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Il potere del silenzio PDF

180 Pages·2016·0.85 MB·Italian
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CARLOS CASTANEDA. IL POTERE DEL SILENZIO. COPERTINA. Nel paesaggio allucinato e selvaggio di un Messico antico e immutabile, fra le reminiscenze delle civiltà autoctone più remote, si placa il rumore della vita quotidiana, si dissolvono le preoccupazioni, gli affanni, le paure: si afferma quindi, per regnare incontrastato, il silenzio interiore. Diviene così possibile attingere ad arcane energie, forze recondite dello spirito che la razionalità del moderno mondo occidentale ha soffocato, dimenticato, perduto. Solo il nagual, lo sciamano, è in grado di dispiegare e controllare questi misteriosi poteri di compiere incredibili esperienze, condividendole con colui che ha scelto come apprendista. Può apparire contemporaneamente in luoghi diversi, trasformarsi in qualsiasi animale, ritardare la propria morte e quella altrui... E' don Juan, protagonista ancora una volta del nuovo ~capitolo" della grandiosa saga narrativa di Castaneda. Carlos Castaneda è autore di «A scuola dallo stregone» (1968), «Una realtà separata» (1971), «Viaggio a Ixtlan» (1972), «L'isola del Tonal» (1975), «Il secondo anello del potere» (1978), «Il dono dell'Aquila» (1983), «Il fuoco dal profondo» (1985), e «L'arte di sognare» (1993). Vive in Messico e in Arizona. Prefazione I miei libri sono il resoconto veritiero del metodo d'insegnamento adottato da don Juan Matus, uno sciamano indio del Messico, per aiutarmi a comprendere il mondo della magia. In questo senso, i miei libri sono il resoconto di un processo inSiert, che per me diventa sempre più chiaro con lo scorrer del tempo. Ci vogliono anni di esercizio per apprendere a muoverci con intelligenza nel mondo della vita di ogni giorno. Il nostro insegnamento - sia di semplici argomentazioni, sia di soggetti formali - é rigoroso perché la conoscenza che cerchiamo di impartire è molto complessa. Gli stessi criteri si applicano nel mondo degli stregoni: la loro scuola, che si fonda su insegnamenti orali e manipolazioni della consapevolezza, benché diversa dalla nostra, è altrettanto rigorosa perché la loro conoscenza è altrettanto - se non più complessa. Introduzione In diverse occasioni don Juan tentò di dare un nome alla sua conoscenza, a mio beneficio. A suo parere il termine più adatto era nagualismo, anche se un po' oscuro. Dire semplicemente «conoscenza» rendeva tutto troppo vago, e chiamarla "negromanzia~ era spregiativo. «La padronanza dell'intento» era troppo astratto e «la ricerca della libertà totale» troppo lungo e metaforico. Alla fine, non riuscendo a trovare un lemma più appropriato, la chiamò ~magia~, pur ammettendo una certa inaccuratezza. Nel corso degli anni egli mi aveva fornito varie definizioni della magia, ma aveva sostenuto che le definizioni cambiano con il crescere della conoscenza. Verso la fine del mio apprendistato, mi sentii in grado di apprezzare una definizione più chiara, così gli posi la domanda ancora una volta. «Dal punto di vista dell'uomo comune» disse don Juan «la magia è un insieme di sciocchezze, oppure uno spaventoso mistero che travalica la sua comprensione. E qui non sbaglia - non perché sia una verità assoluta, ma perché l'uomo comune non ha l'energia sufficiente per trattare con la magia.» Fece un attimo di pausa, prima di continuare. «Gli esseri umani nascono con una quantità di energia limitata,» proseguì don Juan «un'energia spiegata sistematicamente a partire dal momento della nascita, in modo da essere usata con il maggior vantaggio dalla modalità del tempo.» «Cosa intendi per «modalità del tempo»?» chiesi io. «La modalità del tempo è il fascio preciso dei campi d'energia recepiti» mi rispose. «Credo