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L' Insetto roditore del grano in erba in Romagna nell'anno MDCCCXVI - di Domenico Antonio Farini (Raccontato e commentato da Piero Baronio) PDF

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Quaderno di Studi e Notizie di Storia Naturale della Romagna Quad. Studi Nat. Romagna, 42: 189-198 (dicembre 2015) ISSN 1123-6787 NOTIZIE NATURALISTICHE L’Insetto roditore del grano in erba in Romagna nell’anno MDCCCXVI - di Domenico Antonio Farini (Raccontato e commentato da Piero Baronio) Ho voluto raccontare questa pubblicazione in tutte le sue parti per dire come e in che modo l’autore Domenico Antonio Farini ha organizzato le proprie esperienze e quelle di fidati agricoltori, in una lunga lettera di risposta scritta ad una Signora, che gli aveva chiesto notizie sulla causa e i possibili rimedi di una infestazione delle pianticelle di grano notevolmente danneggiate nell’anno 1816. Per questo ho riletto la lettera in un gergo attuale, chiamando il Farini al suo dire ed evidenziando ciò che mi aveva trattenuto a pensare con virgolette, mentre ho messo tra parentesi quadre le mie specificazioni e traduzione in gergo attuale di alcune parole. Insomma ho cercato di portare un lavoro di entomologia applicata nell’attualità, pur con tutti i limiti evidenziati nel confronto con le conoscenze raggiunte in questo sapere. Fig. 1. Il frontespizio della lettera di Domenico Antonio Farini pubblicata nel 1816. 189 La lettera di cui si parla qui, per dare tutte le notizie sulla vita e sui possibili modi di limitare le popolazioni dell’insetto roditore del grano in erba, un dittero cloropide [allora Musca pumilionis ora Chlorops pumilionis (Bjerkander)], è stata scritta circa due secoli fa da Domenico Antonio Farini di Russi (Ravenna). La “gentile e cara Signora” che glielo ha chiesto lo ha convinto, con la sua avvenenza, di cui il Farini dà ampia descrizione “il vostro grazioso sesso mi tocca soavemente il cuore”, a fare ciò che non voleva, cioè a risponderle per iscritto anzichè verbalmente, ma raccomandando che almeno non fosse data pubblicità alla lettera. Invece la Signora che si identifica come “affezionatissima amica Vostra” gliela rimanda stampata per i tipi della Tipografia Casali di Forlì nel 1816, con una premessa di alcune righe dove dice che ciò che ha fatto lo ha fatto senza valutare se fosse un atto positivo o meno, avvalendosi del “potere” che il Farini le aveva dato, per cui la colpa, scrive, è tutta vostra, perchè “non c’è da fidarsi delle donne”. Comunque sia, la Signora ha voluto evitare che le notizie rimanessero solo suo appannaggio, pubblicandole. Chi era Domenico Antonio Farini? certamente un entomologo agrario per come ha affrontato e risolto il caso prospettato dalla richiesta della Signora. Questi era solo un agrario? - mi sono chiesto - e per saperlo ho consultato il Dizionario Bibliografico degli Italiani volume 45 (1995) e qui Domenico Gerardi ne mette in evidenza tutta un serie di competenze, compresa quella di entomologo agrario, sottolineando la sua attività di patriota e la “pugnalata a morte” che concluse la sua vita1. La lettera che, come dicevo, tiene sempre presente che dovrà soddisfare questa, per noi, fantomatica Signora, non trascura nulla di come succede l’infestazione, di come vengono chiamate le forme che si incontrano nelle campagne di Russi e di ciò che bene o male si fa in campagna per limitare le infestazioni dovute a tale insetto, distinguendo quelle per lui efficaci dalle altre. Dopo di ciò fornisce alcuni cenni sulla vita degli insetti dicendo che sono soggetti, dopo che sono sgusciati, sbucciati dice lui, a tre cambiamenti che nell’insieme definisce metamorfosi, e per fare capire alla Signora si serve del Baco da seta (Bombyx mori L. Bombydae) perché è certo che lei lo abbia osservato più volte. Così dalle uova esce un verme che bigatto con vocabolo volgare si chiama, e che è pur denominato ruga, verme, bruco, baco o larva, che una volta maturo si chiude in un bozzolo e differenzia una nuova fattezza che indica come crisalide, ninfa o aurelia; da questa forma, poi, compare l’insetto perfetto, alato e completamente diverso dalle due forme che precedono, che si accoppia, dopo di che le femmine depongono le uova. Quindi comincia a scrivere di ciò che sa sull’insetto in questione, dicendo alla Signora di sentirsi privo dei mezzi necessari per soddisfarne le “brame”, con accuratezza. In ogni modo si dichiara soddisfatto se con questa lettera ha accondisceso alla Signora, augurandosi che per questo essa manifesti un qualche gradimento. 