ebook img

'Il Maghreb almoravide e almohade ei rapporti con l'Europa cristiana PDF

26 Pages·2017·0.73 MB·Italian
Save to my drive
Quick download
Download
Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.

Preview 'Il Maghreb almoravide e almohade ei rapporti con l'Europa cristiana

Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa cristiana (secc. XI-XIII) Pascal Buresi To cite this version: Pascal Buresi. Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa cristiana (secc. XI-XIII). Cesare Alzati; Luciano Vaccaro. Africa / Ifrīqiya. Il Maghreb nella storia religiosa di Cristianesimo e Islam, 5, Libreria Editrice Vaticana, pp.299-322, 2016, Storia Religiosa Euro-Mediterranea, 978-88- 209-9592-8. ￿halshs-01439887￿ HAL Id: halshs-01439887 https://shs.hal.science/halshs-01439887 Submitted on 18 Jan 2017 HAL is a multi-disciplinary open access L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est archive for the deposit and dissemination of sci- destinée au dépôt et à la diffusion de documents entific research documents, whether they are pub- scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, lished or not. The documents may come from émanant des établissements d’enseignement et de teaching and research institutions in France or recherche français ou étrangers, des laboratoires abroad, or from public or private research centers. publics ou privés. Distributed under a Creative Commons Attribution - NonCommercial - NoDerivatives| 4.0 International License Pascal Buresi Il Maghreb alMoravIde e alMohade e I rapportI con l’europa crIstIana (secc. XI-XIII) alla fine dell’XI secolo, al-andalus, sino ad allora politicamente indipendente, entrò nell’orbita degli Imperi maghrebini, guidati dalle dinastie berbere. dopo la creazione dell’emirato omayyade di cordoba a metà dell’vIII secolo, il Maghreb occidentale era diventato zona di influenza dei sovrani omayyadi di cordoba, i quali impedirono l’af- fermarsi di qualsiasi potenza concorrenziale e reclutarono truppe per combattere i loro rivali del Maghreb centrale e orientale. la frammen- tazione del califfato di cordoba in una ventina di piccoli regni nell’XI secolo determinò un indebolimento militare di cui approfittarono sia i principati cristiani nel nord della penisola Iberica sia l’area del Marocco a sud, da dove emerse a metà dell’XI secolo una nuova potenza: gli almoravidi, una federazione di tribù nomadi sahariane unitesi in una riforma dell’Islam, dei costumi e della pratica politica. la forza di queste tribù, i cui uomini portavano il velo come i tuareg dei nostri giorni, mentre non lo portavano le donne, si fondava dal punto di vista materiale sul controllo delle vie commerciali provenienti dal ghana e dalle sue miniere d’oro, e dal punto di vista spirituale sul sostegno che riceve- vano dai dottori della legge. Il sovrano almoravide fondò la capitale, 2 Pascal Buresi Marrakesh, nel 1070. nei primi anni i due obiettivi principali del nuovo potere furono il ristabilimento di una fiscalità rigidamente coranica, con la soppressione degli abusi precedenti, e il jihâd contro i nemici cristiani dell’Islam. così, alla fine del XIX secolo, una nuova struttura imperiale, di cui gli storici hanno spesso ridotto l’importanza politica, culturale, artistica o religiosa, fece la sua apparizione con l’unificazione di Maghreb orien- tale e al-andalus, la parte di penisola Iberica che apparteneva al dâr al-islâm (casa dell’Islam). si è spesso minimizzato la struttura statale imperiale introdotta dagli almoravidi, mentre, in molti modi, l’Impero almohade fu l’erede del primo Impero transcontinentale almoravide. per la prima volta nella storia, un potere maghrebino comandò sulle due sponde dello stretto di gibilterra. gli almohadi si precipitarono sulla via, aperta dagli almoravidi, dell’unità politica del Maghreb e al-anda- lus, mantenendo maghrebino il centro del potere. Infatti, in entrambi i periodi, almoravide e almohade, la capitale dell’insieme territoriale fu Marrakesh, mentre al-andalus disponeva di una o più capitali secon- darie. le due dinastie sono originate da movimenti di riforma religiosa, e testimoniano, ciascuna a modo suo, una islamizzazione crescente del Maghreb a cui contribuirono. Inoltre i due Imperi furono guidati da sovrani berberi il cui potere si reggeva sulla forza militare delle tribù berbere confederate. tuttavia gli almoravidi erano nomadi sahariani della confederazione sanhâja, con specifiche strutture antropologiche, dato che le tribù ber- bere in cui essi venivano