che la percezione umana sia cambiata nel tempo. Il tempo reale decide il modo; il tempo decide quale fascio preciso di campi d'energia sarà usato, scegliendolo tra una quantità incalcolabile. Tutta l'energia a nostra disposizione viene assorbita dal contatto con la modalità del tempo - quei pochi, scelti campi di energia - non lasciandoci nulla che possa esserci di aiuto a usare un qualsiasi altro campo di energia.» Con un impercettibile inarcare delle sopracciglia mi spronava a considerare il tutto. «Ecco cosa intendo quando dico che all'uomo comune manca l'energia necessaria per aver a che fare con la magia» continuò. «Se usa solo l'energia che ha, non può percepire i mondi creati dagli stregoni. Gli stregoni, infatti, per farlo, si servono di un insieme di campi di energia che di solito non sono usati. Naturalmente, se l'uomo comune intende percepire quei mondi e comprendere la percezione dei maestri dell'occulto, deve per forza usare lo stesso insieme usato da quelli, e ciò non è materialmente possibile, in quanto egli ha già spiegato tutta la sua energia.» S'interruppe, quasi cercasse la parola più appropriata a esprimere il concetto. «Mettiamola così» riprese. «Non è tanto che si apprenda la magia col tempo, quanto che si apprenda ad accumulare energia. Questa energia ti metterà in grado di maneggiare alcuni campi di energia che al momento ti sono inaccessibili. La magia è dunque l'abilità di usare campi di energia non necessari per la percezione del mondo di tutti i giorni, che noi conosciamo. La magia è uno stato di consapevolezza. E' l'abilità di concepire qualcosa che sfugge alla percezione ordinaria. «Quel che ti ho mostrato,» continuò don Juan «tutto ciò che ho sottoposto alla tua attenzione, non era che un accorgimento per convincerti che c'è più di quanto appaia a un primo sguardo. Non c'è bisogno che venga qualcuno a insegnarci la magia, perché in realtà non c'è nulla da imparare. Occorre solo che un maestro ci convinca dell'incalcolabile potere che abbiamo sulla punta delle dita. Che strano paradosso! Ogni guerriero sulla via della conoscenza crede, una volta o l'altra, di star acquisendo cognizioni magiche, ma tutto quello che fa è lasciarsi convincere del potere nascosto dentro di sé, che riuscirà a raggiungere.» «E' quel che stai facendo con me, don Juan? Mi stai convincendo?» «Proprio così. Sto cercando di convincerti che puoi raggiungerlo, quel potere. Ci sono passato anch'io. Ed ero duro da convincere, come te ora.» «Una volta raggiunto, cosa ne facciamo esattamente, don Juan?» «Nulla. Una volta raggiunto, esso si servirà per conto suo dei campi di energia che sono a nostra disposizione, ma inaccessibili. Questa è magia, come ho già detto. Allora cominciamo a vedere - cioè, a percepire - qualcos'altro, non immaginario, ma reale e concreto. Così cominciamo a conoscere senza dover usare le parole. Quel che ognuno di noi fa con l'accresciuta percezione, con quella conoscenza silenziosa, dipende dal carattere individuale.» In una diversa occasione, mi diede una spiegazione di altro genere. Stavamo discutendo di tutt'altro quando, di punto in bianco, cambiò argomento e cominciò a raccontarmi una barzelletta. Rise, e con mano leggera mi diede dei colpetti sulla schiena, fra le scapole, quasi fosse affetto da grande timidezza e ritenesse molto sfacciato da parte sua toccarmi. La mia reazione nervosa lo fece ridacchiare. «Come sei sensibile» disse, scherzando, e mi assestò una pacca sulla schiena con maggior forza. Mi ronzarono le orecchie. Per un istante mi mancò il fiato, quasi mi avesse colpito ai polmoni. Respiravo con grande fatica, eppure, dopo aver tossito più volte, come soffocando, le mie vie nasali si aprirono e mi ritrovai a fare dei respiri profondi, rasserenanti. Provavo una tale sensazione