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IL SOCIALISMO COME FENOMENO STORICO MONDIALE PDF

237 Pages·2014·1.38 MB·Italian
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IL SOCIALISMO, COME FENOMENO STORICO E MONDIALE di lgor' Rostislavovic Safarevic La Casa di Matriona Il volume è pubblicato su Rassegna Stampa per gentile concessione della casa editrice Presentazione di Aleksandr Solzenicyn. PARTE PRIMA - il socialismo chiliastico Introduzione di lgor' Rostislavovic Safarevic Capitolo primo il socialismo antico Capitolo secondo: Il socialismo delle eresie 1. Cenni generali: 2 I catari; 3 I fratelli del libero spirito e i fratelli apostolici; 4 I taboriti) 5 Gli anabattisti 6 Le sette nella rivoluzione inglese del 1648. Appendice: tre biografie. 1. Dolcino e i "fratelli apostolici" 2. Thomas Münzer 3. Giovanni di Leida e la "Nuova Gerusalemme" di Munster 7 Il socialismo chiliastico e l'ideologia dei movimenti ereticali Capitolo terzo Il socialismo dei filosofi: 1.Le grandi utopie; l'Utopia di Thomas More La Città del Sole di Tommaso Campanella; La legge della libertà di Gerard Winstanley 2.Il romanzo socialista 3.Il secolo dei lumi 4.I primi passi PARTE SECONDA- il socialismo statale Capitolo primo L'America del Sud. L'impero degli inca Capitolo secondo L'antico Oriente La Mesopotamia; L'antico Egitto L’antica Cina AppendiceSi può parlare di una "formazione sociale asiatica"? PARTE TERZA Analisi del fenomeno socialista Capitolo primo I lineamenti del socialismo Capitolo secondo Alcune interpretazioni del socialismo Capitolo terzo L’incarnazione dell’ideale socialista Capitolo quarto Il socialismo e l’individuo Capitolo quinto Il fine del socialismo Capitolo sesto Conclusione NOTE alla prima parte NOTE alla seconda parte NOTE alla terza parte 2 Presentazione Vi sono al mondo cose che, evidentemente, non possono essere scoperte senza averne una vasta esperienza, propria o del proprio ambiente. Così quest'opera, pur utilizzando un'abbondante letteratura già nota agli specialisti, abbraccia con sguardo nuovo e penetrante il corso plurimillenario del socialismo mondiale e vede la luce, come è logico, in un paese che ha vissuto (e vive) l'esperienza socialista più brutale e duratura dell'Era moderna. E, altrettanto logicamente alla luce della situazione di questo paese, il libro si deve non alla penna di un uomo di formazione umanistica (da noi, dopo l'Ottobre, proprio le discipline umani-stiche sono state le più colpite nei loro maggiori esponenti) ma alla penna di un matematico di fama mondiale: nel mondo comunista gli esponenti delle scienze esatte sono costretti a sostituirsi ai loro decimati fratelli umanisti. In compenso questa circostanza ci offre la rara possibilità di avere un'analisi coerente della teoria e della pratica del socialismo mondiale ad opera di un eminente intelletto matematico, da sempre abituato alla rigorosa metodologia che comporta la sua scienza. Chi, se non lui, ha autorità per proferire un giudizio come questo: «Nel marxismo manca perfino il clima per un'analisi di tipo scientifico»? Il socialismo mondiale, tutti i suoi esponenti, sono avvolti in una nebbia di fole e leggende, le sue contraddizioni sono dimenticate e nascoste, esso non replica alle argomentazioni, ma le ignora sistematicamente, per quell'istintiva ripugnanza che nutre nei confronti dell'analisi scientifica, per quell'aura di irrazionalità in cui è immerso e che l'accademico Safarevic nel suo libro ci fa notare più volte e sotto molti riguardi. Le dottrine socialiste pullulano di contraddizioni, le teorie si discostano invariabilmente dalla loro attuazione pratica, ma grazie al possente istinto che le anima — anche questo messo in luce dall'autore — queste contraddizioni non ostacolano l'ulteriore propaganda del socialismo. E non esiste neanche un socialismo ben definito, ma