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Il traditore di Venezia. Vita di Marino Falier doge PDF

82 Pages·2017·0.393 MB·Italian
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Storia e Società Giorgio Ravegnani Il traditore di Venezia Vita di Marino Falier doge Editori Laterza © 2017, Gius. Laterza & Figli www.laterza.it Prima edizione marzo 2017 Edizione 1 2 3 4 5 6 Proprietà letteraria riservata Ai miei figli e ai miei nipoti Anno Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma 2017 2018 2019 2020 2021 2022 Questo libro è stampato su carta amica delle foreste Stampato da SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-581-2715-5 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Premessa marino Falier è senza dubbio una delle più controverse e intriganti figure nella millenaria vicenda dei dogi di Venezia. Nato intorno al 1285 da un’importante famiglia di antichissima origine che annoverava due dogi nella propria storia, percorse una lunga e brillante carriera al servizio della repubblica, ricoprendo in modo quasi incessante numerose e prestigiose cariche: membro del Consiglio dei Dieci – l’organismo della serenissima con importanti compiti di sorveglianza e di ordine pubblico –, diplomatico, capo militare, governatore dei possedimenti veneziani, podestà, e quant’altro potesse gratificare un aristocratico dell’epoca. La stima e la considerazione che di lui aveva il governo veneziano erano altissime e mai Falier deluse le aspettative, mostrandosi in ogni occasione all’altezza degli incarichi ricoperti. ricco di suo, proprietario di uno splendido palazzo nella contrada dei ss. apostoli a Venezia, aveva anche altre proprietà in città e nel Padovano, e accumulò sostanziosi proventi dalle attività commerciali esercitate per suo conto e dalle rendite dei beni feudali di cui era stato investito. alla morte di andrea Dandolo, nel settembre del 1354, marino Falier, ormai settantenne, venne proclamato doge di Venezia alla prima seduta del collegio elettorale. In quel momento si trovava ad avignone, in ambasceria presso papa Innocenzo VI, ma si affrettò a raggiungere la sua città. VIII Premessa Premessa Ix era, quello, un periodo difficile per Venezia, impegnata in dogi, e sostituita dalla scritta «Questo fu il posto di ser ma- una sanguinosa guerra con Genova: nel novembre dello rino Falier decapitato per il crimine di tradimento». anche stesso anno, quindi poco dopo la sua elezione, la flotta a distanza di oltre un secolo, dopo l’incendio che devastò il della serenissima fu pressoché annientata da quella rivale Palazzo Ducale, non vi fu alcun perdono per il traditore e nell’egeo e la sconfitta venne seguita da un armistizio fra i nei nuovi ritratti dei dogi, eseguiti nel corso del restauro, al due contendenti ormai esausti. posto che doveva essere il suo fu dipinto un drappo nero, marino Falier avrebbe potuto trascorrere un periodo più che tuttora si vede, con un’iscrizione di tenore analogo alla o meno lungo al vertice dello stato veneziano, occupandosi precedente: «Questo è il luogo di marino Falier decapitato per lo più delle attività di rappresentanza, che ormai il con- per i crimini». solidamento del Comune attribuiva ai dogi, ma a pochi mesi La congiura di Falier, un uomo appartenente alla più alta di distanza dalla sua elezione intervenne un fatto nuovo da aristocrazia e che a lungo aveva servito fedelmente Venezia, cui tutto fu sconvolto. Il doge, infatti, si mise a capo di una destò un’impressione profonda e, nello stesso tempo, suscitò congiura destinata a rovesciare il patriziato da cui era ormai il terrore nella nobiltà veneziana, che a lungo non abbassò la stabilmente governata la repubblica di Venezia. appoggian- guardia per reprimerne ogni strascico, vero o presunto che dosi alle classi popolari, e in prevalenza all’elemento mari- fosse. Una mente fine