1 CAPITOLO 4: IL SE’ E L’IDENTITA’ 1. I contorni e la sostanza del problema Chi è l’attore sociale? (La definizione è tratta dalla sociologia) Una persona che entra in contatto con la realtà, se la rappresenta, la conosce, agisce su di essa, ma contemporaneamente riflette su di essa e su se stesso. Io e Sé sono le definizioni date a quella parte dell’organizzazione della persona che rappresenta la sua soggettività e le sue risposte alle sue azioni. William James (1890) Introdusse la nozione di Sé. Nel Sé vanno distinti due componenti: l’Io e il Me: l’Io consapevole e Me come Sé conosciuto dall’Io. L’Io (parte attiva, conoscitrice) coincide con il soggetto consapevole, capace di conoscere, di prendere iniziative nei confronti della realtà esterna e di riflettere su se stesso. Agisce attraverso tre modalità: continuità sentimento di identità distinzione sentimento di individualità volizione sentimento di partecipare attivamente alla propria esperienza il Me (parte passiva, rappresentata dall’accumulo di conoscenze ed esperienza) è quello che l’Io conosce del Sé (= quello che vedo di me, percepisco di me, il modo in cui mi vedo): contiene le caratteristiche materiali (come il soggetto vede il suo corpo e le altre cose possedute), quelle sociali (come il soggetto si vede nel rapporto con gli altri) e quelle spirituali (il sapersi capace di riflessione e pensiero). Queste caratteristiche sono organizzate in una struttura gerarchica: il Me corporeo è in fondo alla gerarchia, i vari Me extracorporei e sociali al centro e il Me spirituale alla sommità. Le relazioni sociali hanno un ruolo importantissimo nella definizione del Sé: specie nella componente del Me sociale. Il Me sociale viene percepito dal soggetto attraverso “l’opinione del club”, cioè del gruppo di persone significative per lui, e si regola sulla base delle opinioni degli altri, apprezzati o no. Qualche anno dopo, Cooley (1908) ha introdotto il concetto di Sé rispecchiato (looking glass self): comprendiamo quel che siamo in base al modo in cui gli altri ci percepiscono ed elaborano un’idea su di noi. Mead (1934) Filosofo comportamentista e sociologo, ipotizza che il Sé non esiste alla (1934) nascita, perché per il suo emergere sono necessarie due condizioni: la capacità di produrre e rispondere a simboli (simbolizzazione) la capacità di assumere gli atteggiamenti degli altri Solo quando un individuo può riferirsi con i simboli (e dunque con il linguaggio) agli oggetti del proprio mondo, può riconoscere e definire anche il Sé (vedi l’uso dei pronomi: io, me, il mio) Il linguaggio è lo strumento che permette di partecipare agli atti sociali. 2 Prima di acquisire capacità linguistiche complete, il linguaggio è conversazione di gesti, scambio coordinato di azioni: in questa fase i gesti sono simbolici (= indicano dei significati). Quando l’individuo usa intenzionalmente i simboli ha acquisito la mente, la capacità di controllare il proprio gesto per comunicare. Per Mead la mente è sociale, perchè nasce dall’interazione, dalla comunicazione con gli altri e dalla capacità di immedesimarsi con gli altri, guardando se stessi da quel punto di vista (divenire oggetto a se stesso, nel processo di assunzione dei ruoli altrui e della prospettiva altrui): il bambino osserva il comportamento degli altri nei suoi confronti e comprende chi è. Questa coscienza di sé avviene in due stadi successivi: fase del gioco semplice (play) il bambino progressivamente assume i ruoli delle persone e degli animali che fanno parte della sua vita: gioca a fare la mamma, la maestra, il dottore, ecc., cominciando a divenire oggetto a se stesso e costruendosi dei Sé parziali fase del gioco organizzato (game) il bambino impara ad assumere contemporaneamente i ruoli di tutti gli altri coinvolti nell’attività comune, gli atteggiamenti del gruppo. In questo modo si costruisce l’Altro generalizzato, cioè l’intera gamma dei ruoli del gruppo sociale organizzato. Questo gli permette di costruire l’unità del suo Sé. Assumendo l’universalità dei ruoli e comunicando questa esperienza, il bambino acquisisce la sicurezza che il mondo ha la stessa apparenza anche per gli altri e può così distinguere e trascendere la sua esperienza personale. Gli atteggiamenti degli altri interiorizzati e la struttura sociale costituiscono il Me L’Io