solo un roseo, vago concetto di alcunché di bello e nobile, di una eguaglianza, universalità e giustizia non meglio precisate: purché sopraggiungano e tutti staranno bene e la società non avrà più alcun difetto! Nel XX secolo il socialismo ha conosciuto uno dei suoi momenti culminanti e una vasta diffusione e ciò ha immediatamente comportato le rivoltanti realizzazioni concrete che tutti conosciamo. Ma per l'ottenebrante irrazionalità che si diceva, esse — che già sfuggono per se stesse all'analisi — o non vengono prese in considerazione oppure vengono riferite ad artificiose categorie di comodo: si tratterebbe ora di una deformazione «asiatica», ora di un travisamento «russo», ora della personalità di un dittatore, ora delle malefatte di un «capitalismo di Stato». Ora, col suo libro — che percorre largamente il tempo e lo spazio, dispiegandoci instancabilmente dinnanzi, e analizzandole, diecine di dottrine socialiste e diecine di organizzazioni statuali fondate sui princìpi del socialismo — Safarevic non lascia scappatoia alcuna a chi è solito argomentare che questo o quel «socialismo» è un'eccezione che non prova nulla e nulla ha a che vedere, manco a dirlo, col radioso futuro che ci si prepara. Si tratti della centralizzazione del potere politico in Cina mille anni prima di Cristo, o dei sanguinosi esperimenti europei del tempo 3 della Riforma, o ancora delle utopie dei pensatori europei, utopie che fanno venire i brividi (ma che s'usa ovunque trattare con bel garbo e deferenza), o della esperta cucina di Marx-Engels o delle misure comuniste radicali degli anni di Lenin, non meno spietate nei confronti dell'uomo del successivo greve corso staliniano — Safarevic, con questi e diecine di altri esempi di cui il libro è ricco, ci dimostra l'inesorabile coerenza del fenomeno mondiale analizzato. L'autore rileva le costanti del socialismo — i suoi elementi fondamentali e immutabili che non dipendono né dall'epoca né dal dato paese — e che, purtroppo, incombono inesorabilmente anche sul vacillante mondo contemporaneo. Riferito all'intera storia dell'umanità, il socialismo può già vantare, rispetto all'attuale civiltà occidentale, una maggiore durata e una più grande resistenza nel tempo, come pure una più vasta diffusione di massa e una maggiore espansione nello spazio — sì che è difficile allontanare il cupo presentimento di ciò che già alla fine del XX secolo potrebbe inghiottirci senza scampo: quella «formazione asiatica» che Marx si è premurato di eludere nelle sue classificazioni, e davanti alla quale si è smarrito il pensiero marxista contemporaneo, poiché vi ha visto, come in uno specchio millenario, il proprio volto deforme. Al socialismo può essere con buona ragione riferita, nella lunga storia dell'umanità, la maggior parte delle formazioni statuali e non si è davvero trattato per l'uomo di luoghi e periodi di felicità e fioritura. Safarevic ci indica con grande precisione sia la causa che il momento della comparsa delle prime dottrine socialiste, individuate nella loro sostanza reazionaria: reazione di Fiatone nei confronti della cultura greca, degli gnostici nei confronti del cristianesimo; una reazione che vuole soverchiare lo slancio dello spirito dell'uomo per ricondurlo al gramo esistere materiale degli Stati più primitivi dell'antichità. L'autore mette anche in luce in modo convincente l'assoluta contrapposizione che v'è, sempre, fra la concezione dell'uomo propria di tutte le religioni e quella che caratterizza ogni socialismo. Il socialismo si sforza di ridurre la persona umana alle sue componenti più primitive, a distruggere completamente la parte più elevata e complessa dell'individualità umana, quella che fa l'uomo «simile a Dio». E la stessa uguaglianza, così ardentemente promessa dai socialisti di ogni tempo, non è un'uguaglianza di diritti, di possibilità