reclutati erano di tipo matriarcale, cosa insolita nel mondo islamico: le donne non erano velate e avevano un potere importante nella società; gli uomini portavano il velo per coprirsi la bocca (lithâm), il che spiega il soprannome di mulaththamûn, «velati», dato agli almoravidi. da parte loro, gli almohadi erano sedentari dei monti dell’atlante, la confederazione Masmûda dominato patrilinearità. Questi due gruppi erano di lingua berbera. spesso si sono contrapposti almoravidi e almo- hadi, in continuità con la guerra psicologica condotta da questi ultimi contro i primi1, a cui tutti i mali sono stati imputati: sarebbero stati analfabeti e, cosa più grave, in campo giuridico, per affermare la legge, avrebbero dimenticato la legge non facendo più riferimento diretto al Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa 3 corano e alla tradizione, ma utilizzando solo le più importanti raccolte di consulenze legali alla base del malikismo, la scuole giuridica sunnita dominante nel Maghreb e in andalus a partire dal IX secolo. Ma lo studio delle cancellerie, almoravide e almohade, rivela, nella continuità del periodo dei taifas, in cui i segretari di cancelleria, scrittori e poeti sono stati definiti come king-makers da bruna soravia2: – in primo luogo, la fortissima influenza della letteratura, l’adab (le «belle lettere» come fondamento della cultura dell’uomo onesto musul- mano), sulla cancelleria almoravide (cosa che contraddice le accuse almohadi di analfabetismo); – in secondo luogo, la grandissima influenza della lingua berbera nel periodo almohade, come dimostra il fatto che la professione di fede del fondatore del movimento almohade, Ibn tûmart, sia stato redatto in berbero e che egli abbia predicato all’inizio berbero, prima che la sua opera fosse finalmente tradotta in arabo, probabilmente durante il regno del secondo califfo almohade, Yûsuf abû Ya‘qûb (1162-1184). Questo è un altro legame tra i due Imperi: in entrambi i casi il refe- rente è orientale. Questi punti comuni e questi elementi di continuità tra i due Imperi berberi non impediscono delle differenze in termini di dimensioni. alla testa dell’Impero almoravide c’era un principe con il titolo di amîr al- muslimîn (principe dei musulmani), forgiato sul modello del titolo di amîr al-mu’minîn (principe dei fedeli), adottato per la prima volta dal califfo ‘umar (634-644), vicino compagno del profeta dell’Islam e suo secondo successore. Il rifiuto dagli almoravidi di adottare un titolo di rango califfale rivela che i sovrani di questa dinastia non pretendevano la leadership di tutta la comunità dei credenti e non rivendicavano che un’autorità «derivata» su una porzione del dâr al-islâm. per quanto riguarda l’Impero almohade (1130-1269), esso era diretto da un califfo, che manifesta la sua ambizione «universalista» per dirigere l’intero dâr al-islâm e di concorrenza nei titoli, nelle prerogative, nella legittimità e, più in generale, sul piano ideologico, con i califfi abbasidi di baghdad (750-1258) e Fatimidi del cairo (969-1171). se i due poteri dinastici berberi che si succedettero nel Maghreb e in andalus erano sorti, entrambi, da una riforma religiosa, la prima si era integrata in un legalismo estremo ed era collegata da una serie di 4 Pascal Buresi atti all’autorità superiore del califfo abbaside di baghdad. Il movimento almoravide si oppose in modo del tutto particolare agli sciiti e si collocò in linea di continuità con il sec. XI3. attribuendo un ruolo essenziale a giuristi malikiti nella legittimazione delle decisioni politiche prese dai sovrani, la riforma religiosa degli almoravidi pose quindi il Maghreb e al-andalus sul versante orientale; essa fece delle regioni guidate dall’e- miro almoravide una provincia dell’unità califfale orientale dell’Impero dell’Islam; essa accettò pertanto un posto subalterno per i territori che la dinastia riformista governava, e ne trasse persino un motivo di gloria, una legittimità, da questa dipendenza e dal rispetto teorico che portava ai segni di riconoscimento del potere centrale iracheno. al contrario, la seconda riforma religiosa, quella degli almohadi, ebbe origine in una sorta di «rivelazione-bis» e di riproduzione del gesto di Maometto che in qualche misura rifondò l’Impero originale dell’Islam nella terra di occidente. Questa riforma affermò quindi la preminenza, nel XII secolo, dei territori occidentali dell’Islam su tutte le altre parti del mondo musulmano. In una religione che si era presentata come conclusiva [o esito finale?], essendo