è invece il principio dell’azione, che permette all’individuo di agire creativamente sulla società operando dei cambiamenti: in genere limitati, ma dirompenti nel caso di individui geniali o leader. Il Sé emerge dall’interazione tra Io e Me: i processi di scambio tra queste due realtà sono equivalenti a quelli tra l’individuo e gli altri. In pratica, la manifestazione del Sé implica sempre la presenza di un “altro”; il Sé è perciò una costruzione sociale. Dato che il Me è un riflesso della società, su di esso confluiscono aspettative sociali complesse. Per questo motivo il rapporto tra Me e Io produce azioni che sono il risultato di spinte contraddittorie tra conformismo e innovazione. L’IO e il SE’ nella prospettiva gestaltista (approccio olistico) ASCH (1952) L’Io (Io reale) è un’individualità distinta, un’organizzazione di dati che appartengono all’organismo come distinto dall’ambiente e necessari per rapportarsi all’ambiente. Il Sé è l’Io fenomenico: comprende gli aspetti fisici e psichici di se stessi di cui si ha coscienza e l’insieme dei vissuti e delle qualità che si percepiscono relativi a se stessi e che si segregano (= distinguono) nel campo percettivo globale. Il Sé (Io fenomenico) va distinto dall’Io (Io reale) come il mondo fenomenico va distinto da quello fisico. L’Io transfenomenico (= l’Io nella sua completezza) è quindi più ampio del Sé. 3 Ma il Sé è unico ed originale, perché è contemporaneamente oggetto e soggetto dell’esperienza: L’Io può rivolgersi a se stesso come a un Tu ed essere nei suoi confronti amichevole o critico. Di conseguenza ciascuno elabora un Sé ideale che corrisponde a come vorrebbe essere ai propri occhi e a quelli del mondo. L’azione sociale (= il rapporto con il mondo fisico e con gli altri) precede il Sé e fornisce il materiale per esso. Affacciandosi nel mondo in modo attivo, il bambino esprime i propri bisogni e desideri e, a seconda delle risposte che riceve, sperimenterà sentimenti di gratificazione, fiducia, amore o rabbia, e aggressività. Questi sentimenti sono in riferimento sia a sé che agli altri: e gli altri si rivolgono al bambino come ad un essere pensante e cosciente. Dato che percepisce di avere un’esistenza per gli altri, cioè di essere oggettivo per gli altri, il bambino diventa oggettivo per se stesso. Inoltre, nel rapporto con le altre persone l’individuo diventa cosciente della sua specificità, cioè di quanto è diverso dagli altri. (Impostazione interazionista di Asch) In sintesi: mentre James e Mead distinguono due componenti del Sé, ossia Io e Me, i gestaltisti considerano il Sé come io fenomenico distinto dall'Io transfenomenico Koffka: Il sistema permanente dell’Io: l’Io deve sempre essere considerato nel contesto dell’ (1935) ambiente fisico e sociale in cui è inserito. Questo contesto cambia continuamente: l’Io risente dei cambiamenti ma non ne è cambiato necessariamente. Mantiene un proprio equilibrio. Koffka si rifà ad una tesi di Lewin: il comportamento è funzione contemporanea della persona e dell’ambiente C = f (P A) (Lewin 1935) Lewin (1926): Ogni volta che l’individuo è motivato a raggiungere uno scopo, il suo apparato psichico entra in uno stato di tensione che si risolve solo quando l’obiettivo viene raggiunto. Questi processi motivazionali non sono isolati tra loro, perché l’apparato mentale è un’entità attiva continuamente motivata a raggiungere obiettivi di adattamento e di realizzazione. Lo stato di tensione relativo ad un’intenzione specifica non riguarda l’Io nella sua totalità, ma solo una parte di esso: uno o più sottosistemi. Infatti l’Io è un sistema costituito da una molteplicità di sottosistemi organizzati tra loro ma relativamente indipendenti, perché dotati di confini più o meno fluidi. Bluma Zeigarnick: le sue ricerche hanno permesso di validare le tesi di Lewin. L’effetto (1928) Zeigarnick è la dimostrazione che le attività non completate si ricordano in modo migliore di quelle completate. L’esperimento condotto dalla Zeigarnick prevedeva una serie di compiti da eseguire affidati ai soggetti, alcuni dei quali venivano lasciati ultimare mentre altri erano interrotti dallo sperimentatore, che invitava a passare al compito successivo. Al termine della prova, quando veniva chiesto agli attori sociali di elencare le attività svolte, quelle interrotte erano ricordate meglio: prova che gli stati di tensione per i compiti incompleti permangono nei sottosistemi mentali. 