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Il Meglio Di Amazing Stories PDF

139 Pages·1989·0.54 MB·Italian
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IL MEGLIO DI «AMAZING STORIES» (1989) A cura di GIUSEPPE LIPPI Indice Introduzione di Giuseppe Lippi Bibliografia IL MEGLIO DI «AMAZING STORIES» H.P. Lovecraft - Il colore venuto dallo spazio Hugo Gernsback - Il successo della "scientifiction" Hugo Gernsback - Come vengono costruiti i canali di Marte Wallace West - L'ultimo uomo T. O'Conor Sloane, Ph.D. - La redazione e i lettori Stanton A. Coblenz - Il trionfo delle macchine David A. Keller - La guerra dell'edera Edmond Hamilton - L'uomo che conobbe il futuro Isaac Asimov - Nascita di una nozione Fritz Leiber - La morte dei principi Barry Malzberg - Nel reparto dei sogni Barry Malzberg - Versi per l'Età d'oro Riferimenti bibliografici INTRODUZIONE Quando un lettore italiano dice «fantascienza» è più o meno consapevole di usare un neologismo diffuso (se non proprio di primo pelo), ma sono in pochi a rendersi conto che la fortuna del termine fu decretata dalla ben no- ta collana mondadoriana dei «Romanzi di Urania», nel cui numero 1 del 10 ottobre 1952 Giorgio Monicelli lo scriveva con il trattino, così: fanta- scienza. Era un'americanata, sebbene il termine fosse di per sé felicissimo. Sic- come gli anglosassoni scrivono a volte science-fiction (ma è una cosa off, di cattivo gusto, da non prendere a esempio), parve opportuno imitarli nel- la soluzione ortografica. In realtà, come science fiction è una locuzione che si regge benissimo senza trattini, così fantascienza è una parola che ha tro- vato la sua vera forma solo dopo aver abbandonato l'innaturale sdoppia- mento: e da allora ha fatto carriera. Ma al di là della fortuna il termine rac- chiude tutto un mondo: astratto e generico quanto si vuole, ma al tempo stesso, e in virtù d'una vera e propria magia lessicale, turgido, colorito ed evocativo. E si può ben dire che nella coscienza del lettore il genere abbia cominciato ad esistere quando qualcuno gliene ha fornito questa chiave d'accesso, cioè una definizione. La stessa cosa vale per gli Stati Uniti. È storicamente tramandato l'imba- razzo di una vasta categoria di persone - redattori, editori, lettori, giornalai - nei primi anni del secolo o anche prima, nell'era buia in cui nessuno sa- peva come chiamare la Cosa. (E per il momento fingeremo di non saperlo neanche noi.) Era il genere di Edgar Allan Poe e Jules Verne, d'accordo... ma Poe non aveva mai inventato un'etichetta per racconti come L'impareg- giabile avventura di un certo Hans Pfaal, La frottola del pallone, Mellonta Tauta, Il caso del signor Valdemar o Manoscritto trovato in una bottiglia. Li chiamava sfacciatamente Tales o al massimo Arabeschi, cosa che non aiutava nessuno. Quanto a Verne, con gallica pomposità e con una buona dose di sempli- cismo suicida li aveva battezzati Voyages Extraordinaires, rischiando di far dimenticare che i suoi protagonisti erano andati sulla Luna e al Centro della Terra, non soltanto sull'Isola Misteriosa o a ventimila leghe sotto i mari. Dunque, il lettore ottocentesco poteva dire al massimo che apprezza- va i racconti arabeschi del signor Poe e i viaggi straordinari di Jules Verne, e su quella base avrebbe potuto fidarsi dei consigli di chi, leggendo a sua volta materiale unusual, gli avesse consigliato di provare Ambrose Bierce o, a seconda delle latitudini, certe storie di Conan Doyle e della coppia Er- ckmann-Chatrian. Il primo a fare un vero passo avanti fu Herbert George Wells, che definì i racconti e i romanzi dei suoi anni giovanili scientific romances (fantasie scientifiche). In America, dove ai primi del Novecento proliferavano i di- me novels e i cosiddetti pulp, e dove gli editori popolari non esitavano a stampare qualunque stravaganza pur di attirare lettori dal sangue caldo e la testa fra le nuvole, qualcuno decise che se La guerra dei mondi era uno scientific romance, perché non poteva esserlo Thomas Alva Edison alla conquista di Marte? E così fu, per un po' di tempo. Mugugnando, i