affermazione nell'agire dell'arte e la seconda nella negazione di se stesso nell'agire della vita, in cui l'uno non arriva mai a riscattare l'altro sino in fondo, non riuscendo così ad evitare lo sdoppiamento tra realtà e rappresentazione sino a portare quest'ultima ad essere la narrazione di una negazione fallita. E' in tutto il percorso dell'opera dell'artista che si legge la mappatura del passaggio dalla psicosi latente fino alla sua liberazione con l'atto violento del 1606 come atto affermativo della propria esistenza, atto che in fondo non è altro che l'esplicitazione del desiderio di morte e quindi del rischio di morte, rimanendo peraltro gravemente ferito, che nel suo fallimento sfocia nella morte dell'altro. Salomè con la testa del Battista 1607-1610, Londra, National Gallery La rappresentazione nei ritratti in cui compare decapitato è la messa in scena di quella che Freud chiama "metafora delirante" che si applica nel tentativo di risoluzione del dramma già avvenuto, "la metafora delirante opera nel ristabilire il senso del mondo dopo che, con la crisi psicotica, questo senso ha subìto uno sconvolgimento radicale che affonda e disperde il senso comune e stabilito del mondo che precedeva lo scatenamento", Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Ritrarre se stesso colpevole del proprio destino come vittima sacrificata pone l'altro sé, il pittore che si specchia nel ritratto, come colui che uccidendo il sé colpevole si libera dal persecutore. E' questo un tentativo di affrancamento, in cui il pittore vendicandosi riscatta la propria immagine simbolica che si esplica nella volontà di immedesimazione con colui che ristabilisce l'ordine nel mondo, in un ultimo tentativo di compensazione del "reale brutto dell'esistenza", nel quale egli si riconosce come unico colpevole, per averlo messo in atto ed avergli dato consistenza con il compimento delle azioni violente. E' una persecuzione paranoide operata dal sé violento contro il sé creatore delle opere artistiche e questa serie di autoritratti sono un tentativo di riscatto del pittore nei confronti dell'uomo e di liberazione da quello sublimandolo nell'arte. E' una volontà estrema di annientamento dell'uno portatore di morte nella volontà di una riabilitazione che riconduca l'altro alla vita. E' un viaggio mortifero dal quale non c'è liberazione, la morte del colpevole, già raccontata metaforicamente nell'arte, spiana il percorso verso una strada senza salvezza, come se quei ritratti fossero la mappatura della biografia del futuro. La strada che Caravaggio compie non è altro che la consumazione del futuro verso una morte del colpevole non disgiunto dall'artista, cioè dell'uomo inscindibile nella sua completezza, dove nei ritratti egli già si è rappresentato assassinato nella propria immagine specchiata. Salomè con la testa del Battista 1609, Madrid, Palazzo reale Quando Caravaggio rappresenta se stesso compie naturalmente un atto narcisistico ma che contiene sempre una narrazione di morte e si ritrae in scene in cui compare sempre passivo, come colui che subisce o ha subìto le azioni degli altri, lo troviamo aggredito dalla malattia nel Bacchino, fuggitivo nel Martirio di San Matteo dove si allontana dalla scena del delitto non prendendone parte né come difensore del martire né come carnefice, nelle altre opere si ritrae sempre come vittima col capo reciso a delitto già compiuto. E' come se l'allontanamento persecutorio che compie da se stesso avesse possibilità di esprimersi nella forma dell'arte proprio perché nella vita si esprime nella forma della violenza. Persino nella Decollazione di San Giovanni, nel quale si legge l'unica firma che ci ha lasciato, Caravaggio traccia il proprio nome col sangue della vittima. Decollazione di San Giovanni Battista 1608, La Valletta, Malta, Cattedrale di San