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Heat Shock Proteins (HSP) PDF

115 Pages·2012·3.7 MB·Italian
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA DI VITERBO DIPARTIMENTO DI AGROBIOLOGIA E AGROCHIMICA CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA in BIOTECNOLOGIE VEGETALI -XX CICLO- Heat Shock Proteins (HSP) da pianta e loro potenziali applicazioni in vaccinologia settore scientifico-disciplinare:AGR/07 e BIO/04 Coordinatore: Prof. ssa Stefania Masci Tutor: Dott. ssa Selene Baschieri (ENEA C.R. Casaccia) Tutor: Dott. Eugenio Benvenuto (ENEA C.R. Casaccia) Dottorando: Dott. Giampaolo Buriani INDICE I INTRODUZIONE……………………………………………………………….………………….1 Produzione di proteine di interesse farmaceutico in sistemi di espressione eterologhi………………………………………………………………………..…..2 Stato dell’arte dei sistemi per l’espressione eterologa……………………..…………………….…..2 I sistemi vegetali come sistemi di espressione di nuova generazione……………………….………4 Caratteristiche dell’espressione in sistemi vegetali …………………………………………..…...…6 Prospettive di sviluppo future ………………………………………………………….….…….….7 I vaccini ed il sistema immunitario…………………………………………………………….…..9 Definizione di vaccino e brevi cenni sulle risposta immunitaria………………………………....…9 Fattori che influenzano l’efficacia dei vaccini…………………………….………………..………11 Tipologie di adiuvanti………………………………………………….………….……….…….…12 Vaccini tradizionali………………………………………………….………….…………….….…13 Vaccini di nuova generazione……………………………………….….………………………..…13 Le proteine da shock termico…………………………………………………………………..….15 Ruolo immunologico delle HSP………………………………………………………………….…16 Relazioni struttura-funzione…………………………………………………………………….…..18 Le HSP vegetali…………………………………………………………………………………..…20 SCOPO DELLA TESI…………………..…………………………...……………….……….22 MATERIALI E METODI……………...……………………….………………………...….24 Colture batteriche…………………………………………………………………….……………..25 Tecniche per la manipolazione degli acidi nucleici….…….………………………………………..29 Analisi bioinformatica……………..………………………………………………………….……32 Tecniche per la manipolazione delle proteine…………..………………………………………..…34 Tecniche per gli esperimenti di immunologia………………………………………………………43 RISULTATI……………………………………………………………………………………..47 Caratterizzazione strutturale delle HSP espresse nei tessuti vegetali mediante l’impiego di strumenti bioinformatici…………………………………………………………....48 II Analisi del grado di omologia esistente tra i membri della famiglia delle HSP70 animali e vegetali……………………………………………………………………..…….48 Modellamento strutturale della HSC70 di N. tabacum………………………………..……..…….49 Analisi dei profili di espressione costitutiva ed indotta delle HSP70 vegetali …………..….….51 Analisi dei profili di espressione costitutiva ed indotta da stress abiotico delle HSP70 in piante di N. benthamiana….…………………………………………… …...…..51 Analisi dei profili di espressione delle HSP70 in piante di N. benthamiana sottoposte a stress biotici …………………………………………………………………………...52 Espressione transiente in piante di N. benthamiana della nucleoproteina del virus A dell’influenza …………………………..…………………...…….…53 Clonaggio del cDNA codificante la nucleoproteina del virus A dell’Influenza nel vettore binario pGR106…………………………………………………………………..…….53 Espressione transiente della proteina NP in piante di N. benthamiana mediante agroinfiltrazione……………..………………………………….………54 Estrazione e purificazione di complessi HSP70-peptide dai tessuti vegetali e loro caratterizzazione mediante spettrometria di massa…………………………….55 Ottimizzazione del protocollo di estrazione e purificazione di complessi HSP70-peptide dai tessuti vegetali…………………………………………………………………55 Caratterizzazione dei complessi HSP70-peptidi di origine vegetale mediante spettrometria di massa………………………………………………………..…………..57 Esperimenti immunologici volti a definire le proprietà immunogeniche di complessi HSP70-peptidi estratti da tessuti vegetali che esprimono antigeni di interesse vaccinale…………………………………………………………………….58 Immunizzazione dei topi con i complessi HSP70-peptidi estratti da tessuti fogliari in cui era espressa la proteina NP del virus A dell’influenza…….