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Ipazia e l'Occidente: la parabola di Agora PDF

14 Pages·2011·0.11 MB·Italian
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Francesco Pieri * Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Abstract This essay focuses again on the film Agora by Alejandro Amenábar, stressing that the historical-religious theme is at least so important as the general "political" metaphor contained in it. The way IV century AD events are told, gives continuous allusion to the history of the West as marked by intolerance and obscurantism, mainly due to Christianity and its pretension to possess the truth. According to Agora, fanaticism (especially if based on religious ideas) still remains an actual danger for the peaceful coexistence between different peoples and cultures, which is to be realized only through the exercise of reason. Il presente contributo ritorna su Agora di Alejandro Amenábar. La tematica storico-religiosa non è meno rilevante nel film della sua complessiva metafora “politica”. I fatti del IV secolo vengono narrati alludendo di continuo alla storia dell’Occidente come ad una serie di vicende macchiate dall’intolleranza e dall’oscurantismo, fondamentalmente dovute al cristianesimo e alla sua pretesa di possedere la verità. Secondo Agora, il fanatismo (di cui quello religioso è considerato il capofila) rimane la principale minaccia ad una convivenza pacifica fra i popoli e le culture, quale può essere costruita solo nell’esercizio della razionalità. Non poco si è già detto a commento della pellicola Agora di Alejandro Amenábar, anche su «Dionysus ex machina», e con notevole finezza di analisi filmologica1. Meritava di essere sottolineato, specie per una produzione europea, il dispiego inusitato di mezzi economici e tecnici che hanno consentito non solo di disporre di un valido cast di interpreti, ma anche di realizzare una ricostruzione dell’antica Alessandria persuasiva sia sotto il profilo archeologico che dell’ambiente sociale e culturale. All’efficace grandiosità delle immagini ben corrispondono le brucianti “passioni” dei protagonisti. Quella amorosa, non corrisposta, per Ipazia da parte dei suoi allievi Oreste e Davo. Quella religiosa del cristianesimo trionfante (nell’epoca teodosiana che lo elegge unica religione dell’Impero) sui molteplici culti del mondo greco-romano e sull’ebraismo, sua religione madre. Sopra tutte, però, quella scientifica della stessa Ipazia, inesausta scrutatrice dei cieli. Anche tenuto conto delle più o meno esplicite, e in qualche misura inevitabili, licenze rispetto ai fatti documentati. L’intreccio fra la tematica complessa e il linguaggio visivo adottato, esteticamente sempre assai godibile, le invenzioni narrative degli sceneggiatori (lo stesso Amenábar insieme a Mateo Gil) hanno consentito a questa notevole opera cinematografica di non ricadere negli * Una versione più breve del presente contributo, a cura dell’Autore, è già apparsa sulla rivista «I martedì» I/35 (2011) con il titolo Tesi su Ipazia, pp. 36-39. 1 AVEZZÙ (2010). Dionysus ex machina II (2011) 523-536 523 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri stereotipi del peplum, dell’affresco oleografico e di genere, dal cui influsso non sembrano essere rimaste esenti altre produzioni, anche recenti, di ambientazione antica. Malgrado quanto già scritto, ci è parso che alcuni aspetti del dibattito cui la pellicola ha fornito l’occasione, nel suo passaggio abbastanza rapido nelle sale, potessero giustificare un secondo e non pleonastico intervento. Lo stesso Amenábar ha parlato di “tre trame” narrative che sorreggono l’intreccio di Agora: politica, religiosa e scientifica2. La lettura del contributo denso e documentato che ci ha preceduto in questa stessa sede3 ci ha guidati a vedere in Agora un racconto soprattutto “politico” che, nello scontro fra vecchie e nuove divinità, fra vecchie e nuove maniere di immaginare e comprendere l’universo, vuole in realtà rappresentare la contemporaneità. 