come quella di Francesco Petrarca si naro, avverso alla nobiltà, Falier organizzò una congiura che chiedeva – senza potersi dare una risposta – cosa avesse spin- avrebbe dovuto portare, nel corso della notte fra il 15 e il 16 to una persona del genere a tentare una simile avventura. a aprile 1355, all’eliminazione del ceto dirigente e alla sostitu- Venezia però si diede ben presto una versione dei fatti che finì zione del governo dei nobili con uno popolare. ma qualcosa per diventare ufficiale: a spingere Falier ad agire era stato l’o- non funzionò, i congiurati vennero scoperti e i loro progetti dio maturato nei confronti dei patrizi per le offese che alcuni fallirono miseramente: i capi della cospirazione furono rapi- di loro avevano rivolto alla moglie, molto più giovane di lui damente giustiziati e lo stesso doge, da loro indicato come – offese che a suo modo di vedere non erano state punite in mandante, fu giudicato e condannato a morte. maniera adeguata. Lo scopo che perseguiva, appoggiandosi La sentenza venne eseguita con la decapitazione, che eb- ai ceti al margine della vita pubblica, sarebbe stato inoltre be luogo la sera del 17 aprile, come per un macabro con- quello di divenire signore di Venezia – «signore a bacchetta», trappasso, sulla scalinata del Palazzo Ducale, là dove Falier come allora si diceva –, sul modello di quanto avveniva in aveva giurato di servire fedelmente lo stato. La vendetta dei altre parti d’Italia, spazzando via di conseguenza il Comune patrizi fu lunga e spietata, con esecuzioni capitali, condanne aristocratico di Venezia. al carcere e all’esilio, confische. I beni del doge traditore pas- La storiografia moderna respinge però come leggenda sarono al Comune e la sua stessa immagine venne condannata la relazione di causa-effetto fra le offese alla dogaressa e la all’infamia, fino ad essere rimossa, un decennio più tardi, dal congiura. molto più credibile appare l’ipotesi di una scelta Palazzo, dove tradizionalmente venivano esposti i ritratti dei dettata da motivazioni politiche: scelta che potrebbe essere x Premessa stata la risultante di feroci lotte intestine nel ceto dominante, e in cui il doge avrebbe rappresentato la parte soccombente. Il mistero è fitto. Nelle pagine che seguono cercheremo di gettare un po’ di luce su una vicenda che rappresenta un caso del tutto anomalo nella plurisecolare storia di Venezia. IL traDItore DI VeNezIa VIta DI marINo FaLIer DoGe I La Casata FaLIer 1. Le origini della famiglia Le origini della famiglia Falier, il cui nome compare nelle fon- ti con le varianti Faliero, Faleiro, Faledro o anche Faletro, si perdono nella notte dei tempi della storia di Venezia. secon- do una delle più antiche cronache veneziane, la cui attendibi- lità lascia però a desiderare, i Falier erano originari di Fano e noti anche con il cognome anafesti. a giudizio dell’anonimo estensore del testo, erano «sapienti, convenienti, di buona qualità, costanti nell’amicizia»1. Da Fano sarebbero passati a Padova e in seguito avrebbero preso dimora nella laguna veneta, e precisamente a equilo, l’attuale Jesolo. Questi avvenimenti potrebbero collocarsi fra il VI e il VII secolo, in coincidenza con l’invasione longobarda della peni- sola italiana e col progressivo assoggettamento dell’entroterra veneto. Nel 568, o 569 secondo altri, i Longobardi, provenien- ti dalla Pannonia – l’attuale Ungheria –, fecero infatti il loro 1 Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di r. Cessi, roma 1933 («Istituto storico Italiano, Fonti per la storia d’Italia»), p. 147, 1-3: «Faletri de Fano venerunt, anafestis nomine appellantur; tribuni ante fuerunt, sapientes, convenientes, bona de qualitate, amicitiam retinentes». 