lettori che si accalcavano all'edicola chiedevano fantasie scientifiche, storie insolite, racconti bizzar- ri: e l'offerta era così bassa che bisognava accontentarsi. Vengono i brividi a pensarci, ma quei poveretti erano costretti a sfogliare un intero numero di «Argosy All-Story» per scoprire se nel contenuto figurasse qualche differ- ent story, e lo stesso dicasi per «Black Mask» e «Blue Book», riviste- contenitore o intergenere che erano quanto più si avvicinasse ai desideri dell'appassionato. Ma nel 1915 la casa editrice Street & Smith, un vero co- losso delle edizioni popolari, lanciò il primo pulp magazine specializzato. In gialli, purtroppo: Edgar Poe aveva inventato anche quelli. Raccogliendo l'eredità di «Black Mask» e del «Blue Book», nel 1923 uscì «Weird Tales» e si cominciò a respirare di sollievo. Era quasi certo che in ogni numero ci fosse una interplanetary story o un'altra stravaganza scientifica, mentre sulle testate avventurose del gruppo Munsey sorgevano i primi astri dello scientific romance americano: George Allan England, Victor Rousseau, Abraham Merritt. La definizione wellsiana era andata incontro a un certo degrado. Ora, con questo termine si intendeva qualunque avventura fantastica negli an- goli sperduti della Terra o nel futuro o alla ricerca di civiltà perdute. C'era una sola persona, in tutta l'America, che conservasse intatto il suo ossequio a Verne e Wells e non ne volesse sapere degli epigoni romantici di casa propria. Quest'uomo eccezionale si chiamava Hugo Gernsback. Gernsback, sì, leggeva le storie marziane di Edgar Rice Burroughs e più tardi le avreb- be anche pubblicate, ma per il momento preferiva riservare la propria am- mirazione a un apparecchio radio ultimo modello più che a qualunque principessa ovipara di Barsoom. Nato in Lussemburgo, Hugo si era trasfe- rito in America nel 1904 e aveva cominciato a commerciare in articoli elet- trici e radio. Trasformatosi in editore per propagandare i suoi prodotti, a- veva lanciato già negli anni Dieci alcune testate tecniche e aveva fondato la casa editrice Experimenter Publishing Co. Dopo aver scritto una serie di racconti in proprio (e qualche romanzo), nel 1923 Gernsback aveva avuto l'idea di fare un numero speciale della ri- vista «Science and Invention» dedicato ai racconti di quella che già chia- mava scientific fiction o addirittura, audacemente, scientifiction. Ma non voleva storie romantiche, di cappa e spada interplanetaria alla Burroughs o alla Merritt: chiedeva cose che rispecchiassero la sua filosofia del «fantasia oggi... fredda realtà domani». E quindi racconti tecnologici, avveniristici, futuristico-didascalici. Il numero speciale di «Science and Invention» andò bene e Gernsback decise di creare una nuova rivista tutta di narrativa. Vo- leva chiamarla «Scientifiction». Prevalsero poi le ragioni dell'istinto - e del commercio - che lo sconsi- gliarono dall'usare una testata tanto pomposa e oscura. Gernsback optò per «Amazing Stories», prima rivista di scientifiction al mondo, e la lanciò nell'aprile 1926. (Qualcuno sostiene che il giorno esatto dell'uscita fosse il 5.) Per i primi numeri non c'era materiale inedito: si ristampavano Verne, Wells, alcuni barbosissimi autori tedeschi (segnalati e tradotti da un anzia- no assistente editoriale, T. O'Conor Sloane) e si aspettava che la posta por- tasse qualche manoscritto. Ma «Amazing» aveva già un suo stile: innanzi- tutto non era, tecnicamente, un pulp (le riviste di quel tipo misuravano cir- ca 7 pollici per 10, mentre le più grandi come «Amazing» avevano le di- mensioni di 8 pollici e mezzo per 11 e mezzo e i collezionisti vi si riferi- scono con il termine tecnico di «formato bedsheet», ossia lenzuolo.) Poi aveva trovato un illustratore geniale nell'oriundo austriaco Frank R. Paul, le cui copertine furono per anni l'unico esempio al mondo di arte fanta- scientifica. I manoscritti inediti cominciarono ad arrivare e la storia della scientific- tion decollò. Come per l'italiana «Urania» e il termine da essa coniato (fan- tascienza), anche nel caso di «Amazing Stories» si assisté