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I magnifici 7 capolavori della letteratura per ragazzi: Robinson Crusoe-Il giro del mondo in 80 giorni-Le avventure di Tom Sawyer-Cuore... Ediz. integrale PDF

1479 Pages·2013·5.85 MB·Italian
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426 Prima edizione ebook: maggio 2013 © 2013 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-5238-0 www.newtoncompton.com Edizione elettronica realizzata da Gag srl I magnifici 7 capolavori della letteratura per ragazzi Defoe, Robinson Crusoe Verne, Il giro del mondo in 80 giorni Twain, Le avventure di Tom Sawyer De Amicis, Cuore Stevenson, L’isola del tesoro Barrie, Le avventure di Peter Pan Salgari, Sandokan. Le Tigri di Mompracem Edizioni integrali Newton Compton editori Avvertenza Le opere sono presentate in ordine cronologico in base alle date di nascita degli autori. Daniel Defoe Robinson Crusoe A cura di Riccardo Reim Titolo originale: The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe, of York, Mariner. Traduzione di Franco Prattico. «The incredible Defoe» La carriera propriamente letteraria di Daniel Defoe (o De Foe, ma il “De” nobiliare era stato lui stesso a preporlo al nome plebeo del padre – Foe –, prima apprendista macellaio e poi fabbricante di candele nella parrocchia di St. Giles, a Cripplegate)1 ha inizio assai tardi, verso i sessant’anni, nel 1719 (lo scrittore, però, aveva già alle spalle un passato a dir poco burrascoso di giornalista e saggista, nonché di polemista, agente segreto, speculatore, commerciante, sensale, bancarottiere)2, con la pubblicazione del fortunato The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe, of York, Mariner. La parentesi creativa, di breve durata quanto intensissima, si chiuderà definitivamente nel 1724 con Lady Roxana, ma quei cinque anni saranno più che sufficienti al torrenziale, smisurato, “incredible” Defoe per comporre tutti i suoi capolavori: dopo Robinson Crusoe (di cui ci saranno due “continuazioni”, una sempre nel 1719 e una nel 1720) ecco infatti apparire uno dopo l’altro Memoirs of a Cavalier (1720), Captain Singleton (1720), Moll Flanders (1722), Journal of the Plague Year (1722), Colonel Jack (1722) e infine, per l’appunto, Lady Roxana. Tardiva vocazione? O forse calcolo economico, visto che i libri di viaggi e di avventure erano di gran moda? L’esistenza di Defoe è aggrovigliata, caotica, ambigua, inestricabile e spesso inspiegabile come poche altre, ma di certo anche alla sua storia di romanziere, come a ogni storia – osserva giustamente Carlo Izzo – «si può trovare una preistoria»3: la critica l’ha concordemente indicata nel suo libro di morale puritana The Family Instructor (1715), «cosparso di racconti immaginari»4, e ancora di più in quella sorta di curioso reportage a impianto narrativo, The Apparition of Mrs Veal5, del 1706 (basato, al contrario di quanto si è creduto per quasi due secoli, su un fatto di cronaca accaduto un anno prima, cosa che finisce per apparentarlo maggiormente, come si vedrà, al Robinson), a cui, come giustamente nota Pietro Sanavio, «nemmeno l’argomento fantastico toglie le caratteristiche di corposo realismo proprie di tutta l’opera narrativa dello scrittore»6, il quale, c’è da aggiungere, non era nuovo alla composizione di biografie (un po’ infiorettate per meglio fare colpo sui lettori) di personaggi storici, come Carlo XII di Svezia e il rev. Williams... «Presentimenti indubitabili»7 è stato detto, e certamente, come afferma Mario Praz, «di qui alla composizione di biografie immaginarie era breve il passo»8, ma la nascita del primo romanzo dovette essere in fondo abbastanza casuale, originata indubbiamente dal cronico bisogno di denaro e forse dalla lettura della seconda edizione (apparsa nel 1718) dello scritto del capitano Woodes Rogers A Cruising Voyage round the World9, che fece probabilmente riaffiorare nella memoria di Defoe l’eco di un avvenimento che non poteva non avergli eccitato la fantasia: lo stupefacente caso di Alexander Selkirk. Nel 1710 era infatti giunto a Londra un personaggio quanto mai singolare, che di colpo aveva conquistato un’enorme popolarità in tutti gli ambienti della capitale: era un ex marinaio scozzese, e si chiamava Alexander Selcraig, sebbene si compiacesse di farsi chiamare Selkirk. Costui era diventato un vero e proprio oggetto di pubblica curiosità narrando nei salotti eleganti le eccezionali avventure che gli erano capitate allorché, imbarcatosi sulla nave Cinque Ports per una spedizione armata, era stato abbandonato dai suoi compagni su di un’isola deserta al largo delle coste