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La cultura alimentare e l'arte gastronomica dei Romani: contributo alla filosofia dell'alimentazione e alla storia culturale del mondo mediterraneo PDF

594 Pages·2016·2.922 MB·Italian
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AccAdemiA NAzioNAle VirgiliANA di ScieNze lettere e Arti QuAderNi dell’AccAdemiA 5 ALBERTO JORI LA CULTURA ALIMENTARE E L’ARTE GASTRONOMICA DEI ROMANI CONTRIBUTO ALLA FILOSOFIA DELL’ALIMENTAZIONE E ALLA STORIA CULTURALE DEL MONDO MEDITERRANEO MANTOVA 2016 In copertina: Mantova, Palazzo Accademico, Sala di Maria Teresa StaniSlao Somazzi, Allegoria delle scienze e delle arti (stucco 1775) Archivio di Stato di Mantova autorizzazione N. 29/2013 AccAdemiA NAzioNAle VirgiliANA di ScieNze lettere e Arti QuAderNi dell’AccAdemiA 5 ALBERTO JORI LA CULTURA ALIMENTARE E L’ARTE GASTRONOMICA DEI ROMANI CONTRIBUTO ALLA FILOSOFIA DELL’ALIMENTAZIONE E ALLA STORIA CULTURALE DEL MONDO MEDITERRANEO Prefazione di Piero Gualtierotti MANTOVA 2016 Questo volume è pubblicato con il contributo di ISBN 978-88-95490-72-4 PRESENTAZIONE In occasione di Expo 2015 l’Accademia Nazionale Virgiliana ha inteso offri- re un proprio contributo al tema dell’alimentazione organizzando alcuni eventi dei quali è stato ispiratore l’accademico professor Alberto Jori. Nella sede dell’Accademia stessa si sono tenuti un convegno su Alimenta- zione e cultura gastronomica nell’antica Roma, al quale hanno partecipato im- portanti studiosi provenienti da varie parti d’Italia e dall’estero, ed un banchetto con rielaborazione di ricette romane che ha dato modo di fare la conoscenza di alcuni cibi dei quali si è perso il sapore. L’iniziativa più significativa, e che lascerà un segno indelebile, è tuttavia quel- la della pubblicazione di questo libro che il professor Jori ha dedicato alla cultura alimentare e all’arte gastronomica dei Romani nell’arco di dodici secoli. La scelta alimentare di un popolo può essere conseguenza di una realtà geografico-economica, ma risponde soprattutto al modello di vita conseguente all’evoluzione della società, della quale è espressione anche nelle sue trasfor- mazioni. Nel tempo, ad alimenti frugali ed essenziali esistenti allo stato naturale, fanno seguito quelli dovuti all’intervento dell’uomo (pane di grano, vino, olio, formaggio) fino all’elaborazione di cibi raffinati che finiscono con lo sconfinare in una cucina spettacolare, trasformistica e illusionistica, che ha soprattutto lo scopo di ostentare in modo volgare l’opulenza dei nuovi ricchi; seguirà, inevi- tabilmente, la decadenza che si accompagna a quella dell’impero romano. Non sono privi di influenza i contatti con le altre civiltà e i rituali religiosi. Il modello di alimentazione, inizialmente omogeneo, si va poi differenziando a seconda del gruppo sociale di appartenenza, cosicché convivono diverse cucine. L’indagine che l’Autore compie è complessa e completa e si inoltra nell’esa- me del quando e del perché è stato introdotto un determinato cibo, a quali neces- sità e contesti rispondesse. Le sue profonde competenze storico-filosofiche e antropologiche consentono a Jori di affrontare un aspetto spesso trascurato, la filosofia del cibo, e di soffer- marsi anche sul significato di banchetti, simposi, brindisi. Il suo grande merito è quello di farci conoscere, non solo come e dove si man- giava, ma anche il modo di stare a tavola e di intrattenersi con i commensali. Ne deriva un ritratto vivo e vivace – attuale, diremmo – che fa sentire il letto- re non semplice spettatore, ma partecipe attivo del pranzo nell’antica Roma. La ricca appendice, che riporta alcuni aspetti della civiltà romana, ricet- te di cibi e bevande ricavate dai Classici, testi letterari e medico-didattici, fa dell’opera un unicum che l’Accademia Nazionale Virgiliana è orgogliosa di in- serire nella propria collana. Piero Gualtierotti Presidente Accademia Nazionale Virgiliana – 5 – INTRODUZIONE Da tempo si è riconosciuto che l’alimentazione e, più in generale, la cul- tura alimentare di una determinata società costituiscono una tessera fonda- mentale per la conoscenza di quest’ultima: una tessera la quale, a sua volta, come una sorta di microcosmo, riflette in sé tutta intera quella società e quella cultura nelle loro peculiarità. Senza dubbio, la dimensione alimentare costituisce una sfera esistenziale di particolare complessità, tanto sul piano diacronico quanto su quello sincro- nico. Al riguardo, basti considerare che parlare delle pratiche alimentari dei Romani