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individuazione di soggetto idoneo ad attivita' di gestione e valorizzazione relative al castello di apice PDF

21 Pages·2016·1.71 MB·Italian
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Settore Tecnico – Urbanistico – Manutentivo INDIVIDUAZIONE DI SOGGETTO IDONEO AD ATTIVITA' DI GESTIONE E VALORIZZAZIONE RELATIVE AL CASTELLO DI APICE (BN) PER LA DURATA DI TRE ANNI RINNOVABILI ALLEGATO 1) Relazione storico-artistica 2) Relazione tecnica 3) Pianta castello con individuazione corpi principali ristrutturati 4) Planimetria catastale 5) Piante I° - II° - III° - IV° LIVELLO 6) Pianta I° LIVELLO IMMOBILE “A” alloggio verde 7) Foto aerea 8) Fotografie esterne 9) Fotografie interne Comune di Apice (BN) 1) RELAZIONE STORICO – ARTISTICA La storia di Apice inizia nella notte dei tempi e si interrompe bruscamente alle ore 19,30 del 21 agosto 1962, quando due scosse di terremoto del VI e VII grado della Scala Mercalli fecero tremare il Sannio. A decretare l’abbandono del centro abitato fu la sentenza dei tecnici del Ministero dei Lavori Pubblici che, temendo ulteriori crolli, ne ordinarono l’evacuazione. L’abbandono ha salvato Apice Vecchia, impedendo che il moderno trasformasse la sua realtà di armonioso paese del meridione, lasciando intatta la specificità dell'insediamento "a conchiglia" con diverse direttrici chiese - castello e con un sistema di strade parallele che collegano le varie piazze. Il visitatore che per la prima volta attraversa l’abitato avverte immediatamente i cinquant’anni trascorsi senza trasformazioni. I lampioni, i portoni, le finestre, i vicoli gli parlano del tempo passato e di come il silenzio abbia avvolto le dimore, i luoghi pubblici, le chiese, le piazze. La nascita dì Apice è da considerarsi molto antica, ed in mancanza di fonti non è possibile definirla con assoluta certezza, anche se numerose sono le teorie circa le origini storiche ed etimologiche del luogo. Una di esse propone la derivazione greca del nome Apice. Tale dimostrazione viene fornita non tanto dal culto della popolazione opica, che veneravano Opi-Saturno, dio della terra, quanto dal loro "Totem", che era costituito dal "Taurum", il toro sacro, chiamato poi dai Romani Apis. Infatti, l'attuale chiesa dei SS. Nicola e Bartolomeo, situata nel Cuore del borgo di Apice è sorta con molta probabilità sulle rovine di un antico tempio pagano, presenta la testa di un toro ed un fascio Iittorio impressi su una lastra di marmo inserita nella facciata esterna dell'edificio. Questa tesi, che vuole Apice di origine opica e quindi greca. è avvalorata anche dalle ipotesi, avanzata da molti storici, circa la migrazione dei popoli asiatici verso le coste della penisola italiana. Ma la teoria più diffusa e molto citata nei testi nelle fonti scritte riguardanti la storia di Apice, assegna a questa località un'origine prettamente romana. Apice deriverebbe il suo nome da tale Marco Gavio, detto Apicio, vissuto tra il 25 a.C. e il 37 d.C.. Era personaggio molto noto all'epoca, menzionato sia da Seneca che da Plinio, tanto che su di lui si andò accumulando un'esuberante aneddotica. Si vuole, ad esempio, che nutrisse le murene con la carne degli schiavi, e che si sia ucciso dopo aver dilapidato in banchetti un immenso patrimonio. In base a testimonianze indirette, comunque, si può affermare con certezza che Marco Gavio nacque intorno al 25 a.C. e morì suicida - verso la fine del regno di Tiberio - quando s'accorse che il suo patrimonio, ridotto a soli dieci milioni di sesterzi, non gli avrebbe più consentito il tenore di vita a cui s'era abituato. A quest'uomo l'imperatore volle affidare l'incarico di attingere alle entrate dei fondi rustici il denaro necessario per pagare i veterani legionari e di provvedere, poi alla distribuzione