1. Dall’antichità una riflessione attuale Lo sfondo storico prescelto si presta quanto forse nessun altro a esemplificare la fine di un mondo e di una civiltà. Nell’ultimo decennio del IV secolo, sotto l’imperatore Teodosio, il cristianesimo conquistò una posizione di assoluto privilegio politico, passando da religione semplicemente tollerata a religione di stato e giungendo all’esclusione di ogni diverso modo di rapportarsi al divino entro la sfera pubblica, che venne gradualmente e infine definitivamente messo al bando4. Servendosi come di un racconto esemplare della svolta epocale e dell’inarrestabile processo di decadenza innescatosi nell’epoca tardo-antica, tra la fine della civiltà classica e l’inizio della cristianità, Agora vuole parlarci degli incubi di un “tramonto dell’Occidente” (singolare tautologia…), invecchiato e fragile al tornante fra secondo e terzo millennio. Un Occidente che si percepisce ormai privo di slancio di fronte alla povertà e alla pressione dei popoli emergenti5. 2 Da ultimo nell’intervento alla tavola rotonda Ipazia. Una donna per la libertà, la scienza, contro ogni fanatismo, tenutosi nell’aprile 2010 a Milano presso la Sala delle colonne della Banca Popolare, cui parteciparono anche M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri, G. Bosetti, E. Cantarella, U. Eco, V. Mancuso. Gran parte dei contenuti sono visibili all’indirizzo http://highpointtrialattorneys.com/videos-agora-ipazia- panel-milano-%5BAFe3EHUA4ew%5D.cfm. Sull’analogo incontro romano, cf. infra n. 19. 3 Corroborato dal parere di numerosi altri critici, quali G. Golhen, F. Fourcart, G. Valens; cf. AVEZZÙ (2010, 335s.). 4 Per una sintesi delle convulse vicende che videro il passaggio del cristianesimo da religione tollerata (sotto Costantino) a religione egemone (dopo la breve parentesi di Giuliano e dei suoi immediati successori), segnaliamo da ultimo il saggio conciso ma assai ponderato di CARDINI (2011, in part. pp. 108-46. 5 L’allusione al crollo del mondo greco-romano per indicare la crisi dell’Occidente costituisce un vero e proprio topos cinematografico. Si pensi in particolare ai titoli – molto distanti dal contenuto prettamente contemporaneo delle opere – della trilogia del regista canadese Denys Arcand: Le déclin de l’empire américain (1987), seguito da Les invasions barbares (2003) e L’âge des ténèbres (2007). Soprattutto il secondo film indugia con insistenza sul carattere post-cristiano della società contemporanea e delle sue categorie, che da etiche e simboliche vi appaiono ormai definitivamente trasformate in strategie pragmatiche, rivolte al conseguimento di obiettivi utilitaristici. A differenza però che per Amenábar, Dionysus ex machina II (2011) 523-536 524 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri Di fronte alla scena dell’assalto al Serapeo (il tempio del culto sincretistico di Iovis unicus, nella cui figura i romani avevano mescolato gli attributi delle tradizionali divinità egiziane) ad opera delle folle cristiane che scandiscono minacciosamente, come una fatwa, il terrificante grido Allelu-Ja! ogni spettatore prova un pathos a tutti gli effetti simile a quello portato dalla cronaca dei nostri giorni. È l’inquietudine che nasce dal fronteggiare all’improvviso presenze inattese e indesiderate, avvertite come ostili, con tutta la loro carica di estraneità ideologica e linguistica. Dà voce a tale profondo disagio la figura del sacerdote di Serapide, ormai impotente a impedire la rovina del santuario, che commenta non si sa se più spaventato o incredulo di fronte al brulicare di innumerevoli pezzenti inferociti: «Ma da quando in qua ci sono tanti cristiani?». Allo scenario contemporaneo alludono gli stessi connotati etnici e fisionomici degli attori scelti per interpretare i personaggi del dramma: visibilmente occidentali gli ultimi difensori, perdenti, della cultura greco-romana, mediorientali le tumultuose plebi cristiane. Difficile essere più espliciti… E le stesse grandi panoramiche aeree sulla città di Alessandria percorsa da conflitti insanabili o quelle che partendo da Alessandria giungono addirittura alla visione satellitare del pianeta Terra, divengono – come è stato bene notato – altrettanti correlati oggettivi della pretesa occidentale, perduta, di rappresentare ultimamente la totalità. Non si tratta evidentemente solo della totalità geografica, ma soprattutto di quella culturale e politica, che ambirebbe ad esprimersi nella gestione e risoluzione dei