4 Il traditore di Venezia. Vita di Marino Falier doge I. La casata Falier 5 ingresso in Italia superando le alpi Giulie e dilagarono rapi- C’era poi un ulteriore elemento di novità, dato dal fatto che damente in pianura. L’intera penisola era allora sotto il domi- non tutti i centri dell’area veneta caddero simultaneamente in nio di Bisanzio, che l’aveva conquistata da pochi anni con una mano longobarda: alcuni resistettero per anni, facendo sì che lunga e sanguinosa guerra strappandola agli ostrogoti, i bar- gli abitanti si spostassero in tempi diversi. La conseguenza di bari germanici arrivati a seguito della dissoluzione dell’impero tutto ciò fu il progressivo popolamento della laguna veneta, romano d’occidente. romani e ostrogoti, sia pure a fatica, un’area forse già abitata in epoca romana, marginalmente avevano convissuto pacificamente, ma con i Longobardi ciò però rispetto ai centri dell’entroterra, da cui con un processo non fu più possibile. Questo fiero popolo germanico, già noto secolare si formò la città di Venezia. nell’antichità per la sua ferocia, giunse in Italia esercitando Il primo a cercare salvezza nella fuga fu il patriarca di un puro e semplice diritto di conquista, abbandonando cioè aquileia, Paolo, che «temendo la barbarie dei Longobardi» l’usanza fino allora vigente per cui gli invasori si insediavano prese la strada della vicina isola di Grado portando «con sé in territorio romano rispettando alcune regole di convivenza. tutto il tesoro della sua chiesa»2. Grado era stata in età romana I Bizantini non reagirono in modo adeguato e, sia pure nella il porto di aquileia, in collegamento con la città attraverso scarsità di informazioni su questi avvenimenti, è da ritenersi il fiume Natisone, e nel V secolo vi era stato costruito un che si siano per lo più ritirati nelle fortezze meglio difendibili, castello in cui sorsero edifici di culto della comunità cristiana. in attesa di tempi migliori, peraltro mai arrivati. sebbene non sia ricordato espressamente dalle fonti storiche, Le popolazioni investite dall’invasione, tuttavia, non erano è verosimile ritenere che il patriarca in fuga sia stato seguito in genere intenzionate a passare sotto i nuovi dominatori e in da un consistente nucleo della popolazione e, probabilmente, questa determinazione si distingueva il clero, tendenzialmente da almeno tre reggimenti dell’esercito imperiale, che un ostile ai nuovi venuti di fede pagana o al massimo aderenti decennio più tardi risultano acquartierati nell’isola. Da all’eresia ariana. Fu così che, nel terrore della conquista, gli aquileia i Longobardi, guidati dal loro re alboino, si diressero abitanti dei principali centri del Veneto orientale si spostarono alla volta di treviso, che si arrese senza combattere, e di qui alla volta delle lagune, che potevano offrire loro la salvezza a deviarono verso ovest, sottomettendo nell’arco di pochi anni motivo delle scarse capacità marinare dei nuovi arrivati e del gran parte dell’Italia a nord del Po. loro probabile disinteresse per le aree marginali della regione. Dopo la prima ondata nell’area orientale della regione ve- Non si trattava di una novità in senso assoluto, perché già nel neta erano rimaste in possesso dei Bizantini Padova con il vi- corso delle grandi invasioni barbariche del V secolo vi erano cino castello di monselice e i centri di altino, oderzo e Con- stati spostamenti delle genti venete nelle aree lagunari. Questa volta, però, la situazione si presentava diversa: gli invasori si 2 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, milano 1992, II, insediarono sul suolo italico, a differenza dei predecessori, che 10, p. 88: «Qui Langobardorum barbariem metuens, ex aquileia ad Gradus alla fine se n’erano andati consentendo agli abitanti di tornare insulam confugiit secumque omnem suae thesaurum ecclesiae deportavit» («egli, temendo la barbarie dei Longobardi, fuggì da aquileia nell’isola di nei luoghi di origine, e la migrazione divenne irreversibile. Grado e portò con sé tutto il tesoro della sua chiesa»). 