Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Economia e Finanza Tesi di Laurea Il Risk Appetite Framework: l’impatto sull’organizzazione della banca Relatore Ch. Prof. Antonio Proto Laureanda Enrica Marianna Flora Matricola 824104 Anno Accademico 2014 / 2015 INDICE INTRODUZIONE p. 5 CAPITOLO 1: L’IMPATTO DELLA CRISI SULLE BANCHE p. 9 1.1 La crisi del 2007-2008 p. 9 1.2 Le debolezze nella struttura organizzativa delle banche p. 12 1.3 L’intervento dell’EBA: linee guida per l’internal governance p. 17 CAPITOLO 2: LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE BANCHE p. 27 2.1 La corporate governance p. 27 2.2 La corporate governance nelle banche p. 31 2.2.1 La disciplina sovranazionale p. 32 2.2.2 La normativa italiana p. 36 2.2.3 I possibili effetti delle nuove disposizioni p. 44 2.3 Il Sistema di Controlli Interni p. 48 CAPITOLO 3: IL RISK APPETITE FRAMEWORK p. 59 3.1 Gli aspetti innovativi introdotti dal RAF p. 59 3.2 Le disposizioni normative p. 62 3.3 I requisiti per lo sviluppo del RAF p. 71 3.4 I modelli operativi per l’implementazione del RAF p. 77 CAPITOLO 4: IL CASO UNICREDIT p. 89 4.1 Il RAF nel Gruppo Unicredit p. 89 4.2 Descrizione degli indicatori e della metodologia adottata p. 98 3 4.3 Applicazione del modello e analisi dei risultati p. 104 4.4 Il confronto con il risk appetite di altri due gruppi italiani p. 115 CONCLUSIONI p. 127 APPENDICE A: Gruppo Intesa San Paolo: dati 2011-2014 p. 133 APPENDICE B: Gruppo Monte dei Paschi di Siena: dati 2011-2014 p. 139 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA p. 145 4 INTRODUZIONE La Banca d’Italia ha provveduto, con il 15° aggiornamento della Circolare n. 263 del 2 luglio 2013, a ridefinire le previsioni relative al Sistema dei Controlli Interni (SCI), nonché le disposizioni in merito al sistema informativo e alla continuità operativa. Una delle principali innovazioni è rappresentata dal Risk Appetite Framework (RAF), ovvero dal sistema degli obiettivi di rischio. Si tratta di un processo volto a rafforzare l’assunzione e la gestione dei rischi della banca, garantendo l’allineamento con la strategia e con le aspettative degli stakeholder. Ne deriva un sistema che mira a ridefinire i ruoli e le responsabilità delle funzioni aziendali, al fine di riconoscere la centralità del governo dei rischi in banca. Nel primo capitolo si descrivono i fattori macroeconomici e microeconomici rilevati durante la crisi finanziaria sviluppatasi a partire dal 2007. In particolare, si evidenzia la sottovalutazione dei rischi relativi ai nuovi prodotti della finanza strutturata da parte delle banche. Inoltre, l’intensità del fenomeno ha rivelato le debolezze interne riconducibili all’operato dei vertici aziendali e delle funzioni presenti nella struttura organizzativa bancaria. In merito, l’European Banking Authority è intervenuta attraverso la definizione di una serie di linee guida volte a rendere maggiormente efficace l’internal governance delle banche. Il secondo capitolo analizza la corporate governance in un’ottica economico- aziendale, delineando, dal punto di vista operativo, i modelli organizzativi all’interno dell’impresa. L’analisi prosegue valutando se la corporate governance possa influenzare o meno le performance aziendali. Si procede alla descrizione dei principi sovranazionali di corporate governance definiti dal Comitato di Basilea, che ha consentito alla Banca d’Italia di definire i principali elementi che costituiscono la corporate governance bancaria, suddividendoli in governo societario, sistema di remunerazione e incentivazione e Sistema dei Controlli 5 Interni. Relativamente al governo societario si descrivono i principi introdotti dal 1° aggiornamento della Circolare n°285 che disciplinano: l’organo con funzioni di supervisione strategica, i comitati endo-consiliari, le banche popolari e il processo di autovalutazione degli organi. In merito, si approfondirà il tema valutando la situazione attuale delle banche e ciò che ne deriva in termini di benefici e costi per effetto delle nuove disposizioni del governo societario. Il 7° aggiornamento della Circolare n°285 descrive la politica e le prassi di remunerazione, ridefinendo la struttura del sistema dei compensi spettanti ai manager bancari; in particolare, si determina un legame tra i risultati ottenuti dal business e i bonus riconosciuti ai membri delle funzioni coinvolte nella gestione dei rischi. Infine si descrivono i nuovi aspetti del Sistema dei Controlli Interni; in particolare si evidenzia il rafforzamento delle funzioni assegnate agli organi di controllo, tali da rendere efficace la valutazione dell’operatività bancaria e la gestione dei rischi assunti. Nel terzo capitolo è illustrato il Risk Appetite Framework, per il quale le prassi internazionali hanno individuato i principali aspetti che lo caratterizzano, ovvero l’adeguatezza alla struttura bancaria di riferimento, la gestione del complesso di rischi derivanti dal business bancario, la discrezionalità nella definizione e nelle modalità di valutazione della propensione al rischio, nonché l’integrità nel coinvolgere sia i vertici, sia le funzioni aziendali. Il contributo normativo deriva principalmente dalle linee guida definite dal Financial Stability Board, nonché dal successivo recepimento nella regolamentazione domestica. La disciplina descrive principalmente i ruoli e le responsabilità delle funzioni coinvolte nel framework, nonché le diverse componenti da considerare per l’individuazione della propensione al rischio della banca. Allo scopo di rendere efficiente l’implementazione del