conflitti6. Significativamente, nella locandina ufficiale del film campeggia persino al centro della parola “agora” (rimpiazzando la lettera “o”) l’immagine dell’orbe terracqueo, emblema di una totalità infranta che non si vede come ricomporre. Agora non si lascia ridurre neppure al conflitto fra razionalismo scientifico e fideismo fanatico. L’osservazione rigorosa dei fenomeni, la verifica sperimentale delle ipotesi, lo smantellamento delle credenze aprioristiche stanno a significare la quintessenza della razionalità dell’Occidente di cui Ipazia assurge (anche a costo di ripetuti e non casuali anacronismi) a vera personificazione. Un Occidente gravido delle sue conquiste intellettuali e morali, che paventa come non astratto il rischio di doverle perdere sotto l’onda anomala di un’umanità arrogante e primitiva. nell’opera di Arcand la svolta epocale evocata non avviene dietro pressioni esterne incontrollabili, bensì per uno svuotamento dall’interno (se possibile ancor più drammatico) dell’ethos occidentale. 6 Cf. AVEZZÙ (2010, 339ss.). Si ritenga quest’affermazione conclusiva, di particolare efficacia, di Avezzù: «Le inquadrature mondialiste di Agora hanno […] una qualità liricamente nostalgica e sconfitta, che distingue nettamente il film di Amenábar da altri film ‘progressisti’, nei quali si forniscono con maggiore entusiasmo, immagini totali e riconquistate del mondo» (p. 340). Dionysus ex machina II (2011) 523-536 525 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri 2. Arroganza “genetica” del cristianesimo? Fin qui abbiamo ripreso, facendola nostra con l’aggiunta di alcune osservazioni, la proposta interpretativa presentata dal contributo già comparso su «DeM». Va detto tuttavia che tale raffinata interpretazione di Agora in chiave “politica” e contemporanea non pare imporsi con immediata evidenza come l’unica, né come la principale, almeno nella percezione dello spettatore medio7. Il monito della vicenda rivisitata da Amenábar all’Occidente ci sembra essere quello che riguarda più in generale ogni convinzione di portare una verità rivelata e universale. Questa infatti comporta di necessità la convinzione del non-diritto ad esistere di ciò che viene reciprocamente definito come errore (di volta in volta scientifico, filosofico, teologico…) e la tendenza a far prevalere tale “verità” con tutti gli strumenti, ivi compresi, e anzi assai facilmente prevedibili, l’esercizio dispotico del potere, la violenza e l’omicidio. Si tratta certo di ogni possibile fanatismo. Ma alla religione – ieri al cristianesimo reso instrumentum regni dell’Impero, oggi all’Islam degenerato dei cosiddetti fondamentalisti – spetta il ruolo di capofila e di paradigma dell’intolleranza. Se da una parte gli stessi realizzatori hanno sottolineato come il loro intento non si riduca ad una troppo superficiale interpretazione in chiave anticristiana8 (tanto da non mancare chi ha trovato l’esito persino deludente, proprio sul piano della polemica antireligiosa, considerandolo un’occasione colta solo in parte9), è per contro indubbio che la visione del film risulta spiazzante, soprattutto a motivo del capovolgimento dei ruoli consacrati anche da una lunga consuetudine storiografica, letteraria, cinematografica. I cristiani vi appaiono infatti, in modo del tutto inusitato, nel ruolo di soggetto piuttosto che oggetto di persecuzione: cialtroneschi e violenti negatori delle convinzioni altrui, anziché vittime inermi del potere in cerca di libertà per la propria fede10. Pur avendoci da tempo il cinema resi avvezzi ai più cupi scenari di intolleranza e di oscurantismo cristiano (e specificatamente cattolico) a proposito di medioevo, di crociate, di inquisizione, esso non ci aveva forse ancora detto nulla di questo genere, e certo non con la stessa forza, per i primi secoli11. 7 Anche i prestigiosi discussants presenti agli incontri citati alle nn. 2 e 19 non sembrano soffermarsi in misura significativa su quella che abbiamo definito la chiave di lettura “politica” del film: nell’insieme dei giudizi espressi in queste sedi il tema dell’intolleranza del cristianesimo e delle sue innumerevoli colpe storiche appare nettamente prevalente. 8 Così in particolare lo stesso Amenábar; cf. supra n. 2. 