1 Domenico Antonio Farini (Russi 1777-1834) fu pugnalato alle spalle da un fanatico sanfedista [N.d.R.] 190 A questo punto il Farini è convinto di avere svolto tutte le propedeuticità necessarie a rendere chiare le informazioni che la Signora gli chiede. Comincia a dire che il bruco, molle flessibile e bianco, è di forma ovale allungata appuntita da una parte e ottusa dall’altra, oppure grossa e arrotondata lucida e bianca, con parti bianche che tirano al verde, colore, lui dice, dovuto all’alimento transitato nel corpo, dove non si distinguono né bocca né occhio, mentre utilizzando una lente di ingrandimento da quattro a cinque volte compaiono otto anelletti in alcuni dei quali si aprono gli stigmi scuri, inoltre nota a livello della bocca, che poco prima ha detto di non vedere ad occhio nudo, un qualcosa che ipotizza sia l’uncino [dente roditore] o gli uncini che servono alle larve per tritare il cibo; dice il Farini anche di non aver scorto nessun occhio. Poi si ferma a sottolineare che la larva, apoda, si sposta con movimenti peristaltici che ottiene, dice il Farini, raggrinzendo o raccorciando, e poi dilatando ed estendendo, gli “anelletti” movimento per il quale forse si aiuta con le stimate [stigmi] e “gli uncini delle mandibole” [uncini boccali dello scheletro cefalo-faringeo]. La metamorfosi, sottolinea il Farini, avviene entro l’esuvia dell’ultima età larvale che non viene abbandonata ma trasformata con l’indurimento della sua “pelle” [cuticola] in un “bozzolo” [pupario] che ha la stessa configurazione della larva assumendo un “color di pulce” [marrone rossastro lucido] sempre più intenso. In questa formazione, della superficie della larva rimane poco. Conclude la sua descrizione degli stati preimmaginali del dittero dichiarando di averla condotta con una semplice lente di ingrandimento. Il Farini poi lamenta la mancanza di migliore strumento della lente di ingradimento, e dice ancora che il bozzolo contiene un “liquore bianco”. Poi aggiunge che conserverà alcune di queste crisalidi per conoscere ed imparare qual sia lo stadio di vita loro in questa forma, e se mi riesce di conseguirlo ve ne renderò tostamente informata. Così conclude questa prima parte della lettera dicendo che ciò è quanto ha osservato relativamente “alla figura dell’animaletto”. E poi passa a descrivere il suo comportamento. La Musca pumilionis detta volgarmente mosca nana si sviluppa entro il culmo della segala e l’adulto è una mosca, ciò che che avrebbe potuto indurre la gentil Signora a gettare la lettera nel fuoco, per il ribrezzo di un insetto, di cui una specie tanto in estate vi infastidisce e vi reca nausea, ma questo non succederà per la curiosità di sentire cosa aveva ancora da comunicarle, per quel tanto di affezione per me [Farini] e per la cortesia e la piacevolezza del vostro modo di essere. E subito tranquillizza la Signora sconfessando ciò che si dice dal volgo: che ad un anno “carestioso” ne succede uno peggiore. Comunque sia, il Farini ripete che il dittero è dannoso solo allo stato di larva che si nutre dello stelo o culmo del grano dove si possono trovare circa da 5 a 8 individui; che la crisalide [pupario], differenziata nella parte svuotata dello stelo, non si ciba ed è inerte, e che l’adulto, che definisce farfalla o mosca, nuoce per le uova che produce da cui nascono nuove larve, specificando che aggrediscono le radici solo quando più individui si sviluppano nella stessa pianta. Il Farini dopo avere sottolineato che alla fine la pianta attaccata “illanguidisce” 191 e può non risorgere più, considera cosa succede a livello della radice della parte svuotata dello stelo di grano attaccato in febbraio e dice che la radice mette nuovi germogli limitando così il guasto fatto dall’insetto che si traduce in una limitata perdita al raccolto, mentre questa sarà evidente quando