Maometto il sigillo dei profeti, in una storia dominata dal peso della tradizione e dove ogni innovazione veniva immediatamente percepito come «riprovevole», l’unica riforma realizzabile era di avvicinarsi il più possibile a ciò che costantemente era ricostruito [riproposto?] come modello riferenziale: i primi decenni della rivelazione maomettana e dell’istituzione del califfato (612-fine vII secolo). portata all’estremo, questa tendenza sfociò, con gli almo- hadi, nella ripetizione delle origini, in una prospettiva ciclica ed escato- logica: il tempo presente della storia musulmana si fonde con gli inizi di essa. gli almohadi ricominciano questo fine eterno [destino perpetuo?] della profezia. la dimensione messianica del potere almohade è confermata da diversi elementi: – in primo luogo, dallo statuto di mahdî attribuito al fondatore del movimento: questo termine, di ispirazione sciita, con una forte conno- tazione escatologica; – inoltre, dalle genealogie fittizie per far risalire non solo Ibn tûmart (m. 1130), ma anche il primo califfo, ’abd al-Mu’min (r. 1130-1162), ad ‘alî, genero e cugino del profeta. Questa genealogia (fittizia o reale?) Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa 5 era una concessione ai vincoli di tempo che attribuivano importanza alla nobiltà dell’ascendenza; – infine, più in generale, dalla patina quasi sistematica di terminolo- gia dell’Islam originario sulla storia dell’occidente musulmano almo- hade: dopo il Mahdî (fine dei tempi) / profeta (nuova origine), ricomincia l’era del califfato4. così i primi quattro califfi almohadi ricevettero, nei primi anni del XIII secolo, la qualifica di râshidûn (ben guidati), sulle monete e nelle fonti testuali, come era avvenuto per i primi quat- tro califfi dell’Islam – abû bakr (632-634), ‘umar (634-644), ‘uthmân (644-656) e ‘alî (656-661) –, e le loro imprese militari sono descritte in modo identico ai futûhât, le «conquiste» dei primi califfi, santificate dalla tradizione5. Inoltre, in questo contesto messianico, gli almohadi reinventarono una reliquia: una copia del corano (mushaf) attribuita a ‘uthmân6 è menzionata sistematicamente nelle fonti scritte e ricevette un culto da parte dalla dinastia, accanto al libro scritto dal Mahdî Ibn tumart7. durante le parate militari, questi due esemplari preziosi erano esposte su una cammella bianca e una mula. entrambi sono conservati nella moschea santuario di tinmâl dove è sepolto Ibn tûmart. lo scrigno in cui sono depositati questi due corani viene chiamato tâbût dagli autori almohadi. Ma tale termine tâbût appare nel corano ove designa l’arca dell’alleanza. si assite qui alla riaffermazione dell’Islam come continuatore-rifor- matore del monoteismo abramitico. a tale titolo, e a molti altri, il calif- fato almohade è completamente ortodosso e brandisce la sua assoluta ortodossia facendo riferimento al corano e alla sunna: esso non può d’altra parte avere alternative, dal momento che il movimento almohade è (identico a) la profezia di Maometto. tenuto conto dei rischi di assi- milazione con il mahdismo sciita, gli almohadi valorizzano la figura tutelare di ‘uthmân e degli omayyadi, i nemici irriducibili di tutti gli alidi e di tutti gli sciiti dei secoli vII-XII8. essi ripresero quindi per i loro stendardi, il colore bianco emblematico della dinastia omayyade di damasco, poi di cordoba, contrapposto al colore nero degli abbasidi. Questa definizione del contesto è importante per comprendere la natura e l’evoluzione delle relazioni islamo-cristiane fra l’XI e il XIII secolo nel Mediterraneo occidentale. per evitare ogni schematismo, 6 Pascal Buresi descriveremo queste relazioni tematicamente: sul piano politico, su quello commerciale e in conclusione su quello intellettuale. Infatti la tentazione da un lato dell’anacronismo, dall’altro del manicheismo applicato alla cultura o alla civiltà, rischia di impedire di cogliere la complessità di queste relazioni in età medioevale, e può portare a costruire dei blocchi culturali o religiosi omogenei in un momento in cui gli elementi di unità tra le differenti regioni del bacino mediterraneo erano importanti e in cui, nello stesso tempo, aveva luogo una sensibile evoluzione nelle rela- zioni islamo-cristiane: l’XI secolo è il periodo in cui si esce dalla tarda antichità per entrare nell’epoca medioevale pre-moderna. Innanzitutto, occorre distinguere due territori per le relazioni fra il Maghreb e le potenze latine: da un lato la penisola Iberica, dove vi è un contatto terrestre e dove