APhEx 14, 2016 (ed. Vera Tripodi) Ricevuto il: 02/08/2016 Accettato il: 01/10/2016 Redattore: Pierluigi Graziani N°14 GIUGNO 2016 L e t t u r e c r i t i c h e Achille C. Varzi e Claudio Calosi, Le tribolazioni del filosofare - Comedia metaphysica ne la quale si tratta de li errori & de le pene de l’Infero. Scoperta, redatta e commentata da Achille C. Varzi e Claudio Calosi. Laterza, Roma-Bari, pp. 269. Stefano Vaselli 1. Introduzione Leggere Le tribolazioni del filosofare di Achille C. Varzi e Claudio Calosi è un esercizio difficile e per tantissimi aspetti – che non sarebbe affatto inutile elencare, non fossero numerosi – uno sforzo di caratura esemplare. Un’esemplarità rappresentata, secondo chi lo presenta qui all’attenzione Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare della lettrice o del lettore, dall’effetto che costringe a spogliarsi, letteralmente, delle proprie abitudini, il cultore di questa materia, ma soprattutto dalle abitudini di pensiero e azioni tipiche di chi si trovi a insegnare filosofia a persone più giovani in un sistema educativo che, tanto nella scuola come nell’accademica, è ancor fin troppo influenzato dallo storicismo, ovvero dall’idea che sia il relativizzabile contesto storico più di ogni altra cosa a spiegare la genesi di questa o quella teoria o famiglia di teorie filosofiche. Ed ecco, allora, la geniale soluzione letteraria di Achille Varzi e Claudio Calosi: inquadrare la maggior parte delle principali teorie filosofiche del passato, remoto o prossimo, nel loro porsi o nel loro essere “stati di cose” ormai divenuti o, meglio ancora, immortalati come eterni, e non come semplici eventi di una vicenda storica e, in quanto storica, approfondibile solo penetrandone i processi evolutivi. I paradigmi filosofici appaiono, così, dati una volta per tutte1, nell’eternità, appunto, di bizzarri – ma al tempo stesso umanissimi – bias cognitivi e psicologici, errori “costitutivi”, puniti con tragicomiche pene, contrappassi commisurati alla natura e alla gravità dell’errore filosofico di cui si sta parlando, fino alla vera commedia dell’assurdo. Di precedenti, nella storia della filosofia occidentale, di tentativi di stilare vere e proprie tassonomie dell’errore filosofico, ve ne sono talmente tanti che non sarebbe corretto né pertinente cimentarsi con essi in questa lettura, basti pensare al Bacone della Instauratio Magna del Novum Organon, e al suo tentativo, classico, di stilare una genesi dei “bias” (che oggi i filosofi delle scienze cognitive includerebbero tra quelli “di conferma”) e una loro tassonomia nei celeberrimi idola. Ma nel lavoro di Calosi e Varzi troviamo un ingrediente in più, un ingrediente non solo letterario o retorico, un elemento che potremmo definire “euristico”, votato ad arricchire e a rafforzare le potenzialità della scoperta, per l’appunto, di quello che ogni lettore critico della filosofia, prescindendo dalle proprie basi storico-filologiche, dovrebbe essere posto in grado di trovare, rinvenire, far 1 Introduciamo qui, e non a caso, una distinzione a cui l’ontologia analitica di Varzi ha sempre dedicato un occhio di riguardo: quella classica, rinviante ad uno dei dibattiti più importanti nell’ontologia analitica tra fatti e state of affairs, stati di cose, ed eventi, tra entità date al di fuori dello spazio e del tempo e corrispondenti a proposizioni, e cambiamenti istantanei unici ed irripetibili o di sostanze che durano tridimensionalmente identiche con sé stesse nel tempo (endurantismo), o corrispondenti a stadi o momenti di un’unica sequenza spaziotemporale avente differenti parti tanto nello spazio che nel tempo (perdurantismo o quadridimensionalismo). Si veda Varzi-Casati 2002; Varzi 2003; Varzi 2008, 129-24, 425-59). Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare emergere nelle teorie filosofiche del passato, remoto o prossimo: una linea di continuità, una sorta di fallacia connaturata. Per questo motivo il metodo scelto dagli autori non può che essere quello, divertente ma al tempo stesso convergente sul piano dell’analisi e della puntuale pertinenza, dell’ironia, della comicità, a volte della vera e propria satira filosofica. Il divenire filosofico delle idee degli autori e dei loro movimenti filosofici viene, così, strappato al loro essere eventi processuali per diventare fotografie iconicamente cristallizzate come fatti, come vicende ormai “iconiche” di una storia della filosofia che non è solo un passato fatto per la memoria degli storici di questa disciplina: è un dibattito continuo, una discussione perenne, che solo la consapevolezza dell’inevitabile errare in ben determinati “peccati” (leggi: errori) può strappare all’ineluttabilità del ripetersi senza fine. È un fatto, ad esempio, che gli scettici abbiano messo in discussione persino la condizione dell’esistere come menti pensanti. È un fatto che i sensisti abbiano sostenuto da Teeteto a Condillac un radicalismo gnoseologico estremo e pieno zeppo di criticità metafisiche. E’ un fatto che da Platone in poi la tentazione di multiplicare praeter necessitatem gli enti reali, realissimi, meno reali, fittizi, fenomenici, abbia visto cadere nel peccato (mortale per taluni, veniale per altri) della creazione di “ontologie lussureggianti”, come avrebbe detto il “barbiere” analitico-pragmatista di Platone, W. V. O. Quine. E noi, ora, possiamo guardare a tutte queste, e a molte altre, teorie in un panopticon metastorico, concepito appositamente per l’analisi concettuale, prescindendo dalla loro “contestualizzazione storica” (crocianamente intesa) passando, così, in rassegna i cerchi “de lo infero” creato più che per, da tutti i protagonisti di questa vicenda: i filosofi del passato, recente e remoto. Perché – ecco la chiave che ci riporta al piano, per così dire, esistenziale della vocazione, della professione, del filosofo o della filosofa – filosofare è, infine, tribolare, una tribolazione che inizia in questa vita, nella vita individuale o sociale dell’intellettuale filosofo, ma che può essere consegnata all’eternità tramite la legacy culturale e ideologica di questa o quella teoria, corrente, o di questo o quel movimento, di quella scuola o di quella dottrina. Le Tribolazioni, che con un non troppo goliardico divertissement, Varzi e Calosi ritengono di aver “scoperte, redatte e commentate” da un testo originale di un poeta medievale, mascherando così con non poca commedia dell’arte la loro inventio retorica, (la quale rinvia a Umberto Eco, a J. L. Borges, al J. Potocki, del Manuscrit trouvé à Saragosse e a tutti gli scrittori classici che hanno ispirato questi a loro volta, classici, autori) è un affresco grandioso, divertente e mai semplicemente caricaturale di 2800 anni di storia della filosofia. Il rinvio del titolo, ovviamente, è quello alla Comedia Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare dantesca, che però come canovaccio-struttura – e questa non è una semplice avvertenza alla lettrice o al lettore – non rappresenta solo un pretesto letterario di forma poetica, ma molto, molto di più, finendo per rappresentare il tentativo ambizioso e sapiente, di ricostruirne la completa estensione aporetica, come un’intrecciata interconnessione di reticoli problematici – e quale migliore “inventio poetica” della pena infernale, che immortala nello “state of affairs” eterno e immutabile del contrappasso al di là del mutare della storia delle tesi fondamentali della filosofia occidentale (e non solo) dai Presocratici ad oggi, ponendole in contrapposizione e correlazione tra loro? E se il lettore, come scrivevamo, è abituato – sia nel senso quotidiano che humeano del termine “habit” – a studiare e a meditare il contenuto dei saperi filosofici di cui, con arguzia letteraria, Varzi e Calosi, vanno narrando lo “stato di dannazione”, e a insegnarlo secondo i dettami ormai innervati nella più oscura profondità delle consuetudini accademiche e scolastiche italiane – quelle per cui la filosofia riposa sulla storia della filosofia – leggere questo libro può rappresentare una salutare secchiata di acqua gelida in faccia, capace di risvegliare anche il docente o il cultore della materia più addormentati nelle spire del “sonno dello storicismo” (si perdoni la parafrasi kantiana) da tale stato comatoso che sembra avvolgere come bambagia tanti autori di manuali di filosofia ancora in uso nelle nostre scuole superiori e nelle nostre accademie. Achille C. Varzi è un filosofo analitico dell’ontologia e della metafisica (aree tematiche, secondo lui, da tenere ben distinte) nonché un logico, che insegna, appunto Logica e Metafisica alla Columbia University di New York, mentre Claudio Calosi è un filosofo della scienza, per la precisione della fisica e dei suoi problemi non-classici, attualmente docente all’Università di Neuchatel. La