6 Il traditore di Venezia. Vita di Marino Falier doge I. La casata Falier 7 cordia, quest’ultima forse travolta dal primo passaggio dei tenuandosi in maniera quasi impercettibile, dando alla nuova Longobardi ma tornata qualche tempo più tardi sotto l’im- realtà insediativa la fisionomia di città sovrana. pero. anche il destino di queste città era comunque segnato e Poco si conosce della storia della Venezia delle origini. la progressiva caduta in mano nemica accentuò il movimento In linea generale si può dire che essa ebbe un assetto verso le lagune. Padova e monselice vennero conquistate fra istituzionale analogo a quello degli altri domini di Bisanzio in il 601 e il 602: i soldati superstiti della guarnigione di Padova Italia. Per meglio difendersi dai Longobardi, che arrivarono furono costretti a ripiegare a ravenna, mentre i civili si spo- a conquistare buona parte dell’Italia peninsulare, i Bizantini procedettero a una capillare militarizzazione del territorio. La starono nella zona lagunare fra Brondolo e Chioggia – dove tradizionale divisione tardoromana fra potere civile e militare trovò momentaneo rifugio il vescovo – e forse anche in dire- venne meno e le autorità civili scomparvero o finirono in zione di malamocco. Verso il 616 fu la volta di Concordia, i subordine. a partire dal 584 circa il comando supremo di ciò cui abitanti insieme al loro vescovo presero dimora a Caorle. che restava della provincia imperiale venne affidato a un esarca oderzo e altino furono le ultime a cadere, all’incirca nel 639, (o esarco), un altissimo funzionario inviato regolarmente da allorché il re rotari (636-652) attaccò i residui possedimenti Costantinopoli, e sotto di lui le regioni bizantine passarono imperiali in terraferma. oderzo doveva essere la sede di un al governo di un dux o di un magister militum: il primo era comando militare e dei quadri amministrativi bizantini, il cui il titolo specifico del governatore provinciale, il secondo ripiegamento venne programmato ordinatamente alla volta indicava il grado militare eventualmente rivestito. all’interno di eraclea (o Città Nuova), la città fatta costruire dall’im- delle circoscrizioni più ampie le città o i castelli vennero peratore eraclio (610-641) nella laguna nord. Gli abitanti, e amministrati da funzionari di rango inferiore con il titolo di con essi il vescovo, seguirono i propri capi e in parte presero comes o di tribuno. Lo stesso ordinamento su base militare dimora anche a Jesolo, incrementando l’insediamento che già venne esteso alla Venezia bizantina, sia pure con qualche vi doveva esistere. Da altino, al contrario, i fuggitivi e il ve- diversità: la figura del dux, anche se forse occasionalmente scovo si diressero a torcello e nelle isole vicine. presente in precedenza, comparve in maniera stabile soltanto Dopo questi avvenimenti, ai Bizantini restava soltanto più tardi, probabilmente nel 697, mentre i tribuni, in origine un’esigua striscia di terraferma e il cuore della Venezia impe- alti ufficiali dell’esercito, a partire dal VII secolo finirono riale si era decisamente spostato in direzione del mare. Qui, per costituire un’aristocrazia ereditaria destinata a formare il nei centri lagunari ripopolati, si costituì sotto l’egida di Bi- primo nucleo della nobiltà veneziana e della cui attività, reale sanzio una federazione di isole: la sua capitale fu per lungo o leggendaria, parlano a più riprese le cronache più antiche tempo eraclea, poi nel 742 passò a malamocco e quindi, nei della città. primi anni del Ix secolo, nell’isola di rialto, dove sarebbe a questo ceto nobiliare appartennero anche i Falier delle rimasta. Il dominio di Costantinopoli si mantenne saldo fino origini: li troviamo a Jesolo, dove forse si trasferirono dopo ai primi anni del Ix secolo, ma poi andò progressivamente at- la caduta