DEAN KOONTZ IN FONDO ALLA NOTTE (The Key Of Midnight, 1979-1995) Questa versione riveduta è per Gerda. Posso ritornare sui primi libri che ho scritto sotto pseudonimo e migliorarli... ma temo di non avere abbastanza energia per migliorare me stesso come sarebbe necessario! PARTE PRIMA Joanna Un rumore! Lo spaventapasseri È caduto a terra. BONCHO, 1670-1714 1 Nel buio, Joanna Rand andò alla finestra. Nuda e tremante, sbirciò tra le stecche della persiana. Il vento che soffiava dalle montagne lontane sferzava gelidamente la finestra e sbatacchiava un vetro sconnesso. Alle quattro del mattino, la città di Kyoto era immersa nel silenzio, persino al Gion, il quartiere dei divertimenti che pullulava di nightclub e case di geishe. Kyoto, il cuore spirituale del Giappone, aveva mille anni, eppure era come nuo‐ va: un'affascinante accozzaglia di insegne al neon e templi antichi, di ciarpame di plastica e di meravigliose pietre lavorate a mano, il peggio dell'architettura moderna che svettava accanto a splendidi santuari logorati dall'umidità di stagioni torride d'estate e gelide d'inverno. Per una misteriosa combinazione di tradizione e cultura popolare, la metropoli rafforzava in lei l'idea che l'umanità avesse una continuità e uno scopo, rinnovava la sua vacillante fiducia nell'impor‐ tanza dell'individuo. La terra ruota intorno al sole; la società cambia di continuo; la città cresce; nuove generazioni vengono al mondo... e io tirerò avanti come gli altri. Quel pensiero la confortava sempre quando si trovava nel buio, sola, incapace di prendere sonno, morbosamente eccitata dalla potente ma indefinibile paura che l'assaliva ogni notte. Un po' rasserenata, ma non tanto da rimettersi a dormire, Joanna s'infilò una vestaglia di seta rossa e le pantofole. Le mani affusolate tremavano ancora, ma non così forte come prima. Si sentiva ferita, usata e gettata via... come se la ripugnante creatura dell'incubo avesse assunto una forma reale e l'avesse ripetutamente, brutalmente stuprata nel sonno. L'uomo dalle dita d'acciaio afferra la siringa ipodermica... Quell'unica immagine era tutto ciò che ricordava dell'incubo. Era così vivida che poteva richiamarla alla mente quando voleva: la superficie liscia di quelle dita di metallo, il ticchettio e il ronzio dei meccanismi interni, i riflessi di luce sulle nocche robotiche. Joanna accese l'abat-jour e ispezionò la camera a lei familiare. Non vi era niente fuori posto. L'aria conteneva solamente odori conosciuti. Nonostante ciò, si domandò se fosse stata veramente sola tutta la notte. A quel pensiero, rabbrividì. 2 Joanna uscì dalla stretta tromba delle scale e andò nel suo ufficio a pianterreno. Accese la luce e ispezionò il locale come aveva fatto al piano di sopra, quasi aspettandosi che il terrificante fantasma del sogno si celasse da qualche parte nel mondo reale. La luce soffusa della lampada di porcellana non raggiungeva ogni angolo. Ombre porporine drappeggiavano la libreria, i mobili di palissandro e i dipinti fatti su rotoli di carta di riso. Palme in vaso gettavano intricati arabeschi su una parete. Tutto in ordine. La scrivania era coperta di documenti da mettere a posto, ma non era in vena di sistemare la contabilità. Doveva bere. Uscendo dall'ufficio si accedeva alla zona coperta di moquette che circondava il bancone del bar a un capo del Moonglow Lounge. Il club non era del tutto buio: sopra gli specchi azzurri sul retro del banco brillavano due luci di sicurezza, che facevano scintillare gli angoli smussati del vetro come le lame di affilatissimi coltelli. Una lugubre lampada verde segnalava ognuna delle quattro uscite. Di fronte a un piccolo palcoscenico, di là degli sgabelli del bar, nel locale principale, vi erano duecento sedie e sessanta tavolini. Il nightclub era immerso nel silenzio, vuoto. Joanna andò dietro il banco, prese un bicchiere dalla mensola e vi versò un Dry Sack doppio con ghiaccio. Sorseggiò lo sherry, sospirò... e percepì un movimento a poca distanza dalla porta spalancata dell'ufficio. Mariko Inamura, la vicedirettrice, era scesa dall'appartamento che occupava al terzo piano, sopra quello di Joanna. Indossava un grande accappatoio verde, due taglie più grande della sua misura, che strisciava sul