loro impostazione filosofica non è “ecumenica” né intende esserlo, anche se la loro erudizione e la loro cultura filosofica denotano aspetti decisamente universalistici e onnicomprensivi, sicuramente non votati in modo rinunciatario a rigide “appartenenze di scuola”. Detta impostazione è, per molteplici aspetti, metodologicamente analitica così come le impostazioni filosofiche che contraddistinguono la scelta di rappresentare questa o quella teoria filosofica o questo o quell’autore narrati nel racconto poetico delle Tribolazioni come un “errore”, svelandone così la natura erratica e dettandone di conseguenza, sotto forma di una scoperta letteraria, il necessario “contrappasso” in stile dantesco. Esse, inoltre, sono tutte impostazioni assolutamente e onestamente partigiane dal punto di vista teoretico. Inevitabile individuare immediatamente in essa un antirealismo ontologico di impronta neo- nominalistica goodmaniana – posizione filosofica che almeno uno dei due Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare autori in questione ha sempre rivendicato, seppur con una certa originalità – nonché un coté ontologico di stampo materialistico e costruttivistico. La via per liberarsi dagli errori, da questi bias divenuti peccati della storia della filosofia, infatti, secondo gli autori, è inequivocabilmente indicata «nella capacità di mettere ordine nella nostra testa, nei nostri bisogni, nelle nostre pratiche organizzatrici» [Varzi-Calosi 2014, 246, n. 23-30] e questo tipo di emendatio intellecti sembrerebbe rinviare non solo al costruttivismo nominalistico di Nelson Goodman, ma anche, per certi versi, al Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche nonché al Sellars di Empirismo e filosofia della mente e Science, Perception and Reality. Da questo punto di vista, però, il Poeta, sottolineano Varzi-Calosi, nel loro schierarsi dalla sua parte, è assolutamente corretto nel chiarire che questa impostazione filosofica sia del tutto suscettibile di essere, a propria volta confutabile e come tale riveduta, in perfetta coerenza con la critica antidogmatica che l’intero poema intende portare contro le origini di questi “errori”. La “via d’uscita dalla trappola alla mosca”, per continuare a usare una ben nota metafora wittgensteiniana delle Ricerche consta, infatti – ed è secondo il Poeta anonimo, una delle tre condizioni fondamentali per praticare l’attività filosofica – la capacità di essere sempre pronti a rivedere le proprie convinzioni di fronte ad argomenti realmente cogenti. La via della redenzione dagli errori, infatti, non può assicurare la certezza assoluta, ma solo un metodo, e questo metodo è il cuore di una praxis. Anche questa identificazione della filosofia con un’attività, per chi scrive, rivela una indiscutibile impronta di natura wittgensteiniana e costruttivista, assieme ad un gusto fallibilistico che, per tanti versi, rinvia al pragmatismo più originario, come quello del primo Peirce. Tale schieramento filosofico è assolutamente naturale e, per taluni motivi, desiderabile. Non sarebbe stato infatti né auspicabile né, per molti aspetti, “normale” rinvenire l’ispirazione di un testo così originale nell’impostazione di autori “al di sopra delle parti” o, per citare l’improbabile (ma non troppo) volgare del “misterioso autore” del manoscritto “scoperto” da Varzi e Calosi, “pusillanimi” (leggi: ignavi) degni di errare in eterno nel Vestibolo de l’Infero, come il dantesco autore dell’opera sceglie di titolare l’argomento del Canto IV. Chi si addentrasse quindi nella lettura delle Tribolazioni sappia che gli autori partono da, seppur differenti, impostazioni “di parte”, e lasciano qua e là disseminati in bella vista una panoplia di sintomi, messaggi e tracce per consentire a chi intendesse leggere con dovizia di approfondimento critico il libro di accorgersene e di trarne le dovute conseguenze. Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare Il risultato è, a parere di chi scrive, un importantissimo lavoro di revisione e rinnovamento della tassonomia concettuale delle posizioni e delle dottrine filosofiche dall’antichità presocratica ad oggi, che, pur presentando degli elementi discutibili, opinabili, anche suscettibili di confutazioni e rifiuto, rappresenta, in ogni caso, un importante elemento di novità per il panorama della letteratura filosofica di lingua italiana di oggi. Un libro che ogni storico della filosofia dovrebbe leggere. Vediamo il perché. 