di Padova, e successivamente tra una cinquantina 8 Il traditore di Venezia. Vita di Marino Falier doge I. La casata Falier 9 di famiglie tribunizie che da eraclea si spostarono alla volta 1102 circa al 1117 o 1118, fu la volta di ordelaffo Falier di rialto. È quindi da ritenersi che dalla sede originaria si Dodoni, probabilmente figlio di Vitale, un doge illustre la siano trasferiti nella capitale della Venezia bizantina e di qui cui figura controversa fa mostra di sé in abiti di imperatore abbiano poi preso la via di rialto quando, agli inizi del Ix di Bisanzio in uno degli smalti della Pala d’oro conservata secolo, si costituì il nuovo centro amministrativo della città. nella Basilica di san marco. Fu un uomo d’armi e morì Qui, sappiamo, insieme ai Coloprini e a Burcaldo Brandonico eroicamente combattendo contro gli Ungheresi. Bonifacio – altri notabili delle origini – edificarono la chiesa di san Falier fu vescovo di Castello – ossia della diocesi ubicata Benedetto abate3. a Venezia nell’attuale isola di san Pietro di Castello – dal alcuni genealogisti ritengono i Falier imparentati con i 1120 al 1131 o 1133, mentre Giovanni Falier fu arcidiacono forlivesi ordelaffi, il cui cognome ordelaf letto all’inverso della cattedrale di Castello e quindi vescovo di Chioggia dal suona come Faledro, e ne ipotizzano un’origine longobarda, 1157 al 1164. Vitale Falier fu uomo politico e diplomatico ma con simili raffronti ci si addentra in un terreno minato. nel xII secolo, a differenza di Benedetto, che come i suoi Con relativa sicurezza si può dire soltanto che la famiglia do- predecessori illustri seguì la carriera ecclesiastica, diventando veva essere abbastanza ampia già in età più antica, compren- primicerio della Basilica di san marco e quindi dal 1201 al dendo forse tre rami diversi, gli anafesti, gli ordelaffi e i Do- 1207 patriarca di Grado. a questi poi si aggiunsero Leonardo doni; nella storiografia veneziana di epoca medievale si sente patriarca di Costantinopoli e arcivescovo di Candia nel 1302, inoltre parlare di Frauduni «che sono chiamati Faletri»4. In Leonardo vescovo di sebenico nel 1288 e i procuratori di ogni caso si ha menzione di loro per la prima volta in un atto san marco angelo, Jacopo, Nicolò da san tomà e Nicolò da pubblico dell’aprile 912 in cui un orso Faletro Dodono fa- sant’apollinare. ceva da testimone5. Prima del doge marino altri illustri membri del casato ricoprirono importanti cariche pubbliche e due di essi 2. I Falier al tempo del doge Marino furono dogi. Il primo, Vitale Falier Dodoni, fu al governo della repubblica fra il 1084 e il 1095 o 1096. sotto di lui ai tempi del doge marino i Falier erano annoverati fra le venne consacrata la terza chiesa di san marco, quella tuttora dodici famiglie di maggiore nobiltà, le cosiddette famiglie esistente, dove poi il doge fu sepolto. Poco più tardi, dal apostoliche, la cui storia si intrecciava con le origini stesse della città. I nobili di casa Falier vivevano in sei diverse località veneziane: i ss. apostoli, san maurizio, san samuele, 3 Origo civitatum Italiae, cit., p. 143, 16-17: «Coloprini et Burcaldus Brandonicus et Faletri fecerunt ecclesiam ad honorem sancti Benedicti abbatis». sant’apollinare (sant’aponal alla maniera veneziana), san 4 Ivi, 31, 10; 56, 17-18: «Frauduni, qui Faletri appellati sunt». tommaso (san tomà) e san Pantaleone (san Pantalon) e, 5 a. Gloria, Codice diplomatico padovano dal secolo sesto a tutto l’undecimo, Venezia 1877 («monumenti di storia patria della r. Deputazione veneta»), n. essendo numerosi, come di norma i membri dell’aristocrazia, 28, p. 43: «Faletro dodono». si tratta di un atto con cui il doge Pietro tribuno determina le imposte dovute dai Chioggiotti e il loro territorio. le famiglie si distinguevano dal nome della contrada di

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