di benessere che non me la presi affatto con lui per il colpo che mi aveva dato, benché fosse stato forte e inaspettato. Poi don Juan iniziò una spiegazione davvero notevole. In termini chiari e concisi mi fornì una definizione più precisa della magia. Ero entrato in un meraviglioso stato di consapevolezza! Avevo una lucidità di mente tale che riuscii a comprendere e assimilare tutto quello che don Juan stava dicendo. Diceva che nell'universo c'era una forza indescrivibile e smisurata che gli stregoni chiamavano intento, e che in assoluto tutto quel che esiste nell'intero cosmo è unito all'intento da un anello di collegamento. Gli stregoni o guerrieri, come li chiamava lui, si dedicavano a discutere, capire e utilizzare quell'anello di collegamento. Erano particolarmente occupati a liberarlo dagli stordimenti provocati dalle ordinarie preoccupazioni della vita quotidiana. La magia a questo livello poteva definirsi come il procedimento di ripulitura del proprio anello di collegamento con l'intento. Don Juan sottolineò che era molto difficile capire e imparare a praticare questo ~procedimento di ripulitura". Per questo gli stregoni dividevano il loro insegnamento in due categorie. Una comprendeva le lezioni per lo stato di consapevolezza della vita di ogni giorno, nelle quali il procedimento si presentava sotto alterate spoglie. L'altra comprendeva le lezioni per gli stati di consapevolezza intensa, come quello che stavo sperimentando al momento, nelle quali gli stregoni raggiungevano la conoscenza direttamente dall'intento, senza fastidiosi interventi della lingua parlata. Don Juan spiegò che, usando la consapevolezza intensa per migliaia di anni di lotte dolorose, gli stregoni avevano acquisito una comprensione specifica dell'intento, e che avevano trasmesso questi nuclei di conoscenza diretta di generazione in generazione, fino al presente. Disse che era compito della magia prendere questa conoscenza, all'apparenza incomprensibile, e renderla comprensibile ai livelli di consapevolezza della vita di ogni giorno. Dopo mi chiarì il ruolo della guida nella vita degli stregoni. Mi spiegò che una guida era chiamata "nagual~ e che il nagual era una persona, uomo o donna, con un'energia straordinaria, un maestro dotato di sobrietà, resistenza, fermezza, che i veggenti vedevano come una sfera luminosa formata da quattro comparti, simili a quattro globi luminosi pressati l'uno contro l'altro. Grazie a questa straordinaria energia, i nagual erano intermediari. La loro energia permetteva loro di incanalare pace, armonia, allegria e conoscenza direttamente dalla fonte, dall'intento, e di trasmetterle ai loro compagni. I nagual avevano la responsabilità di fornire ciò che gli stregoni chiamavano ~la possibilità minima", la consapevolezza del proprio collegamento con l'intento. Gli dissi che la mia mente afferrava tutto quello che lui mi stava spiegando e che l'unica parte della sua spiegazione ancora poco chiara era perché mai fossero necessarie due categorie di insegnamento. Riuscivo a capire con facilità tutto ciò che diceva del suo mondo, mentre egli me l'aveva descritto come un processo irto di difficoltà. «Ti ci vorrà tutta la vita per ricordare quanto hai appreso oggi» affermò «perché si trattava nella quasi totalità di conoscenza silenziosa. Fra qualche istante avrai dimenticato tutto. E questo uno degli insondabili misteri della percezione.» Don Juan allora mi fece cambiare livelli di consapevolezza, dandomi un colpetto sul lato sinistro, proprio all'estremo della gabbia toracica. All'istante persi la straordinaria chiarezza di mente, e non fui in grado di ricordare di averla mai avuta... _ _ _ J Don Juan in persona mi assegnò il compito di scrivere sui presupposti della stregoneria. Una volta, come per caso, agli inizi del