2. La struttura dell’opera e la sua “lingua filosofica” Seguendo solo in parte la struttura della Cantica infernale dantesca, il volume si trova costituito di ventotto Canti (contro i classici trentatrè dell’opera di Dante) e la lettrice o il lettore sono immediatamente colpiti dai primi Quattro, come del resto i giovanissimi lettori adolescenti non possono fare a meno di restare stupiti nell’incontro con l’opera dantesca tra i banchi di scuola, proprio attraversando le prime quattro, famosissime, cantiche dell’Inferno. Dopo un’importantissima – non se ne trascuri la lettura – Nota sulla titolazione dell’opera e dei singoli canti, nonché l’esposizione della Struttura fondamentale del poema, subito inseguita e immediatamente esposta in sinossi grafica da uno Schema Grafico (si veda la figura 1) e quindi da una Sinossi Analitica, troviamo il gustoso Proemio, rappresentato dal Canto I, e quindi il Canto II, overo del Filosofare e il Canto III, overo del Convincimento, che restano come chiavi di lettura da tenere sempre a portata di mano per la comprensione del resto del divertissement dei due autori. In questi Canti il tema, che resta il pivotal claim stilistico dell’intero poema, che fa da arriere plan a tutti gli argomenti affrontati è quello dell’amore. Cosa intende il Poeta anonimo per amore in questi capitoli? Sicuramente qualcosa non solo di intellettuale (scelta che farebbe degli autori reali del Le Tribolazioni due propositori di qualche sorta di neoplatonismo) quanto di sinergico e sincretico – la lingua stessa del testo è ricca di sinestesie e allegorie ibridanti – di razionalità intellettuale e di sensualità erotica. Questo tipo di amore può realmente, per il Poeta anonimo «penetrar le cose, la lor trama/la lor natura» [Canto I, 1-3] ma proprio perché «Amor, non consumata, assai consuma» [Canto III, 46] allo stesso modo il vero filosofo, come un vero amante – un po’ come l’amante mistico del Cantico dei Cantici dell’Antico Testamento – deve affrontare questa Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare sofferenza per cercare di venirne a capo, proprio come l’innamorato – nel senso erotico e romantico del termine – della sua amata deve darsi da fare per conquistarla e offrirle il suo cuore e la sua mente, già da Lei conquistati. I meri accademici (nel senso colloquiale, non storico del termine), i falsi “amanti” della filosofia, coloro che la praticano come semplice esercizio (pseudo)culturale o intellettualistico questa disciplina, non sono degni, pertanto, neppure di entrare nello Infero, venendo trattati come dei veri e propri ignavi. Poiché essi non provano alcun stupore, alcuna meraviglia sensuale e alcun senso di mistero, e soprattutto, non osano giungere ad alcuna conclusione, non venendo stimolati in alcun modo a rimaner dubbiosi e perplessi dallo spettacolo del mondo dei problemi filosofici essi sono «pusillanimi» e come tali sconteranno la loro eterna pena fuori dal mondo stesso della tribolazione. Sempre all’interno dei primi quattro canti, ed esattamente nel Secondo Canto, questo “amore” che è la filosofia viene introdotto dal Poeta anonimo come, potremmo dire, impegno euristico, che muove da domande, quesiti, problemi ben formulati. Questo è uno dei punti più belli e più riusciti, a parere di chi scrive, dell’intero testo di Calosi e Varzi, forse il punto che meriterebbe di essere definito più “metafilosofico” dell’intera opera. Sono le domande gli atti d’amore che compongono, verrebbe da dire in aggiunta al testo dei due filosofi, il kamasutra dell’amore filosofico. Ma esse sono in grado di “penetrare” il corpo dell’amata – il mistero della conoscenza – nella misura in cui esse risultano essere chiare e perspicue. Non domandare, non sapere fare domande, e soprattutto, fare domande oscure, mal formulate, scorrette produce una sorta di impotenza filosofica, o, per usare le parole del Canto Secondo ad un «sonno di ragion». In sintesi: le tre qualità che il filosofo-amante della ricerca deve possedere sono queste: essere innamorato del mistero della filosofia, fare filosofia per giungere a delle conclusioni e non per mero esercizio intellettualistico, saper porre domande chiare e dotate di obbiettivi ben precisi. Ma il metodo non solo brachilogico del saper porre numerose domande pronti a passare da una risposta alla domanda seguente