……..………….58 Allestimento del saggio ELISPOT per la determinazione del numero di cellule T CD8+ NP-specifiche attivato dalle immunizzazioni ………………………….………….59 DISCUSSIONE…………………………………………………………………………………61 TABELLE E FIGURE BIBLIOGRAFIA III INTRODUZIONE 1 Produzione di proteine di interesse farmaceutico in sistemi di espressione eterologhi Stato dell’arte dei sistemi per l’espressione eterologa Il rapido aumento delle conoscenze nell’ambito della genomica e delle scienze “omiche” (trascrittomica, proteomica e metabolomica) sta contribuendo a concretizzare ulteriormente le potenzialità delle biotecnologie e a rinforzare il concetto della bioeconomia basata sulla conoscenza (Knowledge Based Bio-Economy). In modo particolare, negli ultimi anni, grandi progressi sono stati fatti nell’area di ricerca relativa ai sistemi di espressione eterologhi (batteri, lieviti e cellule animali), classicamente utilizzati per produrre proteine ricombinanti di interesse farmaceutico. Ciascuno di questi tipi cellulari presenta infatti, relativamente a questo tipo di applicazione, dei limiti che spesso hanno ricadute anche importanti sulla qualità e sui costi del prodotto. In questo quadro le cellule batteriche sono quelle che hanno risentito meno positivamente dell’avanzamento delle conoscenze. Questo nonostante i notevoli progressi compiuti per facilitare il clonaggio e promuovere la produzione a livelli elevati di proteine etologhe nella corretta conformazione bioattiva. Per la loro natura procariote, tali cellule hanno infatti il limite fondamentale di essere prive della capacità di apportare modificazioni post-traduzionali, potendo essere utilizzate solo per la produzione di proteine strutturalmente molto semplici. Nonostante ciò i batteri restano il sistema di espressione di più facile ed economico impiego perché, essendo stati utilizzati per lungo tempo come modello, consentono di fare riferimento a protocolli standardizzati di trasformazione, di mantenimento in coltura e di estrazione/purificazione del prodotto di interesse. Inoltre, se paragonati con i sistemi di espressione eucarioti, presentano vantaggi legati al rapido accumulo di biomassa e alla capacità di crescere in presenza di fonti di carbonio a basso costo (Baneyx and Mujacic, 2004). Per quanto riguarda le cellule eucariotiche (lieviti, cellule di mammifero), per loro natura queste sono in grado di apportare modificazioni post-traduzionali, e sono quindi utilizzate per produrre proteine strutturalmente complesse. Nonostante ciò, la ricerca si sta concentrando sulla ottimizzazione, mediante mirati interventi genetici, delle vie biosintetiche coinvolte in questi processi modificativi. Un esempio in tal senso è l’ottenimento di cellule di Pichia Pastoris transgeniche per 14 geni eterologhi, che consentono di ottenere la glicosilazione caratteristica delle cellule umane, e in cui è invece soppressa, mediante gene-knockout, l’espressione dei quattro geni responsabili della glicosilazione tipica delle cellule di lievito (Hamilton et al., 2006). 2 L’emivita, il potere terapeutico, nonché l’immunogenicità, di un farmaco ricombinante sono strettamente dipendenti dalle modificazioni post-traduzionali (Walsh et al., 2006) e la modificazione post-traduzionale più complessa e di maggiore rilevanza funzionale è la glicosilazione (il 50% delle proteine umane è glicosilato) (Wong, 2005). Un diverso pattern di sializzazione, mediante la semplice sostituzione dell’acido sialico terminale degli N-glucani con mannosio, N-acetilglucosamina o galattosio, è in grado di modificare significativamente la farmacocinetica e la farmacodinamica e di determinare l’accelerata clearance di una proteina terapeutica (Ashwell and Harford, 1982; Stockert et al., 1995). Negli anticorpi ad esempio, una diversa glicosilazione può avere specifici