Giovanni Decollazione di San Giovanni Battista 1608, Particolare della firma dell'artista Non dimentichiamo le altre rappresentazioni di morte, San Pietro nel martirio è indifferente al proprio destino, guarda preoccupato se i tre che lo sollevano hanno la forza necessaria a non farlo cadere, è quasi una rappresentazione ironica della morte, uno sberleffo, nella morte della Vergine mette in scena la degenerazione oscena del corpo gonfio d'acqua di una prostituta affogata nel Tevere, nella sua resurrezione Lazzaro appare per metà putrefatto in bilico tra la vita e la morte. Ma è nel Davide che Caravaggio compie una doppia azione mostrandoci un se stesso colpevole ed uno innocente, come se l'arte potesse redimere l'artista abbandonando l'uomo separato da sé in una separazione che la vita non può concedere, nella rappresentazione Davide è l'artista che uccide l'uomo Golia e che allontana da sé la sua testa mostrandola in primo piano come se volesse dire, "ecco, ho ucciso colui che non mi fa compiere l'opera", come se l'arte potesse appunto redimere dall'orribile peccato dell'esistenza, questa è la ragione per cui i dipinti rifiutati provocano in Caravaggio tanto dolore, ricordiamo La morte della Vergine e il primo San Matteo e l'angelo, il rifiuto dell'opera artistica è il respingimento del pittore, una emarginazione ancor più grave perché in prima persona viene rifiutato l'artista e la sua opera quando solo l'uomo, visto da lui come il vero "scarto" da rifiutare, è il colpevole dei fallimenti. E' quindi questo non solo il fallimento del colpevole perdente ma anche quello ancor più grave di colui che redime, che vince sulla vita, dell'uomo che si riscatta sublimandosi nell'arte. Guardiamo di nuovo l'ultimo Davide, quello degli anni 1609-1610, dipinto poco prima di morire. Davide con la testa di Golia 1609-1610, Roma, Galleria Borghese Questa rappresentazione non è quella del pentimento per una vita sbagliata, come invece appare in alcuni degli altri dipinti, qui Davide tiene la testa di Golia a distanza, sembra che ne provi ripugnanza, non tiene quel capo reciso come oggetto della vittoria, trofeo, non è la rappresentazione di un feroce nemico abbattuto come la figura biblica richiederebbe, lo tiene lontano da sé come altro da sé, quasi con rimpianto, lo sguardo del ragazzo è uno sguardo di pena non di trionfo, lontano da sé non nel semplice senso di alterità ma nel significato più marcato di non prossimità, di distanza non solo fisica. E' questa quindi un'immagine desiderante di un allontanamento che l'artista compie nell'unica forma che gli è concessa, quella dell'arte. Guardando questo dipinto riecheggia alla memoria la frase che Karl Jaspers, psichiatra e filosofo tedesco, uno dei più grandi pensatori del ventesimo secolo, pronunciò all'università di Heidelberg nel '45 a proposito delle colpe della Germania, "La colpa di noi tedeschi è di essere ancora vivi". Particolare dell'autoritratto dell'artista nel Davide con la testa di Golia 1609-1610, Roma, Galleria Borghese Questo dipinto è un dono che l'artista invia al Cardinale Scipione Borghese, potente nipote di Papa Paolo V, assieme alla domanda di grazia. E' un atto di contrizione, di chi riconoscendosi colpevole si prostra a chiedere la grazia. Sulla spada che il ragazzo tiene in mano si leggono le lettere "H-AS OS", sigla che riassume il motto agostiniano "Humilitas Occidit Superbiam", l'umiltà uccise la superbia. Particolare della spada nel Davide con la testa di Golia 1609-1610, Roma, Galleria Borghese La storia che l'artista si costruisce è una storia di autodistruzione, ogni volta che compie un'azione violenta è come se non accettasse la propria salvezza. Quando va a Malta per ricevere finalmente il cavalierato e con quello la possibilità di ritornare libero a Roma, anche qui, di fronte alla salvezza