con un senso organizzato dell’intero impianto della ricerca è, per l’appunto, il Metodo Socratico, il metodo maieutico, il metodo della guida del Poeta. Al posto del poeta “mantuano” Virgilio, infatti, che accompagna Dante Alighieri per l’intero viaggio nel cosmo Aristotelico e Tomistico della Comedia, qui troviamo il figlio di Sofronisco, Socrate Ateniese, e al posto delle tre celeberrime fiere della “Selva Oscura”, tre altrettanto orribili theratos, assieme ad un innocente, improbabile, animaletto, che rinverdendo la memoria hegeliana della filosofia come animale tardo all’azione e Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare notturno di indole, si presenta come la citazione della Civetta di Minerva. Il protagonista è un poeta attratto dalla filosofia e dalle sue peregrinazioni mentali e concettuali, presentate immediatamente come lavorio rischioso e non scevro di superbia intellettuale. Sono questi i “peccati” che lasciano il poeta “Invischiato” in una palude, le cui rive sono spaventosamente simili a quelle della laguna stigia. L’unità di tempo, luogo e azione di aristotelica memoria è perfettamente rispettata: Invischiato in una palude melmastra, simbolo di un grave stallo filosofico, il Poeta giunge a metà giorno nei pressi di un luogo ameno. Tre bestie ostili – il liocorno, la chimera e il leviatano – lo respingono. Socrate gli appare allora innanzi annunciandogli la venuta della nottola e offrendosi di accompagnarlo attraverso l’inferno dei filosofi per trovare la giusta via d’uscita dalla palude [Varzi-Calosi 2014, Introduzione, XVII]. La struttura di questo “Infero” è un altro degli aspetti più interessanti nonché una delle soluzioni espositive più formidabili del testo di Varzi e Calosi. Esso è composto da un Vestibolo, da dieci Cerchi, ma anche da una Jungla (ecco l’ontologia lussureggiante evocata come terribile errore da Quine, nei suoi attacchi alle ontologie platoniche, in nome dei “paesaggi desertici” [Quine 2004,16]), una Ripa discoscesa, che si separa da un Rivo cangiante, e, infine, da un Pozzo dei Nani. Da notare che l’opera medievale che gli autori dicono di aver rinvenuto del tutto casualmente indica ventotto canti, ma alcuni di essi «non sono pervenuti» alla lettura dei redattori. A questo punto il lettore può notare con grande piacere per il proprio scorrere le pagine di questo libro che i due autori, al di là dei rispettivi campi di specializzazione, mostrano di sapersi muovere tra il lessico, i concetti, e le aporie della letteratura e della filosofia medievale con un disinvoltura che non è esagerato definire degna dei migliori specialisti in questo campo, una cura e un’attenzione sicuramente non improvvisate. Giunti così all’ultimo dei primi quattro Canti è proprio la guida del Poeta, Socrate, a fornire con estrema e concisa chiarezza al protagonista una soluzione – in realtà, ripetiamolo, assolutamente contemporanea, più che moderna, in quanto influenzata da testi come Della certezza, ma anche da venature ryleane e quineane – al problema di cosa sia la certezza. Il concetto di “certezza” deve risolversi per il Socrate de Le Tribolazioni in uno stato di consapevolezza soggettiva destinato ad essere lasciato per strada proprio nel cominciamento di ogni seria indagine filosofica – laddove per il Wittgenstein del Tractatus la “scala” si deve gettare per terra una volta che si è riusciti a salire per mezzo di essa alle conclusioni della Proposizione 6, qui nelle Tribolazioni la presunzione di esser certi di qualcosa va abbandonato all’inizio della “salita”. Questo, socraticamente, è il “sapere di Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare non sapere”, ed è l’unica reale, sincera, propedeutica filosofica, che può permetterci di procedere sicuri di non cadere nel peccato (mortale) del dogmatismo. La conclusione, così, dei primi Quattro canti, è questa: partire dall’esiziale premessa che le credenze “di sfondo” che il filosofo-indagatore detiene nel proprio pensare siano dotate di infallibilità e assoluta correttezza limita in modo terrificante ogni serio tentativo di fare di questo “impegno” una ricerca destinata ad andare a buon fine. Nessun “pre-giudizio” nel senso gadameriano di Verità e metodo, può pertanto essere tollerato. Il costruttivismo nominalistico di Varzi e Calosi non è, certamente, un costruttivismo di impostazione ermeneutica. Il Quinto Canto ci porta all’interno