9 Cf. AVEZZÙ (2010, 336). A riprova di ciò si potrebbe pure osservare come gli esponenti del paganesimo senescente e prossimo al definitivo declino (con i quali la sceneggiatura si mostra indubbiamente empatica, spingendo anche lo spettatore all’identificazione) rappresentano in definitiva l’Occidente euro- atlantico, cioè proprio le società di tradizione culturale cristiana. 10 Cf. AVEZZÙ (2010, 335). 11 Altrettanto non può dirsi della riflessione storica, che ha opportunamente indagato a fondo l’intolleranza cristiana: cf. BEATRICE (1993), in cui compare in particolare il contributo di ROUGÉ (1993). Recentemente anche un romanzo storico di buona fattura, dello studioso egiziano Youssef Ziedan ha Dionysus ex machina II (2011) 523-536 526 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri Come ogni film ambientato nel passato Agora, che pure è stato realizzato con la consulenza di storici di professione, non può certo definirsi un’operazione di storia nel senso critico e scientifico del termine. Tuttavia è innegabile che inscenando ambienti, personaggi ed eventi dai contorni precisi – sia pure con l’intento di offrire una parabola del presente – gli autori presuppongano un’altrettanto precisa vulgata storica. Quella secondo cui, a relativa breve distanza dalle origini, in una fase ancora “genetica” della sua fisionomia storica, il cristianesimo non solo nutriva la pretesa di portare la verità, ma in nome di questa si dimostrava incapace di accettare l’altro da sé, di dialogare e convivere con esso. La protestata estraneità degli autori ad ogni intento polemico implica al contrario che si accetti come ovvia e scontata, alla stregua di un’evidenza fattuale, una ricostruzione degli eventi conseguente ad una determinata prospettiva storiografica. Altrimenti non sussisterebbe nemmeno la possibilità che questo contesto del passato funga da parabola o metafora di qualcos’altro. È proprio tale ricostruzione, tutt’altro che neutrale, che riteniamo possa e debba essere discussa. Nei paragrafi che seguono sviluppiamo la nostra riflessione articolandola in tre aspetti principali: lo scontro del monoteismo con la religiosità di quello che (con terminologia convenzionale non del tutto appropriata) chiamiamo il “paganesimo” antico (par. 3); gli strumenti del confronto e della “propaganda” cristiana (par. 4); l’atteggiamento cristiano nei riguardi dell’eredità culturale dell’ellenismo e del giudaismo (par. 5). In un paragrafo conclusivo ci soffermeremo più da vicino sulla presentazione che delle figure di Ipazia e Cirillo ha dato il film di Amenábar (par. 6). 3. Due visioni irriducibili del divino Secondo l’ormai classica tesi storiografica della “arroganza dei monoteismi”, che si ricollega al nome dell’egittologo (di origine ebraica) Jan Assmann, il monoteismo avrebbe introdotto un nuovo genere di giustificazione della prassi violenta12. La pretesa teologica di essere depositari dell’unica verità, opponendosi al carattere tendenzialmente sincretistico e “inclusivo” delle tradizionali culture politeiste, avrebbe generato anzitutto nell’ambito della religione israelitica, poi anche nel cristianesimo e nell’Islam suoi eredi, la convinzione dell’altro quale portatore di non-verità, anziché di una diversa, complementare visione del mondo e della divinità13. adottato come scenario l’Alessandria di Cirillo e il violento conflitto con i seguaci di Nestorio; cf. ZIEDAN (2008). 12 Tesi ripetutamente espressa dall’autore in numerosi saggi; cf. da ultimo ASSMANN (2009). 13 Ciò spiegherebbe perché solo con il monoteismo – a cominciare da quello originario: l’ebraismo – sia sorta storicamente la figura religiosa del martirio e quella politica, in qualche modo speculare, del persecutore per odio religioso. Assmann colloca l’origine del fenomeno nell’episodio della morte dei fratelli Maccabei, avvenuta nel contesto delle persecuzioni anti-giudaiche di età ellenistica. Dionysus ex machina II (2011) 523-536 527 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri Anche a motivo della costante interferenza del piano di lettura “politico” (per cui le parti contrapposte corrispondono in filigrana rispettivamente all’Occidente e alle correnti religiose integraliste) Agora insinua nello spettatore un’equivalenza impropria tra l’antica religiosità