l’insetto attacca il culmo del grano nel momento in cui differenzia la spiga facendola cadere a terra. Un altro caso in cui l’insetto può fare danno è quando il grano aveva vegetato completamente e non c’era la possibilità di sviluppare nuovi germogli, una situazione diversa da quella manifestatasi nel 1816. Fino a qui il Farini ha dato notizie di come si manifesta l’aggressione dell’insetto alla pianta e come questa possa limitare i danni in certe circostanze. Adesso comincia a considerare se le pratiche agricole hanno una qualche influenza. Così egli sottolinea che una semina precoce non determina maggiori danni riducendo il raccolto, perché quei seminati dove più precocemente sono sbucciati i vermi dalle ova [sgusciate le larve dalle uova] sono quelli dove il bruco ha cambiato di forma e cessato di mangiare, e la pianta si riprende se le radici non sono state “tocche” [aggredite]. E ribatte sul fatto che non è completamente vero che l’insetto crei più danno dove si sia seminato precocemente, fatto che il nostro entomologo ha potuto confermare parlando con numerosi contadini. Quindi conviene dire che i “feti [larve] sbucciano dalle ova” presto o tardi a seconda delle circostanze a loro favorevoli, indipendentemente da una seminagione più o meno tardiva o precoce. Questo anno, 1816, sottolinea il Farini, la sventura è toccata ai più solleciti nella semina, ma non è detto, scrive, che l’anno prossimo, in seguito a circostanze diverse tocchi ai più “infingardi” [pigri]. E dice che nell’anno precedente a quello in considerazione le larvette sbucciarono dalle ova solo in primavera. Lo stesso si è avuto quest’anno, (quello di cui tratta la lettera) infatti il Farini sottolinea che in luoghi diversi gli insetti sono nati [sgusciati] in tempi diversi quindi che alcuni bruchi erano già crisalidi [pupe coartate], mentre altri non erano “sbucciati dall’ovo” o lo erano appena. In più c’è da affermare, dice, che il freddo anche intenso non fa danno ai vermi [larve], anche neonati. A questo punto sottolinea alla Signora di non sapere quanti giorni l’insetto passa da bruco [larva] perché non è riuscito a stabilirlo direttamente e perché non ha libri in cui poter trovare tale notizia. Tale carenza era già stata rilevata dal Farini all’inizio della lettera. Importante sarebbe conoscere quanto tempo l’insetto passa come crisalide [pupa coartata]: così se tale periodo passasse rapidamente, dice il Farini, potrebbe avvenire che questo nuovamente tornasse a far le ova nello stesso anno [sembra che il Farini intende sottolineare la possibilità di una seconda ovideposizione conseguente alla comparsa di nuovi adulti ovideponenti]. I nuovi bruchi che nascono da queste uova danneggeranno il grano in stagione avanzata. Così che dallo stato di larva in autunno conseguito allo stesso tornassero non ancora terminata la primavera [il Farini sembra voler dire che le larve sgusciate dalle uova deposte tardivamente ibernano e completano lo sviluppo nella primavera dell’anno successivo]. Manifestazione che il Farini dice “potrebbe far male al futuro raccolto”. A proposito delle capacità riproduttive della mosca della cui 192 femmina dice che “niuno entomologista” ha osservato che questa si sgravi delle uova più di una volta all’anno, fatto che lui ammette sia frequente negli insetti piccoli. Quindi, per tutto ciò, lui dice, non è possibile prevedere tale disastroso avvenimento. La mosca, sottolinea, non avrebbe una “nuova filiazione” quando lo stelo del grano è cresciuto perchè sarebbe troppo duro per il delicato apparato boccale delle giovani larve. Il Farini di fronte a uova non schiuse si sente in grado di affermare che per questo aspettino stagione migliore per dare escita alla larva. Infatti, non è ammissibile, lui dice, che le condizioni utili allo sviluppo delle uova schiuse non siano state per parità di ragione favorevoli egualmente alle altre delle quali si potrebbe vedere il futuro sviluppamento. E perciò non essendo ciò accaduto, niuna temenza si può avere che in tanta copia ne siano rimaste ancora da svilupparsi da dover recar nocumento al culmo di grano per l’avvenire, cioè in tempo in cui non sia più per rimettere. Pare che il Farini abbia rilevato il fenomeno