il confine è un elemento di confronto strutturale; dall’altro il Mediterraneo, sempre più controllato dalle flotte italiane nel periodo malgrado la costituzione da parte degli almohadi di una flotta in grado di rivaleggiare con quelle pisane, veneziane e genovesi9. nel bacino mediterraneo tali relazioni furono oggetto di una crescente regolamentazione che tuttavia non impediva i numerosi epi- sodi di pirateria. Lo sviluppo dell’ideologia del jihâd gli storici di oggi riconoscono che la reazione ideologica del potere musulmano all’espansione occidentale fu molto precoce in occidente, e che si manifestò attraverso la predicazione del jihâd militare. tuttavia altre interpretazioni in chiave opposta portano a interrogarsi, soprattutto seguendo la traccia di pierre guichard, sulla diffusione nella società di un pensiero guerrafondaio riguardo alle potenze cristiane e sulla molti- plicazione delle iniziative individuali in imprese di «guerra legale». la dimensione escatologica dei testi, delle produzioni artistiche e dell’ef- fervescenza religiosa dell’epoca testimonia a suo modo la profonda crisi attraversata dalla società musulmana di al-andalus, malgrado «non emerga (apparentemente) una ideologia di “guerra santa”» simile a quella che si riscontra svilupparsi sul versante cristiano occidentale. la penisola Iberica è uno degli scenari operativi in cui si giocò il Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa 7 futuro delle relazioni fra Islam e cristianità. In effetti, stretto fra il potere crescente dei cammellieri del sud e dei signori cristiani del nord, al-andalus è l’oggetto di tutti i desideri: una società opulenta e seden- taria, i cui prìncipi finanziano i poeti piuttosto che gli eserciti, i palazzi piuttosto che i castelli. Il momento della scelta per al-andalus venne nel 1085, allorché alfonso vI di castiglia-león si impadronì di toledo, antica capitale dei re visigoti, provocando un’ondata di panico la cui eco giunse fino in oriente. per la prima volta dall’epoca della prima espan- sione dell’Islam, una grande città cadeva nelle mani degli «infedeli». sbalorditi, i prìncipi e governanti andalusi si appellarono allora ai loro correligionari maghrebini per essere difesi. dopo la brillante vittoria di Zallâqa (las sagrajas) nel 1086 contro alfonso vI, gli almoravidi assoggettarono, a uno a uno, tutti i prìncipi indipendenti di al-andalus, l’ultimo dei quali, quello di saragozza, nel 1118. Il sud della penisola Iberica divenne un grande campo di battaglia, difeso da prìncipi berberi, le cui origini, collocazione geografica e capi- tale erano nel Maghreb, e lasciato alla mercé degli appetiti convergenti dei cinque regni cristiani che si costituirono violentemente contrapposti l’uno all’altro sulle macerie di al-andalus: portogallo, castiglia, león, aragona e navarra. per quasi cinquant’anni gli almoravidi organizzarono la difesa di al-andalus. Militarmente, la loro potenza si basava sulle truppe fornite dalle tribù sanhâja, che erano all’origine del movimento. politicamente, poggiava su un sistema fortemente decentralizzato: ogni governatore era responsabile, nella sua provincia, delle tasse che prelevava, del reclutamento dei suoi quadri e delle incursioni che organizzava tutti gli anni contro i cristiani del nord secondo i dettami della «guerra legale» (jihâd). ogni fallimento in questi campi generava una sostituzione, con una rotazione molto veloce dei governatori delle province. Ideologicamente, infine, il governo almoravide ostentava il suo rispetto per l’ortodossia sunnita: nessuna decisione era presa dal sovrano senza essere garantita da un decreto (fatwa) emesso da un dottore della legge, e le monete d’oro (dinar) recavano il nome del califfo abbaside di baghdad, ricordato del resto in occasione del sermone del venerdì in tutte le grandi moschee almoravidi. 8 Pascal Buresi Guerra e pace la concomitanza tra il movimento di riforma almoravide nel Magh- reb e l’inizio dell’avanzata cristiana alla fine dell’XI secolo spiega la rapidità della reazione berbera. Yûsuf b. tashfîn, nella sua dinamica di espansione, approfittò della situazione in spagna per installare nella penisola una testa di ponte che gli permise progressivamente di deporre i prìncipi dei piccoli stati (taifas) e di imporsi in andalusia prima di affrontare direttamente i cristiani. Il fatto che i prìncipi delle taifas (mulûk al-tawâ’if) non avessero adempiuto al dovere della «guerra legale» contro i regni cristiani fu una delle due ragioni, confermate dagli ulema, della