di alcune terre sannite ai coloni romani. Tale ipotesi sarebbe suffragata anche dal fatto che nel territorio del comune dì Apice vi è una contrada denominata San Giovanni a Marcopio; questo toponimo ha portato a pensare ad una forma sincopata di Marco Apicio. Inoltre, il fregio del toro Apis, presente nella chiesa dei SS. Nicola e Bartolomeo ad Apice, rafforza l'origine romana del luogo per la presenza, nella vicina Benevento, del culto orientale di Iside, molto radicato in età romana. Infatti, quella credenza religiosa era diffusissima nella zona di Benevento, tanto che la zona costituiva il maggiore centro in Italia per l'adorazione delle divinità egizie. A prova di ciò vi sono i numerosi reperti egizi esposti nelle sale del museo del Sannio. La storia Notizie certe della storia del territorio di Apice si hanno dal periodo medievale in poi. Per quanto riguarda i secoli precedenti, siamo a conoscenza di stanziamenti sia sanniti, sia romani, grazie ai ritrovamenti archeologici, a volte anche cospicui, rinvenuti nella zona, che stanno comunque a testimoniare che il territorio doveva essere senz'altro abitato e non soltanto in maniera sporadica. Nell'VIII secolo la terra di Apice è menzionata in una serie di concessioni elargite nel 709 all'abbazia di Montecassino da parte di un certo Guaccio, o Guacco, nativo di un “casale sub Apice". Soltanto con l'arrivo in Italia Meridionale dei Normanni il nome di Apice cominciò a comparire con frequenza nelle fonti scritte. Infatti, i Normanni iniziarono a conquistare nei primi, decenni dell’XI secolo Capua, Benevento ed altre terre del Ducato della Longobardia Minor: da quel momento Comune di Apice (BN) Apice entrò a far parte della contea di Ariano, insieme agli attuali centri di Morcone, Montefusco, Paduli, Buonalbergo - solo per citarne alcuni - sotto il governo del conte Gerardo, a cui successero Eriberto e Giordano. In questi centri vennero innalzati un numero ingente di castelli, sia per ragioni difensive, sia anche perché la configurazione morfologica del suolo lo permetteva. Infatti, come ci è testimoniato fra l'altro dagli scritti di Giustiniani, Apice veniva considerato come luogo ben forte proprio dal tempo dei Normanni. La contea di Ariano, e quindi anche Apice, costituì da sempre una forte minaccia per il ducato beneventano, specie quando quest'ultimo passò sotto il dominio della Chiesa nel 1077. Durante il governo del conte Giordano, poi, iniziarono una serie di soprusi a danno della popolazione beneventana, tanta che, nel 1113, fu chiamata ad intervenire Landolfo della Greca, conestabile di Benevento. Costui assalì il castello di Apice, distruggendone i mulini e facendo razzie di animali. Non molti anni dopo, Apice fu attaccata da Guglielmo il Guiscardo, duca di Puglia, che espugnò il castello, facendo prigioniero il conte Giordano; quest'ultimo riuscì poi a liberarsi e, formato un esercito, attaccò il duca, rifugiatosi nel frattempo nel castello di Nusco. Il conte fu costretto a rinunciare all'impresa dopo un lungo assedio. Ma il Guiscardo, grazie agli aiuti ottenuti dal conte Ruggero di Sicilia e dal cardinale Crescenzo, rettore di Benevento., si impadronì delle terre di Roseto ed assalì nuovamente ad Apice Giordano. Nel 1122, lo. sconfitto conte Giordano perse il territorio di Apice, riuscendo però ad ottenere in cambio Montefusco. Dopo pochi giorni, Giordano si rifugiò a Morcone ed occupò il castello di Paduli. Per questo motivo, Guglielmo il Guiscardo chiese aiuto al principe di Capua Giordano, promettendo in cambio le terre di Apice ed Acerno. Cosi il conte di Ariano fu costretto alla resa. Nel 1138, poi, Apice si ribellò al nuovo principe di Capua, Roberto Il di Sorrento, schierandosi con Rainulfo Drengot, conte di Aquino, in lotta contro Ruggero Il il Normanno. Dopo un assedio, fuggito