significa ricostruire la storia e la civiltà di Roma lungo un periodo che comprende più di dodici secoli, dall’età (teorica) della fondazione dell’Urbe fino all’inizio del VI secolo d.C., e che si deve tenere presente, nel far ciò, un’area geopolitica la quale, allorché raggiunse il massimo della sua estensio- ne, aveva delle dimensioni impressionanti. Le pratiche alimentari di un popolo si collocano all’interno di una rete la quale a sua volta costituisce un piano d’intersezione tra sfere quanto mai diverse, attinenti sia alla vita materiale, sia a quella che potremmo chiamare la dimensione simbolico-culturale dell’esistenza. Da un lato, così, abbiamo il si- stema produttivo, il quale, dal canto suo, è strettamente connesso al – e deter- minato dal – livello di sviluppo della tecnica (si va dalle tecniche di coltura del suolo a quelle della caccia, della pesca, dell’allevamento, ai procedimenti di cottura e di conservazione degli alimenti, etc.) che condizionano molti aspetti dell’alimentazione. Dall’altro lato, un fattore come la religione, con i suoi tabù e le pratiche dei sacrifici e con il complesso delle consuetudini culinarie che ne scaturiscono, ha esercitato, all’interno di tutte le culture, un’influenza sull’alimentazione ben difficilmente sopravvalutabile. Chi intenda indagare la cultura alimentare dei Romani dovrà inoltre con- siderare la storia delle piante coltivate e quella, in parte parallela, dell’addo- mesticamento degli animali. A tale proposito, per quel che riguarda il mondo mediterraneo, che è quello che qui maggiormente interessa, è possibile con- statare uno sviluppo e un’estensione progressiva della coltivazione di piante alimentari e della domesticazione di specie animali dall’Oriente verso l’Oc- cidente. In tale processo diffusivo, storicamente decisivo, è stata spesso la Grecia a svolgere il ruolo di cerniera tra le due aree. Ma non si dovrà neppure trascurare la storia delle attività commerciali, dalla quale attingiamo informazioni di estrema importanza sull’importazione di beni alimentari dall’Oriente e addirittura dall’India (si pensi alle preziosis- sime spezie). Nel contesto di un’indagine siffatta, si rivela necessario, inoltre, lo studio attento dei diversi gruppi sociali, perché col tempo, anche nell’antica Roma, le abitudini gastronomiche dei vari ceti, originariamente abbastanza omogenee, si differenziano sempre più, a seconda del genere di vita seguìto e delle risorse finanziarie disponibili, sicché ben poco rimarrà in comune tra – 7 – INTRODUZIONE il vitto del contadino e quello del liberto arricchito dell’età imperiale. Infine, a un livello più squisitamente culturale, vanno considerate anche le scelte del gusto, le quali danno precise direttive alla selezione dei cibi e alle loro moda- lità di preparazione, e in qualche modo giungono a dispiegarsi e ad elevarsi alla dimensione della creazione artistica con la nascita della gastronomia in quanto ars, techne. Negli ultimi decenni, poi, grazie – in particolare – agli studi pionieristici di Norbert Elias, non pochi studiosi della cultura hanno concentrato la loro attenzione anche sulle modalità della fruizione del cibo, sul significato che i banchetti, i simposi, i brindisi, nonché le “buone maniere” da osservare a tavola acquisiscono nei vari contesti storico-culturali: si è giunti per tale via a delineare una “fenomenologia dell’alimentazione” la quale di fatto ha assunto il significato di una vera e propria storia e filosofia del cibo1. Se si considera la necessità di tenere presenti tutti questi piani e aspetti, ciascuno esaminato per sé come pure nelle sue intersezioni con gli altri, ci si avvede agevolmente dell’enorme complessità di un’indagine sull’alimenta- zione dei Romani come quella che ci accingiamo a svolgere. In concreto, non sarà sufficiente constatare che i Romani consumavano il tale cibo; bisognerà anche precisare quando quel cibo è stato introdotto, perché è stato adottato, a quali necessità il suo impiego dava risposta, in che contesti se ne faceva uso, quali gruppi sociali lo utilizzavano e, last but not least, che significati – even- tualmente anche rituali, o comunque culturali – poteva avere quel cibo per essi. Ovviamente, non si dovrà trascurare neppure la cornice dei banchetti; ciò significa che bisognerà accennare anche alla struttura delle dimore romane, alla collocazione delle cucine e delle “sale da pranzo” e così via. Già solo questi cenni rendono chiaro come un’indagine esauriente sulla cucina e sugli usi alimentari dei Romani avrebbe le