effetti strutturali e modificare funzioni effettrici fisiologicamente rilevanti quali la citotossicità cellulare anticorpo-dipendente o il legame con l’antigene (Arnold et al., 2007). Differenze nel tipo di glicosilazione sono anche potenzialmente in grado di rendere immunogenico il prodotto causando perdita dell’efficacia, neutralizzazione della controparte naturale o, nei casi peggiori, reazioni allergiche più o meno gravi (Shankar et al., 2006). E’ per questa ragione che oggi quasi tutte le glicoproteine ricombinanti di interesse terapeutico approvate per l’uso umano dall' Ente statunitense per la regolamentazione dei farmaci (Food and Drug Administration, FDA) sono prodotte utilizzando come ospite le cellule di ovario di hamster cinese (Chinese Hamster Ovary cells, CHO), le uniche in grado di garantire modificazioni post- traduzionali e, più in particolare, un pattern di glicosilazione molto simile a quello delle proteine umane. Parallelamente al contributo dato al miglioramento delle “biofabbriche” già esistenti, le conoscenze nel campo della biologia e della genetica molecolare hanno consentito di identificarne di nuove. Da una ventina d’anni a questa parte è stata infatti presa in considerazione la possibilità di utilizzare come sistemi di espressione alternativi alle cellule in coltura, organismi multicellulari complessi come animali o piante (Molecular Farming) (Larrick and Thomas, 2001). Se da una parte, per motivi di carattere pratico (efficienza, tempi di produzione e sicurezza del prodotto) ed etico, la realizzazione di animali transgenici sembra non aver trovato grande spazio di applicazione, il settore delle biotecnologie focalizzato sullo studio e la messa a punto di protocolli sperimentali per la produzione di proteine e biomolecole ricombinanti in sistemi di espressione di origine vegetale, sembra aver ottenuto maggior successo. Tappe fondamentali per la nascita e lo sviluppo di questo campo di ricerca sono state la messa a punto delle tecniche del DNA ricombinante applicate alle piante superiori ed il conseguente ottenimento della prima pianta geneticamente modificata (Fraley et al., 1983, Horsch et al., 1984). La prima proteina ricombinante prodotta a fini commerciali utilizzando una pianta è stata l’avidina (Hood et al., 1997). Da allora, diverse proteine sono state prodotte utilizzando sistemi vegetali. Alcune di queste sono in corso di 3 commercializzazione o in fase di sperimentazione pre-clinica con l’intento di sostituire le medesime proteine prodotte utilizzando sistemi di espressione più tradizionali (Ma et al., 2005). I sistemi vegetali come sistemi di espressione di nuova generazione Le strategie che possono essere utilizzate per realizzare piante “biofabbrica” di proteine eterologhe, sono la trasformazione stabile del genoma (nucleare o del cloroplasto) e la trasformazione transiente, mediante infezione con patogeni vegetali (virus o batteri) geneticamente modificati. La trasformazione stabile comporta l’inserimento del gene eterologo nel genoma nucleare o del cloroplasto di cellule di callo (ammasso di cellule dedifferenziate propagabile in vitro) o di espianti fogliari in vitro, e la successiva rigenerazione dalle cellule trasformate di piante complete, geneticamente modificate, in grado di trasmettere il transgene alla progenie. La trasformazione nucleare può essere ottenuta utilizzando il batterio Agrobacterium tumefaciens (batterio caratterizzato dalla naturale capacità di trasferire parte dei propri geni nel genoma nucleare delle cellule vegetali), nelle specie suscettibili a questo fitopatogeno, oppure trasferendo meccanicamente nelle cellule vegetali il materiale genetico eterologo (metodo “biolistico”). Questo secondo metodo è quello con cui si effettua anche la trasformazione del cloroplasto (Vain, 2007). La metodologia di trasformazione mediata da A. tumefaciens è stata messa a punto circa 20 anni fa (Graves and Goldman, 1986; Feldmann