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La Ricerca 68 PDF

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Bollettino del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno Unione Italiana - Fiume Università Popolare - Trieste • Le varianti adriatiche • Tutela dell’identità attraverso il recupero dei capi d’abbigliamento tradizionali 68 • L’igiene urbana nella Terra di Buie • L’attività organizzativa per la visita della Commissione interalleata Dicembre 2015 • L’istriano Pino Auber esempio di passione sportiva LA RICERCA Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Anno XXVI, n. 68 - Pag. 1-24, Rovigno 2015 - CDU 908 (497.12/.13 Istria) ISSN 1330-3503 L’Editoriale LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 di Nicolò Sponza Le varianti adriatiche Studiare, onde capire la civiltà che si è andata a tracciare lungo la costa dell’Adriatico orientale spesso risulta intricato, in quanto le varianti storiografiche, congegnate attraverso le molteplici e, alle volte, faziose interpretazioni abbondano. Ci vuole talento, coraggio e una dose di sano anticonformismo accademico per poter leggere tra le righe, eludendo le attribuzioni che si snodano attraverso le varie dimensioni linguistiche, culturali, etniche e nazionali che hanno, e continuano a delineare le storiografie di questa porzione del Vecchio Continente. Territorio dove gli scontrati e gl’incontrati tra popoli hanno dato vita a una linea di transizione, a una frontiera, all’interno della quale gli universi culturali sfumano, e incrociano le alterità, dove si assiste al passaggio tra il mondo latino-italiano e il mondo slavo: cattolico e ortodosso, ma anche germanico e musulmano, veicolato attraverso l’Impero non possono essere spiegate esclusivamente tramite le Ottomano, tanto da modellare, nei secoli, un sistema sue componenti poiché la sommatoria funzionale delle antropico unico, un mondo multiculturale, un ponte parti è sempre maggiore/differente dalla somma delle tra Occidente e Oriente tra Nord e Sud. Ma anche prestazioni delle parti prese singolarmente. una costa, quella adriatica, scossa da totalitarismi, Fatte proprie queste premesse, il nuovo numero de nazionalismi e nuove ripartizioni territoriali protrattesi La Ricerca, propone una serie di contributi volti sino agli ultimi anni del XX secolo, che hanno ad aiutare chi legge a scoprire (o forse solamente favorito lo sviluppo di storiografie spesso partigiane, riscoprire) la civiltà a cui apparteniamo. mistificatrici, orientate più a enfatizzare le nuove La volontà di perpetuare la tradizione e il “conquiste” che a capire i tratti comuni. Storiografie rafforzamento della coscienza identitaria portate a eludere l’idea di civiltà adriatica attraverso rappresentano le chiavi di lettura del saggio di Paola versioni nazionali (nazionalistiche sic!) della storia del Delton Tutela dell’identità attraverso il recupero territorio. Civiltà adriatica, invece, che con veemenza dei capi d’abbigliamento tradizionali. Nel caso di appare quando nella ricerca si introduce un approccio Dignano sono stati proprio gli abiti dei dì di festa; olistico, ossia quando si fa propria quella posizione recuperati una prima volta sul finire dell’Ottocento, e teorica basata sull’idea che le proprietà di un sistema una seconda, alla fine degli anni Venti del Novecento, 1 LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 L’Editoriale di Nicolò Sponza a diventare il costume popolare tipico, ancor oggi per la visita della Commissione interalleata illustra usato in chiave folcloristica e perno attorno al quale i preparativi nell’imminenza della visita della si muove ogni attività di salvaguardia e trasmissione Commissione interalleata del 1946 per la definizione degli usi e tradizioni autoctone del luogo e dei suoi dei confini, nella vertenza aperta tra Italia e Jugoslavia. abitanti. In questo contesto le autorità jugoslave, a tutti i livelli, Rino Cigui, continua la sua ricerca sulle condizioni furono spasmodicamente impegnate a dimostrare la igieniche, epidemie e malattie che hanno segnato tesi che l’Istria, Trieste e il Litorale sloveno erano il territorio istriano in epoca moderna. Il saggio legate economicamente alla Jugoslavia e che Trieste L’igiene urbana nella Terra di Buie esamina le norme e Pola non potevano vivere e svilupparsi senza il sanitarie introdotte nello Stato di Buie, a partire dal proprio retroterra slavo. Ne conseguì che i vertici 1412, anno della dedizione della città a Venezia. politici prepararono la visita della Commissione come Queste norme, seppur limitate, racchiudevano in un “avvenimento etnico fondamentale” offrendo agli sé quegli elementi