o di condizioni esteriori per il singolo, ma è l'uguaglianza come identicità, l'uguaglianza come riduzione all'uniformità di ciò che nella vita interiore degli uomini ha il carattere della molteplicità. E il socialismo che, come anche qui si dimostra, ha invariabilmente e con successo eluso ogni disamina autenticamente scientifica della propria essenza oggi è chiamato, da Safarevic con questo suo libro, a una sfida: sfoderino i teorici socialisti contemporanei, in un pubblico confronto, gli arsenali dei loro argomenti. ALEKSANDR SOLZENICYN Torna all’indice 4 PARTE PRIMA - il socialismo chiliastico Introduzione di lgor' Rostislavovic Safarevic Con il termine "socialismo" si designano spesso due fenomeni completamente differenti: a) la teoria e il conseguente appello a un programma di rinnovamento della vita; b) un regime sociale realmente esistente nello spazio e nel tempo. Come esempi particolarmente significativi citeremo il marxismo come ci viene presentato nelle opere dei " classici " (Marx e altri), e l'ordinamento sociale esistente nell'URSS o nella Repubblica popolare cinese. Tra i principi fondamentali che reggono la concezione ufficiale del mondo in questi paesi troviamo l'affermazione che il legame tra questi due fenomeni è "alquanto semplice": si avrebbe da una parte una teoria scientifica secondo la quale, a un certo stadio di sviluppo delle forze produttive, l'umanità passa a una nuova formazione storica, secondo le vie che la teoria stessa indicherà come le più razionali; e dall'altro lato l'inveramento di questa previsione scientifica, la sua conferma. Una visione del tutto opposta ci è testimoniata dalle parole di H. Wells, che risiedette in Russia nel 1920, il quale, pur subendo il fascino del socialismo di moda in Occidente allora come oggi, rifiutò tuttavia quasi istintivamente il marxismo, con l'antipatia tipica degli inglesi per ogni teoria scolastica. Nel suo libro La Russia nelle tenebre, dice: "Il comunismo marxista è sempre stato la teoria della preparazione alla rivoluzione, teoria priva non solo di fini creativi e di edificazione, ma addirittura a questi ostile ". Wells descrive il comunismo al potere in Russia come "un prestigiatore che abbia dimenticato di provvedersi della colomba e del coniglio, e non sappia cosa far saltare fuori dal cappello" (2). Da questo punto di vista il marxismo non si pone altro scopo se non la presa del potere, mentre il regime che ne risulta si giustifica con la necessità di mantenere questo potere. Siccome i compiti sono del tutto differenti, anche i fenomeni stessi non hanno nulla in comune. Sarebbe precipitoso ritenere vera una qualunque di queste affermazioni senza alcuna verifica. Sarebbe viceversa auspicabile esaminare prima entrambi i "socialismi" indipendentemente l'uno dall'altro, senza accettare nessuna ipotesi "a priori", e in base al risultato di questa analisi cercare poi di trarre alcune conclusioni sui loro legami reciproci. Incominceremo dal socialismo inteso come dottrina, come istanza. Tutte le dottrine di questo genere (e come vedremo ne sono esistite moltissime) hanno un nucleo comune: si basano sul rifiuto globale del regime vigente, ne reclamano la distruzione, rappresentano il quadro di un ordinamento sociale più giusto e felice, nel quale verranno sciolti tutti i nodi fondamentali di oggi, e danno indicazioni concrete per giungervi. 