tanto desiderata compie un'azione autodistruttiva, compie quel delitto indicibile che segna l'ultimo tratto del percorso compiuto dall'artista verso la morte. La vita di Caravaggio è una vita tragica che si risolve ogni volta di fronte al bivio tra la salvezza e il dramma, in un rotolare catastrofico verso l'annientamento di una personalità che teme, e che rifiuta fuggendo, più se stesso che il mondo. Il Caravaggio vittima nel Davide è quindi vittima perché l'altro Caravaggio, quello al di fuori del dipinto, l'ha ucciso, è un delitto compiuto come autore dell'opera artistica, una volontà di liberazione da colui che intralcia il compiersi dell'opera, un'opera ed una rivoluzione di cui Caravaggio è cosciente e che sa però che può essere compiuta solamente nel connubio inseparabile con l'uomo che lo abita, è questa una convivenza dolorosa ma necessaria al compimento della sua rivoluzione artistica. E' un ribaltamento della norma, il daimon, colui che abita l'uomo, lo spirito divino, per Caravaggio è l'uomo e non l'artista, è un rovesciamento violento di ruoli quello che segna il destino comune dell'uno e dell'altro, è il demone da cui vorrebbe liberarsi ma dal quale la liberazione è impossibile e quindi quel delitto lo attua nella rappresentazione artistica raffigurandosi morto. Quando Caravaggio percorre il delitto lo fa verso l'altro da sé ma quando lo rappresenta, mettendolo in scena, lo fa verso se stesso. E' una alterità non alienabile e per questo tragica come la follia, dove il destino dell'uno si compie inevitabilmente nel destino dell'altro. Caravaggio nei suoi dipinti rappresenta sulla "scena del mondo" quella comunità a cui sente di appartenere, quella degli esclusi, degli esseri notturni, degli uomini e delle donne clandestini alla vita. Carrettieri, aguzzini, prostitute, ladruncoli e reietti, la narrazione del mondo non è altro che quella degli esclusi dal mondo, di coloro che risiedono ai margini. E' una sorta di inclusione degli scarti dell'umanità, di elevazione alla scena dell'arte di coloro che stanno in basso sulla scena della vita. E' come se questa parte di mondo guardasse Caravaggio ed il pittore la raccontasse non con l'occhio di chi la guarda per rappresentarla, ma con quello di chi è guardato e che non può sottrarsi e liberarsi da quello sguardo. E' il suo mondo, che trasborda il limite della vita e la invade, che diviene quindi soggetto e raffigurazione dell'unico immaginario possibile, quello che gli è penetrato nell'anima assieme alla vita vissuta, ed è qui quindi che le prostitute diventano Madonne e gli umili della strada Santi, è con questo senso che tra quegli umili rappresentati egli include se stesso. Nel rappresentare se stesso in quel mondo Caravaggio cerca di circoscriverlo nel suo senso religioso e quindi di incarnarlo nel suo senso della vita, quella vita della sofferenza, del tutto sottratto alla normalità, dell'arrivo ultimo all'ultima meta che la vita può concedere agli esclusi, quella di rappresentare il senso sacro dell'esistenza. E' questa visione del sacro che accorcia le distanze , che approssima l'artista al limite della società portandolo a sottoscrivere quell'agire della vita che si muove sul confine ultimo, sull'orlo dell'abisso spesso sfiorato ma mai raggiunto fino allo scatenamento dell'estremo atto che si esplica oltre la frontiera del tollerabile, il delitto. Ed è da questo momento in poi che la doppia immagine narcisistica, quella costituita dal sé reale e dal sé immaginato, si frantuma e frantumandosi libera definitivamente l'immagine psicotica del sé colpevole separato dal sé cosciente e quindi vendicatore di quello strappo. In questo sdoppiamento quella che Recalcati chiama "supplenza simbolica" resiste perché, dice ancora Recalcati "si struttura su azioni simboliche", legate al sé che agisce, in questo caso