di una sezione idealmente avanzata del testo poetico. Qui i dannati sono i poveri di categorie, vale a dire quegli aspiranti filosofi che tentarono di studiare la realtà senza possedere gli strumenti concettuali adatti a tal fine. L’umorismo di Varzi e Calosi in questo canto va intrecciando il proprio respiro stilistico con il gusto per il paradosso e lo smascheramento degli ossimori, ecco perché questi dannati sono destinati a soffrire una “pena senza patire” – non hanno le categorie per patire alcunché! – e allo stesso tempo irta di dolore. Il dolore è generato dall’insoddisfazione eterna, e quest’ultima è, a propria volta, causata da una vera e propria inestinguibile sete di conoscenza che, proprio a causa della “Povertà categoriale” non potrà mai essere estinta. Qui troviamo alcune delle terzine più divertenti ed efficaci del testo: «Com’è il fiume, tutto è scorrimento: due volte mai stessa mortal sostanza mai la stess’acqua, mai lo stesso vento noi tocchiam, perché null’ha costanza. E’ tutto novo quel che ‘n noi è accolto qual novo è ‘l sole ch’ onne giorno avanza Ma si veloce è tutto tolto e stolto che tutto quel che manca si compensi che è disperso, viene, va, è raccolto». «Son sol confusi li fallaci sensi e del sentir è vaga la matera. E’ l’essere tutt’un con che si pensi». «S’anche più debolmente i sensi avvera non son pur sempre ‘l primo allacciamento? Non trova l’insperabil chi non spera» Periodico On-line / ISSN 2036-9972 S. Vaselli – Lettura critica di A.C. Varzi e C. Calosi, Le Tribolazioni del Filosofare [Varzi-Calosi 2014, 63, vv.127-141)] Guardando alla figura 1, ovvero alla Tavola in cui Varzi e Calosi rappresentano lo Infero dove le Tribolazioni del filosofare trovano la propria ambientazione, vediamo il Poeta e Socrate giungere così nel Secondo Cerchio a propria volta suddiviso in tre Gironi. Esemplare la raccolta di dannati che trovano qui la propria dimora eterna: gli aspiranti filosofi che commisero sprovvedutezza – leggi: che non vollero o non seppero attuare un esercizio critico durante le proprie indagini sulla realtà e sulla natura della conoscenza. Qui troviamo i filosofi fedeli ai sensi, ma sono i loro – ben distanziati – “compagni di dannazione” a colpire l’attenzione del lettore ben informato delle origini e delle sorti della filosofia contemporanea. E senza neanche farlo apposta, infatti, dopo i fedeli ai sensi troviamo coloro che già Bacone ebbe a battezzare le vittime degli Idola fori, ovvero i fedeli al linguaggio, e questo non può che lasciare sorpresi. Tutti gli autori, infatti - tornando sul versante di una critica esegetica del testo di Varzi e Calosi - che in qualche modo ispirano o hanno ispirato l’opera dei due filosofi e non solo nella stesura delle Tribolazioni del Filosofare non possono non essere considerati degli autori “padri-padroni” di quella che un notissimo costruttivista (che di Quine, Sellars e Ryle fu allievo e lettore innamorato), Richard Rorty, definì gli attuatori della linguistic turn, della “svolta linguistica” nella storia della filosofia del Novecento. Sono giganti del calibro di Frege, lo stesso Wittgenstein, i filosofi del “Linguaggio Ordinario” di Oxford (Austin, Strawson e Grice e la loro filiazione storica in John Searle), e quindi Dummett e gli stessi Goodman e Rorty da inserire in questo ideale girone dei “fedeli al linguaggio”? La domanda è rivolta agli autori, ma è destinata a rimanere, un po’ antisocraticamente e quindi contro gli stessi auspici della loro spassosa invettiva metodologica, a rimanere, probabilmente, senza risposta. Nel terzo Girone del Secondo Cerchio appaiono i peggiori di questo settore dello Infero: i cultori di «Miti facili e consolatori». Cosa accomuna sensisti, linguistici e mitologisti? La loro chiusura d’intelletto, ma anche il loro votarsi non tanto ad una filosofia intesa come ricerca di soluzioni – un continuo mettere e mettersi in discussione in ogni punto delle proprie indagini – quanto il praticare la filosofia come una sorta di guerra contro gli altri filosofi, di battaglia accademica e di scuola, il che porta, inevitabilmente, alle divisioni, ai contrasti, su cui regna incontrastato il Peccato Originale della filosofia: il dogmatismo. Proseguendo nel nostro scandaglio visivo della Figura 1, possiamo intravedere, così l’uscita da questo cerchio in una Jungla, che come Periodico On-line / ISSN 2036-9972
Description: