Adolfo Bioy Casares L'AVVENTURA DI UN FOTOGRAFO A LA PLATA Editori Riuniti Roma ɰ Traduzione di Elena Clementelli Prima edizione giugno 1987 Titolo originale: "La aventura de un fotógrafo en La Plata" Nota biografica Adolfo Bioy Casares (Buenos Aires, 1914) è fra i massimi narratori contemporanei della letteratura latino-‐americana. Non ancora trentenne, dopo studi intensi ma irregolari, conosce Jorge Luis Borges e avvia con lui un rapporto di amicizia e collaborazione. La sua presenza nelle più importanti riviste letterarie argentine, e più in particolare nel gruppo redazionale di Sur, sottolinea la peculiarità dei suoi interessi e della sua formazione, nonché la sua appartenenza alla parte più vitale della letteratura fantastica latino-‐ americana. Quella stessa che, con Borges, Julio Cortázar, Felisberto Hernández, Horacio Quiroga, Manuel Mujica Lainez, ha contribuito a rinsaldare una volta di più l'immagine dell'America latina come terra del "possibile", dell'incantesimo, dell'immaginazione, della "meraviglia". Pur dentro il fitto intrico di dipendenze e influenze reciproche, il mondo fantastico di Bioy Casares possiede un'autonomia e una riconoscibilità proprie, tanto più vive quanto più rischiano di essere annebbiate dal sodalizio, talora simbiotico, col maestro e amico Borges; il suo stile, più ancorato alla realtà, spinge il lettore sulle tracce di una affiorante allegoria del sociale. In "L'avventura di un fotografo a La Plata" questa formula narrativa giunge fino al gioco dell'"insensatezza" prossima all'assurdo e all'incubo, ma alleggerita e rinfrescata da un'aria crepuscolare di commedia. Certo, vi sono i segni, volutamente indecifrabili, di un incombente mistero: la "vocecita" della Cattedrale, le "uñas rosas" di Doña Carmen, la minacciata presenza di Satana "sub specie familiae". E tuttavia finisce per imporsi una lucida e distaccata geometria di gesti e parole che sembra specchiarsi in un'altra geometria, quella della città, suggerita da ossessivi riferimenti alla denominazione numerica di "strade" e "diagonali". 1. Verso le cinque, dopo un viaggio lungo quanto la notte, Nicolasito Almanza arrivò a La Plata. Si era addentrato appena di un centinaio di metri nella città, a lui sconosciuta quando delle persone lo salutarono. Non rispose perché aveva la mano destra occupata con la borsa della macchina fotografica, le lenti e altri accessori e la sinistra con la valigia. Ricordò allora una situazione simile. Si disse: "Tutto si ripete", ma l'altra volta aveva le mani libere e aveva risposto a un saluto diretto a qualcuno che gli stava alle spalle. Guardò indietro: non c'era nessuno. Quelli che lo avevano salutato ripetevano il saluto e sorridevano, la qual cosa attirò la sua attenzione perché non aveva mai visto quelle facce. Per il modo in cui stavano raggruppati pensò che magari avevano capito che era un fotografo e volevano essere fotografati. "Un gruppo di famiglia", pensò. Lo componeva un uomo anziano, alto, eretto. ben portante, rispettabile, con capelli e baffi bianchi, la carnagione rosea, gli occhi azzurri, il quale lo guardava bonariamente e forse con un pizzico di malizia; due donne giovani, di bell'aspetto, una bionda, alta, con un bambino in braccio e l'altra con i capelli neri; una bimbetta di tre o quattro anni. Ai loro piedi stavano ammonticchiate valigie, borse, fagotti vari. Attraversò la strada, chiese in che cosa poteva esser loro utile. La bionda disse: -‐ Abbiamo pensato che anche lei era forestiero. -‐ Ma non tanto forestiero come noi -‐ aggiunse ridendo la bruna -‐ e volevamo chiederle... -‐ Perché bisogna sempre diffidare della gente del posto, soprattutto se si ha l'aria di un campagnolo -‐ spiegò il signore con gravità, all'ultimo attenuata da un sorriso. Almanza credette