embrionali divenuti nel tempo i Alleati la dimostrazione concreta che era la popolazione capisaldi dell’igiene e delle regole civili della vita istriana, in altre parole “un intero popolo”, a chiedere moderna; esse mirarono essenzialmente a porre un l’annessione alla Jugoslavia. freno al degrado ambientale, imputabile alla mancata A concludere Franco Stener, il quale presenta un applicazione delle più elementari norme igieniche da singolare personaggio istriano - Giuseppe (Pino) parte della popolazione. Auber, nato a Capodistria, classe 1938, diviso tra la Orietta Moscarda Oblak in L’attività organizzativa passione per lo sport e quella per l’arte. 2 fgsdfgasg Saggio LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 di Paola Delton Tutela dell’identità attraverso il recupero dei capi d’abbigliamento tradizionali La nostra riflessione sul naturale evolversi del modo di vestire delle donne e degli uomini del popolo di Dignano trova il punto di partenza in una descrizione degli usi e costumi di questa cittadina istriana risalente alla seconda metà dell’Ottocento, periodo storico caratterizzato da un nuovo interesse verso le forme e le espressioni delle classi subalterne. L’autore della prima descrizione che prendiamo in considerazione è il farmacista Pier Antonio Vittori, il quale pubblicò alcuni articoli sugli usi e costumi di Dignano nel foglio L’Istria di Parenzo nel 18861. Le sue notizie furono riprese da Marco Tamaro nel capitolo sulle tradizioni del popolo dignanese in Le città e le castella dell’Istria Pietro Marchesi Nozze istriane, (1893); qui l’autore cita il Vittori come “dignanese”2. corte nuziale 1895 circa Egli compare come “Pier Antonio Vittori di Vignacco nell’Istria” tra i laureati presso l’Università di Padova nell’anno scolastico 1834-353, ma sappiamo che operò da vari anni, e così spariscono e nastri e fettuccie” (usati a Dignano visto che anche Domenico Rismondo lo per allacciare i capi: il primo portato attorno ai fianchi cita, nella sua monografia su Dignano, tra gli studenti e il secondo al di sopra delle spalle, lasciando che fra dell’università patavina, cioè tra coloro che ebbero essi spuntasse la camicia bianca), sostituendo il tutto la possibilità di studiare nella propria lingua madre e con una “più comoda giacchetta”. Altro particolare, presso un’università italiana, prima che gli studenti vissuto dall’autore come una perdita, è l’acconciatura istriani fossero indirizzati verso l’università viennese4. del capo che “fece andare un dileguo la fila degli aghi Dunque il Vittori descrive i costumi dei dignanesi, che portavano infissi nella capigliatura” e insieme ma lo fa scrivendo anch’egli una sorta di storia del a questi anche “spilloni e tremoli”. Portano invece costume, risultando il suo testo un confronto con il ancora agli orecchi “i larghi pendenti vuoti con altri passato; infatti i verbi usati sono all’imperfetto e il loro tre attaccati al di sotto”, nonché “i vezzi al collo e gli uso lascia trasparire una sorta di nostalgia per qualcosa anelli” e “l’antico grembiule più o meno fine e nero”. che non c’è più. Riassumendo, degli uomini dice che Non portano più il fazzoletto bianco ricamato al telaio, “ora” (1886) vestono interamente in nero, meno la usato nei giorni festivi e solo per andare in chiesa, camicia e le scarpe, con calzoni lunghi di grossa lana sostituito da un “fazziolo o capa, come la dicono, di tinta in nero, mentre “in un tempo che non sarebbe di colore tendente all’oscuro, o verde cupo”5. molto lontano e nell’estate almeno, portavano corte e Il Tamaro (1893) riprende la descrizione del Vittori, strette brache di tela bianca e pressoché tutti un rustico ribadendo che “in generale tutti vestono di nero”6, cappello a comignolo ed anche un lor cappelletto mentre delle donne dice che “in chiesa sembrano tondo”. Le donne non filano e non tingono più le lane altrettante monache, salvo il luccicar dell’oro che in nero, ma trovano più comodo comperare i tessuti. le tradisce”7, e conclude: “Se non ci fosse altro, “Quelle stoffe di seta, di raso, di damasco, a fiorami a meriterebbe di andar a Dignano solo per vedere le sue colori (…) guarnite della così detta romana ossia trina donne graziose, quantunque anche in loro, come negli in oro o argento, o altramente; non esistono più”. Il uomini, sia entrata già la moda, così da snaturarne Vittori spende molte righe nel descrivere la brazzarola in parte il caratteristico tipo. Ed io credo che buona e le maniche, e dice che “sono ormai scomparse e ben parte della venustà dipenda dalla foggia del vestito; 3 LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 Saggio di Paola Delton montate invece alla