a un fenomeno di cristallizzazione d'un genere che indubbiamente già esisteva, ma che in questo modo prese coscienza di se stesso e cominciò a svilupparsi come categoria separata. A proposito di tale separatismo se ne son dette di tutti i colori: l'accusa principale rivolta all'iniziativa di Gernsback è quella di a- ver ghettizzato il genere, altrimenti libero di spiegare le ali sulle orme di Wells, Julian Huxley e più tardi Olaf Stapledon. In queste diatribe c'è sem- pre un po' di vero da entrambe le parti, ma il fatto fondamentale è che gli accusatori sono a volte gli stessi addetti ai lavori della fantascienza, che a lungo si sono sentiti affetti da un complesso d'inferiorità e hanno scim- miottato le accuse in grande stile piovute dalla critica sulla narrativa di massa. È indubbio, comunque, che la fantascienza non si sarebbe mai svi- luppata come oggi la conosciamo senza il processo consapevole che Ger- nsback avviò su «Amazing». Nel 1929, quando ormai aveva coniato la definizione moderna di science fiction, Hugo Gernsback perse il controllo della Experimenter Publishing e fu trascinato in tribunale con un'accusa di bancarotta. Non è mai stato pos- sibile appurare la verità, ma la versione fornita dall'interessato (e dagli sto- rici che si attennero a lui come unica fonte) è che si trattò di una manovra da parte di editori rivali per impadronirsi delle sue testate. In particolare, B.A. Mackinnon e H.K. Fly divennero i nuovi proprietari della casa che nel 1930 cambiò nome in Radio-Science Publications e nel 1931 fu assor- bita dal gruppo Teck. Da maggio a ottobre 1929 il direttore di «Amazing Stories» fu Arthur Lynch, un uomo dei nuovi proprietari, ma poi il vecchio dottor O'Conor Sloane riprese il sopravvento e riportò la rivista alla con- suetudine gernsbackiana. Hugo, infaticabile, lanciò altre riviste di fanta- scienza sotto una diversa ragione sociale e così, dopo aver creato il feno- meno, diede luogo al primo, piccolo boom del genere tra il 1929 e il '30. Scomparso nel 1967, editore di una ricca catena di riviste (ma non più di fantascienza, a parte un tentativo abortito nel 1953), Gernsback è conside- rato in America tra i fondatori del genere. L'annuale premio Hugo - l'oscar della fantascienza - deve a lui il suo nome. Rimase attivo dieci anni nel campo da lui stesso creato: nel 1936 vendette l'ultima testata di sf e si die- de completamente alle pubblicazioni tecniche, commerciali e divulgative (alcune delle quali si pubblicano ancora oggi). «Amazing» si convertì al formato standard dei pulp magazines nel 1933, ma dopo qualche anno i suoi conti andarono in rosso. Ormai, del resto, a- veva più di un temibile concorrente e il principale era «Astounding Stories of Super Science», pubblicato prima dal gruppo Clayton e poi acquistato dalla Street & Smith. Nel 1935 la periodicità diventò bimestrale e tornò mensile nel '38. Nel 1939 fu venduta alla casa editrice Ziff-Davis, che a- vrebbe conservato la proprietà fino agli anni Sessanta. La Ziff-Davis in- stallò come direttore il giovane Raymond Palmer, che abbandonò comple- tamente la linea editoriale di Gernsback e T. O'Conor Sloane (morto l'anno dopo, 1940): per la rivista cominciò un lungo declino qualitativo, mentre l'obbiettivo degli editori si focalizzava sempre più su un pubblico giovani- le, ingenuo e senza pretese. Nonostante che su «Amazing» avessero pub- blicato tutti i grandi nomi della prima fantascienza (Jack Williamson, Mur- ray Leinster, Edmond Hamilton e lo stesso Edgar Rice Burroughs), negli anni Quaranta Palmer e la Ziff-Davis la trasformarono in un ricettacolo di firme anonime, spesso inventate dalla casa e che nascondevano il lavoro di una sfilza di «negri» più o meno volenterosi (Don Wilcox, David O'Brien, perfino il giallista William P. McGivern). Come se non bastasse, a tutto questo si aggiunse il fenomeno Richard S. Shaver, un autore ben disposto ad assecondare le manie occultistico-ufologiche di Palmer e che spacciava i suoi incredibili racconti per esperienze vissute. Nel settembre 1943 «Amazing» tornò bimestrale e tra il '44 e