4 L’Io è il centro del mondo? Gestalt Comportamentismo (Asch) L’esperienza umana non è tutta I bisogni a cui ogni organismo necessariamente legata all’Io: tenta di rispondere sono sempre anche se tutte le nostre riferiti all’organismo stesso e esperienze dipendono dalla l’ambiente non è che una massa nostra struttura neuropsicologica, di materiali e mezzi per non tutte si riferiscono a noi che soddisfare tali bisogni. le viviamo. La conoscenza del mondo è la Noi non confondiamo il nostro reazione dell’individuo ad uno campo percettivo con noi stimolo stessi. Anche le motivazioni ad agire non sono finalizzate solo al piacere. La questione è affrontata dagli studiosi della Gestalt in polemica con le tesi comportamentiste. 2. Forme molteplici di conoscenza del Sé Ancora Lewin (1935) Il Sé (Io fenomenico) mostra confini variabili: gli oggetti o le persone possono essere percepiti come “prolungamenti del Sé”. 5 Orientamento interazionista Si ispira a James e Mead e non affronta lo studio delle forme di conoscenza del Sé: il Sé è un prodotto mentale continuamente rielaborato nel rapporto con gli altri . Impostazione cognitivista: In questo ambito la psicologia dello sviluppo e la psicologia sociale hanno approfondito le ricerche sul tema, ispirandosi sia a James e Mead (tesi pragmatiste) sia alle riflessioni gestaltiste. Neisser (1988), uno dei padri fondatori del cognitivismo, presenta cinque tipi di conoscenza di sé: 1. il Sé ecologico è in relazione a come il Sé è percepito in rapporto all’ambiente fisico: io sono la persona che è qui, in questo luogo, impegnato in questa particolare attività. Ha origine dalla percezione che ogni individuo ha delle parti che può vedere del proprio organismo posto fra altri oggetti dello spazio percettivo. Il Sé ecologico compare verso i 3 mesi di età, epoca in cui il bambino arriva a percepire il mondo come costituito di oggetti distinti, solidi e permanenti di cui il proprio Sé è uno, come lo percepiscono gli adulti. La percezione ecologica di Sé è cosciente, ma non di immediata consapevolezza: si sviluppa con l’aumento dell’età e delle competenze. Gli aspetti del Sé ecologico sono quindi definiti da due fattori: l’esistenza di un corpo articolato e controllabile, specificata dalla percezione visiva (la più importante: infatti i bambini ciechi dalla nascita sviluppano più lentamente il senso del sé ed usano tardivamente i pronomi “Io” e “Tu” Fraiberg 1977) dalla percezione motoria e da ciò che l’individuo sente di sé. l’esistenza di una entità che percepisce, definita soprattutto dalla percezione visiva, ma anche da tatto e udito. Importante: il Sé ecologico non sempre coincide con il corpo. Ne fanno parte gli abiti, ad esempio: la scarpa che calcia la palla sono sempre io, e così pure la giacca che indosso, su cui un amico appoggia la sua mano. Tutti gli oggetti che si muovono con il punto di osservazione possono diventare componenti del Sé ecologico, anche l’automobile. E’ per questo che in caso di incidente si può dire “mi è venuto contro”. 2. il Sé interpersonale Viene riconosciuto grazie a segnali specie-specifici riguardanti rapporti emozionali e comunicativi. E’ il Sé coinvolto in un’interazione immediata con gli altri. Come il Sé ecologico si origina nella prima infanzia, e compare quando il bambino è in grado di percepire lo svolgersi di una relazione intersoggettiva con la madre. Le informazioni che riguardano il Sé interpersonale sono principalmente cinetiche. Quando natura, ritmo, direzione e intensità della nostra azione si incontrano con qualità appropriate dell’azione altrui, si crea intersoggettività. Chi vi è coinvolto (ma a volte anche osservatori esterni) percepisce la reciprocità dei comportamenti: vede e sente 6 come interattive le risposte dell’altro e in questa corrispondenza specifica il proprio Sé interpersonale. L’intersoggettività non si basa sulla reciprocità degli stati mentali, che possono venire attribuiti più o meno accuratamente. Si fonda sulla percezione diretta e non su un processo cognitivo. Gli studi di Trevarthen (1983) e di Murray e Trevarthen (1985) sui bambini di 2-3 mesi mostrano che madre e figlio interagiscono (= si rispondono reciprocamente) sia nell’azione