parigina perderebbero molto della loro particolare quanto semplice eleganza”8. Però aggiunge: “Del resto il vestito, preso nel suo complesso, varia di poco da quello di due secoli fanno. Il vescovo Tommasini, nella descrizione che fa dei Dignanesi nei suoi Commentari, ripete all’incirca le stesse cose”9. Giacomo Filippo Tommasini, vescovo di Cittanova, nella seconda metà del Seicento aveva infatti scritto: “Le donne hanno gli abiti simili a quei delle monache. Vestono di rasse negre, cingendosi di cintura di curame nero, che chiamano bruna, con veli in testa a guisa di monache (…) Alle feste però ed in occasione di nozze ed altre allegrezze compariscono le più comode con delle belle vesti alla loro usanza di panni scarlatti, pavonazzi, ed altri colori, ed altra sorte di lane sottili”10. Partecipanti al raduno di Venezia A proposito degli uomini scrisse: “Alcuni civili vestono (19 agosto 1929) all’italiana, il rimanente veste un particolare abito, per lo più nero fatto dalle rasse delle lane del paese, è quella del corteo nuziale13 nella quale si osservano gli con calzoni stretti e lunghi sino passato mezza gamba, uomini che portano “calzoni stretti e lunghi sino passato una camicia di panno rosso incrociata, sopra la quale mezza gamba”, come disse nel Seicento il Tommasini, portano un cusachino curto senza bottoni. Usano per lo mentre sopra la camicia bianca il corpetto è rosso nel più scarpe alla spagnuola”11. caso degli uomini che compongono il corteo, nero Considerate queste testimonianze, possiamo sostenere per gli altri partecipanti, suonatori, accompagnatori, che nonostante l’influenza delle tendenze e delle mode, curiosi; le scarpe sono di pelle marrone. Le donne dell’evolversi del mercato dei tessuti e dell’industria in del corteo sono tutte delle Marusse, cioè vestite come generale, a Dignano alla fine dell’Ottocento il popolo la sposa, con le brassarole e le manighe colorate, il vestiva come nel Seicento e in occasione di momenti fazzoletto ricamato sulle spalle, la grossa gonna nera importanti e soprattutto di festa usava indossare capi con la romana, e sul capo spilli, tremoli, orecchini, cioè vistosi e allegri. Sono stati proprio gli abiti dei dì di tutto ciò che il Vittori e il Tamaro avevano descritto festa ad essere recuperati una prima volta sul finire come la particolarità del costume femminile dignanese. dell’Ottocento e la seconda alla fine degli anni Venti Segnaliamo però che due opere del Marchesi, non del Novecento, diventando il costume popolare tipico collegate all’opera lirica e dunque estranee ad un dei dignanesi, ancor oggi usato in chiave folcloristica momento di festa, presentano due tipi dignanesi diversi: e perno attorno al quale si muove ogni attività di “Bara Matio Grinta al focolare”14 è un uomo anziano salvaguardia e trasmissione degli usi e tradizioni vestito tutto in nero tranne la camicia bianca, con il autoctone del luogo e dei suoi abitanti. cappello nero a falda larga, portato anche in casa, Nel 1895, tre anni dopo la pubblicazione dell’opera mentre “Marussa vecchietta”15 è un’anziana che porta del Tamaro, viene presentata al pubblico triestino sul capo il fazzolettone nero, la “capa”. L’opera “Nozze l’opera lirica “Nozze Istriane”, di Antonio Smareglia. Istriane” fu rappresentata più volte a cavallo tra il XIX Il librettista, Luigi Illica, scrisse il testo a Dignano, e XX sec. e memorabile fu l’esecuzione di Pola al teatro attratto dal posto e dalle tradizioni degli abitanti, che Ciscutti il 24 marzo 1908. Grande fu l’interesse dei diventano i protagonisti dell’opera, così come i loro dignanesi per l’opera ed essi, assieme ai gallesanesi, si abiti e i fieri sentimenti rusticani. La rappresentazione portarono in città grazie ad un treno speciale concesso teatrale necessita di costumi fedeli all’originale, per cui dall’i.r. Comando del porto di guerra a Pola. Molti sulla scena compaiono Marussa, Bara Menico, Biagio, erano vestiti in abito tradizionale e tra questi spiccavano Lorenzo, Nicola, nonché le comparse, vestiti “alla certamente le Marusse16. L’evento, che ebbe un seguito dignanese”. A dipingere i bozzetti per le scene teatrali a Dignano dove furono ospitati gli esecutori dell’opera, fu l’industriale dignanese Pietro Marchesi, amico dello contribuì alla presa di coscienza identitaria e alla Smareglia, formatosi come pittore a Venezia, che aveva diffusione e conservazione del costume tradizionale che più volte ospitato nel proprio studio il compositore12. tanto era piaciuto nei teatri di questa parte d’Europa. I bozzetti di Marchesi ci permettono di osservare i “La guerra mondiale del 1915 che scompigliò le costumi tradizionali portati in scena, tra