dimensioni di un’enci- clopedia: comporterebbe infatti la ricostruzione di tutta quanta la civiltà ro- mana, per così dire, sub specie cibariorum et artis coquinariae. Non è, que- sto, l’intento ispiratore della presente opera. In questo libro mi sono invece proposto, in conformità alle mie competenze storico-filosofiche e antropo- logiche, da un lato di porre in luce le componenti “materiali” dell’alimenta- zione dei Romani che in qualche modo hanno caratterizzato la loro cultura gastronomica e, dall’altro, di far emergere quelle componenti simboliche che conferiscono a un’indagine siffatta una valenza ben più ampia di quella che potrebbe essere connessa a una mera ricostruzione archeologico-erudita degli usi alimentari dei Romani antichi. In certa misura, ho tentato dunque di tratteggiare, partendo dal cibo, la visione del mondo, la saggezza di vita e l’humanitas dei Romani, quali emergono a volte anche nei contesti più 1 Si veda, in particolare, n. EliaS, La civiltà delle buone maniere – Il processo di civilizzazione. I (tit. or.: Ueber den Prozess der Zivilisation. I. Wandlungen des Verhaltens in den westlichen Oberschichten des Abendlandes), trad. it. di G. Panzieri, Bologna, il Mulino 1982. – 8 – INTRODUZIONE impensati. Proprio a tale scopo ho inserito in appendice, tra le altre testimo- nianze, una traduzione della celeberrima Coena Trimalchionis, la quale fa parte, come si sa, del Satyricon di Petronio. Solitamente, nella lettura di que- sto brano l’attenzione si volge più alle bizzarrie culinarie, al barocchismo ostentato e volgare della cucina “trasformistica” e “illusionistica” di un nuo- vo ricco che ancora serba ben viva l’impronta dei suoi mediocri inizi. Tut- tavia, pur senza ignorare questi aspetti, ho inteso mostrare come una lettura più attenta della Coena lasci emergere anche elementi che, nonostante tutto, non sembrano del tutto estranei a una spiritualità più profonda e, pertanto, ci interpellano in certa misura ancor oggi: la percezione della vanità dei piaceri – e non solo di quelli della tavola –, un’etica venata d’indulgenza e di umana comprensione per le debolezze altrui (e per le proprie), le basi di un rapporto “flessibile” tra le diverse classi. Si tratta di schegge di una filosofia spicciola che sarebbe però ingiusto svalutare come grossolano buonsenso di un parve- nu e della sua piccola corte. In fondo, non è illegittimo cogliere qui un’eco, un riflesso – non disgiunto, certo, da uno spiccato involgarimento – di quello spirito altissimo di humanitas che a Roma si era diffuso nelle sfere delle élites grazie agli Scipioni e che poi, in età tardo-repubblicana e imperiale, era giunto a lambire anche gli ambienti dei nuovi ricchi. Precisamente per tale motivo ho voluto lasciare nel testo anche le lunghe conversazioni dei convitati della Coena e i monologhi dello stesso anfitrione. La presente opera si divide in tre sezioni fondamentali. Nella prima, si ricostruiranno gli aspetti di maggiore rilievo delle pratiche alimentari dei Ro- mani, partendo da un quadro generale, e poi approfondendo i singoli punti. La seconda sezione dell’opera sarà invece riservata all’illustrazione di al- cune ricette romane antiche – tratte, per lo più, dal manuale di Apicio – che, con opportuni adattamenti, sembrano concretamente proponibili ancor oggi. Al testo latino originario e alla traduzione italiana delle singole ricette si ac- compagneranno pertanto alcuni suggerimenti destinati a facilitare la “resa” dei piatti di volta in volta proposti. Le Appendici costituiranno la terza e ultima sezione dell’opera. Esse si suddivideranno, a loro volta, in tre parti. La prima conterrà alcuni testi lettera- ri, utili a illustrare lo sfondo umano, morale e sociale delle pratiche alimentari dei Romani. In reverente omaggio a Virgilio – il nostro genius loci –, ho col- locato quivi la traduzione del quarto libro delle Georgiche, nonché quella del Moretum pseudo-virgiliano. In aggiunta, vengono riprodotti un altro piccolo capolavoro, la Satira VIII del Libro II di Orazio e, come si è detto, la Coena Trimalchionis petroniana. La seconda parte delle Appendici è invece dedicata ai rapporti tra medicina, dietetica e alimentazione nell’antica Roma. Qui, dopo un’introduzione genera- le, si propongono in traduzione due trattati di Galeno, il celebre medico greco operante a Roma nel II secolo d.C., che forniscono testimonianze preziosissime – anche sul piano antropologico, oltre che in una prospettiva medica e filoso- – 9 –

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