che nei sentimenti in modo immediato e coerente: il risultato è un’azione coordinata e partecipata in cui entrambi si divertono. La consapevolezza del Sé interpersonale è strettamente connessa a quella del Sé ecologico e per questo è difficile sperimentarli distinti: ad esempio, solo nel caso di contatto interpersonale intenso e intimo (ad es. fra amanti) l’attenzione è talmente centrata sull’esperienza intersoggettiva che nessuno dei due coglie le informazioni riferite al Sé ecologico. Ma la percezione interpersonale si accompagna ben presto, nel bambino, ad altre forme di conoscenza: egli impara che gli altri non interagiscono soltanto, ma hanno credenze, intenzioni e sentimenti propri. Tra i 2 e i 4 anni acquisisce una teoria della mente (Wellman 1985; Leslie 1987) 3. il Sé esteso E’ il Sé com’era nel passato e come ce lo aspettiamo nel futuro, dunque è basato su ricordi del passato e anticipazioni per il futuro. Non tutti i ricordi riguardano il Sé esteso: la cosiddetta memoria procedurale (= il “sapere come si fa”) è indipendente dalla memoria delle esperienze personali: ad esempio, in caso di amnesia si possono recuperare competenze motorie anche maggiori di quelle possedute precedentemente, ma non è possibile ritrovare il ricordo delle proprie esperienze passate in relazione a quelle competenze (Parkin 1982). L’amnesia è per eccellenza una patologia del Sé esteso. A tre anni il Sé esteso è già attivo: il bambino ricorda come si svolgono molte delle routine familiari (alzarsi, fare colazione, uscire, ecc.). Esso diventa sempre più importante crescendo. Il ricordo e il racconto delle esperienze passate è fondamentale per esprimere la nostra specificità. Ma dal momento che la memoria è soprattutto ricostruttiva, i ricordi dipendono non solo da quanto abbiamo immagazzinato ma anche da quel che crediamo nel momento presente: dunque il Sé esteso è correlato al Sé concettuale. Infatti scegliamo di ricordare ciò che corrisponde alle nostre teorie su noi stessi. 4. il Sé concettuale (o concetto di Sé) Comprende assunzioni e teorie concernenti il corpo, i ruoli sociali e i tratti individuali significativi dell'individuo. E’ un concetto, dunque si basa sulla rete di teorie in cui è inserito e sulle sub-teorie che lo compongono: alcune di esse riguardano i ruoli sociali (che cosa implica per me essere marito, padre, ecc.), altre riguardano entità interne più o meno ipotetiche (l’anima, la mente, l’inconscio, ecc), altre ancora dimensioni differenziali significative (intelligenza, ricchezza, ecc). C’è una grande varietà in quel che si crede e non tutto è vero: ma ognuno ha un concetto di sé come persona particolare in un mondo sociale. In ogni cultura vi sono concetti di sé specifici, ma all’interno della stessa cultura ognuno definisce in modo diverso il proprio concetto di sé, pur con limitate variabili. Il concetto di sé influenza il comportamento: ad esempio, le credenze dei bambini sulla propria intelligenza influisce sul rendimento scolastico (Dweck 1986) 7 Il Sé concettuale si distingue dagli altri quattro aspetti del Sé perché si costruisce soprattutto su idee elaborate nel sociale ed espresse verbalmente: e inoltre, in questo aspetto del Sé sono rappresentati anche gli altri quattro, perché nella teoria del Sé rientrano anche le nostre idee sul corpo (Sé ecologico), la comunicazione con gli altri (Sé interpersonale), i nostri ricordi e le previsioni (Sé esteso) e infine il significato dei nostri pensieri e sentimenti. 3. il Sé privato Si manifesta quando il bambino si accorge che certe esperienze sono esclusivamente sue (circa 4 anni e mezzo): solo lui può provare quel particolare sentimento (gioia, paura, dolore, ecc.). Abbiamo esperienze private, ma le possiamo ricordare (arricchendo il Sé esteso) e rivivere interiormente (in modo indipendente dal Sé ecologico e dal Sé interpersonale). Nel Sé privato sono comprese anche le esperienze soggettive particolari descritte da scrittori e filosofi esistenzialisti. Le conclusioni di Neisser: Come possiamo sperimentarci come individui unici e coerenti se esistono cinque aspetti del Sé? Essi sono strettamente interconnessi e spesso impegnati nelle stesse attività: Sé ecologico + Sé interpersonale + Sé privato Sé esteso (raccoglie tutti i ricordi) Sé concettuale (coordina tutti gli altri) Ognuno di essi viene caricato di valore (valued): infatti le persone fanno il possibile non solo per salvare la propria vita, ma anche per salvaguardare le proprie relazioni, i propri ricordi e progetti per il domani, e l’integrità del Sé definito culturalmente che hanno adottato. Ecco perché il Sé diviene un oggetto privilegiato nell’esperienza quotidiana di ognuno. 