RAF, la banca è tenuta a sviluppare e consolidare un insieme di requisiti, quali la risk culture, un sistema di reportistica e di information technology, oltre ai principi di collaborazione e di comunicazione, che devono contraddistinguere i rapporti delle funzioni coinvolte nella struttura 6 organizzativa bancaria. Relativamente all’operatività del RAF, si descrivono dei modelli individuati dalle best practice, che consentono di delineare concretamente un sistema rivolto alla determinazione della propensione al rischio e al successivo monitoraggio e ridefinizione del profilo per i rischi effettivamente assunti e derivanti dal business bancario. Analizzando tali modelli, nonché le rispettive componenti, si presenta un possibile prospetto volto ad assicurare la gestione delle diverse dimensioni in cui può essere articolato il framework. Nell’ultimo capitolo si esamina il RAF del Gruppo Unicredit. In particolare, si descrivono gli aspetti fondamentali che lo caratterizzano e le modalità operative prescelte per la sua concreta applicazione. In quest’ultimo caso, si elaboreranno i dati storici dei bilanci pubblici del gruppo e, da alcune ipotesi di base, si articolerà il prospetto degli obiettivi di rischio, considerando le diverse dimensioni individuate dal gruppo al fine di ottenere un approccio complessivo, volto a garantire la continuità del business, il mantenimento di una posizione competitiva nel mercato e la realizzazione degli interessi degli stakeholder. Data la disponibilità dei dati di bilancio e la possibilità di confrontare il prospetto di risk appetite con altre realtà bancarie, si adottano i medesimi indicatori al fine di comparare i risultati ottenuti da Unicredit Group nel biennio 2013-2014 con quelli derivanti dall’elaborazione dei dati di Gruppo Intesa San Paolo e Gruppo Monte dei Paschi di Siena. 7 8 CAPITOLO 1 L’IMPATTO DELLA CRISI SULLE BANCHE 1.1 La crisi del 2007 – 2008 I fattori da cui origina la crisi presentano una duplice natura: macroeconomica e microeconomica1. Analizzando il profilo macroeconomico, si individuano due aspetti principali: la presenza di squilibri internazionali e un lungo periodo caratterizzato da bassi tassi di interesse reali. Relativamente alla prima causa, si è verificato un ingente trasferimento di flussi di capitali dalle economie emergenti alle economie industriali, in particolare verso gli Stati Uniti. A tale situazione, si è associato un incremento del tasso di risparmio nei mercati emergenti e, viceversa, una diminuzione dello stesso nei mercati statunitensi. Le ragioni possono essere ricondotte all’aspirazione da parte dei paesi emergenti, in forte espansione economica, di incrementare la diversificazione internazionale dei propri investimenti, nonché di acquisire attività liquide a basso rischio2. Oltre all’abbondante liquidità verso le economie industriali, negli Stati Uniti si sono verificati lunghi periodi di bassi tassi d’interesse reali3: ciò ha influenzato 1 Cfr. Bank for International Settlements, Annul Report, n° 79, 2009, pagg. 4-12. 2 Cfr. Bank for International Settlements, Annual Report, op. cit., p. 5. 3 In merito, si sottolinea che negli Stati Uniti il tasso reale dei federal fund si collocò al di sotto dell’1% tra la metà del 2001 e la fine del 2005, assumendo con frequenza valori negativi. Nello stesso periodo, anche nell’area euro, la BCE fissò i tassi di interesse reali a livelli inferiori all’1%. 9 significativamente i tassi di cambio del dollaro, impattando sulle condizioni dei mercati finanziari internazionali4. Le condizioni suddette hanno spinto le banche e gli altri intermediari a incrementare l’offerta di credito. Ciò ha incoraggiato le famiglie a una maggiore domanda di prestiti, principalmente con la finalità di acquisto di abitazioni: ne derivò un boom dei prezzi degli immobili residenziali. Questa fase di aumento eccessivo nei prezzi degli immobili si è arrestata quando negli Stati Uniti i tassi di interesse iniziarono a salire, evidenziando l’incapacità delle famiglie di rimborsare i prestiti precedentemente accordati. Dal punto di vista microeconomico, i fattori individuabili consistono in: distorsioni negli incentivi degli investitori, dei manager e delle agenzie di rating; difficoltà nella misurazione dei rischi da parte degli intermediari finanziari; lacune nella regolamentazione. In primo luogo, si è evidenziata la tendenza degli investitori ad agire nel comparto finanziario con troppa sicurezza e facilità, confidando nell’azione dell’ Autorità di Vigilanza qualora si manifestassero situazioni di anomalia o di difficoltà. Gli investitori non hanno agito con cautela, dando eccessiva fiducia a un sistema che si è rivelato complesso e opaco. Le distorsioni negli incentivi dei manager sono dovute alla situazione di indebitamento creatasi per aumentare i rendimenti del capitale, al fine di soddisfare maggiormente gli interessi degli azionisti5. Le agenzie di rating, inoltre, non hanno svolto efficientemente la loro 4 Questo avvenne perché il dollaro è la valuta di riferimento nei regimi di cambio fissi o quasi fissi, nonché i contratti internazionali sono frequentemente denominati in dollari. 5 Inoltre si sottolinea la correlazione positiva tra il sistema di remunerazione del settore finanziario e l’assunzione di rischi maggiori. Per ulteriori informazioni, si veda, K. Sharma, Financial sector compensation and excess risk-taking-a consideration of the issues and policy lessons, Department of Economic and Social Affairs working paper n.115, April 2012. 10
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