ma non ha trovato una spiegazione che potremmo oggi trovare nella dormienza. Adesso il Farini apre il discorso sulle circostanze che inducono uno sviluppo maggiore o minore delle uova da un anno all’altro. A questo punto il Farini si rivolge alla Signora e le dice di non badare a certe affermazioni che circolano tra la gente a proposito della comparsa del roditore del grano in erba, infatti si dice che questi animaletti siano piovuti dal cielo o nati improvvisamente oppure che sono un soprannaturale avvertimento ai mortali a ben operare, ed un castigo celeste per le malvagità commesse. Tutti fatti che fanno nascere rumore tra il volgo che dimentica i mali passati, anche da poco, per sentire solo i presenti sostenendo che mai mali simili siano avvenuti. Il Farini rivolgendosi a chi fa tali affermazioni chiede loro come possono affermare che questa specie di vermi sia “mai più veduta e mai più usata” [nuova], quando invece ne parlano gli autori che l’hanno trattata con accuratezza, e gli antichi stessi che ne avevano conoscenza parlando di insetti roditori del culmo del grano. Dice inoltre che evitando di credere in tutto ciò che ha apparentemente dello straordinario e del prodigioso o che sono fatti credere tali da certi ignorantoni, conoscerebbe meglio il proprio interesse e si adoprerebbe a trovare e ad usare mezzi valevoli ad un qualche riparo. E si può essere certi, come fanno sapere gli agricoltori più attenti, che tali vermetti si vedranno nel grano tutti gli anni; questo anno e l’ anno precedente si sono mostrati in maggiore copia perché hanno trovato condizioni favorevoli al loro sviluppo. E comunque, dice il Farini, ci sono insetti che ricompaiono in massa dopo un periodo in cui furono scarsi come succede alle cavallette, ai gorgoglioni (afidi) e altri. Poi il nostro entomologo ritorna a considerare l’effetto dell’ambiente sullo sviluppo degli insetti e dice che non tutti gli anni e non tutte le stagioni sono tali da favorire lo sviluppo delle specie di insetti. Questo perché deve svilupparsi un certo calore che, combinato con una certa umidità, crea un ambiente favorevole allo sviluppo delle uova degli insetti e alla loro moltiplicazione e non si può dubitare che dalle nostre parti non ci siano stati questi favori che sono stati ancora maggiori in certi luoghi con acque stagnanti; situazioni ambientali favorevoli rese ancora 193 più favorevoli da pratiche agronomiche malfatte come le arature [chi potrebbe dubitare che un terreno “appena tocco dall’aratro” sia più propizio a conservare intere uova e crisalidi [pupe] così da fornire loro maggiori “comodi” [vantaggi] per la nascita di nuove larve e (farfallamento) di nuove farfalle (mosche)] e l‘uso di concimi immaturi la cui fermentazione determina un aumento di calore che aumenta quello del terreno che così attira gli insetti a deporvi le uova. Inoltre, sottolinea il Farini, il concime immaturo altera la costituzione dei vegetali conferendo agli stessi caratteristiche che li rendono più grati al “gusto” del dittero. A queste cause che si ripetono ogni anno non segue sempre una devastazione da parte di questi insetti, ma è pur vero che le campagne coltivate male sono sempre le più danneggiate; ed è raro che anche negli anni in cui non si rilevi tanta distruzione le coltivazioni di grano non siano abitate da tale insetto. Di questo fatto egli è certo non tanto per la “ragione”e per infinite esperienze che dicono che non nascono animali se mancano o non si sviluppano le uova, ma dalla voce di alcuni vecchi contadini che asseriscono di essersi trovati nel grano insetti di “questa natura” a cui, dice il Farini, non si pone interesse perché essendo pochi procurano poco danno. Subito il Farini torna alla copiosa infestazione dell’anno in corso e sottolinea le cause che l’hanno determinata: alla cattiva coltivazione di alcuni si è aggiunta una stagione propizia allo sviluppo delle uova indipendentemente da essa [coltivazione]: l’umidità congiunta al calore a cui ne è seguito un copiosissimo “nascimento” degli Insetti (Musca pumilionis) che hanno recato danno al grano in erba anche ai coltivatori più attenti, specialmente a quelli che sono stati solleciti nella semina perché dopo la seminagione