di capire che per una qualche ragione misteriosa tutto divertiva il vecchio, compreso il fotografo che veniva dall'interno, il quale non aveva pronunciato più di tre o quattro parole. Non si offese. La bruna concluse la sua domanda: -‐ Se non ci sarà un caffè aperto da questi parti. -‐ Un posto di cui ci si possa fidare, dove servano una vera colazione, -‐ disse il signore, per aggiungere sorridendo, con una allegria che invitava a essere condivisa: -‐ Senza per questo venire spennati. -‐ Mi dispiace non poter aiutarli. Non conosco la zona. -‐ Poi, dopo un attimo di silenzio, annunciò: -‐ Beh, adesso li lascio. -‐ Io pensavo che il signore ci avrebbe fatto compagnia -‐ asserì la bruna. -‐ Vorrei proprio sapere perché ci siamo portati appresso tanti fagotti -‐ protestò la bionda. Fra tutte e due non riuscivano a caricarseli. -‐ Mi permettano -‐ disse Almanza. -‐ Voglio pregarla di accompagnarci, -‐ disse il signore, mentre gli passava i pacchi a uno a uno. -‐ La gente del posto, soprattutto quando è nel commercio, cerca sempre d'imbrogliarti. Bisogna opporre un fronte unito. A proposito: Juan Lombardo, per servirla. -‐ Nicolás; Almanza. -‐ Una felice combinazione. Siamo omonimi. Il mio nome completo è Juan Nicolás Lombardo, per servirla. Almanza vide espressioni di stupore nella bionda, di contentezza nella bruna, di amichevole speranza in don Juan. Questi gli tendeva la mano aperta. Per stringerla si apprestava a deporre a terra il bagaglio appena caricato, quando la ragazza dal capelli neri gli fece: -‐ Povero Babbo Natale! Guardate come lo avete conciato. Ci sarà tempo di dare la mano a mio padre. Il gruppo si addentrò nella città. Don Juan, con passo energico, lì precedeva. Almanza restava indietro, impacciato da tutto quel carico ma incitato dalle ragazze. La piccolina dopo pochi metri chiese qualcosa che non ottenne, per cui alla fine aggiunse il suo al pianto del fratello. Come uno che si stia svegliando, Almanza udì la voce baldanzosa di don Juan che annunciava: -‐ Ecco qui un locale che potrebbe fare al caso nostro, a meno che il nostro giovane amico non la pensi diversamente. Si affrettò ad assentire. Erano davanti a un caffè o bar il cui personale, in abiti da lavoro, lavava e strofinava il pavimento fra i tavoli ammucchiati. Di malavoglia fecero loro posto e alla fine portarono cinque caffelatte, con pane e burro e cornetti. Mangiarono e conversarono. Almanza venne così a sapere che don Juan era, o era stato, fattore in una azienda agricola di Etchebarne, nella giurisdizione della Magdalena e che possedeva un piccolo podere a Coronel Brandsen. Seppe anche che la bionda, madre dei due bambini, si chiamava Griselda. La bruna, che si chiamava Julia, disse che erano attesi in una casa-‐pensione che offriva tutti i comfort a prezzi ragionevoli, assai raccomandata da viaggiatori abituati al meglio. Dal canto suo, don Juan suggerì: -‐ Vedrà, amico mio, che se viene con noi ci guadagnamo tutti. Farò di tutto, come se lei fosse della famiglia, perché i padroni le offrano il possibile per farla sentire a suo agio. Queste parole ebbero l'appoggio delle due donne. -‐ Le sono davvero molto grato, ma adesso non è possibile, -‐ affermò. -‐ Ho una stanza riservata alla pensione dove si ferma sempre un amico mio. La distensione, il pasto, la conversazione produssero un benessere generale, ben presto turbato dal pianto del piccolo, così ostinato da toccare i limiti della sopportazione. E quello che dovette pensare Griselda perché all'improvviso disse: -‐ Scusate. Scoprì un seno notevolmente turgido e roseo e si mise ad allattare il figlio. 