greco-romana e la tolleranza religiosa moderna, di derivazione illuministica, come la si concepisce nelle società occidentali. Quasi un’equiparazione del paganesimo alla laicità del sapere e del potere14, in quanto presupposto necessario di ogni possibile convivenza tra diversi. Ora, il mondo greco-romano era “aperto” agli dèi delle popolazioni sottomesse perché il divino non era primariamente oggetto di fides, cioè di affidamento e fiducia da parte dell’individuo, come oggi comunemente la intendiamo proprio in senso giudaico e cristiano, ma di pietas, di ossequio timoroso e reverenziale. Semplificando, diremmo che gli dèi erano destinatari di un do ut des di natura contrattuale: culto in cambio di protezione. Compito della religione era quello essenzialmente civile e politico di garantire alla collettività la pax deorum: non rispondeva a un bisogno individuale di salvezza, di significato per l’esistenza, non chiedeva di essere “creduta” e scelta al costo di una conversione personale, ma era accolta come un’ovvia e necessaria componente della propria appartenenza alla comunità. Per tale ragione il culto, la regolare offerta dei sacrifici, era garantito e anche finanziato dalla comunità civile, la quale era per suo statuto non “laica”, non neutrale rispetto alla pratica dei cittadini15. Indubbiamente il cristianesimo ereditò la “gelosia” del Dio di Israele e di Gesù verso gli altri dèi, i quali – secondo gli apologeti cristiani – non meritavano nemmeno di essere considerati tali e andavano rigettati come inganno demoniaco, non solo in nome della vera fede, ma anche della retta ragione. Tale esclusivismo era conseguente alla consapevolezza di rappresentare una religiosità di tipo radicalmente nuovo. Nelle loro differenti declinazioni, le antiche religioni politeiste del mondo mediterraneo e del vicino Oriente avevano comunque al loro centro la personificazione delle forze naturali e la divinizzazione di alcune figure “eroiche”. Le nuove idee religiose del cristianesimo, come la paternità universale dell’unico Dio predicata dall’ebreo Gesù di Nazareth, il carattere personale della conversione da lui richiesta, il primato dell’intenzione e della coscienza (il “cuore”) sulla legge e sul culto esteriore, 14 Nel senso di non-dipendenza delle norme che reggono lo Stato e la convivenza fra i popoli dalle credenze o dai dettami di qualsivoglia fede o confessione, che possono tutt’al più costituire un remoto presupposto laddove siano recepiti in termini anche culturali. Si pensi ad esempio all’influsso del comandamento biblico “non uccidere” sulle legislazioni occidentali. 15 Peraltro il culto del pantheon greco-romano poteva coesistere con l’adesione privata dei singoli alle religioni misteriche di origine orientale come Attis, Cibele e Mitra, i cui adepti non diventavano “empi” (“non pii”, “irreligiosi”, che è concetto radicalmente diverso da “atei”) se continuavano ad offrire i sacrifici pubblici: per tale ragione, a differenza di quanto avvenne per il cristianesimo, i misteri furono solo episodicamente messi al bando da Roma e finirono con l’integrarsi in qualche modo all’insieme delle variegate credenze tradizionali. Cf. però CARDINI (2011, 35-37) per un’interessante critica a questa classica prospettiva storiografica. Dionysus ex machina II (2011) 523-536 528 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri ebbero ricadute non meno rivoluzionarie per il mondo antico – non appena uscite dall’originario alveo israelitico – anche sui rapporti interpersonali16. L’anonimo scritto A Diogneto attesta ben presto, attorno alla metà del II sec., come dall’accoglienza del messaggio di Gesù fosse nato un nuovo tipo di relazioni tra gli uomini: quello di una “cittadinanza paradossale”, trasversale rispetto alle nazionalità, le identità culturali e le categorie sociali. Agora attribuisce piuttosto al Mouseion di Ipazia – in cui padroni e schiavi, pagani e cristiani discutono pacificamente e alla pari sul moto dei pianeti – tale funzione di coagulo sociale e quasi di “chiesa laica” capace di rifondare su basi nuove la convivenza in un tempo di crisi. Mentre le orde dei parabalani sono in tumulto, la filosofa esorta il suo uditorio alla non violenza con toni di vera predicazione: «Ricordate! Molte