5 Nella letteratura religiosa questa teoria viene chiamata chiliasmo, o fede nel Regno millenario di Dio sulla terra. Per questo chiameremo "socialismo chiliastico" le dottrine socialiste che ci interessano. Per dare una prima rappresentazione della portata di questo fenomeno e del posto che occupa nella storia dell'umanità faremo due esempi. Esamineremo per sommi capi due teorie che rientrano nella categoria del socialismo chiliastico così come le vedevano i contemporanei. Cercheremo inoltre di dedurne il modello di società futura che propongono, lasciando per ora da parte sia le motivazioni della scelta che i mezzi scelti al conseguimento dell'ideale. Il primo esempio ci riporta ad Atene nel 392 a.C., quando per le Grandi Dionisie Aristofane presentò la commedia Ecclesiazuse (Le donne a parlamento), nella quale rappresentava una dottrina allora di moda fra gli ateniesi. La commedia narra che le ateniesi, travestite da uomini, con barbe finte, partecipano all'assemblea popolare e avendo la maggioranza dei voti impongono l'approvazione della delibera che trasferiva tutti i poteri di governo alle donne. Questo potere viene da esse usato per applicare una serie di provvedimenti che vengono descritti in un dialogo tra il capo delle donne Prassagora e suo marito Blepiro. Ecco alcune battute: Prassagora Propongo dunque che si faccia una società comune, di cui tutti si servano per vivere... intendo che la terra sia comune a tutti, e così i soldi e ogni cosa che ha la gente. Blepiro E chi non ha terra, ma danari e zecchini, chi le sa queste ricchezze? Prass. Porterà all'ammasso pure queste. Tutti avranno tutto... delle città voglio fare un solo appartamento. Giù le divisioni: ingresso libero per tutti!... Anche le donne socializzo: chiunque vuole, può dormirci assieme e fare figli. Blepiro Ma con un sistema simile, come fa uno a riconoscere i figli suoi? Prass. Che bisogno c'è? Come padri calcoleremo tutti quelli che sono più vecchi: secondo gli anni. Blepiro Ma la terra, chi si mette a coltivarla? Prass. I servi. Quando è mezzogiorno, non devi avere altro pensiero che lavarti e andare a mangiare... A tutti forniremo tutto senza risparmio. Vedrai che ognuno potrà andarsene dopo avere bevuto con la corona sulla testa e la torcia in mano. E le donne dai vicoli si butteranno addosso a quelli che hanno finito il banchetto, gli diranno: " Vieni da noi, abbiamo un fiore di ragazza " (3). Il lettore avrà già individuato numerosi elementi della nostra dottrina. Cerchiamo di puntualizzare le associazioni che si vanno mettendo in luce prendendo in considerazione il secondo esempio che è l'esposizione del marxismo nel suo programma classico, il Manifesto del partito comunista. Ecco alcuni pensieri circa la società futura come se la figuravano gli autori. "i comunisti possono riassumere in un'unica formula la loro teoria: distruzione della proprietà privata" (4); "Distruggere la famiglia! Anche i radicali più arrabbiati si turbano di fronte a questo abominevole progetto dei comunisti. Su cosa si regge l'attuale famiglia borghese? Sul capitale, sul profitto individuale. Nel suo aspetto più maturo essa esiste solo per la borghesia, e ha il suo contrappeso nell'assenza totale di famiglia del proletariato e nella scoperta prostituzione. La famiglia borghese dovrà 6 naturalmente cadere assieme a questo corollario, ed entrambi scompariranno con la scomparsa del capitale. "Ma voi affermate che sostituendo all'educazione familiare quella sociale, vengono distrutti i legami più intimi. Ma la vostra educazione non è forse anch'essa determinata dalla società?" (5). Quest'ultimo pensiero viene ulteriormente chiarito nei Principi del comunismo, un documento scritto da Engels durante la preparazione del Manifesto comunista. Tra le prime misure da porre in atto all'indomani della rivoluzione troviamo: "8. Educazione di tutti i bambini, dal momento in cui possono fare a meno delle cure materne, in istituti statali e a spese dello Stato" (6). E torniamo al Manifesto. "Ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle mogli! Ci grida in coro tutta la borghesia" (7). E più oltre: "Il comunismo non ha bisogno di introdurre la comunanza delle mogli, essa è quasi sempre esistita. Non paghi d'avere a propria disposizione le mogli e le figlie dei proletari, i nostri