il '45 fu addirittura trimestrale. Nel 1946 tornò mensile e tale rimase fino all'aprile/maggio 1953, quando cominciò una nuova fase bimestrale. Nel 1950 Palmer si mise in proprio, fondando una rivista che si chiama- va «Other Worlds» e assicurandosi i dubbi servigi di Richard Shaver. Il nuovo direttore di «Amazing», Howard Browne, attuò il passaggio dal formato pulp all'attuale, il cosiddetto digest (un fascicolo poco più grande di un tascabile). Nel 1956 ci fu un nuovo cambio di direttore (Paul Fair- man), ma si trattò quasi di un interregno. Nel settembre 1958 Fairman ce- dette il posto a Cele Goldsmith, che curò la rivista fino al 1965. Fu una nuova età d'oro, per «Amazing»: donna sensibile e colta, la Goldsmith riu- scì a imporre alla Ziff-Davis alcuni dei migliori autori del momento e a fa- re della prima rivista di fantascienza del mondo un periodico di qualità. Fra i suoi collaboratori figurano Marion Z. Bradley, Harlan Ellison, Roger Zelazny. Ma la Ziff-Davis era sempre più insoddisfatta dell'esito commerciale di «Amazing» e decise di venderla; senza neppure aspettare di aver trovato l'acquirente sospese momentaneamente le pubblicazioni e a rilevarla pensò la Ultimate Publishing Co. di Sol Cohen (1965). Dopo dieci anni di perio- dicità mensile (1955-65) doveva cominciare un nuovo periodo bimestrale, prima sotto la direzione di Joseph Ross (che si limitava a ristampare vecchi racconti, senza acquistare né sollecitare materiale inedito) e poi, per bre- vissimi periodi, di Harry Harrison, Barry Malzberg e Robert Silverberg (1968-69). Nel '69 Cohen prese personalmente le redini della rivista facen- dosi aiutare da Ted White. Quest'ultimo divenne direttore a tutti gli effetti nel 1970 (periodicità bimestrale). White riuscì a convincere Cohen ad ab- bandonare la politica delle ristampe e ad usare testi nuovi: nonostante il ri- strettissimo bilancio fece sempre una rivista dignitosa, occupandosi con- temporaneamente della gemella «Fantastic Stories» (oggi chiusa). A partire dal numero di giugno 1976, quello del cinquantesimo anniver- sario, «Amazing» diventò trimestrale e solo recentemente è tornata alla pe- riodicità bimestrale. Abbandonata da White per disperazione, e dopo un in- felice ritorno alla politica delle ristampe, fu venduta da Sol Cohen alla TSR Inc, una casa specializzata in role-playing games che tentava così l'avventura editoriale. Esce tuttora presso quella firma, con Patrick Lucien Price come direttore e una normale politica di novità alternate a rubriche e a una soddisfacente veste grafica. Le vendite, tuttavia, sono ridotte al mi- nimo: secondo i dati pubblicati dalla rivista «Locus» (una specie di «Wall Street Journal» della fantascienza), nel 1988 «Amazing» ha venduto in media 13.000-14.000 copie per numero, il 9% in più dell'anno precedente (ma negli anni Ottanta ha perduto circa il 36% della tiratura). E la nuova casa editrice, secondo gli esperti, sembra non essere minimamente interes- sata a tentare il rilancio. Price, il direttore, non è più un dipendente della TSR ma si è dimesso e continua a curare la rivista su una base di libera collaborazione. «Amazing» costa un dollaro e settantacinque la copia, con- tro i due dollari di media delle altre riviste. Per la fantascienza americana - e, in un certo senso, per quella mondiale - «Amazing Stories» è oggi un simbolo. A parte la parentesi di Cele Gold- smith, il dignitoso periodo di Ted White e quello attuale che potremmo de- finire di pausa decorosa, non è mai stata una rivista-leader e la sua funzio- ne rimane eminentemente storica. Pure, ha pubblicato negli anni Venti e Trenta molti dei vecchi classici avventurosi ed è stata la fonte alla quale si sono svezzati tutti i futuri autori del genere. Il primo racconto pubblicato da Asimov, Marooned Off Vesta, uscì su «Amazing» nel 1939, e prima era stata la volta di Jack Williamson, Edmond Hamilton, Ray Cummings, Da- vid Keller, il celeberrimo E.E. Smith con le saghe spaziali tipo Skylark e persino di John Campbell, futuro direttore della rivale «Astounding» ma svezzatosi come lettore e come autore