i quali spiccano tradizioni e le usanze di Dignano”, scrisse Domenico quelli dei giorni festivi, essendo la trama dell’opera Rismondo nel 1937, “non potè che dare il tracollo imperniata proprio sul matrimonio. Una scena ad effetto ad ogni reliquia del costume andato, per caso salvato 4 Saggio LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 di Paola Delton Immagine tratta da Costumi e danze d’Italia edito nel 1938 dall’OND ancora in qualche cassa o in qualche armadio come fotografo specializzato e per la stampa di monografie cimelio dei tempi passati”17. Questa guerra fu il primo illustrate”18. Interessanti i dati ufficiali forniti dal grande sconvolgimento dello scorso secolo, le cui Municipio, tra i quali i seguenti: “Esistono ancora conseguenze furono disastrose anche nel campo degli pochi esemplari di costumi caratteristici, non vengono usi e costumi del popolo. Per i costumi dignanesi indossati che in qualche rara circostanza (…) Nelle si presentò un’altra occasione di rivalutazione e feste nuziali si sente ancora il discanto: due versi che conservazione degli stessi, e ciò avvenne alla fine vengono quasi sempre improvvisati dall’uomo e ripetuti degli anni Venti del Novecento, quando, in piena dalla compagna”19. I raduni folcloristici erano eventi epoca fascista, venivano promossi il regionalismo e di massima portata a Venezia, città nella quale il tutto il municipalismo, utilizzati per il rafforzamento della si inseriva in una complessa macchina turistica20. Ogni coscienza nazionale. A questo scopo ci fu la ripresa località faceva l’impossibile per portare ciò che c’era delle feste popolari e venne favorito l’interesse per di più autentico nel proprio costume: “Si riuscì però in tutto ciò che era riconducibile alla genuinità del popolo. tutto e le nostre ragazze furono a Venezia vestite con In questo senso un’importante funzione fu quella drappi originali scelti con rigore artistico, che ricordano svolta dall’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) che il ‘600, il ‘700 e l’800, perché anche il cappello di istituì, all’interno della sezione Cultura popolare, un lana nera, greve e rigido, fu rintracciato, quel ‘capel ufficio che doveva valorizzare i costumi, i canti, le largo’ che la donna portava in segno di lutto o quando danze e le tradizioni popolari. A Venezia tutto questo andava in campagna o nei giorni delle Rogazioni”21. si concretizzò nei raduni di costumi tradizionali Per Dignano il raduno del 1929 rappresentò una vera italiani organizzati negli ultimi anni Venti e, come occasione di recupero dei costumi tradizionali, che ricorda il Rismondo, al raduno del 18 agosto 1929 come abbiamo visto venivano ormai indossati solo vi parteciparono anche i dignanesi. Infatti nell’estate saltuariamente. Accenniamo al fatto che simili raduni di quell’anno al Municipio di Dignano giunse dal venivano organizzati anche a livello regionale: i “Comitato Tradizioni e Costumi” dell’OND veneziana documenti d’archivio ci parlano di raduni folcloristici un invito a trasmettere alcuni dati sui costumi del istriani a Pola e Portorose22. posto “al fine di fissare il programma per l’invio di un Negli stessi anni, precisamente nell’agosto del 1933, 5 LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 Saggio di Paola Delton ritornarono a Pola le “Nozze Istriane” che furono 3 G. F. Spongia, Comentarii di Medicina, vol. I, Minerva, Padova, 1836, p. 587. In questo volume tra coloro che “nell’anno scolastico rappresentate tre volte all’Arena, commemorazione 1834-35 riportarono la laurea in medicina od in chirurgia, ed ideale dell’autore scomparso quattro anni prima. Subito ottenero il grado come Maestri di chirurgia, Chirurghi provinciali, dopo, nel 1937, Domenico Rismondo dà alle stampe Farmacisti, Ostetrici, Oculisti nella I. R. Università di Padova” il libro “Dignano d’Istria nei ricordi”, nel quale il nell’elenco dei farmacisti, oltre a “Pier Antonio Vittori di Vignacco nell’Istria”, si legge il nome di “Sorgarello Bernardo di Dignano costume dignanese viene descritto nei dettagli23. Tale nell’Istria” (ibid.). Per aggiungere alcune considerazioni sul descrizione non rappresentò tanto un contributo alla cognome Vittori, diffuso sia in Istria che nel vicino Friuli, notiamo diffusione nelle famiglie dignanesi di una coscienza che nel Manuale provinciale del Litorale austro-illirico per l’anno 1847 è citato “Giacomo Vittori, Chirurgo Comunale in Dignano” identitaria, quanto probabilmente la certificazione di e accanto a lui “Francesco Dr. Benussi, Imp. Reg. Medico-Fisico un fenomeno già in atto, quello della riscoperta del distrettuale; Matteo Bradamante, Farmacista; Giacomo