borghesi trovano particolare sollazzo nel sedursi vicendevolmente le mogli. In realtà il matrimonio borghese è una comunanza delle mogli. Ai comunisti si potrebbe rimproverare forse solo di voler rendere pubblica e ufficiale la comunanza delle mogli invece di mantenerla in un'ipocrita segretezza" (8). A proposito degli altri aspetti materiali della società futura, nel Manifesto non ci sono indicazioni di sorta. Nei già citati Principi del comunismo troviamo: "9. Trasformare i grandi palazzi e le proprietà statali in abitazioni private per comuni di cittadini che si occuperanno dell'industria e dell'agricoltura, e riuniranno i vantaggi della vita rurale e di quella urbana senza soffrirne le carenze" (9). Vediamo che sia pure sotto diversi paludamenti, nel linguaggio hegeliano di Marx e in quello farsesco di Aristofane, si cela l'identico programma: l. abolizione della proprietà privata; 2. abolizione della famiglia, cioè comunanza delle mogli e rottura del legame genitori-figli; 3. benessere puramente materiale al più alto grado. Si potrebbe addirittura affermare che i due programmi coincidano al millimetro se non fosse per un passo dell'Ecclesiazuse. Rispondendo alla domanda di Blepiro: "Chi dovrà arare?", Prassagora risponde: "Gli schiavi", proclamando così un quarto punto, fondamentale, del programma: la liberazione dalla necessità del lavoro. E' interessante notare che proprio su questo punto diverge da Marx il neomarxista oggi più noto, uno dei leader del movimento "The new Left" negli USA, Herbert Marcuse: "Non è casuale - dice nella sua opera Das Ende der Utopie - che per le odierne avanguardie intellettuali della sinistra siano tornate attuali le opere di Fourier [...] che non tremò là dove Marx non ebbe sufficiente coraggio, e parlò di una società dove il lavoro sarebbe diventato un gioco" (10). Oppure, in un altro passo della stessa opera: "Le nuove possibilità della tecnica condurranno all'oppressione [...] se non si risolverà l'esigenza vitale di superare il lavoro alienato " (11). 7 Correggendo in tal senso il programma del Manifesto comunista, otteniamo un ideale che coincide ormai perfettamente con quello che Aristofane beffeggiava sulle scene ateniesi nel 392 a.C. Abbiamo a che fare con un complesso di idee denotate da alcuni tratti sorprendentemente persistenti, conservatisi pressoché immutati dall'antichità ai nostri giorni. Chiameremo questo complesso di idee "socialismo chiliastico". Cercheremo in seguito di precisarlo meglio, indicando le tappe fondamentali della sua storia, inserendolo nel quadro dell'ideologia più vasta al cui interno il socialismo chiliastico è nato. Torna all’indice Capitolo primo: il socialismo antico Nella Grecia classica le idee del socialismo chiliastico hanno rivestito subito una forma compiuta, diremmo ideale. Spetta a Platone il merito d'aver sviluppato queste idee, dando loro una forma che ha avuto un'influenza colossale sullo sviluppo della dottrina in duemila anni della sua storia. Trattano di queste idee due dei suoi dialoghi: la Repubblica e le Leggi. Nella Repubblica Platone ritrae l'ordinamento statale nella sua forma ideale, nelle Leggi descrive lo Stato reale che più si avvicina al modello. La Repubblica fu scritta negli anni della maturità; le Leggi nella vecchiaia. Forse nel secondo dialogo si riflettono le sconfitte che Platone subì cercando di incarnare il suo ideale. Tracceremo ora il quadro della società ideale descritta nella Repubblica (12). Sergej Bulgakov definisce quest'opera: "Mirabile ed enigmatica". E veramente nei dieci libri del dialogo si dispiegano tutti i capisaldi della concezione del mondo platonica: il problema dell'essere (concezione del mondo delle idee), dell'anima, della giustizia, dell'arte, della società. Il titolo Repubblica può sembrare troppo angusto per un'opera simile: ciò non di meno trova