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La coscienza di Andrew PDF

107 Pages·2015·0.96 MB·Italian
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LDB Il libro D a un luogo sconosciuto e rivolgendosi a un interlocutore sconosciuto, Andrew parla, Andrew pensa, Andrew racconta la storia della sua vita. Dei suoi amori, delle tragedie che l’hanno portato nel posto dove si trova adesso, un punto decisivo della vita. E mentre Andrew si confessa, sollevando a uno a uno i veli della sua strana storia – dell’adorata Briony, dell’ex moglie Martha e di una bambina da crescere –, anche il lettore comincia a dubitare delle proprie certezze. Sappiamo davvero cosa significa dire la verità? Quanto è ingannevole la nostra memoria? Cosa sappiamo del funzionamento del cervello e della nostra mente? A chiedercelo troppo a lungo potremmo iniziare a essere incerti su tutto quello che riguarda gli altri e noi stessi. Scritto con una precisione lirica e una profondità psicologica che fanno di E.L. Doctorow uno degli scrittori più importanti d’America, questo romanzo rivoluzionario e pieno di sorprese diventa la voce stessa del nostro tempo – irriverente, inquisitoria, scettica e maliziosa. La coscienza di Andrew dà una curvatura sorprendente e singolare alla produzione di un autore da sempre caratterizzata dalla capacità straordinaria di creare una sua personale rappresentazione del mondo, dell’America, delle nostre vite. L’autore E.L. Doctorow, nato a New York nel 1931, è considerato uno dei più importanti scrittori della letteratura contemporanea. Ha pubblicato numerosi romanzi, fra cui Il libro di Daniel (da cui è stato tratto il film Daniel di Sidney Lumet), Ragtime (da cui Milos Forman ha tratto il film omonimo), La fiera mondiale, Billy Bathgate, L’acquedotto di New York, La città di Dio, La marcia, Tutto il tempo del mondo, tutti pubblicati da Mondadori. I suoi libri sono stati tradotti in trentadue lingue. E.L. Doctorow LA COSCIENZA DI ANDREW ROMANZO Traduzione di Carlo Prosperi La coscienza di Andrew a M I Posso dirle del mio amico Andrew, lo scienziato cognitivo. Ma non è una bella storia. Una sera si è presentato alla porta della sua ex moglie, Martha, con in braccio una bambina di pochi mesi. Perché Briony, l’incantevole giovane donna che aveva sposato dopo Martha, era morta. Di cosa? Ci arriveremo. Non ce la faccio da solo, disse Andrew con Martha che lo fissava dalla soglia. Si dà il caso che quella sera nevicasse e Martha era ipnotizzata dai fiocchi soffici, animati, che si posavano sulla visiera del berretto degli Yankees di Andrew. Era così, Martha, rapita dai dettagli marginali come se li stesse mettendo in musica. Persino nelle situazioni di normalità reagiva lentamente, guardandoti con quei grandi, mobili occhi sporgenti. Poi arrivava il sorriso, o il cenno di intesa, o il no con la testa. Dalla porta aperta, intanto, fluttuava all’esterno il tepore della casa, appannando gli occhiali di Andrew. E lui, dietro le lenti appannate, se ne stava impalato come un cieco sotto la neve, ed era privo di ogni volizione quando alla fine Martha protese le mani, prese con delicatezza dalle sue braccia la bambina infagottata, indietreggiò e gli chiuse la porta in faccia. Questo succedeva dove? Martha viveva a New Rochelle, un sobborgo di New York, in una zona di grandi ville di stile diverso – Tudor, Dutch colonial, neogreco – costruite per la maggior parte negli anni Venti e Trenta, edifici discosti dalla strada e circondati per lo più da alti, vecchi aceri norvegesi. Andrew corse alla macchina e tornò portando un seggiolino, una borsa da viaggio, due sacchetti di plastica con tutto l’occorrente per la bambina. Cominciò a picchiare sulla porta: Martha, Martha! Ha sei mesi, ha un nome, un certificato di nascita. Ce l’ho qui, apri la porta, ti prego Martha, non voglio abbandonare mia figlia, ho solo bisogno di un po’ di aiuto, ho bisogno di aiuto! La porta si aprì e comparve il marito di Martha, un colosso. Posa quella roba, Andrew, disse. Andrew obbedì e il colossale marito di Martha gli rimise in braccio la bambina. Sei sempre stato un casinista, disse il colossale marito di Martha. Mi spiace che la tua giovane moglie sia morta ma immagino sia morta per qualche tuo stupido errore, una leggerezza al momento sbagliato, uno dei tuoi esperimenti mentali, delle tue famose distrazioni intellettuali. Qualcosa capace in ogni caso di ricordare a tutti noi il dono che hai di seminare sciagure. Andrew depose la bambina nel seggiolino poggiato per terra, sollevò il seggiolino con la