Damianis, valore e del significato del costume tradizionale. Si Farmacista e Pietro Antonio Benardelli, Farmacista (Manuale provinciale…, cit., Trieste, Tipi di Gian Domenico Pagani, p. 338). consideri che in questo periodo si confezionavano 4 Domenico Rismondo, Dignano d’Istria nei ricordi, Società tip. ed., costumi nuovi, usando come modello i pochi originali Ravenna, 1937, p. 77. sopravvissuti alle vicende storiche; per le bambine 5 Tutte le citazioni del presente paragrafo in: R. Starec, Coprire per mostrare…, cit., p. 217. questo gesto rappresentava una sorta di rituale di 6 M. Tamaro, Le città e castella dell’Istria , cit., p. 605. iniziazione, tanto che il gesto, cioè il vestire per la 7 ivi, p. 607. prima volta l’abito della Marussa, veniva immortalato 8 ibid. attraverso un ritratto o una foto, anche portandosi 9 ivi, p. 608. 10 Giacomo Filippo Tommasini, Commentari sorico-geografici negli studi fotografici di Pola24. A nostro parere non dell’Istria, Circolo “Istria”, Trieste, 2005, Libro I, p. 65. si trattava tanto di una moda, peraltro viva fino a 11 ivi, Libro VII, p. 487. pochi anni or sono, quanto della ripresa di un’antica 12 Antonio Smareglia volle donare il manoscritto delle “Nozze Istriane” all’amico Marchesi. La dedica recita: “Al mio carissimo usanza popolare intrisa di un profondo significato Piero Marchesi, quale memoria di Nozze Istriane che tentano di antropologico, che va a ricollegarsi all’usanza della dote portare sulle scene i tratti caratteristici della sua Dignano. Trieste, che la futura sposa portava in casa del marito. Negli 29 giungo 1895.”; in Pietro Marchesi (a cura di), La pittura e il tempo dell’istriano Pietro Marchesi (1862-1929), Società Istriana di inventari dotali, accanto alla biancheria domestica e ai Archeologia e Storia Patria, Tip. Moderna, Trieste, 2000, p. 191. beni stabili, non mancavano mai i capi più importanti 13 ivi, p. 192. dell’abbigliamento oggi considerato tradizionale, 14 ivi, p. 169. 15 ivi, p. 177. ma che nel ‘600, ‘700 e primo Ottocento, epoca alla 16 Cfr. Vito Levi, Nozze istriane. Nel centenario della nascita di quale risalgono i documenti notarili considerati, Antonio Smareglia, Ed. Il Comune di Trieste, Trieste, 1954, p. 24 e aveva funzionalità pratica. Molti di questi capi, come passim. specificato negli atti dotali, erano “novi”25, quindi 17 D. Rismondo, Dignano d’Istria nei ricordi, cit., p. 233. 18 Archivio di Stato di Pisino (=ASP), HR-DAPA-43/70, fondo confezionati per l’occasione del matrimonio. Crediamo Dignano, busta 274, VI/3/11, Adunata folcloristica a Venezia, 28 che anche il gesto di confezionare il costume della agosto 1929. Marussa a partire dal primo Novecento possa essere 19 ibid. 20 I soci del dopolavoro veneziano venivano inseriti in crociere letto come volontà di perpetuare l’antico attraverso il mediterranee, mentre a Venezia si riversano dopolavoristi di altre nuovo e dunque vero e proprio intervento di recupero città, come i triestini nel 1927, dopo che cinquemila veneziani si teso a valorizzare la propria identità. Sembra quasi erano portati simbolicamente a Trieste, non più austriaca. Nel 1928 arrivarono a Venezia un centinaio di figuranti da Zara al raduno un’eccezione alla regola che vuole “l’abbigliamento dei costumi nazionali italiani; ciò avviene dopo che due comitive percorrere un ciclo evolutivo continuo dalla funzionalità di veneziani si erano recate, sempre via mare, a Zara. Tali scambi pratica al significante, e infine al semplice valore diventarono regolari e contribuirono a supportare regolari servizi di navigazione lungo queste rotte; ornamentale (un’ultima fase in cui i valori precedenti cfr. Marco Fincardi, “Gli ‘anni ruggenti’ del leone. La moderna perdono d’importanza o neppure vengono più avvertiti realtà del mito di Venezia”, in Contemporanea, (Bologna, Il consapevolmente)”26. Un’eccezione non casuale nella Mulino), a. IV, n. 3, luglio 2001 ( disponibile in internet all’indirizzo http://www.storiadivenezia.net/sito/saggi/fincardi_anniruggenti.pdf; nostra regione dove per contrastare il processo di consultato il 28 ottobre 2015). uniformazione culturale anche un costume popolare, 21 D. Rismondo, Dignano d’Istria nei ricordi, cit., p. 233. che doveva avere puro valore ornamentale, ha assunto 22 ASP, HR-DAPA-43/70, f. Dignano, b. 298, IX/4/4, anno 1933. un nuovo significato e una nuova funzione. 23 D. Rismondo, Dignano d’Istria nei ricordi, cit., p. 231-237. 