piena giustificazione nel fatto che il problema dell'ordinamento statale è il centro cui tende e su cui si esemplifica tutta la dottrina di Platone. La conoscenza dell'idea del bene e del bello si rivela indispensabile a chi voglia reggere lo Stato; le nozioni di immortalità dell'anima e di premio eterno contribuiscono a forgiare le necessarie virtù morali nei reggitori; la giustizia deve essere posta a fondamento dell'organizzazione dello Stato; l'arte è uno degli strumenti fondamentali per educare i cittadini. Platone enumera le possibili forme di ordinamento statale (ne prevede cinque), e le qualità spirituali dell'uomo che vi corrispondono. Tutte le forme statali dell'epoca rientrano per lui nei primi quattro tipi erronei. In questi Stati regnano la divisione, l'inimicizia, la discordia, l'arbitrio, la cupidigia: "Un simile Stato è per forza non uno, ma duplice: quello dei poveri e quello dei ricchi. Essi abitano lo stesso luogo e si tendono continuamente reciproche insidie" (13). 8 Invece la quinta forma d'ordinamento statale è, secondo Platone, quella perfetta. La sua caratteristica fondamentale è la giustizia, grazie alla quale esso partecipa della virtù. Definendo cosa sia la giustizia nello Stato, Platone dice: "La giustizia consiste in quel principio che sin dall'inizio, quando formavamo lo Stato, ponemmo di dover rispettare costantemente in esso o in qualche suo particolare aspetto. Ora, se rammenti, abbiamo posto e più volte ripetuto che ciascun individuo deve attendere a una sola attività nell'organismo statale, quella per cui la natura l'abbia meglio dotato" (14). Sulla base di questi principi la popolazione dello Stato viene distinta in tre gruppi sociali, si potrebbe addirittura dire tre caste: i filosofi, i custodi o guerrieri, gli artigiani e agricoltori. I figli degli artigiani e degli agricoltori appartengono alla stessa casta e non possono in nessun caso diventare custodi. Anche i figli dei custodi seguono, di regola, l'occupazione paterna, ma se dimostrano cattive inclinazioni se ne fanno artigiani o agricoltori. Invece i filosofi vengono via via integrati con i migliori tra i custodi, non prima però d'aver compiuto i cinquant'anni. La concezione platonica non è affatto materialistica, egli non si interessa, infatti, all'organizzazione della produzione del suo Stato. Anche della vita di artigiani e contadini ci dice molto poco. Ritiene che la vita dello Stato sia determinata dalle leggi, accentra quindi ogni sua cura sulla vita di filosofi e custodi, le due caste che creano e mantengono la legge. Nello Stato il potere assoluto è affidato ai filosofi (Sergej Bulgakov suggerisce di tradurre questo termine con "giusti" o "santi"). Questi uomini sono: "Nature filosofiche: esse amano sempre una disciplina che sveli loro un pò, di quell'essenza che perennemente è e che non subisce le vicissitudini della generazione e della corruzione" (15). Questo tipo d'uomo: "Ha magnificenza di pensiero e contempla la totalità del tempo e dell'essere [ ... ]" (16), e "anche la morte tale individuo non la riterrà una cosa terribile" (17). "Passeranno la maggior parte del tempo immersi nella filosofia, ma, quando venga il loro turno, dovranno affrontare le noie della vita politica e governare ciascuno per il bene dello Stato, non perché sia bello questo loro compito, ma necessario. E così, avendo via via educato altri a propria somiglianza e avendoli lasciati al loro proprio posto come guardiani dello Stato, andranno ad abitare nelle isole dei beati" (18). Immediatamente dopo i filosofi vengono i custodi. Parlando di loro Platone ama paragonarli ai cani. "Il carattere naturale dei cani di nobile razza consiste nella massima mansuetudine verso le persone di famiglia e conosciute, ma in un comportamento opposto con gli sconosciuti" (19). I loro figli devono essere portati a