mio apprendistato, mi aveva suggerito di scrivere per utilizzare tutti gli appunti che avevo continuato a prendere. Avevo accumulato risme su risme di annotazioni, senza mai riflettere su cosa ne avrei fatto. Ritenni assurda la sua proposta perché non ero uno scrittore. «Certo che non sei uno scrittore. Così dovrai ricorrere alla magia. Per prima cosa, dovrai visualizzare le tue esperienze, come se le stessi vivendo un'altra volta, e poi dovrai vedere il testo nel tuo sogno. Per te scrivere non sarà un esercizio letterario, ma una pratica di magia.» Ho scritto così sui presupposti delle arti magiche proprio come mi aveva spiegato don Juan nel corso delle sue lezioni. Nel suo schema di insegnamento, che era stato sviluppato dagli stregoni dei tempi antichi, c'erano due categorie. Una, chiamata ~insegnamenti per il lato destro», si svolgeva nello stato di consapevolezza normale. L'altra, chiamata "insegnamenti per il lato sinistro", era messa in pratica solo in stati di consapevolezza intensa. Le due categorie permettevano ai maestri di avviare i loro adepti in tre campi di specializzazione: la padronanza della consapevolezza, l'arte dell'agguato, la padronanza dell'intento. Questi tre campi di specializzazione sono le tre incognite che uno stregone si trova ad affrontare nella sua ricerca della conoscenza. La padronanza della consapevolezza è l'enigma della mente; la perplessità che gli stregoni provano di fronte al mistero e all'estensione stupefacenti della consapevolezza e della percezione. L'arte dell'agguato è l'enigma del cuore, il dubbio che assale gli stregoni quando scoprono due cose: la prima, che il mondo ci appare inalterabilmente obiettivo e reale grazie alle peculiarità della consapevolezza e della percezione; la seconda, che se vengono in gioco diverse peculiarità di percezione, cambiano nel mondo proprio quelle cose che sembrano obiettive e reali in modo tanto inalterabile. La padronanza dell'intento è l'enigma dello spirito, o il paradosso dell'astratto - pensieri e azioni dello stregone proiettati al di là della nostra condizione umana. L'insegnamento di don Juan sull'arte dell'agguato e sulla padronanza dell'intento dipendevano dai suoi insegnamenti della padronanza della consapevolezza che era la base delle sue lezioni e consisteva delle seguenti premesse fondamentali: 1. L'universo è un infinito agglomerato di campi di energia, che somigliano a fili di luminosità. 2. Questi campi di energia, chiamati emanazioni dell'Aquila, s'irradiano da una fonte di proporzioni inimmaginabili, chiamata metaforicamente l'Aquila. 3. Gli esseri umani sono composti anche loro di un incalcolabile numero degli stessi filiformi campi di energia. Queste emanazioni dell'Aquila formano un agglomerato che si manifesta come un globo di luce con braccia laterali, grande quanto una persona, simile a un gigantesco uovo luminoso. 4. Solo una parte piccolissima dei campi di energia all'interno di questo globo luminoso sono illuminati da un punto di intenso splendore situato sulla superficie dell'uovo. 5. La percezione si realizza quando i campi di energia del piccolo gruppo situato intorno al punto d'intenso splendore estendono la propria luce per illuminare identici campi di energia all'esterno dell'uovo. Poiché gli unici campi di energia percettibili sono quelli illuminati dal punto di intenso splendore, quel punto viene chiamato ~il punto dove si mette insieme la percezione~ o, semplicemente, ~il punto di unione~. 6. Il punto di unione si può spostare dalla sua posizione abituale sulla superficie del globo luminoso in un'altra, all'interno o all'esterno. Poiché la luminosità del punto di unione può far risplendere qualsiasi campo di energia con cui venga a contatto, ogni volta che si sposta in una nuova posizione illumina immediatamente nuovi campi di energia, rendendoli percettibili. Questa percezione si chiama vedere. 