24 Abbiamo tratto queste notizie da alcune interviste, tra le quali segnaliamo quella fatta alla signora Manzin Cecilia Bilìna (nata a NOTE Dignano nel 1928) nel 2012, che ci ha gentilmente mostrata la foto 1 La descrizione del Vittori è tratta da Roberto Starec, Coprire per che la ritrae bambina vestita da Marussa. mostrare. L’abbigliamento nella tradizione istriana (XVII-XIX 25 Vd. ad es. “La dote di Domenica Fioranti moglie di Tommaso secolo), IRCI, Trieste, Ed. Svevo, 2002, p. 217; l’autore cita la fonte Biasiol” (Dignano) in: Roberto STAREC, Coprire per mostrare…, “Da Camillo, Briciole di cose patrie, in L’Istria, V (Parenzo 1886), cit., p. 263. Nell’inventario notarile compaiono “due camisse di tela n. 256, p. 2”. cragnizza con i merli nove”, “due pera di maneghe di vestidi neri 2 Marco Tamaro, Le città e castella dell’Istria, vol. II, Tip. Gaetano nove”, ecc. (ivi, p. 264). Coana, Parenzo, 1893, p. 608. 26 ivi, p. 19. 6 Saggio LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 di Rino Cigui L’igiene urbana nella Terra di Buie Con la dedizione della Terra di Buie, che fu tra le ultime a sottomettersi a Venezia (1412), anche la località cominciò gradualmente a beneficiare della legislazione sanitaria veneziana, che trovò una primitiva applicazione in alcune norme contenute nello Statuto cittadino divenuto pertanto uno strumento di regolamentazione giuridica e di controllo delle condizioni ambientali in cui si svolgeva la vita comunitaria. Seppur limitate, quelle statutarie furono norme igieniche elementari e senza dubbio razionali, che tuttavia racchiudevano in sé quegli elementi embrionali divenuti nel tempo i capisaldi dell’igiene e delle regole civili della vita moderna1; esse mirarono essenzialmente a porre un freno al degrado ambientale, imputabile alla mancata applicazione delle più Disegni prospettici di alcune case di Buie elementari norme igieniche da parte della popolazione. nel XVIII secolo A partire dal XV secolo il comune di Buie, alla pari delle altre podesterie istriane, profuse notevole impegno nell’adempimento delle norme statutarie attraverso Non meno restrittive erano le disposizioni relative le quali si doveva contrastare la scarsa educazione alla quantità di fieno, paglia o strame da ammassare all’igiene della popolazione che, soprattutto per quello in casa o in altro luogo, quantificata in “cinque fassi che concerne lo smaltimento dei rifiuti, ricorreva di Comun”4 per non compromettere il locale decoro, sovente ad abitudini grossolane e poco salutari. Una e soprattutto quelle inerenti la presenza di porci e delle più diffuse e radicate consisteva nel gettare scrofe, che in ogni contesto urbano rappresentavano un immondizie, liquami e in generale qualsiasi tipo di intralcio per la popolazione e una fonte significativa sudiciume nelle vie e piazze dell’abitato, una prassi di inquinamento ambientale. I porci potevano essere fortemente contrastata dall’articolo 46 dello Statuto tenuti entro le mura cittadine solo se rinchiusi in recinti comunale che proibiva a chiunque il getto di acque o abitazioni perché “non faccino fastidio, o sporchezzi nette, luride e fuliggine da balconi, scale, finestre e in comun”, o in diviso”5, mentre era permesso tenere le ballatoi, o di imbrattare le strade e le vie pubbliche con scrofe solo se castrate. vinazze e letame2. Ma a minacciare le condizioni igieniche dell’ambiente Il letame era certamente l’elemento che più di ogni altro contribuivano altresì i residui nocivi e maleodoranti contribuiva a rendere irrespirabile e insalubre l’aria, delle diverse attività produttive, delle quali la poiché in assenza di concimi chimici esso rappresentava lavorazione delle pelli costituiva forse la più inquinante il fertilizzante per eccellenza, “il ricostituente fedele, e generatrice di cattivi odori. Si corse ai ripari vietando indispensabile alla salute e alla floridezza della terra”3. di “poner pelli concie, ne crude ad asciugare in questa Essendo una materia d’importanza essenziale, i pub.ca Piazza, ne fuori in vicinanza della Porta di contadini ne curavano la raccolta e la conservazione, questo Castello, ma quelle volendo stenderle portar due operazioni che dal punto di vista igienico e olfattivo le debbano in altri Luochi ben distanti, e lontani dal non suscitavano l’entusiasmo di chi invece contadino comercio delle Genti, perché l’odore non abbia ad non era. infastidire, ne pregiudicare alcuno”6. 