bambina e si avviò lentamente verso la macchina, quasi perdendo l’equilibrio sul viottolo scivoloso. Allacciò la cintura di sicurezza attorno al seggiolino sul sedile posteriore, tornò alla casa, raccolse i sacchetti di plastica e la borsa e li rimise in macchina. Una volta sistemato tutto chiuse la portiera, si tirò su e girandosi si ritrovò Martha davanti, uno scialle avvolto intorno alle spalle. Va bene, disse Martha. [riflette] Continui... No, stavo pensando a una cosa che ho letto sulla patogenesi della schizofrenia e del disturbo bipolare. Prima o poi i neurobiologi ci arriveranno, con il loro sequenziamento genico, troveranno le differenze nel genoma – tutte queste stupide proteine associate alla teleologia. Gli assegneranno cifre e lettere, una lettera sforbiciata di qua, una cifra aggiunta di là e... ammirate, la malattia non è più! Quindi Doc, sono guai per lei che cura con le parole. Non ne sia troppo certo. Mi dia retta, finirà col sussidio di disoccupazione. Che altro possiamo fare noi mangiatori del frutto dell’albero della conoscenza se non biologizzarci? Espungere il dolore, estendere la vita. Volete un altro occhio, che so, dietro la nuca? Si può fare. Spostare il retto in un ginocchio? Nessun problema. Anche mettervi le ali se volete, sebbene il risultato più che un volo nel cielo sarebbero giganteschi saltelli, megafalcate radenti come su quei percorsi che sembrano scale mobili appiattite nei lunghi corridoi degli aeroporti. E chi ce lo dice che Dio questo non lo vuole, perfezionare il suo imperfetto, bacato concetto di vita come patologia incurabile? Siamo il suo piano B, la sua polizza assicurativa. Dio opera attraverso Darwin. Quindi Martha alla fine si prese la bambina? Penso anche a noi che ci decomponiamo nelle nostre bare marcescenti, e a come ci reincarniamo, ai nostri piccoli frammenti microgenetici risucchiati nell’intestino di un verme cieco che affiora in superficie neanche lui sa perché, e striscia nella terra fradicia di pioggia solo per morire sull’affilato becco di uno scricciolo. Ehi, è la mia carta d’identità vivente, il mio genoma in poltiglia quello che è appena stato cacato dal cielo ed è finito con un plop sul ramo di un albero, e che adesso penzola dal ramo come una benda umidiccia. Ammirate! Mi sono trasformato in sostanza nutritiva per un albero che lotta per la propria vita. È così, sa? Questi immobili, saldi organismi vascolari combattono silenziosamente per la propria esistenza come facciamo noi l’uno con l’altro, alberi che si contendono lo stesso sole, lo stesso suolo al quale si abbarbicano, e spargono i semi che diventeranno i loro nemici nella foresta, come i principi per i re loro padri negli antichi imperi. Ma non sono del tutto privi di moto. Col vento forte eseguono la loro danza della disperazione, gli alberi carichi di foglie che ondeggiano di qua e di là, gettando in alto le braccia nella foga impotente di essere ciò che sono... Eh, dall’antropomorfismo a sentire le voci il passo è breve. Lei sente le voci? Ah! Sapevo che avrei attirato la sua attenzione. In genere quando mi addormento. Anzi, so che sto per addormentarmi quando le sento. E quello mi sveglia. Non volevo parlargliene e invece ecco che gliene sto parlando. Che cosa dicono? Non so. Cose strane. Ma non è che le sento davvero. Cioè, sono indubbiamente voci, ma al tempo stesso senza suono. Voci senza suono. Già. È come se sentissi il significato delle parole che vengono pronunciate senza il sonoro. Sento il significato ma so che sono parole che vengono pronunciate. Di solito da persone diverse. Chi sono queste persone? Non ne conosco nessuna. Una ragazza mi ha chiesto di fare l’amore con lei. Be’, è normale... gli uomini le sognano certe cose. È più di un sogno. Io poi non la conoscevo. Una ragazza con un vestitino leggero lungo fino alle caviglie. E le scarpe da running. Aveva un accenno di lentiggini sotto gli occhi, sembrava che la luce del sole le schiarisse il volto, anche se stava all’ombra. Talmente carina da spezzarti il cuore! Mi ha preso per mano. Be’, questo è più di una voce, di certo più di una voce senza suono. Secondo me succede che produco mentalmente un’immagine da associare al significato che sento... Bene, possiamo tornare a Andrew lo scienziato cognitivo? Faccio fatica a dirle che sento le voci senza suono anche da sveglio, nella mia vita quotidiana. Ma sì, perché non dovrei? C’è stata una mattina, per esempio, mentre andavo al lavoro, ero fermo al semaforo con il giornale e il caffè che

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