7. Quando il punto di unione si sposta, rende possibile la percezione di un mondo del tutto diverso, altrettanto obiettivo e reale di quello che percepiamo di solito. Gli stregoni vanno in quell'altro mondo per attingervi energia, potere, soluzioni a problemi generali e particolari, o per trovarsi di fronte all'inimmaginabile. 8. L'intento è la forza diffusa che ci mette in grado di percepire. Noi non acquistiamo consapevolezza perché percepiamo, bensì riusciamo a percepire in conseguenza dell'intrusione e del peso dell'intento. 9. Gli stregoni tendono a raggiungere lo stato di consapevolezza totale per sperimentare tutte le possibilità di percezione che ha l'uomo. Questo stato di consapevolezza implica perfino una morte alternativa. Un livello di conoscenza pratica faceva parte dell'insegnamento per la padronanza della consapevolezza. A quel livello pratico don Juan m'insegnò i procedimenti necessari a spostare il punto di unione. I due grandi sistemi escogitati dai veggenti stregoni dei tempi antichi per ottenere lo scopo erano: il sognare, cioè il controllo e l'utilizzazione dei sogni, e l'agguato, cioè il controllo del comportamento. Spostare il proprio punto di unione era una manovra essenziale che ogni stregone era obbligato ad apprendere. Alcuni di loro, i nagual, imparavano anche a farlo per gli altri. Riuscivano a spostare il punto di unione dalla sua collocazione abituale dandogli direttamente un colpo secco con la mano. Chi lo riceveva, lo sentiva come una pacca sulla scapola destra - benché il corpo non fosse mai neanche sfiorato - e ne risultava uno stato di consapevolezza intensa. Osservando la tradizione, don Juan effettuò la parte più importante e più drammatica delle sue lezioni, gli insegnamenti per il lato sinistro, esclusivamente in questi stati di consapevolezza intensa. Per la loro straordinaria qualità, don Juan mi chiese di non discuterne con altri finché non avessimo concluso tutto quello che comprendeva lo schema d'insegnamento dello stregone. Non mi fu difficile accettare quella richiesta. In quegli eccezionali stati di consapevolezza le mie capacità di comprendere le istruzioni si accrescevano incredibilmente, ma nello stesso tempo le mie capacità di descrivere o ricordare s'indebolivano. In quegli stati io agivo con sicurezza e abilità ma non ricordavo nulla di quello che avevo fatto una volta tornato nella mia consapevolezza normale. Mi ci vollero anni prima di riuscire a effettuare la cruciale trasformazione da consapevolezza intensa a semplice memoria. La ragione e il buon senso ritardarono questo momento perché si scontravano brutalmente con l'assurda, impensabile realtà della consapevolezza intensa e della conoscenza diretta. Per anni la confusione conoscitiva che ne derivava mi costrinse a evitare il problema non pensandoci. Tutto quello che ho scritto sul mio apprendistato stregonesco finora non è stato altro che il resoconto delle lezioni di don Juan sulla padronanza della consapevolezza. Non ho ancora descritto l'arte dell'agguato o la padronanza dell'intento. Don Juan m'insegnò i loro princìpi e le loro applicazioni con l'aiuto di due suoi compagni: uno stregone di nome Vicente Medrano e un altro di nome Silvio Manuel, ma qualsiasi cosa io abbia appreso dalle loro lezioni è ancora avvolto in ciò che don Juan chiamava le complicazioni della consapevolezza intensa. Finora non sono riuscito a scrivere e neanche a pensare coerentemente sull'arte dell'agguato e la padronanza dell'intento. Ho sbagliato a considerarli argomenti' per la memoria e per il ricordo normale. Lo sono, ma al tempo stesso non lo sono. Per porre fine a questa contraddizione non ho discusso gli argomenti in via diretta cosa