progressiva sottomissione dei prìncipi di al-andalus da parte del sovrano berbero Yûsuf b. tashfîn; l’altra ragione invocata era il prelievo di imposte non coraniche per pagare ai cristiani il cre- scente tributo dei parias. l’ideologia della «guerra legale» serviva innanzitutto a riunificare la comunità musulmana, l’Umma, dilaniata dalla fitna. Inoltre, la dinastia almoravide, attraverso i suoi governatori provinciali, conduceva tutti gli anni delle spedizioni militari contro i regni cristiani del nord della penisola. Questi governatori provinciali almoravidi, i nâ’ib, vale a dire i sostituti del principe, si facevano interamente carico della responsabi- lità della «guerra legale», ma in caso di sconfitta pagavano con la loro destituzione il loro grande potere e la loro autonomia d’iniziativa. negli anni intorno al 1130 i governatorati di cordoba, granada e siviglia ven- nero raggruppati in una grande provincia governata da tashfîn b. ‘alî b. Yûsuf b. tashfîn fino alla sua successione al trono nel 1143, alla morte di suo padre ‘alî (che regnò dal 1106 al 1143). nel periodo almoravide, è attestata una sola tregua intorno al 112010. Il jihâd in quest’epoca è uno dei punti fondamentali evocati dagli almoravidi per legittimare il potere della loro dinastia. nell’epoca almohade (fine del XII secolo e inizi del XIII) il jihâd venne assunto in prima persona dal califfo. alle spedizioni annuali almoravidi si sostituirono la costituzione e il dispiegamento di grandi armate comandate direttamente dal sovrano. con la centralizzazione del potere e la crescente importanza della persona del califfo nel governo Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa 9 degli uomini, il jihâd tese a identificarsi con il sovrano. se all’inizio del XII secolo il merito delle vittorie ricadeva sulla dawla (dinastia, stato, regime) almoravide, mentre lo scacco della sconfitta non riguardava direttamente che il solo governatore della provincia e non toccava che marginalmente l’emiro almoravide, in epoca almohade al contrario è il califfo che si fa carico personalmente della realizzazione dal jihâd, a suo rischio e pericolo, come prova la morte di Yûsuf I nel 1184, e il profondo shock provocato dalla sconfitta di las navas de tolosa (al- ‘Iqâb in arabo) nel 1212. l’ideologia almohade occupava lo spazio delle citazioni coraniche (sulle monete e nelle decorazioni delle pareti) e rivendicava il monopolio della violenza, in particolare quella della «guerra legale», a esclusivo profitto del sovrano11. Maria antonia Martínez núñez sostiene che l’inclusione nella epigrafia ufficiale di testi coranici che trattavano del jihâd fî sabîl Allâh («il jihâd agli occhi di dio») e la ritualizzazione del dislocamento delle armate califfali fossero la manifestazione di questo dovere individuale: i califfi almohadi affermavano così di voler assu- mere interamente la realizzazione del jihâd militare e lo proclamavano in tutti i modi12. In tal maniera, il jihâd fu assunto dallo stato tanto sotto gli almora- vidi quanto sotto gli almohadi, ma la sua integrazione entro «l’apparato di propaganda dello stato» e l’organizzazione concreta della «guerra legale» obbedirono a regole molto diverse. Questa evoluzione non va solamente messa in conto della rispettiva natura dei regimi, ma è legata al profondo antagonismo fra di essi e alla lunga e violenta lotta degli almohadi per avere il sopravvento sugli almoravidi. Inoltre l’utilizzo di mercenari cristiani e i legami intessuti con alcuni grandi famiglie nobili del león come i castro, e perfino con il re di león, il moltiplicarsi delle tregue e il timore di rappresaglie cristiane nel XIII secolo rivelano anche che l’ideologia del jihâd era innanzitutto uno strumento al servizio del potere. l’irrigidimento delle relazioni fra l’Islam e la cristianità non fu dovuto solamente all’evoluzione interna del potere nel Maghreb. In effetti, non si può negare in questo processo il ruolo del papato, che si inserì con tutti i mezzi nelle relazioni islamo-cristiane. condannò l’uso di ebrei come ambasciatori da parte del re di castiglia13, e incoraggiò le monarchie

Description:
dagli ulema, della progressiva sottomissione dei prìncipi di al-andalus da parte del sovrano berbero Yûsuf b. vernement et de souveraineté, in Los Almohades: problemas y perspectivas, 2 voll, edito- res p. cressier, M. Fierro e l.
See more

The list of books you might like

Most books are stored in the elastic cloud where traffic is expensive. For this reason, we have a limit on daily download.