incontrarono un clima caldo e umido. A questo punto il Farini, per riprendere l’attenzione della sua interlocutrice, le si rivolge dicendo: mia Signora gentile non ci vuole tanta filosofia perché limitando tutto a semplici atti, non c’è agricoltore che, con un po’ di attenzione e diligenza, non possa saperne tanta quanta chi si intisichisce tutto dì sui libri senza pigliarsi pensiero di osservare, esaminare e sperimentare. La Signora, prosegue la lettera, potrebbe accusare il Farini di poca filosofia perché c’è un controsenso da quello affermato prima e cioè che l’insetto in questione è fatto abitare da Linneo nella segale, e così si dovrebbe affermare che l’insetto divoratore del grano in erba non sia quello che il Farini ha dichiarato e che il nome datogli non sia il suo vero specifico. A questo punto l’entomologo dice, rivolgendosi alla Signora, che soffra ancora un po’ che per quanto sia giusta la sua riflessione questa non è sufficiente ad accusarlo di essere caduto in errore. E dice prima di tutto che la segale e il grano sono entrambe graminacee e sebbene l’insetto viva nella segale non è impossibile che possa nutrirsi del grano, preferendo comunque la prima. E a conferma di ciò c’è il rilievo di una maggiore infestazione in un campo di segale rispetto a quelli vicini seminati a grano, come è stato rilevato da “un diligente osservatore di queste cose ed accurato agricoltore”. Tuttavia in altri luoghi questo fatto non si è manifestato. Dopo queste affermazioni comincia a porsi di come limitare le popolazioni di 194 questo insetto; e a questo proposito scrive che vuole “cimentare” [provare] se lo zolfo finemente polverizzato distribuito nei campi infestati dalla mosca nana possa ucciderla. Ed è così convinto che ciò succeda da rammaricarsi di non averlo detto fino ad ora tanto più che una persona degna di fede dice che in un “certo grano” seminato in un terreno concimato in questo modo non si sono manifestati gli Insetti [a quanto qui si dice lo zolfo sembra esercitare una qualche attività preventiva]. Poi parla su cosa si ottiene imbrattando la pianta nelle sue parti e cioè un respingimento olfattivo dell’insetto, una incapacità alimentare dello stesso e una attività insetticida della polvere di zolfo che insinuandosi nelle trachee le chiude facendo così morire l’insetto soffocandolo. Quanto detto è per i vermi [larve], ma non per le crisalidi [pupe], ma distrutti quelli vermi prima che queste si formino, il risultato sarà raggiunto. I seminati infestati da vermi e crisalidi dell’insetto in questione possono essere bonificati facendovi passare sopra un rotolo pesante per schiacciarli, una modalità di lotta che il Farini apprende dalla letteratura, e che completa dicendo che è fattibile in terreno non molto bagnato in cui tale “ordigno” raggiunge lo scopo senza causare danno alla giovane pianticella. Il Farini ritorna a dire di sostanze che possono sostituire lo zolfo che sono calcina, gesso, cenere o fuliggine, in terreni “pingui” e argillosi. Dopo di ciò dice che nei libri sono riportate ricette “attissime” molto efficaci per la distruzione dei vermi [larve], ma questa promessa non è sempre vera dice il Farini perché tra gli “Scrittori” ci sono i “molti paraboloni”. Inoltre il modo in cui tutte queste ricette sono presentate di solito può ingannare, e specialmente i semplici possono essere condotti in errore dal meraviglioso e dalle belle parole. Ma quelle riportate di seguito sono quelle che il Farini non disapprova, ma certamente dice sono innocue e comunque ne riporta come si deve operare per ottenerla fare bollire 18 libbre di fuliggine in 50 libbre di acqua, oppure 6 libbre di trementina in 6 libbre d’acqua, una volta compiuta la bollitura sia tolta la trementina, con questo liquore si tratti i campi devastati dagli insetti. Un metodo sicurissimo e semplicissimo è quello di dare la caccia per ucciderle alle larve e alle crisalidi dell’insetto, in questo, dice, ci si può fare aiutare dai ragazzi. Un metodo che non conviene disprezzare perché molesto, laborioso o di spesa. Perché pretendere che il terreno dia frutto senza spesa, e senza fatica, è la pretesa del servo del Vangelo che si preoccupò solo di conservare il talento affidatogli