il conte nel castello di Ariano, il re riusci a riportare il castello di Apice fra i suoi possedimenti, ponendolo sotto la sua diretta sovranità come demanio regio e liberando gli abitanti dal giuramento di fedeltà al conte di Ariano. Di qui, poi, sferrò una serie di attacchi contro il conte Ruggero, conquistando una dopo l'altra le terre della contea di Ariano. IL sovrano normanno affidò ad un suo capitano, di nome Ruggero, sia Apice sia altre terre che entrarono così a far parte della contea di Buonalbergo. In questo modo il potere del conte era notevole, visto l'enorme feudo assegnatigli; perciò Guglielmo il Buono, nei suoi ultimi anni di regno, alienò a Ruggero alcuni domini, fra cui Apice, che fu elevato a rango di contea ed affidato alla famiglia dei Balbano. A prova di questo provvedimento vi è un diploma regio, in cui il conte Filippo di Balbano viene chiamato “dominus castelli Apicis” Successore di Filippo di Balbano fu Raone, che fu sconfitto dal cardinale Pelagio, legato apostolico e capitano delle truppe imperiali in Italia, durante la lotta fra Enrico VI di Svelvia e Tancredi di Lecce. Passato dalla parte della corona sveva, divenne uno dei baroni più fedeli. Nel 1229, però, fu sconfitto dagli eserciti beneventano e pontificio e perse la contea di Apice, riconquistata poco dopo dall'imperatore Federico Il. Apice rimase dominio imperiale fino ai primi anni del regno di Manfredi dì Svevia, quando fu restituito alla famiglia Balbano. Alla morte di Minora di Balbano, le terre di Apice passarono a Francesco Maletti, che ne conservò il possesso anche dopo l'avvento degli Angioini; però questi morì e, in mancanza di discendenti diretti, Isabella Maletti ereditò la contea. Apice divenne in seguito una delle università più importanti del Principato Ultra, come è possibile osservare dal cedolario angioino del 9 ottobre del 1320, quando risulta applicata la tassa di 32 once, 15 tarì e 11 grana. In quegli anni era signore di Apice Elzeario di Sabrano, proclamato santo per la sua vita virtuosa. Alla morte del conte Elzeario nel 1323, subentrò Guglielmo di Sabrano. Costui si comportava a proprio arbitrio e perseguitava la popolazione delle terre circonvicine; per questo motivo il re Roberto d'Angiò diede ordine di restituire subito ai beneventani quanto era stato loro indebitamente sottratto. Guglielmo da Sabrano figurava nell'elenco dei baroni convocati dal sovrano napoletano per soccorrere i fiorentini contro Uguccione della Faggiola, signore dì Lucca: la partecipazione alla spedizione in Toscana consentì al conte di riacquistare i favori della corte di Napoli. Nel 1339 fu Comune di Apice (BN) addirittura nominato capitano generale delle Province d'Abruzzo e viceré di Terra dì Lavoro e del contado del Molise. La famiglia Sabrano rimase fedele alla corona angioino fino al 1345, anno della congiura di Giovanna I che fece assassinare il marito Andrea d'Ungheria. Cosi, quando nel 1347 re Luigi d'Ungheria scese in Italia, Luigi di Sabrano sì uni al sovrano ed assediò Aversa. Partito poi il re, il conte di Apice fu costretto a rifugiarsi nel proprio castello, dove fu assediato dall'esercito angioino, che riusci ad espugnare la fortezza dandola alle fiamme. Ritornato poi in libertà. il conte iniziò ad aggredire le terre ed i casali limitrofi, a perpetrare abusi e soprusi contro i sudditi del Principato Ultra, senza trovare alcun ostacolo. All'insediamento sul trono napoletano della regina Giovanna Il nel 1414, gli abitanti di Apice si ribellarono alla famiglia Sabrano e si posero sotto la protezione della corona angioina. Come sancito in un diploma datato 29 settembre 1417, Giovanna Il dispensò per tre anni l'università di Apice dal pagamento delle imposte al fisco regio. Nello stesso anno, poi, le terre di Apice erano state donate a Francesco