del Cile (l’isola di Mas-a-Tierra per l’esattezza), ed era stato costretto a soggiornarvi forzatamente per ben sei anni. L’episodio aveva suscitato un grandissimo scalpore, sia per la sua singolarità, sia perché «in esso s’incarnava una delle questioni più appassionanti dell’epoca, che, già definita in sede speculativa, trovava nelle peripezie del marinaio la via per ammanigliarsi alla realtà»10, ovvero la querelle filosofica e giuridica sull’individuo allo stato di natura: privata di ogni contatto con il mondo civile, riportata di colpo a una condizione di primitività, una creatura umana sopravvive riacquistando il suo indomito coraggio o soccombe? Si abbrutisce nella solitudine o mantiene viva la sua intelligenza riuscendo serenamente a fare a meno dei suoi simili? La questione del felice animalismo dell’uomo allo stato naturale circolava con maggiore insistenza già dal 1708 (e non si dimentichino, a tale proposito, le opere di Samuel Pufendorf e il Leviathan di Hobbes, di cui si scorgono chiari riflessi nel libro di Defoe)11, quando era apparsa la traduzione inglese dall’originale arabo delle avventure di un altro straordinario castaway, Hai Ibn Yokdhan (di cui parlerà diffusamente Alexander Pope proprio l’anno di pubblicazione del Robinson) e tornerà di nuovo alla ribalta nel 1726 con il caso di “Peter the Wild Boy” (un ragazzo dell’apparente età di dodici anni, trovato in condizioni semibestiali nelle foreste dello Hannover), sul quale lo stesso Defoe scriverà un lungo saggio giornalistico12, affrontando nuovamente – anche in modo contraddittorio rispetto al suo romanzo di sette anni prima – il tema della probità morale dell’uomo allo stato selvaggio e, d’altra parte, delle sue necessità sociali; argomento, questo, che aveva cominciato a interessarlo – sia pure sporadicamente e di sfuggita – fin dal 1698, anno in cui aveva dato alle stampe il provocatorio The Poor Man’s Plea, un libello piuttosto notevole che gli aveva procurato, per l’audacia (e la modernità) di certe affermazioni, più di un grattacapo13. Daniel Defoe era, come del resto la grande maggioranza dei suoi personaggi, quello che Victor Hugo avrebbe definito «une force qui va»: prontissimo a buttare giù in una notte i suoi manoscritti dandoli alle stampe senza neppure rileggerli, si rivela quasi in ogni sua pagina un poligrafo di genio dalla prosa robusta, immediata e incisiva («la più moderna tra le prose inglesi settecentesche» secondo Cesare Pavese)14, e la sua piena, convinta aderenza alla realtà – che soprattutto nei romanzi sembra farsi a volte quasi maniacale – «redime quanto vi è di sciatto, di mal costruito, di superfluo nella sua opera»15, dando miracolosamente alla favolosa vicenda di Robinson (come più tardi a quella di Moll Flanders o di Lady Roxana) «quella concretezza e corposità e verosimiglianza che l’hanno fatta tanto spesso considerare il primo esempio di autentico realismo narrativo»16. Con la sua immaginazione innamorata del particolare, Defoe consegue una straordinaria potenza evocativa insistendo su dettagli potremmo dire “periferici”, su certe minuzie non essenziali allo sviluppo vero e proprio del racconto, ma che contribuiscono assai efficacemente a creare la giusta “atmosfera”. Come osserva Walter Allen nel suo The English Novel, è proprio con la grande abbondanza di particolari circostanziati che Defoe riesce a far credere al lettore le cose più improbabili: «Crusoe resta nell’isola ventotto anni, due mesi e diciannove giorni. L’esattezza è caratteristica: è in parte perché possiamo seguire le sue esperienze talvolta di giorno in giorno e sempre di anno in anno, con le date alla mano, che accettiamo senza battere ciglio l’impossibile. In un certo senso l’impossibile è stato messo in gabbia dal calendario, e addomesticato»17. Notava Robert Louis Stevenson in Memories and Portraits: «Robinson Crusoe è tanto realistico quanto romanzesco; ambedue queste qualità sono spinte all’estremo, e nessuna delle due ne soffre»18: ha dunque di nuovo ragione Mario Praz quando afferma che «Defoe inventò per la narrativa qualcosa come una lente d’ingrandimento»19, ed è proprio questa “lente”, conferendo dignità e memorabilità a fatti apparentemente minimi, privati, irrilevanti a donare al romanzo la sua eccezionale capacità di simbolo, la sua forza epica che gli consente di interpretare (e talvolta anticipare) con estrema precisione i fermenti e le idee del suo tempo. Robinson Crusoe è in tal modo, con l’epopea dei suoi sforzi umili, tenaci e vittoriosi, anche l’epopea della laboriosa borghesia

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