and Marks, 1987), e prevede che la sequenza di DNA eterologa venga sostituita al T-DNA (DNA trasferito, transferred DNA) nel genoma batterico, prima che questo venga utilizzato per la trasformazione in vitro. Il metodo biolistico prevede invece che il DNA di interesse sia utilizzato per rivestire microsfere di oro o tungsteno, che vengono proiettate ad elevata velocità contro il tessuto vegetale da trasformare, in modo da penetrare le cellule mediante un cannoncino ad aria compressa. La trasformazione transiente rende la pianta in grado di esprimere la proteina eterologa solo temporaneamente e non la abilita a trasferire l’informazione genetica relativa alla progenie. Il gene codificante la proteina infatti non viene integrato nel genoma delle cellule vegetali ma in quello di un patogeno di natura virale o batterica che lo veicola nei tessuti di una pianta adulta, completamente sviluppata. La tecnica di espressione transiente basata sull’impiego del batterio A. tumefaciens è cosiddetta “agroinfiltrazione” (Kapila et al., 1997). A differenza di quanto avviene per la trasformazione stabile, in questo caso, la sospensione di cellule batteriche geneticamente modificate viene infiltrata, mediante l’ausilio di una siringa privata dell’ago, sulla pagina inferiore delle foglie di una pianta adulta in vaso. Questa metodologia consente di esprimere simultaneamente geni diversi e di 4 ottenere più proteine contemporaneamente. Originariamente l’impiego di questa tecnica aveva il solo scopo di verificare la funzionalità dei vettori plasmidici destinati alla trasformazione stabile. Solo di recente le sue potenzialità sono state impiegate a scopi di produzione (Fisher et al., 1999). La trasformazione transiente imperniata sull’uso di virus vegetali fa ricorso generalmente a virus a singolo filamento positivo di RNA, come il Virus del Mosaico del Tabacco (Tobacco Mosaic Virus, TMV) o il Virus X della Patata (Potato Virus X, PVX) (Canizares et al., 2005) perché di più facile manipolazione. Lo sviluppo di questa tecnologia è stato infatti molto facilitato dalla realizzazione di vettori di espressione contenti il DNA complementare (cDNA) del genoma virale completo (Pogue et al., 2000). Numerose sono le strategie che possono essere utilizzate per inserire il gene codificante per la proteina di interesse all’interno di tali vettori (inserimento come sequenza aggiuntiva, sostituzione di un gene virale, fusione con una sequenza virale) e variano a seconda delle caratteristiche dell’ospite virale prescelto (Lacomme et al., 1998). Per quanto riguarda le rese di proteina eterologa, ciascuna delle metodiche di trasformazione sin qui descritte va considerata come un capitolo a se stante. La trasformazione stabile del genoma nucleare poiché non permette l’inserimento della sequenza eterologa in modo “sito-specifica”, è caratterizzata da livelli di espressione variabili. In particolare, i livelli di espressione sono bassi o assenti se l’inserzione avviene in una regione del genoma funzionalmente importante o trascrizionalmente inattiva, o quando si ottiene l’inserimento contemporaneo di più copie del gene eterologo ed il livello di espressione è così alto che si attivano dei meccanismi di silenziamento genico (Metzlaff, 2002). Da questo punto di vista la trasformazione stabile del cloroplasto è senza dubbio più efficiente perché, essendo ottenuta mediante ricombinanzione omologa in una posizione definita del genoma plastidico, non corre il rischio di interrompere sequenze la cui espressione è connessa a funzioni vitali. Nonostante questo tipo di trasformazione sia potenzialmente in grado di assicurare rese molto elevate (fino al 40% delle proteine totali solubili, Total Soluble Proteins, TSP) (De Cosa et al., 2001; Daniell, 2002), è necessario ricordare che tali rese si ottengono solo quando tutti i genomi di tutti i cloroplasti di tutte le cellule sono trasformati (omoplasmia) (una condizione sperimentalmente