virtualmente impossibile - ma li ho trattati per via indiretta tramite il tema conclusivo dell'insegnamento di don Juan: le storie degli antichi maestri dell'occulto. Egli mi raccontò quelle storie per evidenziare quello che definiva il nocciolo astratto delle sue lezioni, ma io non fui in grado di afferrare la natura di quei noccioli astratti nonostante le sue esaurienti spiegazioni che, ora lo so, miravano più ad aprirmi la mente che a spiegare alcunché in modo razionale. Il suo modo di parlare mi fece credere per molti anni che le sue spiegazioni dei noccioli astratti fossero come dissertazioni accademiche, e tutto quello che fui capace di fare, considerate le circostanze, fu di dare per scontate le sue spiegazioni. Divennero parte della mia tacita accettazione del suo insegnamento, ma senza una stima completa da parte mia, che era invece essenziale alla loro comprensione. Don Juan mi presentò tre gruppi di sei noccioli astratti ciascuno, a un livello di complessità crescente. In questo IS volume mi sono occupato del primo gruppo che è composto dei seguenti noccioli astratti: le manifestazioni dello spirito, il tocco dello spirito, lo stratagemma dello spirito, la discesa dello spirito, le esigenze dell'intento e la manovrabilità dell'intento. 1. Le manifestazioni dello spirito IL primo nocciolo astratto Don Juan soleva raccontarmi, quando erano pertinenti, brevi aneddoti sugli stregoni della sua famiglia, specie a proposito del suo maestro, il nagual Julian. Non erano racconti veri e propri, ma descrizioni dei comportamenti di quegli stregoni e degli aspetti delle loro personalità, ognuna intesa a chiarire un argomento specifico nel mio apprendistato. Avevo sentito gli stessi aneddoti dagli altri quindici stregoni che componevano il seguito di don Juan, ma nessuna delle loro relazioni era riuscita a darmi un'immagine chiara di coloro che descriveva. Poiché non c'era modo di persuadere don Juan a fornirmi ulteriori notizie su quegli stregoni, mi ero rassegnato all'idea di non conoscere mai a fondo nulla su di loro. Un pomeriggio don Juan, mentre ci trovavamo sulle montagne del Messico meridionale, dopo avermi illustrato più ampiamente le complicazioni della padronanza della consapevolezza, pronunciò una frase che mi lasciò molto perplesso. «Penso sia arrivato il momento di parlare degli stregoni del nostro passato» disse. Don Juan mi spiegò che dovevo cominciare a trarre conclusioni basate su un'analisi sistematica del passato, conclusioni riguardanti sia il mondo delle faccende quotidiane sia il mondo degli stregoni. «Gli stregoni mantengono legami vitali con il loro passato. Non intendo il loro passato personale. Per loro, il passato è quello che hanno fatto altri stregoni in tempi ormai trascorsi. Così quel che noi faremo adesso è esaminare quel passato. «Anche l'uomo comune rivisita il passato, ma si tratta per lo più del suo passato personale, e lo fa per ragioni personali. Gli stregoni fanno proprio l'opposto, interrogano il passato per ottenere un punto di riferimento.» «Ma non è quello che facciamo tutti? Guardare al passato per avere un punto di riferimento?» «No!» rispose con enfasi. «L'uomo comune si misura sul passato, sia sul suo passato personale, sia sulla passata conoscenza del suo tempo, per trovare giustificazioni alla propria condotta presente o futura o per stabilire un modello per se stesso. Solo gli stregoni cercano davvero un punto di riferimento nel passato.» «Forse, don Juan, le cose mi sarebbero più chiare se mi dicessi che cos'é, per uno stregone, un punto di riferimento.» «Per gli stregoni, stabilire un punto di riferimento equivale a una possibilità di esaminare l'intento» rispose. «Che è esattamente lo scopo di questo conclusivo argomento di studio. E nulla può offrire agli stregoni uno sguardo