Sforza, figlio del condottiero Muzio Attendolo, per ricompensare I servigi resi dal padre alla corona. Dopo pochi anni, i possedimenti della famiglia Sforza in Italia Meridionale erano cresciuti notevolmente, cosi come era aumentata la forza del nuovo e giovane conte; testimonianza di questi avvenimenti era l’unione di Francesco Sforza e della regina di Napoli Giovanna Il contro Braccio di Montone, sconfitto nella battaglia di l'Aquila nei 1424. Ma fa lontananza del Conte Sforza dai suoi domini meridionali privò quelle terre della necessaria difesa: risultato fu la disgregazione del dominio feudale e la confisca dei possedimenti sforceschi in Italia Meridionale a seguito della conquista aragonese del trono di Napoli. Con un privilegio del 12 giugno 1435, Alfonso V d'Aragona investi Innigo de Guevara del feudi, casali e terre della Calabria appartenuti a Francesco Sforza; nel 1440, infine, egli ottenne altri territori, fra cui la contea di Apice. Nel 1456, inoltre, la Contea di Apice fu devastata da un violento terremoto; anche la contigua partecipazione della famiglia de Guevara alla congiura del baroni contro la corona d'Aragona non giovò per nulla alla popolazione, già provata dall'evento sismico. In seguito alla vittoria di Ferrante d'Aragona sui baroni ribelli, i territori della contea di Apice vennero confiscati e passarono al demanio regio, prima di essere affidati alla famiglia Sanseverino. La successiva conquista francese del regno di Napoli nel 1495 determinò uno sconvolgimento nell'assetto territoriale del Mezzogiorno d'Italia; in questa nuova suddivisione dei territori operata da Carlo VIII, Apice ed il casale di Tignano furono assegnati, anche se per breve tempo, al francese Jean de' Cerveìllons. In seguito al ritorno sul trono di Napoli della famiglia d'Aragona, la contea di Apice fu occupata dalle truppe regie; ma nel 1496, il principe di Salerno Antonello Sanseverino occupò Apice e la restituì al conte Cerveillons, che la tenne fino al 1500, anno in cui quelle terre furono alienate per la somma di 45.000 ducati ad Antonio de Guevara, conte di Potenza. Nel 1504 la contea di Apice fu dotata di un proprio stemma, raffigurante tre monti sormontati da altrettante spighe di grano, in omaggio alla produzione prevalente della zona. Inoltre, nel 1546, questo feudo ottenne nuovi capitoli, racchiusi in 131 articoli, I Capitoli dell'Università di Apice rivestono tuttora una notevole importanza perché ci permettono dì conoscere a metà del XVI secolo il modo di vivere della società apicese nelle sue diverse manifestazioni, amministrative, giuridiche, commerciali ed economiche. Nel 1561, poi, la contea di Apice venne acquistata sub asta da Giulia Carafa che la cedette al figlio Antonio Gesualdo, morto senza eredi diretti; cosi nel 1571 il feudo fu concesso a Francesco Carafa dei conti di Montecalvo per la somma di 46.000 ducati. Nel 1577, poi, Apice, insieme ai territori di Ariano Melito, Montecalvo e Ginestra degli Schiavoni, passò sotto la signoria di Laura Loffredo; ma già dopo tre anni, nel 1580, Claudio Pisanelli l'aveva acquistata sub asta per la somma di 46.000 ducati. Nel 1600 tali territori furono rivenduti per la somma di 56.000 ducati a Fabrizio Galluccio di Lucera, che fu poi insignito nel 1607 del titolo di marchese da Filippo III di Spagna; Nel 1639, inoltre, ll territorio di Apice, insieme al distrutto casale di Tiranno, fu acquistato per la somma di 43.433 ducati da Leonardo di Tocco , dei principi d'Acaja. Comune di Apice (BN) Nel 1647, durante la rivoluzione napoletana, la popolazione di Apice partecipò senza troppa convinzione e questo non impensierì più di tanto i conti Tocco. Soltanto il 5 luglio del 1700 il feudo di Apice fu elevato a rango di ducato. Nel 1769, infine, queste terre passarono a Restaino di Tocco, principe