ancora molto difficile da ottenere). Inoltre, la tecnica di trasformazione è efficace solo su un numero molto limitato di specie vegetali e, essendo i cloroplasti organelli di origine procariotica, le proteine qui sintetizzate non subiscono modificazioni post-traduzionali. La trasformazione transiente offre numerosi vantaggi rispetto alle tecniche di trasformazione stabile. Innanzitutto perché, per la sua realizzazione, occorrono solo poche settimane contro i circa 12 mesi necessari alla realizzazione e alla caratterizzazione di piante transgeniche omozigoti in grado di esprimere livelli soddisfacenti del prodotto di interesse. Successivamente perché la 5 trasformazione transiente è in grado di garantire rese particolarmente elevate. Anche in questo caso però vi sono delle limitazioni di natura tecnica, quale la necessità di ambienti controllati (come le serre a contenimento) così da evitare la dispersione dei patogeni ricombinanti nell’ambiente; inoltre l’utilizzo della trasformazione transiente non permette di trasferire il gene di interesse alla progenie dell’ospite vegetale scelto (Lorence and Verpoorte, 2004). In ogni caso nelle piante, al pari di altri sistemi utilizzati per l’espressione eterologa, per aumentare le probabilità di ottenere livelli di espressione elevati (indipendentemente dalla metodica di trasformazione adottata) è consigliabile non solo ottimizzare la sequenza da esprimere (mediante l’”armonizzazione” del codon usage con quello dell’ospite) ma anche effettuare una scelta oculata delle sequenze che ne controlleranno l’espressione. Di larga applicazione, sono, il promotore 35S del Virus del Mosaico del Cavolfiore (Cauliflower Mosaic Virus, CaMV) (O’Dell et al., 1985), mentre per le monocotiledoni, il promotore dell’ubiquitina-1 di mais (Christiansen and Quail, 1989). Per l’espressione, da tenere in considerazione l’impiego di promotori inducibili e quello di promotori tessuto-specifici, grazie ai quali è possibile attivare l’espressione della proteina di interesse in tessuti o organi definiti della pianta (Zuo et al., 2000). Caratteristiche dell’espressione in sistemi vegetali Da un punto di vista generale uno dei principali vantaggi derivanti dall’impiego delle piante come sistemi di espressione è la significativa riduzione dei costi di produzione. Questo nonostante la coltivazione in campo aperto sia resa impossibile dalle restrizioni legislative vigenti in numerosi paesi e alla regolamentazione circa le condizioni di produzione di farmaceutici. I materiali (terreno, luce solare, acqua) necessari per l’allevamento sono infatti molto meno costosi di quelli necessari per l’allestimento delle colture cellulari, così come le strutture necessarie per il mantenimento, la raccolta e la conservazione. Le piante, inoltre, offrono la possibilità di effettuare un significativo taglio dei costi di conservazione del prodotto perché è possibile fare in modo che questo venga accumulato in tessuti di riserva, come i semi, e possa pertanto essere conservato a temperatura ambiente senza per questo subire un danneggiamento. Anche l’aspetto qualitativo del prodotto trae vantaggio dall’impiego delle piante anche se, esattamente come per altri ospiti eucarioti, modificazioni post-traduzionali, quali la glicosilazione, sono in parte diverse da quelle apportate nelle cellule animali. Infatti, se da una parte gli N-glicani ad alto contenuto di mannosio contengono da 5 a 9 residui di mannosio ed hanno la stessa struttura sia nelle glicoproteine vegetali che in quelle di mammifero, gli N-glicani complessi sono 6

Description:
recettori antigene-specifici. I recettori antigene-specifici dei linfociti B sono le immunoglobuline, o anticorpi, glicoproteine complesse associate alla membrana o circolanti (forma secreta), in grado di riconoscere e di interagire in maniera altamente specifica con porzioni definite (epitopi) del
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