7 LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 Saggio di Rino Cigui Grande importanza si assegnava poi alle fonti d’acqua particolarmente nei tempi degl’estivi calori à motiuo esistenti nei pressi di Buie che traevano alimento degl’aliti pestiferi che la materia stessa rende, che dalle zone imbrifere dell’anfiteatro collinare. La tutela dal continuato getto, e dispersione si ua raddopiando delle risorse idriche per l’approvvigionamento urbano (…)”9. era di fondamentale importanza per le autorità, che Il crescente imbarbarimento urbano cui era soggetta consideravano l’acqua un prezioso bene pubblico del la Terra di Buie preoccupò altresì i reggitori veneti quale i cittadini dovevano usufruire al meglio. “Niuna della località, i quali informarono i Provveditori e persona sia di qualsivoglia sesso o età habbi ardire Sopraprovveditori del pericoloso degrado al quale di lavare panni ovvero imondezze in qualche fonte era abbandonato il castello. In una missiva del 28 appresso Buje, - recitava il capitolo 70 dello Statuto giugno 1766 inviata dal podestà Alvise Bembo al – ne far ovvero pore qualche cosa sporca intorno detta Magistrato alla Sanità di Venezia, il rettore si lamentò fonte soto pena de soldi vinti de picc. per ciascuno che della mancata osservanza da parte degli abitanti contrafarà”7. del castello delle vigenti Terminazioni in materia Per tutti i contravventori delle disposizioni erano sanitaria, dicendosi egli stesso sorpreso di come, ad previste pene pecuniarie e le autorità non esitarono esempio, “si faccia lecito il Sig.r Bernardo Guarnieri a favorire la delazione quale deterrente contro giettar giù dalle finestre nella callesella, o sia landrona l’inquinamento ambientale. Tuttavia, nonostante vicina ad esso Sig.r imondicie d’ogni sorte, che le normative statutarie e le sanzioni pecuniarie, i pregiudicar vengono non solo la salute de vicini, ma problemi di natura ecologica e sanitaria continuarono anco col scolo dell’acque imonde che non potendo a sussistere se non addirittura ad intensificarsi. “Per trapassar oltre a motivo dell’imondicie stesse, che gli l’angustie dei luoghi – scrisse verso la metà del impediscono lo sbocco, penetrano oltre li muri dello Seicento il vescovo emoniense Giacomo Filippo stesso Sig.r pregiudicando le muraglie stesse, e quello Tommasini nella sua nota opera corografica – anco che è peggio ancora si inoltrano acque così imonde e le abitazioni sono anguste, e cresciuti i popoli (…) fetide nella Cisterna di esso Sig. Ca.co Barbo”10. non potendosi allargare si sono ridotti ad abitar con Il Bembo, deciso a sradicare con ogni mezzo le molto incomodo e strettezza come vedesi in Buje, pessime consuetudini dei cittadini in fatto d’igiene Pirano e Rovigno. Non usano li necessari condotti per e porre fine all’indecenza e al pessimo odore le immondizie, il che riesce di molto incomodo”8. Le prodotto da letami ed immondizie, “che à pregiudicio case addossate le une alle altre, la crescita demografica della comune salute si uegono per questo Luoco che acuì il disagio abitativo e potenziò la possibilità ammuchiate, e sopra le Publiche strade disperse”, il di uno sviluppo epidemico, la scarsa educazione 5 agosto 1766 emanò un Proclama, sottoscritto dai all’igiene della popolazione, cui andò a sommarsi provveditori del locale Ufficio di Sanità, con il quale la mancata percezione del pericolo costituito dalle si faceva presente a chiunque avesse deposto nei pressi immondizie e dalle deiezioni umane e animali, delle abitazioni o nelle strade pubbliche qualsiasi sorta costituirono all’epoca un problema di natura ecologica di immondezza il dovere di levarla entro il termine ma soprattutto di salute pubblica. di due giorni ed asportarla “fuori di questo castello, Fu però nella seconda metà del Settecento che il e lontana dalle abitacioni e masimo che men abbia à malcostume di gettare rifiuti di ogni genere nelle vie ricar alcun fastidio e pessimo Odore agl’Abitanti, e ciò e nelle calli cittadine, un fenomeno trasversale che in pena di L. 25: per cadaun innubidiente (…)”11. riguardò sia le classi infime sia quelle abbienti, si acuì Le disposizioni del rettore limitavano altresì la a tal punto da divenire una vera e propria emergenza libera circolazione degli animali banditi dalle leggi, sanitaria, vanamente contrastata, almeno in base specialmente i maiali, mentre l’allontanamento alla documentazione in nostro possesso, dai podestà quale misura preventiva riguardava pure “Pecore, veneti che reggevano la città di S. Servolo. Stando Capre, ed altra sorte di d.ta specie d’Animali (…) alle testimonianze dell’epoca sembra, infatti, che le alogiati in questo castello di giorno, e di notte nelle immondizie ingombrassero a tal punto le strade da caneue, e stalle con pregiudicio della propria salute renderle quasi impraticabili, anche per le esalazioni à circonvicini, sotto pretesto che servir abbiano fetide che tramandavano, una situazione di disagio tale per uso di Beccaria”; il provvedimento si rendeva da essere evidenziata dal cappellano della Madonna assolutamente necessario per contrastare il disturbo alle Porte, don Giovanni Barbo. “Ui