3. La prospettiva della SOCIAL COGNITION Il Sé è concepito come una struttura cognitiva che organizza in memoria tutte le informazioni riguardanti la rappresentazione mentale dei propri attributi, ruoli, esperienze passate e prospettive future. Anche la social cognition riconosce vari componenti nel concetto di Sé. Kihlstrom e Cantor (1984) sostengono che in tale rappresentazione di sé entrano diverse concezioni parziali, specifiche per i diversi contesti in cui l’individuo è inserito. Ad esempio, una persona può avere in ambiente lavorativo un’immagine di sé come lavoratore dipendente senza spirito d’iniziativa, e in ambito ludico può avere di sé l’immagine di uno sportivo impegnato e pieno di entusiasmo (vedi concetto di Sé operativo). Markus (1977): il concetto di Sé è costituito da un insieme di schemi di sé (positivi e neg.) 8 Lo schema di sé è una struttura affettivo-cognitiva che si costituisce quando l’individuo usa una dimensione specifica per descriversi in un determinato contesto e rappresenta l’esperienza in quell’ambito. Grazie allo schema di sé, la persona può recuperare rapidamente dalla memoria le informazioni relative ed orientare il proprio comportamento. Come le altre strutture cognitive, lo schema di sé è caratterizzato da disponibilità (effettiva presenza dello schema in memoria) e da accessibilità (rapidità di recupero dello schema). Le dimensioni dello schema di sé sono diverse da persona a persona, perché i vari tratti considerati possono essere rilevanti per alcuni e irrilevanti per altri. Tali schemi non sono sempre positivi (ognuno ha precise concezioni anche dei suoi lati negativi) e sono difficilmente modificabili, cosa funzionale al proprio sentimento di identità (non basta non aver pagato una volta un biglietto dell’autobus per mettere in crisi il proprio schema di persona onesta). Gli schemi di sé aiutano anche ad elaborare altri generi di informazioni, specie quelle che riguardano gli altri: ad esempio ricordiamo meglio un numero di telefono se possiamo ricondurlo a dati che ci riguardano in prima persona (la nostra data di nascita, la nostra età). Altre caratteristiche: 1. Gli schemi di sé sono più ricchi e più immediatamente accessibili in memoria rispetto agli schemi degli altri: questo effetto si attenua per le persone familiari (Prentice 1990) 2. la conoscenza di sé è memorizzata soprattutto in forma verbale, quella degli altri prevalentemente in forma visiva; la conoscenza di sé è organizzata intorno a stati interni, quella degli altri intorno a caratteristiche osservabili (conseguenza del tipo di esperienza che possiamo fare con noi stessi e con gli altri) 3. la conoscenza di sé è più intensa sul piano emotivo 4. le informazioni su di sé vengono utilizzate anche per elaborare informazioni sugli altri (fungono da quadri interpretativi): quando si possiede un determinato schema di sé, si è in grado di dare rapidamente analoghe descrizioni anche degli altri. Il Sé operativo La social cognition ha studiato le funzioni regolatrici del Sé, il modo in cui ci si riferisce al proprio Sé per controllare e dirigere le proprie azioni (Markus e Wurf 1987). Esperimento di Markus e Kunda (1986) Due situazioni sperimentali in cui i soggetti erano indotti a sentirsi unici e originali oppure del tutto simili agli altri presenti. Veniva quindi chiesto ai soggetti di entrambi i gruppi di completare diverse prove di autodescrizione: ciò veniva fatto usando gli stessi termini, ma variava il tempo di latenza nelle risposte e il giudizio di somiglianza con il gruppo di riferimento. I soggetti “unici” tendevano a valorizzare concezioni di sé come “uguali agli altri” e, viceversa, quelli “simili” mettevano in risalto la propria originalità. Conclusione: le persone calibrano la loro immagine di sé secondo la pressione sociale. Il sé ha un certo grado di 9 Non tutta la conoscenza di sé è sempre accessibile: lo è un sottoinsieme di informazioni, attivato secondo la