d'Acaja e di Montemiletto, discendente dell'antica e nobile famiglia provenzale dei Cantelmo Stuart, giunti in Italia al seguito di Carlo I d'Angiò. Durante la rivoluzione napoletana de 1799, la partecipazione attiva della popolazione di Apice fu pressoché nulla, come del resto lo fu quella della gente residente nelle aree periferiche del Regno. L'unico cittadino di Apice che si impegnò realmente nella rivoluzione napoletana del 1799 fu Emanuele Falcetti (1768 - 1844), autore di studi nel campo della medicina. Diversamente furono accolte dagli Apicesi le lotte insurrezionali per l'unificazione d'Italia nel 1860. In questo caso anche le forze contadine parteciparono attivamente alla battaglia politica. In seguito alla proclamazione dell'indipendenza, il governo provvisorio insediatosi a Benevento inviò a Napoli una propria delegazione, al fine di disegnare la nuova provincia, che sostanzialmente abbracciava l'area delimitata dalla bolla Clementina del 1351, che includeva anche "il castello di Apice con i casali”. Il 17 febbraio 1861 venne emanato finalmente il decreto che delimitava la circoscrizione della provincia di Benevento; in questo modo il territorio di Apice passò dal Principato Ultra alla costituenda provincia di Benevento. In seguito all'unità d'Italia, fra il 1880 ed il 1890, Apice, cosi come per gli altri centri del Meridione, dovette affrontare il problema della crescente emigrazione, specie verso le Americhe. Prima di quegli anni non si erano mai verificati massicci movimenti migratori dal territorio di Apice. Con l'unità d’Italia vi furono degli aspetti positivi; infatti, il centro di Apice non era più tagliato fuori dai traffici commerciali. perché sì inizia a realizzare nella zona la linea ferroviaria ed una serie di arterie stradali che misero la cittadina in un più agevole contatto con i paesi limitrofi e con la città capoluogo. L'avvento del primo conflitto mondiale provocò diversi caduti fra gli abitanti di Apice che numerosi risposero alla chiamata alle armi. . Successivamente, durante il governo fascista, non mancarono lotte tra i militi e gli antifascisti, perché il movimento di Mussolini non fu subito accolto dalla popolazione, anche se fu sempre presente nelle vita politica e nelle vicende di Apice. Nel secondo conflitto mondiale, poi, vi fu comunque partecipazione agli avvenimenti bellici da parte della popolazione. Come nelle restanti parti del Mezzogiorno, il periodo successivo al conflitto fu molto difficile per gli abitanti; anzi in piccole comunità, come appunto quella di Apice, le avversità furono maggiori per la presenza di una economia quasi esclusivamente legata alla produzione agricola. Nella seconda metà del secolo scorso, al di là delle avversità causate dal violento terremoto del 1962, l'economia della zona si riprese. Infatti, oltre alla prevalente coltivazione del grano, iniziarono a diffondersi anche la vite e l'ulivo, nonché un gran numero di ortaggi e soprattutto le piantagioni di tabacco. L'allevamento zootecnico fu praticato largamente, e con successo, sul territorio. A causa di queste coltivazioni, si rianimò anche il traffico commerciale, che vedeva in Apice un centro sempre più fiorente. Il Castello dell’Ettore, costruito sul punto più alto della collina, domina sia la media valle del Calore, che l’antico centro abitato; quest’ultimo risulta essere organizzato secondo la disposizione a “conchiglia”, tipica dei borghi medievali, dove l’intero assetto viario di strade e vicoli risulta convergente e allineato con il castello medievale. Da un documento del 1626 il castello dell’Ettore è descritto come circondato da “tre baluardi fortissimi”, dei quali oggi è possibile ammirarne soltanto uno nella sua integrità strutturale, dotato di dispense, caratterizzato dalla presenza di ambienti affrescati e da una cappella votiva. L’edificio che è giunto ai nostri giorni è il frutto delle continue opere di ricostruzione, di ristrutturazione a causa del susseguirsi di eventi sismici, di cambi di destinazione d’uso e all’alternarsi di diverse proprietà nel corso dei secoli. 