sono molti che olfattivo causato dalle deiezioni e dall’intenso odore pestano e disperdono l’humana imonditia per le strade emanato dagli animali, particolarmente nauseabondo consortiue, et interne della Terra – denunciò “all’Ecc. e ripugnante nei mesi estivi. Le altre prescrizioni mo Tribunale” il sacerdote – il che rende grauissimo contemplate dal Proclama riguardavano i beccari, pregiuditio ai vicini per l’incomodo, risentono ai quali non era consentito macellare nelle strade 8 Saggio LA RICERCA N. 68...DICEMBRE 2015 di Rino Cigui pubbliche o nelle loro cantine ma dovevano “portarsi ad amazzare, o scorticare fuori le porte di questo Luoco nelle Pub.che Beccarie” e, soprattutto, la tutela delle acque per l’approvvigionamento idrico della popolazione. In effetti, la custodia delle fonti idriche rappresentava per Buie una priorità assoluta giacché la Terra, scarsissima di acque, disponeva solamente di tre cisterne e di alcune fontane vicine, “una detta la Carrara che è la più antica. La seconda l’Entica e tre però in Cerrari due buone, e la terza da poner nelle zonte”12. Era pertanto indispensabile preservare le fonti da ogni forma d’inquinamento, e nel suo Proclama il podestà Bembo intimò “Che non si faccia lecito alcuna persona di che grado l’eser si uoglia di lauare cose imonde nelle Publiche Fontane, ne meno poner nelle med.me canappe, lini o altro, che perturbar possano l’Aque stesse ma restar debbano monde e nette per l’occorenza di questa Popolazione, e ritrouando nelle med.me, e specialmente nelli Bolasi del Bosco Farnè e Fontana di Calandria Lini o canape siano li med.mi confiscati, e leuate anco a trasgressori le pene sud.te”13. All’osservanza delle misure igieniche avrebbero provveduto il podestà e i due provveditori alla sanità con sopralluoghi per rilevare se quanto ordinato fosse stato realmente “da tutti intieramente eseguito”. Buie settecentesca nel dipinto Madonna con Il regolamento varato dal rettore non sortì però il Bambino e santi che si trova nella chiesa l’effetto desiderato e non sradicò le insane abitudini parrocchiale di S. Servolo della gente. Il 6 settembre, infatti, fu il vescovo emoniense a lamentarsi perché Zorzi d’Ambrosi e Bartolomeo Bonetti gettavano immondizie nel viottolo scaduto Sett.e, non riportò la sua esecucione, perché adiacente al palazzo vescovile “ingombrando da da tutti ancora viene continuato un simile letamaggio, quella parte sia l’ingresso al Palazzo med.mo esalando e trattenimento d’essi Animali. Anco li Aconciapeli, le imondicie stesse aliti perniciosi alla salute delle che sono soliti con criminoso arbitrio di distendere persone, che entro vi abitano”14 seguito, un mese dopo, sopra le pub.e strade le loro pelli, sono stati in esso dal nobile Gerolamo Foscarini, il quale denunciò Proclama precettati ad astenersi di tal loro uso, ma non l’insana abitudine di Francesco Papo “di gettare dalle ostante essi pure con indecoro della mia Rap.za (…) proprie finestre imondicie d’ogni sorta che vengono continuano nella loro disubbidienza, cosi che restò non solo ad ingombrar la cale che serve di transito loro intimato il lievo della pena”17. alla casa dominicale d’esso N.N. Foscarini, ma viene Il perdurante degrado urbano fu denunciato a distanza ancora ad introdurli aliti così fetenti, che uengono a di un decennio anche dal podestà Marin Badoer, il ferire sin la salute di quelli, che entro ui abitano”15. quale, con lettera datata 6 dicembre 1775, informò Come si evince, la cittadinanza stentava a mettere il Magistrato alla Sanità che i 1050 abitanti di Buie in pratica le disposizioni emanate. A distanza di un si arrogavano la licenza di “ripponere et ammassare anno, lo stesso podestà Bembo constatò la mancata qualunque sorta d’immondicie formando precisi osservanza delle disposizioni in materia di nettezza Letamaj tanto nei Loti delle Case stesse sotto a urbana e la persistente presenza di letami “che grandoli, che sopra li principali, et interne Pub.e offendono la salubrità dell’Aria, e che cagionano per Strade, causando con intollerabile indecenza l’aria conseguenza quelle malatie, alle quali più d’uno va perniciosa, e frequenti le malatie in parechio numero socombente”16. Nella missiva inviata il 29 ottobre degli Abitanti. Impedire e togliere il gran danno col 1767 ai Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità, divieto dell’amasso fra l’abitato di simili immondizie il podestà affermava con molta amarezza che “la et l’ordinerà che siano asportate lontano dalla Terra. legge quantunque ereta e publicata sin sotto li 23 del Tanto sopra le Strade di Intra Terra, che fra gli angusti 9

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