sulle pagine di «Amazing». Presente in edicola da sessantatré anni, questo periodico rappresenta la continuità della fantascienza americana, di quella fantascienza popolare da cui sono poi nati i frutti più complessi e sofisticati del dopoguerra. Giuseppe Lippi NOTA. Per la presente antologia, il cui titolo potrà sembrare presuntuo- so, mi sono orientato verso una divisione in due blocchi cronologici fon- damentali: i primordi e l'epoca contemporanea, vista anche sotto il profilo della riflessione (riflessione della rivista e quindi della fantascienza su se stessa). Per la prima parte ho scelto i racconti di alcuni autori-chiave dai numeri di ogni annata significativa: 1927, 1928, 1929 e 1930. Con il '30 mi sembra che si possa considerare effettivamente conclusa la fase pionie- ristica e avanguardistica di «Amazing». Per il periodo contemporaneo, in- vece, mi sono limitato ad alcuni testi usciti nel numero speciale del cin- quantesimo anniversario e che mi sono sembrati particolarmente interes- santi. Il racconto di Asimov, che non è inedito in Italia, rimane pur sempre piacevolissimo; quello di Leiber è un complesso e affascinante resoconto del senso che hanno avuto questi anni (e cioè il cinquantennio abbraccia- to, fino ad allora, dalla vita di «Amazing»); infine, il saggio tra l'ironico e l'amaro di Barry Malzberg rappresenta un po' il requiem di una certa Età dell'Oro, mito diffusissimo tra gli appassionati e prontamente resuscitato dallo stesso Malzberg una pagina più avanti. G.L. BIBLIOGRAFIA Jacques Sadoul, a cura di: Les meilleurs récits de «Amazing Stories», période 1926-1932, Editions J'ai Lu, Parigi 1974; Michael Ashley, Porte sul futuro: storia e antologia delle riviste di fan- tascienza (The History of the Science Fiction Magazine, 1974), Fanucci, Roma 1976; Paul A. Carter, The Creation of Tomorrow: Fifty Years of Magazine Sci- ence Fiction, Columbia University Press, New York 1977; Lester del Rey, The World of Science Fiction: History of a Subculture, Ballantine/Del Rey, New York 1979; James E. Gunn, Storia illustrata della fantascienza (Alternate Worlds, 1975), Armenia Editore, Milano 1979; Peter Nicholls, a cura di: The Encyclopedia of Science Fiction, Granada, St. Albans 1979; Martin H. Greenberg, a cura di: Amazing Science Fiction Anthology. Vol. I The Wonder Years 1926-1935, vol. II The War Years 1936-1945, TSR Inc., Lake Geneva 1987. L'indirizzo di «Amazing Stories» è il seguente: P.O. Box 111, Lake Ge- neva, Wisconsin 53147 (USA). L'abbonamento annuo (sei numeri) costa 25 dollari per posta di superficie e 50 dollari per posta aerea. IL MEGLIO DI «AMAZING STORIES» IL COLORE VENUTO DALLO SPAZIO di H.P. Lovecraft (Settembre 1927) Maestro della letteratura macabra, H.P. Lovecraft (1890-1937) pubbli- cò quasi tutta la propria narrativa su riviste dilettantesche o sul celebre periodico del soprannaturale «Weird Tales». Vi sono tuttavia un paio di eccezioni, e la prima è rappresentata da questo Colour Out of Space che per interessamento di amici vide la luce su «Amazing Stories», la neonata rivista di Hugo Gernsback. Col tempo, questo diabolico Colore che risente di un'atmosfera alla Ambrose Bierce non ha fatto che guadagnare estima- tori anche tra i lettori di science fiction ortodossa, i quali lo ritengono uno dei migliori esempi del genere. A occidente di Arkham, dopo una sorta di barriera naturale formata da valli fitte di boschi che la scure non ha mai sfoltito, si estende una zona di aspre e selvagge colline, solcata da gole strette e oscure dove gli alberi cre- scono con bizzarre contorsioni, dove filtrano esili ruscelli che non cono- scono la luce del sole. Sui declivi meno scoscesi sorgono vecchie fattorie, tozze costruzioni tappezzate di muschio che meditano eternamente sugli antichi segreti della Nuova Inghilterra, al riparo delle grandi cornici roc- ciose. Oggi queste case sono tutte vuote: i larghi camini vanno a poco a poco in rovina, e le pareti rivestite di legno si piegano pericolosamente sot- to i tetti sfondati. I vecchi proprietari se ne sono andati, i forestieri non si stabiliscono