pavimento; paludata in tutto quel tessuto di spugna aveva l'aria di una sopravvissuta. I capelli neri, solitamente raccolti e fissati con forcine d'avorio, adesso erano sciolti sulle spalle, tutti in disordine. La donna andò al banco e si mise a sedere su uno sgabello. «Vuoi qualcosa da bere?» domandò Joanna. Mariko sorrise. «Acqua, grazie.» «Prendi qualcosa di più forte.» «No, grazie. Solo acqua, per favore.» «Stai cercando di farmi sentire un'ubriacona?» «Non sei un'ubriacona», rispose Mariko. «Grazie per il voto di fiducia», disse Joanna. «Chissà perché mi sembra di finire qua al bar quasi ogni notte, più o meno a quest'ora.» Appoggiò un bicchiere d'acqua ghiacciata sul banco. Mariko rigirò il bicchiere lentamente nelle mani minute, ma non bevve. Joanna ammirava la grazia naturale della donna, che trasformava ogni semplice gesto in un momento di teatro. Mariko aveva trent'anni, due meno di Joanna, e aveva grandi occhi scuri e lineamenti delicati. Sembrava inconsapevole della sua straordinaria bellezza, che la sua modestia accresceva. Mariko era andata a lavorare al Moonglow Lounge una settimana dopo la serata d'apertura. Aveva voluto il lavoro sia per l'opportunità di esercitare il proprio inglese con Joanna sia per lo stipendio. Aveva messo in chiaro che intendeva andarsene dopo un anno o due, per ottenere un posto di segretaria di direzione nella filiale di Tokyo di qualche grande società americana. Ma, dopo sei anni, non trovava più Tokyo affascinante, o quanto meno non in confronto alla vita che conduceva adesso. Il Moonglow aveva incantato anche Mariko. Era l'interesse principale nella sua vita così com'era certo che fosse l'unico interesse in quella di Joanna. Stranamente, il microcosmo isolato del club era per certi versi protettivo e sicuro come un monastero zen arroccato su un monte lontano. Di sera, il locale era affollato di clienti e tuttavia il mondo esterno non disturbava in misura signifi‐ cativa. Quando i dipendenti tornavano a casa e le porte erano chiuse, il locale - con le sue luci azzurre, le pareti ricoperte di specchi, l'arredo art déco in nero e argento, e l'affascinante alone di mistero - avrebbe potuto trovarsi in qualunque paese, in qualunque periodo dagli anni Trenta in poi. Avrebbe persino potuto trovarsi in un sogno. Sia Joanna sia Mariko sembravano avere bisogno di quel particolare rifugio. Per di più, tra le due donne era nato un imprevisto affetto come tra due sorelle. Nessuna delle due faceva amicizia facilmente. Mariko era cordiale e affascinante, eppure sorprendentemente timida per una donna che lavorava in un nightclub del Gion. Una parte di lei conservava la ritrosia, la cordialità e la modestia delle donne giapponesi di altri tempi, meno democratici. Per contrasto, Joanna era vivace, estroversa, eppure anche lei trovava difficoltoso concedere quel grado d'intimità che consentiva a una conoscenza di trasformarsi in un'amicizia. Perciò, aveva fatto uno sforzo particolare per tenere Mariko al Moonglow, aumentando costantemente le sue responsabilità e lo stipendio; dal canto suo, Mariko aveva ricambiato lavorando sodo e con grande diligenza. Senza mai parlare una volta della loro tacita amicizia, avevano deciso che separarsi non era né augurabile né necessario. Adesso, non per la prima volta, Joanna si domandava: Perché Mariko? Di tutte le persone che Joanna avrebbe potuto scegliersi come amica, Mariko non rappresentava quella più scontata, salvo che aveva una spiccata riservatezza e un notevole buon senso perfino per gli standard giapponesi. Non avrebbe mai insistito per conoscere i particolari del passato dell'amica, né si sarebbe mai permessa di fare quei pettegolezzi o quelle domande indiscrete che così tanta gente riteneva una parte essenziale dell'amicizia. Non correrò mai il pericolo che tenti di scoprire troppe cose su di me. Quel pensiero sorprese Joanna. Non si capiva. Dopotutto, non aveva segreti, né un passato di cui vergognarsi. Con il bicchiere di sherry secco in mano, Joanna uscì da dietro il banco e andò a sedersi su uno sgabello. «Hai avuto di nuovo un incubo», disse Mariko. «Solo un sogno.» «Un incubo», insistette l'amica a bassa voce. «Lo stesso che hai fatto mille altre notti.» «Non mille», obiettò Joanna. «Duemila? Tre?»