dal Padrone invece di trafficarlo, così lo seppellì e perciò rimase infruttifero. E’ un assioma non contrastato da alcuno che più si lavorano i terreni, o quanto più di spende attorno agli stessi maggiore lucro se ne trae. E sarebbe una bestialità, che però da molti si sente con ribrezzo pronunciare, il trascurare di avere un qualche prodotto che compensi una fatica, un lavoro, una spesa per perder tutto senza usar fatica, far lavoro o soggiacere a spesa. Chi la pensa così è come quelli che tra il non avere nulla o l’avere qualcosa sceglie il primo. Così torna a parlare delle crisalidi, dicendo che alcuni sono dell’avviso che siano morti attualmente i vermi perché li hanno visti passare dal bianco ad altro colore grazie alla prima trasformazione seguita. 195 Per cui esclamando un “Signora mia gentile!” dice che bisogna scusare la loro ignoranza e tentare di persuaderli con l’esempio e con l’esperienza che sbagliano “all’ingrosso”. Questo stato naturale di morte [dormienza] presenta il più funesto presagio per l’anno a venire per il fatto che se l’insetto in questo stato non mangia, non corrode, prepara però lo svolgimento della terza trasfigurazione [adulto] la più terribile di tutte perché recante la farfalla [il Farini chiama lo stato adulto del dittero in questo modo improprio per continuare a chiamare gli stati del dittero con quelli utilizzati per i lepidotteri], la mosca ossia l’insetto perfetto: stato in cui avviene l’accozzamento [l’incontrarsi] di maschio e femmina, fecondazione delle uova, generazione delle medesime, e quindi nuovo nascimento di larve. E dice che l’amore “punge” pure [un “pure” che evidenzia che anche lui ne è stato colto forse per la Signora] questi animaletti che si mostrano avidi di sottomettersi al suo impero e si propagano per le sue tenerezze. Quindi sarebbe un vero guaio se nella stagione che verrà “concorressero” le stesse circostanze “fomentatrici lo sviluppo di queste ova” perché tanto più “copiose” sarebbero le larve quanto una maggiore quantità di ova fosse deposta dal maggior numero delle mosche di questa specie che si svilupperebbero dalla molteplicità delle “crisalidi” intatte! Quindi conviene intimare guerra a queste crisalidi: pigliarle, schiacciarle e ridurle impotenti a proseguire la loro trasformazione in mosca, che se questo non sarà fatto attualmente, qual sarà il rimedio per l’anno futuro da praticarsi per la distruzione di questi Insetti? Le cose particolari già suggerite a questo proposito dimostrano quale mezzo debba usare un agricoltore per liberarsi di tale insetto. Il lavoro replicato del terreno durante i “bollori estivi” espone le “ova sparse” ai raggi cocenti del sole, il lavoro fatto di “buon mattino” a stagione “brinosa” [satura di brina] le espone ad altre intemperie. Quindi se di una data temperatura, di un dato asilo han bisogno per propagarsi [moltiplicarsi mediante la riproduzione]; il caldo, la brina, la pioggia e il freddo priveranno di ogni favore le loro ova, i loro nidi, le larve, le ninfe, le farfalle [mosche] ed infestati poi così replicatamente [ripetutamente] per ogni stadio o periodo della loro vita, per ogni stato, per ogni verso diminuiranno tanto a non avere nulla da temere. E ritorna alle lavorazioni del terreno per specificare che se li solchi saranno fatti con maggiore squisitezza del praticato cioè regolari e non tortuosi, se si darà debito scolo al terreno specialmente se argilloso, tanto più infausta sarà la guerra che loro intimerassi. Inoltre questi lavori ripetuti rivoltando sempre nuovo terreno attireranno uccelli insettivori: codiremole o buarine, pispole, rosignoli, beccafichi, corvi, polli, o simili uccelli e altri animali che ghiotti di loro come cibo vi compariranno per divorare quelli esposti all’aria. Se poi a tutto questo si aggiunge di usare un buon concime, di inviluppare [confettare] i semi nella calce, gesso, fuliggine, zolfo, cenere al momento della seminagione, tanto più si tenderà a conseguire l’esterminio loro ed anche più se stabbierassi [concimasse] con simili concimi o se ne spargerà polvere finissima sul grano spuntato. Il Farini a questo punto si rivolge alla “cortese mia Signora” dicendo 196 che da quanto lui ha detto può ben