volentieri da queste parti. Hanno cercato di installarvisi dei canadesi, degli italiani e alcuni polacchi, ma non vi sono rimasti a lungo. Ciò che li ha allontanati, non è qualcosa che essi abbiano potuto vedere, sentire o toccare, è ciò che hanno potuto immaginare. È un paesaggio cari- co di un'atmosfera ostile, funesta, che non concede sogni riposanti. Basta questo, evidentemente, ad allontanare i nuovi venuti poiché Ammi Pierce non ha mai parlato con costoro dei «giorni strani». Da molto tempo Ammi non ha più la testa completamente a posto. È il solo che sia rimasto lì, l'unico che ogni tanto osi parlare dei giorni strani: ma dimostra tanto coraggio solo perché la sua casa è a due passi dai campi aperti e dalle strade frequentate intorno ad Arkham. Un tempo, una strada che correva per queste colline e queste valli, ta- gliava in linea diretta quella che oggi si chiama la landa folgorata; poi, da- to che la gente non la utilizzava più, ne venne tracciata un'altra molto più a sud. Nel sottobosco, sotto gli sterpi e i rovi, accade talvolta di trovare le tracce della vecchia strada, e certi tratti emergeranno ancora quando metà della vallata sarà stata inondata per formare il nuovo bacino idrico. Allora i grandi alberi saranno abbattuti, e la landa folgorata dormirà per sempre coi suoi misteri sotto le acque profonde. Quando partii verso quel territorio per preparare il tracciato del bacino in progetto, venni informato che si trattava di un luogo maledetto. Questo av- vertimento mi fu dato ad Arkham; poiché Arkham è un'antica città piena di antiche leggende, non me ne meravigliai troppo, pensando a una di quelle tipiche credenze popolari tramandate di generazione in generazione accan- to al caminetto. L'espressione «landa folgorata» mi sembrò piuttosto curio- sa e melodrammatica e mi chiesi come mai quei puritani avessero potuto includerla nel loro scarso vocabolario. Tuttavia, quando mi trovai di fronte a quel labirinto di gole, burroni, rocce, boschi, dovetti riconoscere che non avevo mai visto nulla di così sinistro. L'ombra dominava perenne. Gli al- beri vi crescevano uno addosso all'altro, e i loro tronchi erano insolitamen- te grossi per un bosco della Nuova Inghilterra. Un silenzio troppo profon- do regnava sotto quelle fronde impenetrabili; il suolo era ricoperto da uno spesso tappeto di muschio umido e di foglie marce. Nei tratti aperti lungo la vecchia strada, sui fianchi delle colline, sorge- vano rade fattorie; alcune conservavano intatti i vari fabbricati; altre anco- ra erano ridotte a un camino solitario o a una cantina che si colmava rapi- damente di terriccio. I rovi e le erbacce dilagavano ovunque e nei mac- chioni si sentivano correre furtivi piccoli animali selvatici. Lo scenario era immerso in una nebbia d'inquietudine opprimente, e non mi stupii più che i forestieri rinunciassero ad abitare in una regione così poco accogliente. Pure tutto questo era ancora nulla a paragone della landa folgorata. La riconobbi alla prima occhiata, quando giunsi sul fondo di un'ampia valle: nessun altro nome, infatti, era più adatto a quel luogo, e nessun altro luogo si sarebbe adattato meglio a quel nome. Mi dissi che la zona doveva essere stata devastata da un incendio; ma, in tal caso, perché nessuna vegetazione era ricresciuta su quei due ettari di deserto grigio, disteso sotto il cielo co- me un'immensa piaga corrosa da un acido in mezzo a campi e boschi? Si trovava quasi tutta a nord della vecchia strada, ma traboccava un poco an- che dall'altro lato. Neppure avvicinandomi scorsi la minima traccia di ve- getazione: dappertutto una finissima polvere grigiastra che nessun vento sembrava mai sollevare. Gli alberi intorno deperivano; molti tronchi morti, ancora in piedi o già caduti, orlavano la radura. Mentre procedevo di buon passo, scorsi alla mia destra le pietre e i mattoni crollati di un camino, poi la nera bocca spalancata di un pozzo abbandonato i cui vapori stagnanti as- sumevano al sole strani colori. Il lungo pendio ricoperto di boschi profondi

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