del fare arte, essa stessa operazione simbolica e quindi affermativa, che si realizza "su un'attitudine del soggetto e sopratutto su qualche forma di realizzazione sociale" pubblicamente riconosciuta. E' per questo che in Caravaggio l'artista prevale e si rafforza nel divenire carnefice dell'uomo, in quanto nella "supplenza (simbolica) prevale la dimensione della separazione dall'altro" dove "la prima è esposta al rischio dei cattivi incontri" mentre l'altra "attiva un lavoro significante che valorizza i tratti più originali del soggetto mobilitandoli nella messa in forma di un'opera". E' questa la dimensione che permette a Caravaggio, nonostante tutto, di continuare ad essere artista anche durante la fuga e fino alla fine della sua tragica esistenza. Anche il fare arte per Caravaggio è prossimo al limite consentito dalla forma post rinascimentale, ma forse è meglio ricordare cosa intendiamo per "forma" prima di inoltrarci in questo discorso, è bene citare Argan a proposito della concezione della forma nell'Umanesimo, che poi è lo stesso concetto che permane per tutto il Rinascimento, "Quando l'Alberti dice che l'artista si occupa solo di ciò che si vede e non di ciò che eventualmente si cela dietro la sembianza, afferma appunto che il valore non è nella cosa, come fenomeno, ma in ciò che l'intelletto costruisce sul fenomeno. Riflettiamo: la forma è rappresentazione di fenomeni e fenomeno essa stessa; come fenomeno dei fenomeni, è fenomeno assoluto, chiave per intendere il mondo dei fenomeni.". Vuol dire che la forma è fenomeno perché è descrizione della realtà ed in quanto descrizione permette all'intelletto di ampliare il senso del racconto che quella forma esprime, in sostanza la forma è il mezzo dell'arte, è ciò che l'artista compie attorno alla sua narrazione della realtà, che comprende in sé anche ciò che il nostro intelletto su quella narrazione può costruire. Michelangelo e tutti gli artisti rinascimentali rispettano in pieno questo concetto, il manierismo lo ignora e Caravaggio lo estende fino al suo limite. E' forse questo il lato più affascinante dell'opera dell'artista ed è questo che conquisterà tutta la pittura del nord Europa, quando in Italia appena dopo vent'anni dalla morte Caravaggio viene completamente dimenticato, la sua lezione investe la pittura del resto d'Europa, Rubens, Vermeer, Rembrandt, Velasquez e molti altri vengono influenzati da lui. Per fare un esempio basta citare la Deposizione di Rubens e confrontarla con quella di Caravaggio. Pieter Paul Rubens, Deposizione nel Sepolcro (1611-1612), Caravaggio, Deposizione dalla Croce (1602-1604), National Gallery, Ottawa Pinacoteca del Vaticano Nell'arte moderna la forma acquista altre valenze ad di fuori dai concetti espressi, pensiamo a Van Gogh, a Pollock o a Fontana, che vanno oltre quei limiti e li frantumano, ma siamo in altre epoche ed in altre culture. Morte della Vergine 1604, Parigi, Museo del Louvre La pittura accettata all'epoca di Caravaggio rientra nei canoni imposti dalla chiesa, i volti delle Madonne e dei Santi non devono essere riconoscibili con quelli di persone vive, è vietato rappresentare le figure sacre in maniera eccessivamente terrena, se non toccano il suolo è meglio, non bisogna mostrare con troppa crudezza la morte ecc., insomma una serie di regole che il pittore costantemente infrange, abbiamo detto che fare arte per Caravaggio è sfiorare quel limite, forzarlo, portarlo all'estremo accettabile fino a romperne i confini.

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La due anime di Caravaggio, il Davide con la testa di Golia Caravaggio ha ritratto se stesso in diverse tele, c'è chi ipotizza in più di venti, in realtà gli .. pienamente liberato, qui la luce agisce come luce che sottrae dall'ombra ed
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