situazione contingente il Sé operativo o working-self. Altri elementi della funzione regolatrice del Sé Sentimento di efficacia del Sé: L’aspettativa di essere in grado di affrontare e superare certi compiti. Bandura (1986) sostiene che l’attore sociale vi si impegna quando pensa di poterlo fare con successo e quanto più si sentirà efficace tanto più si sforzerà e sarà tenace. Chi invece si sentirà inadeguato, ben presto abbandonerà l’impresa: ma il suo stesso atteggiamento prepara l’insuccesso. Il sentimento di efficacia del Sé è dunque la condizione per promuovere un comportamento finalizzato al superamento degli ostacoli. Compiti vitali: Sono i problemi cruciali sui quali una persona si impegna in un momento particolare della sua vita (Cantor e Kihlstrom 1985): sono generati dalla conoscenza del Sé, comprese abilità, valori e preferenze. Presentazione di Sé: Per dare una buona impressione di sé, le persone controllano il proprio comportamento in modo che sia appropriato al contesto e conforme alle norme situazionali implicite. Goffman (1959) ha studiato la presentazione di sé facendo riferimento alla metafora del teatro: nella vita quotidiana le persone si comportano come attori sul palcoscenico, selezionando cosa mostrare agli altri e cosa nascondere dietro le quinte. 10 Self-handicapping: Per evitare di non riuscire in un particolare compito perdendo la stima di se stesse, le persone possono arrivare a crearsi un handicap che “copra” l’insuccesso o il rifiuto ad impegnarsi, con un’attribuzione meno minacciosa per il proprio Sé. Jones e Berglas (1978) spiegano in questo modo il consumo di alcool e droga. Chiaramente, se la tattica difensiva del self-handicapping è utilizzata abitualmente le conseguenze negative a lungo termine possono farsi pesanti, anche in termini di giudizi svalutativi. Sé possibili e discrepanze del Sé Nel concetto di Sé sono comprese anche immagini ipotetiche di se stesso, che si desidera realizzare o evitare. Altre possono essere immagini corrispondenti alle attese della famiglia. Secondo le ricercatrici Markus e Nurius (1986) i Sé possibili rappresentano le idee degli individui circa quello che possono diventare, che vorrebbero diventare e che temono di diventare. Funzionano come incentivi per il comportamento rivolto al futuro e sono componenti cognitivi di speranze, paure e scopi. In genere il contenuto dei Sé possibili è positivo e risente dell’effetto detto di ottimismo irrealistico (Weinstein 1980), cioè la tendenza a sottostimare la probabilità che capitino proprio a noi gli eventi negativi pur tanto frequenti. Questa distorsione sistematica è spiegata in termini motivazionali come risposta al bisogno di ridurre l’ansia del rischio e mantenere un buon livello di autostima illudendosi di poter controllare gli eventi (Weinsten e Klein 1996). Le interpretazioni cognitiviste, invece, fanno riferimento all’euristica della disponibilità: se si deve formulare la stima di probabilità di un evento futuro, ci si richiama alle proprie esperienze passate e dunque si sottostimano le eventualità sfavorevoli. In effetti le ricerche mostrano che il grado di ottimismo irrealistico si abbassa in chi ha già subito esperienze negative. Secondo Higgins (1987) l’individuo ha una rappresentazione di come è (Sé reale) di come gli piacerebbe essere (Sé ideale) e di come dovrebbe essere (Sé normativo) E’ evidente che esistano delle discrepanze tra questi diversi stati del Sé, e ogni discrepanza provoca un coinvolgimento emotivo più o meno rilevante. discrepanza tra Sé reale e Sé ideale emozioni connotate da scoraggiamento, tristezza e delusione discrepanza tra Sé reale e Sé normativo paura e ansia A volte questo stato cognitivo-emotivo spinge a mettere in atto azioni costruttive per ridurre la discrepanza. Higgins (1989) ha anche considerato come il soggetto può valutare il rapporto futuro tra Sé reale e Sé ideale o normativo, evidenziando che alcuni pensano di riuscire a superare queste discrepanze, in realtà senza avere successo (risultato: un’esperienza di tipo depressivo caratterizzata da senso di affaticamento e svogliatezza), mentre altri pensano che, malgrado l’impegno, non vi riusciranno mai (risultato: risposta depressiva caratterizzata da bassa autostima e demoralizzazione).
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