migliore all'intento quanto l'analizzare i racconti di altri stregoni che cercano di capire quella stessa forza.» Mi spiegò che gli stregoni della sua famiglia prestavano molta attenzione al fondamentale ordine astratto della loro conoscenza. «Nella stregoneria ci sono ventuno noccioli astratti» proseguì don Juan. «E poi, basati su quei noccioli astratti, ci sono decine e decine di storie stregonesche sui nagual del nostro lignaggio che lottano per comprendere lo spirito. E' tempo di renderti edotto dei noccioli astratti e delle storie della stregoneria.» Mi aspettavo che don Juan cominciasse a raccontare, ma lui cambiò argomento e tornò alle spiegazioni della consapevolezza. «Un momento,» protestai «e le storie della stregoneria? Non dovevi raccontarmele?» «Ma certamente» replicò. «Non si tratta però di storie che si possono narrare come favole. Devi rifletterci sopra a fondo e poi ripensarle - riviverle, diciamo.» Ci fu un lungo silenzio. Mi feci guardingo per timore che, insistendo a chiedergli di raccontarmi quegli aneddoti, potessi andare incontro a qualcosa di cui mi sarei rammaricato più tardi. Ma la curiosità prevalse sul buon senso. «Allora, su, cominciamo!» brontolai. Don Juan sorrise maliziosamente, certo afferrando il succo dei miei pensieri. Si alzò e mi fece segno di seguirlo. Eravamo seduti su alcuni massi privi di vegetazione, in fondo a una gola. Si era a metà pomeriggio. Il cielo era cupo e nuvoloso. In alto, sulle cime delle montagne verso oriente, incombeva bassa una nuvolaglia plumbea e greve d' pioggia. Al confronto, le navole alte in direzione sud facevano sembrare terso il cielo. Poco prima era piovuto molto, ma poi la pioggia sembrava fosse andata a nascondersi lasciandosi dietro solo una minaccia. Avrei dovuto essere gelato fno alle ossa, perché faceva molto freddo. Invece avevo caldo. Stringendo un sasso che don Juan mi aveva fatto tenere in mano, mi accorsi che questa sensazione di calore a temperature quasi polari mi era familiare, eppure mi stupiva ogni volta. Quando ero sul punto di congelare, don Juan mi faceva afferrare un ramo o mi dava un sasso da stringere o m'infilava una manciata di foglie sotto la camicia, sulla punta dello sterno: bastava questo a fare alzare la mia temperatura corporea. Avevo cercato, senza alcun successo, di ricreare da solo gli effetti dei suoi interventi. Egli mi disse che non erano i suoi interventi ma il suo silenzio interiore a tenermi caldo e che i rami, i sassi e le foglie erano meri sotterfugi per intrappolare la mia attenzione e mantenerla a fuoco. In fretta, salimmo lungo gli scoscesi fianchi della montagna fino a raggiungere una cornice rocciosa proprio in vetta. Ci trovavamo ai piedi di una catena più alta. Dalla cornice rocciosa vedevo che la nebbia stava iniziando a coprire da sud il fondovalle ai nostri piedi. Cinff di nuvole basse incombevano su di noi, scivolando dai picchi verdeneri alti a occidente. Dopo la pioggia, sotto una cupa nuvolaglia, la valle e i monti a est e a sud sembravano avvolti in una cappa di silenzio verdenero. «Ecco il posto ideale per far quattro chiacchiere» disse don Juan, sedendosi sul pavimento roccioso di una caverna nascosta e poco profonda. La caverna era grande da potercisi sedere fianco a fianco. Sfioravamo il soffitto con la testa e appoggiavamo comodamente la schiena contro la superficie curva della parete rocciosa.

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Nel paesaggio allucinato e selvaggio di un Messico antico e immutabile, fra le reminiscenze delle civiltà autoctone più remote, si placa il rumore della vita quotidiana, si dissolvono le preoccupazioni, gli affanni, le paure: si afferma, quindi, per regnare incontrastato, il silenzio interiore. Di
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