2. Accompagnò i suoi nuovi amici alla pensione che, a quanto apprese più tardi, restava fra la Seconda e la Cinquantaquattresima , e portò il numeroso bagaglio su nella stanza, all'ultimo piano, per cui dovette salire e scendere varie volte le scale. In questo andare e venire non si stancò di ammirare delle vetrate che avevano figure a colori vivaci. Ebbe la sensazione che l'altra pensione, dove gli aveva riservato una stanza l'amico Mascardi, non gli sarebbe piaciuta troppo. Quello che gli piaceva meno in questa era un odore, forse di cucina o dispensa, non sapeva di che cosa esattamente, non forte né molto ripugnante, che pareva diffuso in tutta la casa. Nonostante l'insistenza dei Lombardo per trattenerlo, prese congedo perché gli si stava facendo tardi. Mentre lo accompagnavano alla porta, le donne gli dissero di non essere ingrato, ma di tornare presto a trovarle. Rimbombò allora un grido lacerante. Dopo un breve silenzio udirono la voce di don Juan che fra i gemiti chiamava le figlie. Griselda si precipitò su per le scale. Prima di seguirla Julia disse: -‐ Non se ne vada ancora. Non ci lasci in un momento come questo. Almanza scambiò alcune parole con la padrona e qualche altro pensionante. Si chiedevano che cosa stesse accadendo. Di li a poco ritornò Griselda, tutta agitata. -‐ Bisogna chiamare un medico, -‐ disse. -‐ Mio padre sta male. La padrona domandò: -‐ Un medico? Io conosco abbastanza il Centro medico. Se vuole, chiamo lì. Vengono subito. -‐ Chiami, chiami allora. La conversazione telefonica della padrona era continuamente interrotta da Griselda che suggeriva: -‐ Ripeta che sta male. Che ha avuto uno sbocco di sangue. Che bisognerà fargli una trasfusione. Griselda si allontanò e venne giù Julia che domandò: -‐ Rimane lontano il Centro medico? La padrona rispose: -‐ Appena girato l'angolo, poche centinaia di metri. Vengono subito. -‐ Ci vado. -‐ Ci vado lo -‐ fece Almanza. -‐ Non si perderà? -‐ No, se mi danno l'indirizzo. -‐ E' facile, -‐ assicurò la padrona.-‐ Sei isolati a destra, uno a sinistra, un altro a destra. Non può sbagliare. Senza pensarci oltre, Almanza si precipitò in strada. Contava ad alta voce gli isolati. Arrivato all'ottavo incrociò un'ambulanza che stava uscendo. Alzò una mano per fermarla e chiese se per caso stavano andando alla pensione. Gli risposero di sì. -‐ Ero venuto per questo, -‐ disse.-‐ Mi portate con voi. Nell'ambulanza c'erano due uomini. Quello alla guida, vestito da infermiere, e l'accompagnatore, vestito quasi alla stessa maniera, che doveva essere il medico. Quando già stavano per arrivare, il medico gli domandò: -‐ Epatite? Qualche malattia infettiva che si ricordi? Malattie veneree? -‐ Io? Nemmeno per sogno. Nel salire le scale della pensione, il medico gli disse: -‐ Lei non se ne vada. Almanza gli indicò la stanza dei Lombardo. Chiedendo "permesso, permesso" per scansare i pensionanti, il medico entrò e richiuse la porta. Poiché l'attesa si prolungava, Almanza comincio a sperare che la porta si aprisse, che Julia si affacciasse sulla soglia e annunciasse che il padre stava perfettamente bene. Aveva posto tanta forza di volontà in quel desiderio che, all'aprirsi della porta, pensò che il fatto fosse opera sua. Ma chi comparve non fu Julia, bensì il medico che uscì borbottando come fra sé: -‐ Perfetto. perfetto. -‐ Tutto a un tratto fissò lo sguardo su Almanza dicendogli: -‐ Stavo proprio pensando a lei. Notò con soddisfazione che gli davano importanza. Chiese: -‐ Posso fare qualcosa? -‐ Certo che può. -‐ Cosa devo fare? -‐ Si tiri su una manica. Obbedì. -‐ E adesso? -‐ Le faccio una punturina. Il medico mise su una lastra di vetro un po' del sangue che aveva siringato. -‐ Tutto fatto? -‐ chiese Almanza. -‐ Oggi mi dice bene. Lo stesso gruppo! Si rende conto? -‐ Veramente no, dottore. -‐ Avete lo stesso gruppo sanguigno: A positivo. Il sangue più comune e corrente che si possa immaginare. Per favore, venga con me, presto.