2) RELAZIONE TECNICA Il Comune di Apice (BN), proprietario del Castello Normanno sito nel Centro Storico di Apice, con delibera di G.C. n. 123 del 29.10.2015, ha fornito atto di indirizzo ai Responsabili dei Servizi comunali, ognuno per la propria competenza, per la redazione ed approvazione di tutti gli atti tecnici – finanziari ed amministrativi necessari al conseguimento della valorizzazione degli immobili comunali in corso di ristrutturazione nel Centro Storico, tramite “ procedura ad evidenza pubblica “ per espletare attività “ socio – culturali ed economici “ o comunque compatibili con le previsioni urbanistiche vigenti; L’Amministrazione comunale, recependo alcune idee progetto pervenute dalle manifestazioni di interesse, ha avviato la procedura di gara per l'individuazione di soggetto idoneo allo svolgimento di attività di gestione e valorizzazione del Castello di Apice; In particolare, l’Amministrazione comunale, intende realizzare una gestione del Castello, attraverso l’individuazione di un concessionario che assuma il ruolo di “ufficio di coordinamento” con il compito di co-finanziare, promuovere e gestire la creazione di strumenti e di reti finalizzate alla valorizzazione e allo sviluppo delle sue risorse, prevedendo a titolo esemplificativo:  allestimento di un ufficio stampa e di un sito Web riguardante l’intero borgo antico;  pubblicazioni e brochure informative;  coinvolgimento di imprese del territorio che conoscono le radici della propria storia, gli usi e le tradizioni, per la creazione, in sinergia, di una serie di Eventi e Manifestazioni che potranno contribuire alla crescita del tessuto socio – economico territoriale;  realizzazione di sale dedicate a convegni, conferenze e workshop;  somministrazione di alimenti e bevande in apposite sale dedicate a ricevimenti;  mostre d’Arte;  laboratori artigianali;  concorsi culturali;  concorsi di cucina tipica;  manifestazione folkloristiche;  feste e sagre della tradizione apicese L'ipotesi gestionale posta a base della procedura ha l'obiettivo di rendere utilmente accessibile un primario luogo di cultura del Sannio per il tramite di un progetto che dovrà necessariamente presentarsi pienamente aderente alle esigenze tecniche e di valorizzazione desumibili dagli atti di gara e dai relativi allegati, in modo tale che tali esigenze siano scrupolosamente garantite. Il tutto garantendo altresì al concorrente autonomia nell'elaborazione progettuale che potrà prevedere specifiche iniziative di valorizzazione che consentano il conseguimento dei descritti obiettivi e che siano ovviamente in linea con le esigenze del Castello di Apice ed il perimetro operativo dettato da questa stessa Amministrazione. L'utile ed auspicabile attuazione dello schema gestionale elaborato potrà consentire all'Amministrazione economie — gestionali, di valorizzazione ed economiche — ad oggi altrimenti non conseguibili visto l'attuale assetto delle risorse disponibili. Si tratta pertanto di iniziativa volta a consentire il conseguimento di fini istituzionali tipici di questa Amministrazione, nell'ottica della massima tutela e valorizzazione dei beni culturali di propria competenza. VISTA D’INSIEME IMMOBILI RISTRUTTURATI PALNIMETRIA CATASTALE FOGLIO 33 PIANTA CASTELLO I° LIVELLO PIANTA CASTELLO II LIVELLO

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In quegli anni era signore di Apice Elzeario di Sabrano, proclamato santo Alla morte del conte Elzeario nel 1323, subentrò Guglielmo di Sabrano.
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