cavallo nelle campagne militari per "far loro gustare il sangue, come a giovani cani [...]" (20). Da adolescenti devono avere le caratteristiche dei cuccioli di razza; devono possedere "acuta sensibilità, sveltezza nel gettarsi a inseguire la cosa scoperta e poi vigore, se devono afferrarla e ingaggiare la lotta" (21). Le donne devono avere uguali diritti degli uomini, e accollarsi gli stessi doveri, con il solo riguardo alla minor forza fisica. Infatti anche "le femmine dei cani da 9 guardia debbono cooperare a custodire ciò che custodiscono i maschi, cacciare insieme con loro e fare ogni altra cosa in comune" (22). La casta dei guerrieri nel suo insieme viene paragonata a cani forti e affamati (23). Ma il custode deve avere anche a tre qualità più elevate, spirituali: "E', indispensabile che sia naturalmente filosofo oltre che animoso" (24). "Alcuna malia o costrizione li induca a respingere, obliandola, l'opinione di dover fare ciò che è il meglio per lo Stato " (25). Questa qualità vengono coltivate attraverso un sistema educativo molto elaborato che dura fino a 35 anni, sotto il controllo dei filosofi. Un ruolo educativo assai importante è affidato all'arte, la quale è sottoposta, per il bene dello Stato, a una severissima censura. "Perciò dobbiamo anzitutto sorvegliare i favoleggiatori e se le loro favole sono belle, accoglierle, se brutte respingerle" (26). O "belle" o "brutte" qui non ci riferisce ai meriti artistici delle favole, ma alle loro qualità pedagogiche. Sono definite "cattive" "quelle che ci hanno raccontato Omero, Esiodo e gli altri poeti" (27). "Dovremo allora permettere così, con tutta leggerezza, che i bambini ascoltino qualsiasi favola, inventata dal primo che capita? e che ricevano nelle anime loro opinioni per lo più opposte a quelle che, secondo noi, dovranno avere quando saranno maturi?" (28). Sono vietate tutte le favole che possano creare una falsa immagine della divinità, quelle, cioè, che parlano della crudeltà degli dei, delle loro discordie, delle loro imprese amatorie, della loro capacità di fare del male o qualsiasi altra cosa che non sia il bene agli uomini, di ridere o mutarsi senza restare eternamente immutabili: "Nessuno, né giovane né vecchio, dovrà fare o ascoltare di questi discorsi, sian le favole in versi o in prosa" (29). Devono essere bandite tutte le opere poetiche che parlano degli orrori dell'oltretomba e della morte, che descrivono la paura e il dolore, queste cose impediscono lo sviluppo del coraggio, mentre i custodi non devono vedere nulla di spaventoso nella morte. E' vietato parlare di sorte ingiusta, dire che i giusti possano essere infelici e i reprobi felici. Non si possono biasimare i capi, né parlare della paura, del dolore, della fame o della morte. "Ora, noi pregheremo Omero e gli altri poeti di non prendersela a male se cancelleremo tutte queste espressioni e altre consimili: non perché non siano poetiche e non offrano dilettevole ascolto ai più, ma perché quanto più sono poetiche, tanto meno le devono udire" (30). Anche le altre arti sono sottoposte a controllo: "Ebbene, è lì, nella musica che, come sembra, si deve costruire il posto di guardia per i nostri guardiani" (31). Si proibisce la polifonia nei cori e la varietà delle armonie. Sono banditi dalla città i flautisti e i costruttori di flauti, di tutti gli strumenti musicali si salvano solo la lira e la cetra. Questi stessi principi hanno una vastissima applicazione: "Dobbiamo dunque solamente sorvegliare i poeti e forzarli a dare nei loro poemi l'immagine del carattere buono o, se no, a svolgere tra noi la loro opera poetica? O dobbiamo sorvegliare anche gli altri artigiani e impedire loro di rappresentare questo cattivo carattere, questa intemperanza, bassezza e ineleganza sia nelle immagini di esseri 10

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