ebook img

Italiano regionale PDF

28 Pages·0.517 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview Italiano regionale

Teresa Poggi Salani Italiano regionale “Enciclopedia dell'Italiano”, 2010 1. Definizione e ambito Si intende per italiano regionale un italiano che varia su base geografica. Nella formula si riassume perciò il variare dell’aspetto dell’italiano e insieme il suo differente organizzarsi sul territorio nazionale (e, almeno, svizzero-italiano). È bene chiarire subito che in questo caso con l’aggettivo regionale non ci si riferisce propriamente alle regioni amministrative, ma a regioni linguistiche di varia estensione, e che quindi regionale vale «di una certa zona» ed equivale a locale. In questo quadro si collocano dunque le tante forme della nostra lingua che qualifichiamo con qualche determinazione geografica, l’italiano di Torino o di Catania, di una qualsiasi piccola città o invece di una più vasta area (con le sue similarità e variazioni interne). Quando si parla di italiano regionale ci si riferisce innanzitutto all’oralità, benché la regionalità non vada affatto esclusa dalla scrittura; anzi, può interessare particolarmente riconoscerla nei testi scritti. Con questa precisazione, va poi detto che le varietà regionali (o diatopiche) dell’italiano costituiscono l’aspetto più appariscente della variazione nazionale, rispetto alle altre varietà di lingua (socioculturali, o diastratiche; situazionali, o diafasiche). Si dirà anzi che la variazione su base geografica, che pur appartiene in genere a ogni lingua, è caratteristica spiccata ed essenziale dell’italiano. La forte misura del regionalismo in Italia è chiara conseguenza della storia ancora breve dell’italiano come lingua effettivamente d’uso da parte della generalità della popolazione. In realtà si può affermare che l’italiano regionale è concretamente il nostro corrente italiano parlato e che della sua vitalità si trovano poi le tracce anche nella pagina scritta. Naturalmente, nel suo vivere quotidiano, esso si modula variamente e si intreccia con le altre forme di variazione appena ricordate. Sappiamo tutti infatti che l’elemento regionale, differente, dell’italiano è normalmente più accentuato a livello popolare e che, d’altra parte, in situazioni di massima formalità chiunque, impegnandosi per innalzare il registro, cerca di allontanarsi il più possibile anche dal regionalismo. Tuttavia se l’italiano regionale è, luogo per luogo, qualcosa di intermedio tra quello che è senz’altro l’‘italiano senza aggettivi’ e il dialetto, ci si accorge a questo punto che il confine più problematico da definire è quello per così dire superiore. La difficoltà si incontra dunque proprio nel punto più delicato, perché se l’italiano regionale si può definire contrastivamente in un primo momento come non dialetto, dall’altro lato, dal momento che lo dichiariamo italiano, per essere definito necessiterebbe di un termine di confronto con possibilità di delimitazione ben chiare. Cos’è l’italiano senza aggettivi, quello che comunemente viene chiamato italiano standard? Sarà bene dire che quest’ultima dicitura non è priva di ambiguità (e del resto, per quello che stiamo dicendo, un italiano veramente standardizzato non esiste). A volte equivale a «italiano corretto», con caratteristiche tradizionali, quello che sta alla base delle descrizioni delle grammatiche e dei vocabolari, in sostanza l’italiano normativo. A volte equivale invece a «italiano comune medio», ossia a un’idea astratta dalla viva realtà linguistica ed equiparabile a quanto appare comunemente di uso normale. Secondo i casi, i due sensi possono anche ben corrispondersi, ma non sempre è così (sulla nozione di neo-standard cfr. Berruto 1987: 62-65). È evidente, per es., che l’italiano normativo, riferendosi tradizionalmente all’italiano di Firenze (per certi aspetti però emendato), differisce notevolmente, per quanto riguarda la descrizione della distinzione tra e od o aperte e chiuse, dall’italiano d’uso nella nazione, dove la distinzione può anche non sussistere o, se sussiste, avere distribuzione diversa. La constatazione, vista la frequenza di queste vocali, tocca subito un punto non da poco, in cui l’italiano comune non è unitario. Di fatto, lavorando alla definizione dell’italiano regionale, si opera per confronto con un italiano tradizionale (di cui la lunga storia dei nostri studi ha messo a disposizione descrizioni esaurienti), tenendo conto però anche di quanto è stato successivamente chiarito circa i tratti comuni di un altro italiano, non tanto più recente, quanto più ampiamente scrutato e descritto in tempi recenti (D’Achille 1990). Parlare di italiano regionale significa, innanzitutto, riconoscere, zona per zona, un sistema dominante, esistente nonostante la ricchezza degli scambi caratteristica della nostra epoca, e capace di influenzare i nuovi arrivati. Storicamente è l’esito dell’adattarsi alle singole realtà dialettali preesistenti – e che normalmente erano l’unico modo di comunicare – di una lingua ‘piovuta dall’alto’: dalla scuola, dalle scritture, dall’amministrazione, poi in tempi più recenti anche dal cinema, dalla radio, dalla TV. Si può dire che in tutta Italia – eccettuata l’area centrale di quei dialetti che si differenziano solo moderatamente dalla lingua nazionale – l’arrivo dell’italiano, altra lingua benché sorella, è stato un innesto inatteso nella storia ininterrotta dell’evoluzione linguistica locale (in linea generale dal latino ai dialetti), divaricando per la prima volta le possibilità di comunicazione. E come ogni innesto la nuova lingua che veniva da fuori si è dovuta adattare al preesistente. 2. Caratteri dell’italiano regionale Nell’italiano regionale si riscontrano differenziazioni su tutti i livelli d’analisi. I fatti intonativi, più difficili da descrivere, sono spesso ben riconoscibili a orecchio e possono essere rilevanti nel caratterizzare regionalmente, come del resto possono esserlo le caratteristiche dell’emissione fonica che non siano di motivazione individuale (per es., la velocità della dizione o l’altezza della voce; intonazione). In questi ambiti, dove una norma superiore di lingua non c’è mai stata, l’italiano di ogni luogo ha senz’altro alla base le modalità del dialetto locale, cui resta più o meno aderente. Anche i fatti fonetici sono altamente caratterizzanti data l’altissima frequenza dei suoni, vocalici e consonantici: è chiaro come il loro continuato ritornare renda particolarmente avvertibili le particolarità locali. Il regionalismo si riscontra inoltre, naturalmente, nella morfologia e nella sintassi; ma, più fortemente, nel campo sterminato del lessico e della fraseologia e nell’organizzazione dei sensi delle parole. Qui infatti l’estensione dell’inventario determina sì bassissima frequenza degli elementi lessicali, ma con ciò stesso crea, nella scarsa possibilità di uniformazione nazionale, la persistenza di una miriade di caratteri locali che restano non toccati dalla naturale tendenza all’unificazione linguistica. Può poi riconoscersi anche in altro, interessando la pragmatica e la testualità: È possibile e doveroso [...] chiedersi se non sia individuabile una regionalità anche nell’organizzazione testuale e nella particolare ricorrenza preferenziale di modalità e figure studiate finora, in generale, dalla retorica. Sarebbe inoltre opportuno studiare [...] la correlazione tra la parte verbale e quella non verbale dei testi orali (gestualità e mimica in particolare) (Lavinio 1990: 313). Qualche cenno di esemplificazione, da piani diversi. Anche a livello di italiano colto una parola come scienza (la cui ortografia non presenta alternative: l’italiano nella sua storia è stato insegnato come lingua scritta) ha articolazioni diverse per la sibilante iniziale /ʃ/, può avere o no la i in seconda posizione, una e aperta o chiusa, una z sorda o sonora. Ognuna di queste realizzazioni della parola è, naturalmente, italiana, intelligibile e accettata: si potrà discutere su quale sia la più comune; l’italiano normativo dichiara che la pronuncia è [ˈʃεnʦa]. Qualche attimo di incertezza interpretativa in certi casi si può anche avere nello scambio comunicativo tra parlanti di diversa provenienza regionale, se il contesto non aiuta: La pronuncia toscana e romana di pece ad altri sembra pesce; la pronuncia emiliana di pesce ad altri suona pese, sicché anche ascella sembra a sella; la pronuncia da Roma in giù di una giunta altri la interpretano come un’aggiunta; a Milano la scrittura esca è pronunciata con e aperta se sta per il sostantivo («esca per i pesci») e con e chiusa se sta per il verbo,

See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.