più cose ci uniscono di quante ci dividano. Qualunque cosa succeda per le strade, noi siamo fratelli!». Sebbene corrisponda ai fatti che Ipazia intrattenesse ottimi rapporti con esponenti cristiani e pagani, in queste scene c’è piuttosto la proiezione sul passato di un anelito contemporaneo a ricostruire la società su base interclassista e multiculturale, sul fondamento di un’etica desacralizzata e di una “religione” civile interamente attingibile dalla conoscenza, che non un’immagine fedele della “scuola” antica, la quale mantenne sempre un carattere certo assai più elitario delle comunità cristiane. Soprattutto non corrisponde a verità che l’alleanza con il potere e l’uso della forza sia sempre stato il principale mezzo che portò all’affermazione del cristianesimo sul paganesimo, come il film dà a pensare. Nei secoli che precedettero le svolte costantiniana e teodosiana furono invece determinanti la novità del suo stile di vita, della sua rete solidaristica, la dignità che vi ricevevano categorie sociali marginali – in particolare gli schiavi, le donne, i neonati… – insieme a molti altri aspetti della vita comunitaria. Tutti in qualche modo conseguenti alla nuova visione del divino. È certo legittimo notare che l’aver congiunto nel IV secolo la vocazione universale del cristianesimo al ruolo di “religione imperiale” abbia costituito una profonda discontinuità rispetto al cristianesimo delle origini, destinata in Occidente a ripercussioni più che millenarie. Si trattò di una decisione prettamente politica: quella di “avere dalla propria parte” il Dio di Gesù Cristo come somma tutela dell’Impero. Per il cristianesimo fu quasi un abbraccio mortale, che finì per rendere spesso irriconoscibile il carattere essenzialmente liberante e di appello al singolo insito nella prima evangelizzazione. Da Teodosio fino agli stati nazionali dell’età moderna la norma non sarà più che “cristiani si diventa”, ma che ineluttabilmente “cristiani si nasce”: la religione si eredita come l’appartenenza a una nazione e a una cultura. Il cristianesimo 16 Pur nei tempi lunghi propri ad ogni vera rivoluzione culturale, si può affermare che il cristianesimo stia all’origine del moderno primato della soggettività e del riconoscimento della fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini. In definitiva della stessa laicità che – al pari del termine “laico”, sconosciuto alla grecità profana – deve considerarsi un portato culturale essenzialmente legato alla comparsa del cristianesimo. Dionysus ex machina II (2011) 523-536 529 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri avrebbe ben potuto continuare a vivere anche senza tale protezione e avallo imperiale, seppure in proporzioni minoritarie, e questo ne avrebbe plasmato in modo diverso la fisionomia storica17. Ma è certo per contro che, come ogni regno e impero dell’antichità, la sovranità di Roma non avrebbe mai nemmeno pensato di reggersi su di una prospettiva che non fosse esplicitamente religiosa. 4. Un confronto intellettuale Speculare all’equazione tra politeismo e tolleranza è nella sceneggiatura del film quella, altrettanto semplicistica e fuorviante, tra fede e abdicazione all’intelletto. In un dialogo tra Ipazia e Sinesio, allorché l’antico discepolo, eletto nel frattempo vescovo di Cirene, domanda alla filosofa perché non si faccia anch’essa cristiana – si noti: senza saper esprimere alcuna vera motivazione che non sia quella, implicita, della resa incondizionata all’opinione dominante e storicamente vincente – Ipazia respinge l’invito con pacata fermezza argomentando così: «Tu non puoi dubitare di ciò in cui credi. Io devo». Come se la ragione anche scientifica, qui impersonata dalla filosofa, non avesse i suoi più o meno confessati dogmatismi e riduzionismi. E come se la fede fosse sempre stata vissuta dai suoi testimoni più autentici con la sola arroganza del fideismo dogmatico, anziché con l’umiltà di un’inesauribile ricerca, che coinvolge pienamente – pur superandola – anche l’intera dimensione razionale dell’uomo. La polemica dei cristiani contro il paganesimo si caratterizzò fin dal II secolo in senso prettamente intellettualistico, assai più che fideista. Gli apologeti non furono fanatici grossolani, abili nel fare facile presa sulla superstizione popolare con pubbliche ordalie, come i parabalani evocati dal film, ma personalità colte in grado di rivolgersi ai pagani colti non solo citando la profezia biblica, riecheggiata nel film, ma muovendosi sul terreno comune di una cultura filosofica eclettica, di impronta prevalentemente platonica, eletta (da cristiani come Taziano, Atenagora, Giustino, Tertulliano…) quale veicolo privilegiato nel confronto col paganesimo. Soprattutto con i filosofi e gli intellettuali pagani in genere, che provavano un vero imbarazzo per la tradizionale maniera, antropomorfica e immorale, con cui erano presentate le divinità e perciò simpatizzavano spesso per un monoteismo razionale. La distruzione del Serapeo fu certo una pagina nera nella storia della cultura, giacché (come non di rado avveniva nei santuari pagani e nel medioevo avverrà presso i monasteri e le cattedrali) vi era annessa un’importante biblioteca, proveniente da Pergamo, che era stata donata a suo tempo da Giulio Cesare a Cleopatra. Un lascito 17 Nello stesso modo in cui, pur tra alterne fortune, esso era sopravvissuto e cresciuto fino alla tolleranza promulgata da Costantino. Così in fondo, seppure in diaspora, continuò a vivere il giudaismo il quale – pur essendo a sua volta non assimilabile al pantheon delle divinità a causa del suo monoteismo esclusivo – era tuttavia considerato fin dall’età repubblicana religio licita e tollerato come tale. Dionysus ex machina II (2011) 523-536 530 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri straordinario, la cui conservazione avrebbe in qualche misura compensato, o ridotto, la successiva perdita della grande biblioteca alessandrina18. Ma non è legittimo argomentare a partire da tale episodio che i cristiani prendessero di mira la cultura scritta in quanto tale, tanto meno in quanto “pagana”; né si può dimenticare che proprio in ottemperanza alla legge imperiale e alla nuova funzione politica del cristianesimo i sacrifici vennero proibiti e molti templi distrutti (in Oriente più che in Occidente) o reimpiegati come chiese. 5. I cristiani tra ellenismo e giudaismo Il cristianesimo, particolarmente ad Alessandria, non fu la fede dell’unico Libro, né dell’unica interpretazione19. Nella metropoli egiziana esisteva una secolare tradizione filologica e scientifica di cui beneficiarono, ben prima di Cirillo, intellettuali cristiani come Clemente, Origene, Didimo…20. Il sapere alessandrino nei campi della “grammatica”, della filologia e della filosofia (comprendente anche l’osservazione naturale) si era già esteso all’ambiente cristiano, in un travaso di conoscenze e di metodi molto vasto e profondo. Con buona pace di Agora e de Il nome della rosa, l’atteggiamento di gran lunga prevalente del cristianesimo nei confronti della cultura classica fu di conservazione e trasmissione21. Le opere dello stesso Cirillo dimostrano una conoscenza tutt’altro che superficiale della cultura classica ed ellenistica; non per nulla si è plausibilmente ipotizzato che anch’egli sia stato uditore di Ipazia. Il caso di Sinesio di Cirene presentato dal film, che guardava con nostalgia per la passata grandezza la decadenza della scuola di Atene rispetto alla sua fiorente Alessandria, sta a dimostrare come le élites cristiane, candidate a fornire la classe dirigente ecclesiastica, si formassero nei 18 Sulla biblioteca del Serapeo, cf. CARDINI (2011, 125s.). Non intendiamo qui prendere posizione circa l’epoca della distruzione della grande Biblioteca: le ipotesi vanno dalla conquista romana dell’Egitto (epoca di Cesare) all’invasione araba (VI sec.); sull’intera vicenda e le diverse soluzioni ricostruttive si veda il saggio di CANFORA (1986). 19 È francamente esagerata, per evidenti ragioni polemiche, la conflittualità con cui Luciano Canfora caratterizza il rapporto dei cristiani con la cultura classica estremizzando alcune affermazioni, chiaramente paradossali, di Girolamo sulla sufficienza della institutio biblica. L’intervento compare nel dibattito visibile all’indirizzo http://www.treccani.it/Portale/sito/comunita/webTv/videos svoltosi a Roma nell’aprile 2010, presso l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, cui presero parte anche G. Caramore, G. Giorello, A. Gnoli, C. Ossola e S. Ronchey. 