discernere che più sono le “ciance” che le verità che si “proferiscono” per questa disavventura e chissà che non vi abbia parte pure la malignità degli “incettatori” per arricchire ancora di più la loro borsa a spese del povero. Dopo avere detto ciò, il Farini pone la domanda: se molti seminati di un diligente agricoltore fossero rovinati irreparabilmente tutto sarebbe perduto? No! egli dice. Infatti nessuno vieta che questi campi siano riseminati con grano così detto marzolo o di altri generi che noi chiamiamo marzatelli scegliendo quelli che più si stimano atti a dare maggiore e più utile frutto secondo la qualità de’ terreni, de’ luoghi, della coltivazione e qualunque altro oggetto che un buon padre di famiglia, un buon agricoltore può considerare. E poi specifica che si potrebbe seminare erba spagna, trifoglio, lupinella, o altri simili foraggi, suggerendo che alcune di queste erbe, specialmente il trifoglio, si potrebbe spargere sui campi più infestati senza altro lavoro, anzi sulla neve caduta ora che farebbe evidenziare la regolarità della semina. Per il fatto che questo seme è molto piccolo non richiede di essere interrato profondamente per germogliare e neppure per difenderlo dagli uccelli che non lo gradiscono. Con questo sistema si avrebbe la raccolta del grano che c’è e un buon foraggio segando lo strame mescolato con il trifoglio a cui succederebbe un secondo taglio di solo trifoglio. Infine si potrebbe trarre profitto dalle patate, dai girasoli tuberosi, piante disprezzate dai coloni, che però in questo anno, dice il Farini, avrebbero ridotto le lamentele per la fame. Quindi tocca ai padroni di convincere con ogni mezzo i contadini a fare simili piantagioni utili per l’uomo e per lo bestiame, sulle quali le procelle [tempeste] non hanno alcun potere, e che in penuria di grano contribuiscono molto a supplirvi. Né devesi temere che nei luoghi dove questo manca si abbia a morire di fame. Il Commercio rimedia a tutto. E poi il Farini dice che nell’anno in cui la provvidenza ci tolga il grano dobbiamo essere avvertiti a trar profitto da altri generi che servano allo stesso uso, o a permutarli col grano, o a far denaro per provvederli. L’uomo industrioso sovviene ad ogni mancanza anche in povertà; l’infingardo muore di inedia anche nelle dovizie. Il Farini rivolgendosi alla Signora dice: vorrei aver appagate le vostre brame e un cenno di vostra soddisfazione mi renderà molto contento. Ma prima di conseguire questo, almeno per esaurire la materia, avrei dovuto dirvi qualche cosa della mosca in cui cambiando le fattezze questa larva si deve trasformare. Fino ad ora se ne era astenuto sapendola molto schizzinosa verso questi animaletti. Ma siccome la vostra curiosità vince il tedio di una lunga mia diceria e la schifiltà vostra istessa vi dirò pur due parole dell’Insetto perfetto ossia di questa mosca. Essa è nera con due linee gialle sul capo e sul torace. Ogni altra descrizione sarebbe superflua perché chi è che non conosca le mosche? Tuttavia quante belle proprietà, quanti bei colori, quante industrie [attività] possono in esse ammirarsi da un occhio curioso, non immeritevoli certamente della contemplazione anche delle Signore che pure di altre cose abbiano vaghezza! Ma non è dicevole a me attualmente il prolungar di più questa lettera. Se non 197 fossi a giorno del vostro temperamento che vi muove a vedere compita una cosa appena fattone il pensiero, avrei cercato per alcune librerie delle circonvicine Città, le quali però tutte non sono molto doviziose in questa materia, per rendere più condita questa lettera. Ma ho preferito piuttosto che sia riuscita rozza di quello che vi avessi a vedere in qualche stizzetta [impazienza] per la tardanza [ritardo] ad obbedirvi. In grazia di questo mio pensiero sarete più facile ancora ad accordarmi il vostro gradimento, che mi servirà sempre di piacevole ristoro nei momenti di mie tristezze alle quali talvolta, come sapete, mi danna il mio temperamento; e vi saluto con vera amicizia. Russi 16. Febbraio 1816. Aff.mo Amico vostro Domenico Antonio Farini ______________________ Indirizzo del raccontatore: Piero Baronio via Isei, 27 47521 Cesena FC 198

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