20 Alla “scuola” cristiana di Alessandria accenna opportunamente V. Mancuso, nel dibattito citato supra alla n. 2. 21 Nel rogo dei libri del Serapeo immaginato da Amenábar sembra trovare risonanza l’analoga scena de Il nome della rosa, anche nella sua versione cinematografica. Senza metter in discussione la buona fattura del fortunato thriller di Eco, ci limitiamo ad annotare come – anche riguardo al medioevo monastico – non si possa argomentare seriamente che avesse timore della teoria aristotelica sul comico quella stessa cultura che ha trascritto per i posteri la poesia erotica latina e l’Ars amatoria di Ovidio! Dionysus ex machina II (2011) 523-536 531 Ipazia e l’Occidente: la parabola di Agora Francesco Pieri maggiori centri di cultura e presso i maestri pagani più rinomati. E parimenti si potrebbe dire di molti altri grandi monaci e vescovi dell’antichità. Quanto detto della cultura classica vale anche della filologia e dell’esegesi biblica, di cui l’Alessandria ellenistica fu parimenti la capitale. Ciò dischiude l’importante tematica del rapporto dei cristiani con la cultura del giudaismo ellenistico. Agora ci mostra l’uso della violenza da parte dei cristiani anche nei confronti degli ebrei, che vengono aggrediti durante lo shabbat (l’episodio è storicamente documentato) mentre sono radunati inermi nel teatro cittadino. Si deve tenere presente che l’avversione nei confronti dell’ebraismo non fu un dato culturale originalmente cristiano, ma era già assai presente nella cultura soprattutto romana. Ad Alessandria la comunità ebraica era certo profondamente integrata sul piano sociale e culturale, ma al contempo temuta e odiata sia per la sua irriducibilità religiosa che per la sua potenza economica. Proprio da Filone sappiamo che attorno al 38 d.C., in epoca certo non sospetta di cristianesimo, si era svolta ad Alessandria la prima sommossa popolare contro gli ebrei, considerata il primo pogrom della storia. Non andrebbe poi dimenticato che, almeno per gran parte del primo secolo, essere “cristiani” fu uno dei legittimi modi fra i diversi possibili di essere ebrei22. Solo verso la fine di esso le due strade religiose si separarono, disconoscendosi reciprocamente. Man mano che la comunità cristiana fu sempre più composta da gentili ed ebbe così perso la consapevolezza della propria “radice”, sul generale sentimento anti-ebraico si innestarono argomenti di maldestra teologia quali: la colpevole cecità di fronte alle profezie su Cristo, l’accusa di deicidio, la perdita del diritto alla terra che Dio aveva dato ai loro padri. Tutti motivi riecheggiati nel film dalla predicazione di Cirillo23. È questo senza dubbio il capitolo ed il retaggio culturale per noi più imbarazzante della grande tradizione patristica, oggi del tutto superato a livello teologico. Ma non tutta la comprensione teologica dell’ebraismo da parte del cristianesimo antico si può onestamente ridurre a questi motivi polemici. Non mancano le buone ragioni per affermare che la continuità e il debito culturale con la religione madre fosse consapevolmente avvertita dalle prime generazioni cristiane: bastano a dimostrarlo due fatti culturali di straordinaria importanza, precedenti la diffusione del cristianesimo, che proprio ad Alessandria ebbero la loro culla. Il primo è la traduzione in greco dell’Antico Testamento – più propriamente: delle Scritture ebraiche, o della Legge (Toràh) – che sarà detta “dei LXX” nata probabilmente per le esigenze liturgiche sinagogali della numerosa colonia ebraica, ivi 22 Basti pensare a Paolo di Tarso, che proprio in quanto credente in Cristo riteneva di muoversi nel solco della propria tradizione più autentica, di essere entrato nel “vero” giudaismo (cf. Filippesi 3, 3) e non avrebbe mai descritto il proprio riconoscimento del messia come “conversione”, nel senso di un cambiamento di religione. 23 Sul tema del rapporto di Cirillo con gli ebrei ritorniamo nel paragrafo conclusivo. Dionysus ex machina II (2011) 523-536 532

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Quella amorosa, non corrisposta, per Ipazia da parte dei suoi allievi .. Mouseion di Ipazia – in cui padroni e schiavi, pagani e cristiani discutono.
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